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Dividiamo la questione in due: da una parte la solitudine voluta, accettata; all’altra vissuta<br />
come paura, dolore, abbandono, isolamento.<br />
Demandare alla solitudine la responsabilità di una sofferenza è già sbagliato di per sé. Partire<br />
dal presupposto che un malessere fisico, un problema familiare, un disagio morale, emotivo o<br />
altro nasca da uno stato di solitudine, soprattutto quando viene giudicato in termini negativi,<br />
vuol dire darsi un’etichetta che sarà molto difficile togliere. Non è vero che sto male perché<br />
sono solo: è una scusa per non affrontare un problema. Anzi, all’interno di questa giustificazione<br />
inserisco tutto, compresa la sofferenza, che mi assicuro di tenere lì dentro bene al caldo proprio<br />
per non risolverla. Soffro perché sono stato lasciato, mi sento solo per la separazione?<br />
Invece di dare la colpa all’altro, sarebbe meglio che mi facessi delle domande e andassi avanti<br />
a costruire la mia vita. Troppo spesso deleghiamo all’esterno quegli eventi emotivi che andrebbero<br />
demandati all’interno, come nostra responsabilità. Se non superiamo questo principio,<br />
possiamo proseguire a parlare di migliaia di sofferenze legate alla solitudine, senza venirne mai<br />
a capo. É per questo che sono convinto che la solitudine sia un termine che dovrebbe essere<br />
tolto dal vocabolario. “Stare da soli” vuol dire tutto e niente.<br />
Nathaniel Russel<br />
Non è facile. Non pensi che per<br />
arrivare a queste conclusioni occorra<br />
essere in equilibrio?<br />
Per sostenere in profondità la consapevolezza<br />
che la solitudine è una nostra<br />
costruzione non basta leggere libri, frequentare<br />
corsi o dire “accetto l’idea che<br />
la solitudine non esiste”. Non è il caso di<br />
prenderci in giro. Dobbiamo invece fare<br />
qualcosa dentro di noi per concretizzare<br />
emotivamente questo concetto. Occorre<br />
trasmutare da un atteggiamento mentale<br />
abbastanza scontato ad un mutamento<br />
interno costante nel tempo. Nessun altro lo può fare per noi.<br />
Non c’è il rischio, stando da soli, di interpretare e deformare la realtà a nostra immagine<br />
e somiglianza, di inventare emozioni e sentimenti?<br />
Produrre emozioni attraverso l’immaginazione è una grande opportunità data unicamente<br />
all’essere umano. Quante cose fraintendiamo in due, insieme a tanti altri? Se da solo mi creo un<br />
fraintendimento, ne ho prova immediata: non mi dà soddisfazione, non mi piace. Se grazie all’immaginazione<br />
entro in una situazione emotiva positiva, sto bene. Che poi quello che immagino<br />
accada o meno ha poca importanza, ciò che è significativo al momento è immaginare un desiderio<br />
e trarne beneficio. Ovviamente sto escludendo ogni tipo di profilo patologico. Ma l’immaginazione<br />
è un potere immenso, questo genere di fantasia non va a cadere in un’alterazione della<br />
realtà. E poi, se l’essere umano avesse il potere di alterare la realtà con l’immaginazione, non<br />
sarebbe un potere eccezionale? Non è stato forse così per molti geni del passato?<br />
Affrontare la vita da single può essere un privilegio, ma costa fatica sia in termini concreti<br />
ed economici, che di relazione con gli altri. Ancora oggi presentarsi da soli senza<br />
rientrare in nessuno schema codificato, viene spesso guardato con diffidenza.<br />
Nel momento in cui una persona ha trasmutato e ha sciolto il nodo della solitudine, presentarsi<br />
in un contesto con dei codici ben precisi rappresentando in qualche modo “il diverso”, è bello.<br />
Quando si sta bene e si è in equilibrio con se stessi, lo si lascia trasparire. Non c’è bisogno di<br />
HOOD 777222<br />
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