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n.72 - Hod benessere

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Dividiamo la questione in due: da una parte la solitudine voluta, accettata; all’altra vissuta<br />

come paura, dolore, abbandono, isolamento.<br />

Demandare alla solitudine la responsabilità di una sofferenza è già sbagliato di per sé. Partire<br />

dal presupposto che un malessere fisico, un problema familiare, un disagio morale, emotivo o<br />

altro nasca da uno stato di solitudine, soprattutto quando viene giudicato in termini negativi,<br />

vuol dire darsi un’etichetta che sarà molto difficile togliere. Non è vero che sto male perché<br />

sono solo: è una scusa per non affrontare un problema. Anzi, all’interno di questa giustificazione<br />

inserisco tutto, compresa la sofferenza, che mi assicuro di tenere lì dentro bene al caldo proprio<br />

per non risolverla. Soffro perché sono stato lasciato, mi sento solo per la separazione?<br />

Invece di dare la colpa all’altro, sarebbe meglio che mi facessi delle domande e andassi avanti<br />

a costruire la mia vita. Troppo spesso deleghiamo all’esterno quegli eventi emotivi che andrebbero<br />

demandati all’interno, come nostra responsabilità. Se non superiamo questo principio,<br />

possiamo proseguire a parlare di migliaia di sofferenze legate alla solitudine, senza venirne mai<br />

a capo. É per questo che sono convinto che la solitudine sia un termine che dovrebbe essere<br />

tolto dal vocabolario. “Stare da soli” vuol dire tutto e niente.<br />

Nathaniel Russel<br />

Non è facile. Non pensi che per<br />

arrivare a queste conclusioni occorra<br />

essere in equilibrio?<br />

Per sostenere in profondità la consapevolezza<br />

che la solitudine è una nostra<br />

costruzione non basta leggere libri, frequentare<br />

corsi o dire “accetto l’idea che<br />

la solitudine non esiste”. Non è il caso di<br />

prenderci in giro. Dobbiamo invece fare<br />

qualcosa dentro di noi per concretizzare<br />

emotivamente questo concetto. Occorre<br />

trasmutare da un atteggiamento mentale<br />

abbastanza scontato ad un mutamento<br />

interno costante nel tempo. Nessun altro lo può fare per noi.<br />

Non c’è il rischio, stando da soli, di interpretare e deformare la realtà a nostra immagine<br />

e somiglianza, di inventare emozioni e sentimenti?<br />

Produrre emozioni attraverso l’immaginazione è una grande opportunità data unicamente<br />

all’essere umano. Quante cose fraintendiamo in due, insieme a tanti altri? Se da solo mi creo un<br />

fraintendimento, ne ho prova immediata: non mi dà soddisfazione, non mi piace. Se grazie all’immaginazione<br />

entro in una situazione emotiva positiva, sto bene. Che poi quello che immagino<br />

accada o meno ha poca importanza, ciò che è significativo al momento è immaginare un desiderio<br />

e trarne beneficio. Ovviamente sto escludendo ogni tipo di profilo patologico. Ma l’immaginazione<br />

è un potere immenso, questo genere di fantasia non va a cadere in un’alterazione della<br />

realtà. E poi, se l’essere umano avesse il potere di alterare la realtà con l’immaginazione, non<br />

sarebbe un potere eccezionale? Non è stato forse così per molti geni del passato?<br />

Affrontare la vita da single può essere un privilegio, ma costa fatica sia in termini concreti<br />

ed economici, che di relazione con gli altri. Ancora oggi presentarsi da soli senza<br />

rientrare in nessuno schema codificato, viene spesso guardato con diffidenza.<br />

Nel momento in cui una persona ha trasmutato e ha sciolto il nodo della solitudine, presentarsi<br />

in un contesto con dei codici ben precisi rappresentando in qualche modo “il diverso”, è bello.<br />

Quando si sta bene e si è in equilibrio con se stessi, lo si lascia trasparire. Non c’è bisogno di<br />

HOOD 777222<br />

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