Quaderno Borgoantico n° 13 - associazione Borgoantico
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70 marattesca dell’Assunta. Il cardinale Cybo era stato uno dei maggiori sostenitori della dottrina dell’Immacolata Concezione promulgata dall’amico e papa Alessandro VII l’8 dicembre del 1661; lo stesso Cybo commissionerà a Maratti nel 1686, per la propria cappella in Santa Maria del Popolo a Roma, il San Giovanni Evangelista che spiega la dottrina dell’Immacolata Concezione ai Santi Gregorio, Agostino e Giovanni Crisostomo, ritenuto dei più alti esiti marchigiani a Roma. Nell’allungata figura della Vergine - che dà conto dell’apprendistato nella bottega di Alessandro Algardi -, accampata contro il cielo, è avvertibile l’evoluzione in senso classico che contraddistingue il vasto operato del Brandi dopo il 1670 - notevole l’affinità tipologica con la Sacra Famiglia e la visione della Croce dipinta da Brandi per la chiesa di San Bartolomeo ad Ancona, e oggi conservata nella Pinacoteca della città -; ma il tratto saliente è il turgore barocco che gonfia i panneggi della figura, e ne fa forse un punto di massimo avvicinamento all’operato di Giovan Battista Gaulli, cui Brandi mostra di accostarsi nei primi anni Ottanta, epoca appunto del quadro jesino. La concentrata attenzione dello sguardo estatico della Vergine richiama la Santa Cecilia di Raffaello che Brandi deve aver visto a Bologna nella sia pur breve stagione di apprendistato con Giovanni Lanfranco per altro tanto determinante nella sua pittura (Tassi, 2011, pp. 111, 116, 114, fig. 9; DBI XIV, 1972, pp. 15-17; Serafinelli, 2009, pp. 152-157). Un confronto è altresì proponibile con l’Immacolata Concezione - un olio su tela di cm 64 x 40 - nelle collezioni della Galleria dell’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, uno dei vari studi eseguiti da Corrado Giaquinto (Molfetta 1703 - Napoli 1766) per la commissione, ricevuta probabilmente nel 1740 dal marchese Ercole Turinetti di Pierio, di eseguire un quadro per la parrocchiale del Carmine di Torino; si trattava di una pala d’altare da collocare nella prima cappella a sinistra, che venne eseguita dall’artista pugliese a Roma ed inviata a Torino nel luglio del 1741; essa raffigura al centro l’Immacolata e in basso, a destra, il Profeta Elia, a cui i Carmelitani erano devoti; a sinistra è il carro con i cavalli, attributo del profeta, con cui Elia ascese al cielo. In questo studio per l’incarico torinese compare solo la figura dell’Immacolata portata in cielo dagli angeli; esso fu donato dallo stesso artista all’Accademia di San Luca come ringraziamento - come si legge nell’iscrizione sul retro del dipinto - della sua ammissione quale Accademico di merito nel gennaio del 1740. Esistono almeno altri due bozzetti per la pala, in uno dei quali, di proprietà Capochiani a Molfetta, più vicino a quello dell’Accademia, compare la sola figura della Vergine con gli angeli, con una differenza di postura nella figura dell’angelo di sinistra (Capobianco, 2005, pp. 206-207, n. 22). Si veda anche l’ancona monumentale con il medesimo soggetto che orna l’altare della seconda cappella a destra entrando nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma dipinta fra il 1749 ed il 1750, Quaderni del Borgoantico 13 opera che manifesta una minore aderenza alla nuova tendenza classicista, caratterizzata da composizioni più solenni e severe, diffusasi a Roma intorno alla metà del secolo e alla quale anche Giaquinto si avvicina nelle pale dipinte per alcune chiese romane. Ma per i debiti seicenteschi, segnatamente con la pittura di Sassoferrato, e per l’indagine sulla luce di marca accademica un confronto stringente è proponibile con