Quaderno Borgoantico n° 13 - associazione Borgoantico

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82 tà di “provvedere” a che la Fondazione si mantenga coerente con la volontà del testatore: come vedremo in seguito, l’interpretazione di questo “potere” sarà fonte di contenzioso tra l’Amministrazione Comunale ed il Consiglio della Congregazione. Commento Abbiamo parlato sopra di un documento molto articolato e complesso, che cerca di individuare bisogni concreti della popolazione e di porvi sollievo: ma se a questo concetto generico di aiuto ai bisognosi si può assegnare la costituzione della Congregazione di Carità (che poi assorbirà anche i compiti inizialmente previsti per la Casa di Ricovero), più interessante e – abbiamo definito – moderno, è invece l’interessamento per bambini e giovani sia con la fondazione dell’Asilo (da sottolineare la prevista gratuità per i figli delle famiglie povere, ma anche la presenza di una “maestra approvata” che non si limiti alla custodia dei bambini, ma provveda anche ad impartire i primi rudimenti elementari oltre ai principi morali e religiosi) e la costituzione di una biblioteca scolastica con la precisa disposizione che venga utilizzata non solo dagli alunni della scuola elementare ma anche quelli della scuola domenicale (i fanciulli che – soprattutto per motivi economici – erano già impegnati in attività lavorative e solo alla domenica potevano/dovevano frequentare una scuola “sussidiaria”). Importante anche la donazione per l’acquisto di libri scolastici per gli alunni poveri: spesso i Comuni (che secondo la Legge avrebbero dovuto provvedere in merito) lesinavano su queste spese considerandole superflue; attenta alle esigenze concrete della povera gente anche la previsione che eventuali somme residue vengano utilizzate per scarpe ed oggetti di vestiario per gli alunni poveri come in effetti troviamo documentato almeno fino alla prima Guerra Mondiale. Nel 1909, ad esempio, si comperano 12 paia di stivali e 4 giubbe, nel 1910, 16 paia di scarpe (le fa Enrico Piazzini a 3,5 fiorini al paio), 4 giubbe ed un paio di calzoni, nel 1912, 11 paia di stivali (6 li confeziona Luigi Gerosa e 5 Enrico Piazzini), nel 1913, 17 paia di scarpe e nel 1914 16 paia di stivali “di vacchetta e corame”, dunque un continuo intervento che forse nella nostra età di abbondanza e spreco di abbigliamenti “griffati” farà sorridere, ma che immaginiamo sarà stato molto apprezzato dai piccoli beneficiati e dalle loro famiglie. Questa Fondazione prevede anche un premio di un marengo d’oro al giovane studioso della classe superiore (e mezzo marengo a quello della classe inferiore) ritenuto più degno per condotta e profitto ed a pari merito, al più bisognoso, segno dell’attenzione del Riolfatti non solo verso la carità, ma anche la volontà di “premiare il merito e promuovere l’emulazione”. Anche l’istituzione delle 2 Borse di Lavoro si presta ad una riflessione; l’avviamento al lavoro dei giovanissimi (anche prima del compimento dell’obbligo scolastico), era purtroppo un’abitudine (o una necessità) molto diffusa nelle famiglie povere che spesso collocavano i figli come “famej” cioè servi agricoli, presso qualche contadino in cambio del puro mantenimento (“per vito e per vestito” come si diceva, per indicare che non portavano niente a casa, ma “i era zò dale spese”) e che spesso erano “usati e sfruttati” dai “padroni” al limite delle loro possibilità. Riolfatti si preoccupa invece di dare una sistemazione corretta a questi due beneficiati che avranno, per tre anni, un collocamento (si suppone dignitoso visto che era retribuito ai datori di lavoro), pres- Quaderni del Borgoantico 13 so contadini o maestri artigiani che insegnassero un mestiere in modo da renderli autonomi per affrontare la vita. Illuminante sul pensiero del benefattore (che evidentemente riflette l’opportunismo diffuso nella società del tempo), il richiamo del Riolfatti al Comune chiedendogli di vigilare perché la Fondazione “…non divenga occasione di abbandono e trascuratezza dei genitori inverso ai propri figli e non riesca quindi dannosa anziché utile al paese”. Questo legato ha operato tra gli anni 1892 e fino alla prima guerra mondiale, ma anche tra il 1921 e il 1928. Ancora più interessante la “Dote per una ragazza”, decisamente innovativa rispetto alla consuetudine: qui infatti si chiarisce che la beneficiata non avrà alcun obbligo di sposarsi per ottenere la dote in quanto “… io non intendo favorire i matrimoni, ma solo premiare il merito e promuovere l’emulazione”; una posizione assolutamente moderna e vorremmo quasi dire “femminista” in un mondo in cui la donna, dal punto di vista economico, veniva considerata solo oggetto di sfruttamento (da parte del padre prima e del marito poi), mai titolare di diritti ed in grado, come accade con questa Fondazione, di ricevere – in prima persona - un piccolo patrimonio che le consenta magari di avviare una attività economica autonoma. Questa Fondazione ha sicuramente funzionato tra il 1898 ed il 1911, assegnando ogni 3 anni la somma prevista tra le ragazze che avevano presentato domanda (si erano candidate 9 ragazze nel 1898, 8 nel 1901, 14 nel 1904, 16 nel 1907, 13 nel 1910). La Fondazione relativa al magazzino del granoturco ci riporta alle carestie dei secoli passati e di inizio dell’Ottocento, quando a causa anche della pessima condizione delle strade e delle ripartizioni doganali (che rendevano assai costoso il trasporto delle derrate), bastava un’annata di siccità (o al