l’Immacolata Concezione - fedele all’iconografia tradizionale con però l’assenza della falce di luna ai piedi della Vergine - dipinta da Giacomo Trécourt (Bergamo 1812 - Pavia 1882) - un olio su tela di cm 265 x 135 - per la parrocchiale bergamasca dei Santi Martino e Carlo Borromeo in Adrara, commissionata nel novembre 1843 dalla locale fabbriceria e terminata entro il 1847 quando fu esposta a Brera. Iniziata all’indomani della nomina a professore di pittura presso la Civica Scuola di Pittura di Pavia, parziale risarcimento alla mancata successione a Giuseppe Diotti presso l’Accademia Carrara, la pala mostra il raffreddamento della pittura di Trécourt che traduce le istanze puriste in forme di controllata e ricercata astrazione, che rinserrano la figura nell’eleganza estenuata del disegno, liberandosi in un’accentuata ricerca luministica nella tavolozza dai raffinati toni glacés, nell’estensione e variazione delle tinte, giocate sulla scomposizione dei bianchi di vaporosa luminosità, in linea con le preziosità della pittura d’accademia francese da Scheffer a Chasseriau, conosciuta nel viaggio del 1845, quello dichiarato a Parigi o quello documentato a Roma, con una forte presenza di artisti francesi, come informa Omar Cucciniello (Cucciniello, 2010, pp. 128-129). Iconograficamente fedele alla visione dell’Apocalisse (Ap 12, 1) e alla profezia del Genesi (Gen 3, 15), la Vergine, dall’espressione di estatico incanto, domina il mondo coronata da dodici stelle e da una luce dorata e modulata che illumina da dietro il suo volto. Nella virtuosistica levitazione luminosa della veste bianca, si staglia su uno sfondo genericamente definito, poggiando su nembi lanuginosi, mentre sembra allontanata ed isolata dallo spazio circostante; ai suoi piedi si intravedono la mezzaluna (Ap 12, 1), emblema mariano, la coda e la testa del serpente - causa del peccato originale - calpestato mentre addenta la mela (Gen 3, 15), simbolo del demonio sconfitto. La sua postura, appena inclinata in avanti e caratterizzata dalla torsione del capo verso sinistra, sembra, coniugandosi con un senso di accademica compostezza, suggerire un moto bloccato, quasi come un’istantanea. La raffinatezza del volto viene esaltata dal contrasto con lo sfondo indefinito e scuro, come pure dall’espediente dei capelli sciolti che fluenti ed ondulati incorniciano il viso e si stagliano sul retrostante alone luminoso - una corona di raggi splendenti - in modo da conferire spazialità. Ai lati dell’Immacolata - ad equilibrare la composizione e a definirne la profondità - due gruppi di affettuosi angioletti, dall’espressione gioiosa e giocosa, ricondu-
Quaderni del Borgoantico 13 71 cibili al repertorio correggesco, fanno capolino fra le nubi in un’atmosfera di sfumate penombre; risalta l’intensa luminosità dei loro incarnati che si avvale di un cromatismo vitreo - amministrato dall’ombra - atto a conferire ai volti un’espressività intensa ed immediata. Quale attributo della verginità di Maria, che con la grazia dell’immacolatezza può dirsi immune dal peccato originale e - in quanto madre di Cristo - portatrice di salvezza, come della grazia derivante dal Figlio, è possibile individuare la sola falce di luna che irradia di luce riflessa dal sole. Di tale complesso contenuto tematico l’artista propone un’immediata e densissima interpretazione degli affetti, in cui l’argomento della purezza si snoda attraverso la forza del disegno della Donna, immagine di assoluta interiorità, di silente e incontaminata giovinezza, quasi rarefatta per effetto dello squisito viraggio in chiaro ottenuto attraverso delicate sapienze cromatiche, di «colori artificiosi» e talora «stralunati» (Scudiero, 1998, p. 8). Alla posa malinconica e meditativa della Donna, volta ad alti pensieri eppur quasi intesa ad un pathos controllato, ad una diretta emotività o persino ad una vaga sensualità, colta in un momento che ne rivela i caratteri più profondi ed inespressi, corrisponde una vivida intenzione realistica nella descrizione della bellezza disadorna del volto, che il raffinato cromatismo delle vesti di foggia classicheggiante sottolinea per contrasto. La composizione plastica - la cui struttura simmetrica risponde alla poetica minuziosa, precisa, quasi didascalica e semplificatrice propria di Balata -, è arricchita da un’attenzione al chiaroscuro che ammorbidisce i lineamenti, vive di una luminosità che modella e fa vibrare i panneggi e i contorni in modo asciutto e preciso, con rapide pennellate in meditate e larghe stesure; tutto ciò impiegando un magistrale avvicendarsi cromatico - a tinte intere e stesure opache contrapposte ad altre brillanti -, per cui la tavolozza pare risentire l’armonia dell’uso simbolico del colore. L’Immacolata esprime già l’adesione dell’artista alla poetica del realismo di Novecento, con il recupero di peculiarità stilistiche classiche, in particolare di matrice ingresiana, così come al purismo, e manifesta il richiamo alla concretezza, ai valori dell’oggettivazione, intesi ad uno stato spirituale che, distanziando l’opera dalle contingenze terrene, la renda, attraverso una pittura degli stati d’animo, oggettivamente atemporale, con connotazioni iconiche di immanenza. Balata, autore di nature morte, paesaggi, ritratti, immagini sacre, vari disegni a penna ed alcune incisioni su linoleum di buona fattura, che dal 1920 al 1959 ha partecipato alle esposizioni regionali, è stato - come già ha sottolineato Rossaro - uno dei migliori e più attivi restauratori trentini (studiò con Luigi Cavenaghi e suo maestro fu il pittore e restauratore Antonio Mayer), di opere sia a fresco sia ad olio, per conto della Soprintendenza alle Belle Arti di Trento, e tale attività lo occupò per buona parte della vita (Gilmozzi, 1980, p. 24; Cont, 1998, p. 57, nota 8; Rollandini, 2000, p. 208; Giuseppe Balata, 2007, p. 105). È forse possibile riferire a lui l’intervento di restauro del San Giuseppe di Prati (cat. 1) compiuto nel 1922. Nel luglio del 1993 Mario Conforti ha pubblicato su «I Quattro Vicariati e le zone limitrofe» una pagina in ricordo di Giuseppe Balata, scegliendo un necrologio a firma di R. B.; rimane incomprensibile - ed erronea - l’annotazione posta in calce - «(da «L’Adige» del 25.6.1993)» -, non essendovi traccia sul quotidiano trentino di tale necrologio, né alla data indicata da Conforti né a quella del 25 giugno 1965, giorno successivo alla data di morte dell’artista - USC/Registro degli Atti di Morte del Comune di Rovereto (1965), I, Atto n. 68 -. Compare invece sul numero 150 de «Il Gazzettino» del 26 giugno 1965 l’articolo - anonimo - Una vita dedicata all’arte del restauro, mentre sul numero del giorno precedente di quest’ultimo quotidiano figura la notizia del lutto È morto ieri il pittore Balata - BCR/G, n. 150 (26.6.1965), p. 6; BCR/G, n. 149 (25.6.1965), p. 6 -. Bibl.: Rasmo, 1998, pp. 42-43; DAT, 1998, pp. 30-33; Cont, 1998, pp. 50, 51, 54, 57, note 8-9, 62, nota 33; Giordani, 1877, p. 22; Weber 1977 2 , p. 273 Abbreviazioni Elisabetta G. Rizzioli DAT: Dizionario degli artisti trentini tra ’800 e ’900, a cura di F. Degasperi, G. Nicoletti, R. Pisetta, Il Castello, Trento 1998 DBI: Dizionario Biografico degli Italiani, in corso, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1960 ss. V. Lag., APD: Villa Lagarina, Archivio Parrocchiale Decanale V. Lag., BC: Villa Lagarina, Biblioteca Comunale Bibliografia Fonti inedite Villa lagarina Archivio Parrocchiale Decanale Parrocchia di Villa Lagarina. Resoconti e Documenti di Corredo. 1911-1930, n. XI/20, Chiesa Parrocchiale ed Altri Enti Ecclesiastici. Resoconti. 1923, Conto dell’Entrata ed Uscita della Chiesa, p. 13 roVErEto Biblioteca Civica «G. Tartarotti» Rossaro A., Dizionario biografico trentino (Dizionario degli uomini illustri trentini), [1921-1952], Ms. 20.2, 239 a