Quaderni del Borgoantico 13 83 contrario di troppa pioggia, o una gelata primaverile), per far sì che singole zone, perdendo i raccolti, si trovassero alla mercé di pochi commercianti che potevano agevolmente approfittare della loro posizione monopolistica. Da qui l’idea del Riolfatti di un magazzino comunale che investa il capitale in acquisto di granturco a prezzi di mercato (anzi il testamento raccomanda “quando il prezzo è molto basso”) per poterlo poi rivendere ai bisognosi nel momento della carestia senza lucrare nulla (l’unico vincolo è quello di mantenere inalterato il capitale di fondazione); in realtà – e per fortuna, possiamo dire – il problema delle carestie si risolse da solo con la costruzione della ferrovia del Brennero (1858 la tratta Verona-Bolzano e 1867 quella Bolzano-Innsbruck) ed il miglioramento delle strade; non si ebbero più “carestie” nel senso di mancanza assoluta degli alimenti, mentre rimase, ovviamente, il problema cronico dei poveri che se già si trovavano in difficoltà nei tempi “normali”, ancora di più sentivano acute le conseguenze di aumenti di prezzi, spesso ingiustificati. Questa Fondazione (che avrebbe dovuto essere costituita sei anni dopo la morte del testatore, quindi nel 1889), non venne mai realizzata: possiamo anche supporre che oltre alla minore “urgenza” delle carestie, ci sia stato qualche interesse della classe commerciale del paese (ad esempio vedremo poi che il futuro sindaco Federico Ambrosi era un commerciante di granaglie e di corami), che certo non poteva vedere con entusiasmo la nascita di un organismo destinato a “calmierare” i prezzi nei momenti di crisi. Rimase però il generoso lascito in denaro, che venne poi chiamato Fondazione Montegrani e che nel 1907 esponeva una disponibilità di 6.184 corone (3.092 fiorini): il capitale originale di 1.200 fiorini era stato quindi impiegato con buoni frutti; durante la prima guerra mondiale questa somma venne parzialmente utilizzata per acquistare farina gialla da distribuire ai poveri; seppure in maniera diversa da quanto aveva previsto il donatore, lo spirito al quale il Riolfatti si era ispirato veniva così rispettato, mentre non si poteva dire altrettanto di quella parte di patrimonio che nello stesso periodo (dietro “forti pressioni ed intimidazioni” come riferirono il conte Carlo Marzani ed il dott. Enrico Scrinzi) veniva investito in prestiti di guerra austriaci che alla fine della guerra si tramutarono in “carta straccia” causando forti perdite patrimoniali alla Fondazione. Lo stesso destino seguì anche la Fondazione del Lazzaretto: anche stavolta erano previsti sei anni per la sua realizzazione ma probabilmente il progresso della scienza, soprattutto per quanto concerne il controllo delle malattie contagiose, rese superflua la creazione di uno specifico ospedale; ricordiamo che le ultime gravi epidemie di colera nel Trentino si erano registrate nel 1836 e nel 1855 e quindi, verso la fine del secolo, si poteva sperare di aver superato questo problema. Nel 1910 il cassiere della “Fondazione Lazzaretto” Pietro Galvagnini espone un capitale di 8.079 corone (pari a 4.039,5 fiorini) che purtroppo saranno investite in prestiti di guerra austriaci con quasi totale perdita dopo il crollo dell’impero austro-ungarico. Ci sembra importante riportare il pensiero che il Riolfatti esprime a conclusione del suo testamento: “…probabilmente dopo il mio decesso, alcuna delle istituzioni da me fondate diverrà soggetto di critica, né sarebbe al certo farne meraviglia, mentre ognuno ha il suo modo di pensare e di vedere, ben spesso anche egoista, pochi concordano e, come dice il proverbio: tot capita, tot sententie. Scopo precipuo delle mie Fondazioni fu di favorire al meglio l’educazione della gioventù, promuovere i buoni costumi e soccorrere i bisognosi estendendone i benefici al maggior numero possibile d’individui. Non so se il mio intento sarà almeno in parte raggiunto e se avrà a derivarne alcun poco di bene pel mio paese. Ad ogni modo le mie intenzioni erano al certo benevole e questo basta alla mia coscienza. Ma dureranno le Fondazioni da me istituite? Resisteranno all’urto dei tempi o cadranno esse travolte dall’urto sociale che da lontano ci minaccia? Tolga Iddio che i miei timori, i miei tristi presentimenti si avverino. Confidiamo nella Provvidenza, che tutto regge quaggiù ed i cui imperscrutabili decreti non è dato a mente umana di conoscere”. Emerge, ancora una volta, una personalità concreta e decisa: ci sembra di sentire qui il Capocomune che ha fatto lunga esperienza di quanto divenga spesso oggetto di critica chi opera per il bene comune (anche al meglio delle sue possibilità), ma che sa riporre nella propria “buona coscienza” il giudizio finale sul valore delle sue opere e della sua vita. Frutto certamente dei tempi la chiusura con quella preoccupazione, quasi quel terrore “dell’urto sociale che ci minaccia”, che esprime bene la paura dei “benpensanti” di fine Ottocento sull’avanzare delle rivendicazioni del mondo dei poveri (presto organizzato politicamente nel movimento socialista) e che non potrà più accontentarsi delle “Fondazioni caritatevoli”, ma pretenderà – a ragione – una maggior giustizia nella ripartizione delle ricchezze e del potere. Una curiosità si può ancora aggiungere: a differenza di quasi tutti i testamenti del tempo, manca in questo qualsiasi riferimento a pratiche religiose; a parte il chiedere un “obito affatto modesto con i soli preti di Villa e Pedersano” (richiesta che non verrà accolta perché