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marattesca dell’Assunta. Il cardinale Cybo era stato uno<br />
dei maggiori sostenitori della dottrina dell’Immacolata<br />
Concezione promulgata dall’amico e papa Alessandro<br />
VII l’8 dicembre del 1661; lo stesso Cybo commissionerà<br />
a Maratti nel 1686, per la propria cappella in Santa<br />
Maria del Popolo a Roma, il San Giovanni Evangelista<br />
che spiega la dottrina dell’Immacolata Concezione ai<br />
Santi Gregorio, Agostino e Giovanni Crisostomo, ritenuto<br />
dei più alti esiti marchigiani a Roma. Nell’allungata<br />
figura della Vergine - che dà conto dell’apprendistato<br />
nella bottega di Alessandro Algardi -, accampata contro<br />
il cielo, è avvertibile l’evoluzione in senso classico<br />
che contraddistingue il vasto operato del Brandi dopo il<br />
1670 - notevole l’affinità tipologica con la Sacra Famiglia<br />
e la visione della Croce dipinta da Brandi per la<br />
chiesa di San Bartolomeo ad Ancona, e oggi conservata<br />
nella Pinacoteca della città -; ma il tratto saliente è il<br />
turgore barocco che gonfia i panneggi della figura, e ne<br />
fa forse un punto di massimo avvicinamento all’operato<br />
di Giovan Battista Gaulli, cui Brandi mostra di accostarsi<br />
nei primi anni Ottanta, epoca appunto del quadro<br />
jesino. La concentrata attenzione dello sguardo estatico<br />
della Vergine richiama la Santa Cecilia di Raffaello che<br />
Brandi deve aver visto a Bologna nella sia pur breve<br />
stagione di apprendistato con Giovanni Lanfranco per<br />
altro tanto determinante nella sua pittura (Tassi, 2011,<br />
pp. 111, 116, 114, fig. 9; DBI XIV, 1972, pp. 15-17;<br />
Serafinelli, 2009, pp. 152-157).<br />
Un confronto è altresì proponibile con l’Immacolata<br />
Concezione - un olio su tela di cm 64 x 40 - nelle collezioni<br />
della Galleria dell’Accademia Nazionale di San<br />
Luca a Roma, uno dei vari studi eseguiti da Corrado<br />
Giaquinto (Molfetta 1703 - Napoli 1766) per la commissione,<br />
ricevuta probabilmente nel 1740 dal marchese<br />
Ercole Turinetti di Pierio, di eseguire un quadro per<br />
la parrocchiale del Carmine di Torino; si trattava di una<br />
pala d’altare da collocare nella prima cappella a sinistra,<br />
che venne eseguita dall’artista pugliese a Roma ed<br />
inviata a Torino nel luglio del 1741; essa raffigura al<br />
centro l’Immacolata e in basso, a destra, il Profeta Elia,<br />
a cui i Carmelitani erano devoti; a sinistra è il carro con<br />
i cavalli, attributo del profeta, con cui Elia ascese al<br />
cielo. In questo studio per l’incarico torinese compare<br />
solo la figura dell’Immacolata portata in cielo dagli<br />
angeli; esso fu donato dallo stesso artista all’Accademia<br />
di San Luca come ringraziamento - come si legge<br />
nell’iscrizione sul retro del dipinto - della sua ammissione<br />
quale Accademico di merito nel gennaio del 1740.<br />
Esistono almeno altri due bozzetti per la pala, in uno<br />
dei quali, di proprietà Capochiani a Molfetta, più vicino<br />
a quello dell’Accademia, compare la sola figura della<br />
Vergine con gli angeli, con una differenza di postura<br />
nella figura dell’angelo di sinistra (Capobianco, 2005,<br />
pp. 206-207, n. 22). Si veda anche l’ancona monumentale<br />
con il medesimo soggetto che orna l’altare della<br />
seconda cappella a destra entrando nella Basilica dei<br />
Santi Apostoli a Roma dipinta fra il 1749 ed il 1750,<br />
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opera che manifesta una minore aderenza alla nuova<br />
tendenza classicista, caratterizzata da composizioni più<br />
solenni e severe, diffusasi a Roma intorno alla metà del<br />
secolo e alla quale anche Giaquinto si avvicina nelle<br />
pale dipinte per alcune chiese romane.<br />
Ma per i debiti seicenteschi, segnatamente con la pittura<br />
di Sassoferrato, e per l’indagine sulla luce di marca<br />
accademica un confronto stringente è proponibile con<br />
l’Immacolata Concezione - fedele all’iconografia tradizionale<br />
con però l’assenza della falce di luna ai piedi<br />
della Vergine - dipinta da Giacomo Trécourt (Bergamo<br />
1812 - Pavia 1882) - un olio su tela di cm 265 x <strong>13</strong>5 - per<br />
la parrocchiale bergamasca dei Santi Martino e Carlo<br />
Borromeo in Adrara, commissionata nel novembre<br />
1843 dalla locale fabbriceria e terminata entro il 1847<br />
quando fu esposta a Brera. Iniziata all’indomani della<br />
nomina a professore di pittura presso la Civica Scuola<br />
di Pittura di Pavia, parziale risarcimento alla mancata<br />
successione a Giuseppe Diotti presso l’Accademia<br />
Carrara, la pala mostra il raffreddamento della pittura<br />
di Trécourt che traduce le istanze puriste in forme<br />
di controllata e ricercata astrazione, che rinserrano la<br />
figura nell’eleganza estenuata del disegno, liberandosi<br />
in un’accentuata ricerca luministica nella tavolozza dai<br />
raffinati toni glacés, nell’estensione e variazione delle<br />
tinte, giocate sulla scomposizione dei bianchi di vaporosa<br />
luminosità, in linea con le preziosità della pittura<br />
d’accademia francese da Scheffer a Chasseriau, conosciuta<br />
nel viaggio del 1845, quello dichiarato a Parigi o<br />
quello documentato a Roma, con una forte presenza di<br />
artisti francesi, come informa Omar Cucciniello (Cucciniello,<br />
2010, pp. 128-129).<br />
Iconograficamente fedele alla visione dell’Apocalisse<br />
(Ap 12, 1) e alla profezia del Genesi (Gen 3, 15), la<br />
Vergine, dall’espressione di estatico incanto, domina il<br />
mondo coronata da dodici stelle e da una luce dorata<br />
e modulata che illumina da dietro il suo volto. Nella<br />
virtuosistica levitazione luminosa della veste bianca, si<br />
staglia su uno sfondo genericamente definito, poggiando<br />
su nembi lanuginosi, mentre sembra allontanata ed<br />
isolata dallo spazio circostante; ai suoi piedi si intravedono<br />
la mezzaluna (Ap 12, 1), emblema mariano, la<br />
coda e la testa del serpente - causa del peccato originale<br />
- calpestato mentre addenta la mela (Gen 3, 15),<br />
simbolo del demonio sconfitto. La sua postura, appena<br />
inclinata in avanti e caratterizzata dalla torsione del<br />
capo verso sinistra, sembra, coniugandosi con un senso<br />
di accademica compostezza, suggerire un moto bloccato,<br />
quasi come un’istantanea. La raffinatezza del volto<br />
viene esaltata dal contrasto con lo sfondo indefinito e<br />
scuro, come pure dall’espediente dei capelli sciolti che<br />
fluenti ed ondulati incorniciano il viso e si stagliano sul<br />
retrostante alone luminoso - una corona di raggi splendenti<br />
- in modo da conferire spazialità.<br />
Ai lati dell’Immacolata - ad equilibrare la composizione<br />
e a definirne la profondità - due gruppi di affettuosi<br />
angioletti, dall’espressione gioiosa e giocosa, ricondu-