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contrario di troppa pioggia, o una<br />

gelata primaverile), per far sì che<br />

singole zone, perdendo i raccolti,<br />

si trovassero alla mercé di pochi<br />

commercianti che potevano agevolmente<br />

approfittare della loro<br />

posizione monopolistica.<br />

Da qui l’idea del Riolfatti di un<br />

magazzino comunale che investa il<br />

capitale in acquisto di granturco a<br />

prezzi di mercato (anzi il testamento<br />

raccomanda “quando il prezzo è<br />

molto basso”) per poterlo poi rivendere<br />

ai bisognosi nel momento della<br />

carestia senza lucrare nulla (l’unico<br />

vincolo è quello di mantenere inalterato<br />

il capitale di fondazione);<br />

in realtà – e per fortuna, possiamo<br />

dire – il problema delle carestie si<br />

risolse da solo con la costruzione<br />

della ferrovia del Brennero (1858<br />

la tratta Verona-Bolzano e 1867<br />

quella Bolzano-Innsbruck) ed il<br />

miglioramento delle strade; non si<br />

ebbero più “carestie” nel senso di<br />

mancanza assoluta degli alimenti,<br />

mentre rimase, ovviamente, il problema<br />

cronico dei poveri che se già<br />

si trovavano in difficoltà nei tempi<br />

“normali”, ancora di più sentivano<br />

acute le conseguenze di aumenti di<br />

prezzi, spesso ingiustificati.<br />

Questa Fondazione (che avrebbe<br />

dovuto essere costituita sei anni<br />

dopo la morte del testatore, quindi<br />

nel 1889), non venne mai realizzata:<br />

possiamo anche supporre che<br />

oltre alla minore “urgenza” delle<br />

carestie, ci sia stato qualche interesse<br />

della classe commerciale del<br />

paese (ad esempio vedremo poi che<br />

il futuro sindaco Federico Ambrosi<br />

era un commerciante di granaglie<br />

e di corami), che certo non poteva<br />

vedere con entusiasmo la nascita di<br />

un organismo destinato a “calmierare”<br />

i prezzi nei momenti di crisi.<br />

Rimase però il generoso lascito in<br />

denaro, che venne poi chiamato<br />

Fondazione Montegrani e che nel<br />

1907 esponeva una disponibilità<br />

di 6.184 corone (3.092 fiorini): il<br />

capitale originale di 1.200 fiorini<br />

era stato quindi impiegato con<br />

buoni frutti; durante la prima guerra<br />

mondiale questa somma venne<br />

parzialmente utilizzata per acquistare<br />

farina gialla da distribuire ai<br />

poveri; seppure in maniera diversa<br />

da quanto aveva previsto il donatore,<br />

lo spirito al quale il Riolfatti si<br />

era ispirato veniva così rispettato,<br />

mentre non si poteva dire altrettanto<br />

di quella parte di patrimonio che<br />

nello stesso periodo (dietro “forti<br />

pressioni ed intimidazioni” come<br />

riferirono il conte Carlo Marzani<br />

ed il dott. Enrico Scrinzi) veniva<br />

investito in prestiti di guerra<br />

austriaci che alla fine della guerra<br />

si tramutarono in “carta straccia”<br />

causando forti perdite patrimoniali<br />

alla Fondazione.<br />

Lo stesso destino seguì anche la<br />

Fondazione del Lazzaretto: anche<br />

stavolta erano previsti sei anni per<br />

la sua realizzazione ma probabilmente<br />

il progresso della scienza,<br />

soprattutto per quanto concerne il<br />

controllo delle malattie contagiose,<br />

rese superflua la creazione di uno<br />

specifico ospedale; ricordiamo che<br />

le ultime gravi epidemie di colera<br />

nel Trentino si erano registrate nel<br />

1836 e nel 1855 e quindi, verso la<br />

fine del secolo, si poteva sperare di<br />

aver superato questo problema. Nel<br />

1910 il cassiere della “Fondazione<br />

Lazzaretto” Pietro Galvagnini<br />

espone un capitale di 8.079 corone<br />

(pari a 4.039,5 fiorini) che purtroppo<br />

saranno investite in prestiti<br />

di guerra austriaci con quasi totale<br />

perdita dopo il crollo dell’impero<br />

austro-ungarico.<br />

Ci sembra importante riportare il<br />

pensiero che il Riolfatti esprime<br />

a conclusione del suo testamento:<br />

“…probabilmente dopo il mio<br />

decesso, alcuna delle istituzioni<br />

da me fondate diverrà soggetto di<br />

critica, né sarebbe al certo farne<br />

meraviglia, mentre ognuno ha il<br />

suo modo di pensare e di vedere,<br />

ben spesso anche egoista, pochi<br />

concordano e, come dice il proverbio:<br />

tot capita, tot sententie. Scopo<br />

precipuo delle mie Fondazioni fu<br />

di favorire al meglio l’educazione<br />

della gioventù, promuovere i buoni<br />

costumi e soccorrere i bisognosi<br />

estendendone i benefici al maggior<br />

numero possibile d’individui.<br />

Non so se il mio intento sarà almeno<br />

in parte raggiunto e se avrà a<br />

derivarne alcun poco di bene pel<br />

mio paese. Ad ogni modo le mie<br />

intenzioni erano al certo benevole<br />

e questo basta alla mia coscienza.<br />

Ma dureranno le Fondazioni da<br />

me istituite? Resisteranno all’urto<br />

dei tempi o cadranno esse travolte<br />

dall’urto sociale che da lontano ci<br />

minaccia? Tolga Iddio che i miei<br />

timori, i miei tristi presentimenti si<br />

avverino. Confidiamo nella Provvidenza,<br />

che tutto regge quaggiù<br />

ed i cui imperscrutabili decreti non<br />

è dato a mente umana di conoscere”.<br />

Emerge, ancora una volta, una personalità<br />

concreta e decisa: ci sembra<br />

di sentire qui il Capocomune<br />

che ha fatto lunga esperienza di<br />

quanto divenga spesso oggetto di<br />

critica chi opera per il bene comune<br />

(anche al meglio delle sue possibilità),<br />

ma che sa riporre nella propria<br />

“buona coscienza” il giudizio<br />

finale sul valore delle sue opere e<br />

della sua vita.<br />

Frutto certamente dei tempi la<br />

chiusura con quella preoccupazione,<br />

quasi quel terrore “dell’urto<br />

sociale che ci minaccia”, che esprime<br />

bene la paura dei “benpensanti”<br />

di fine Ottocento sull’avanzare<br />

delle rivendicazioni del mondo dei<br />

poveri (presto organizzato politicamente<br />

nel movimento socialista)<br />

e che non potrà più accontentarsi<br />

delle “Fondazioni caritatevoli”,<br />

ma pretenderà – a ragione – una<br />

maggior giustizia nella ripartizione<br />

delle ricchezze e del potere.<br />

Una curiosità si può ancora aggiungere:<br />

a differenza di quasi tutti i<br />

testamenti del tempo, manca in<br />

questo qualsiasi riferimento a pratiche<br />

religiose; a parte il chiedere<br />

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preti di Villa e Pedersano” (richiesta<br />

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