Agostoni 1 - Storia dell'Istituto fino 1979.pdf
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Azande e nel 1969 a Yambio. Espulso dal Sudan nel 1962, egli fu nominato rappresentante del Superiore Generale per il nuovo gruppo nello Zaire. Risiedeva a Ndedu nord-ovest di quella che è adesso Isiro assieme a p. Merloni, p. Colombo e Fratel Pariani. P. Remo fu fatto prigioniero alla fine di ottobre assieme ad altri missionari. Martedì 24 novembre, i paracadutisti arrivarono a Stanleyville (Kisangani). Durante una delle ultime trasmissioni radio da parte del capo della repubblica popolare fu dato l’ordine di uccidere tutti gli ostaggi. I ribelli di Paulis (Isiro) iniziarono le esecuzioni prima dell’arrivo dei paracadutisti nel Congo (Zaire). La sera del 23 novembre, quando era già buio, ordinarono ai prigionieri di uscire, li fecero inginocchiare e li percossero. P. Armani si alzò dicendo che era italiano, mentre le rappresaglie erano indirizzate verso i belgi e gli americani, ciò non fece nessuna differenza perché fu ucciso immediatamente con una pallottola alla testa. Così, verso le nove di sera p. Armani offrì la sua vita in sacrificio al Signore per la salvezza dei suoi cari africani. Fu il primo ad essere ucciso. I Padri Piazza, Migotti e Zuccali, come pure Fratel Mosca incontrarono la loro fine a Rungu. P. LORENZO PIAZZA (1915-1964) Fu ordinato sacerdote nel 1960 e lavorò presso diversi Seminari Minori Nel 1953 si laureò presso l’Università Cattolica di Milano con la tesi sull’arte degli Azande che raggiunse nel 1955, a Mupoi. Fu espulso nel 1963. P. EVARISTO MIGOTTI (1922-1964) Già da seminarista rimase impressionato dalla vita di Comboni per cui si unì al nostro Istituto quando fu ordinato sacerdote nel 1948. Il suo primo incarico fu in Etiopia, per poi passare dieci anni fra gli Azande dal 1953 al 1963. Di carattere semplice e buono, lavorava con generosità e con obbedienza. Il suo comportamento era quello di un religioso esemplare. Quando abbracciò sua madre per l’ultima volta, questa gli disse “Padre Evaristo, sei appena scampato alla morte nel Sudan perché adesso vuoi andare nel Congo dove stanno uccidendo tutti i bianchi?” “Madre”, rispose il figlio “Credo che se Iddio mi chiedesse di morire da martire, non sarei degno di tale enorme grazia” P. ANTONIO ZUCCALI (1922-1964) Entrò nel Noviziato di Venegono l’11 settembre 1943, alla fine del primo anno di Teologia proveniente dal seminario di Bergamo. Lasciare la famiglia fu per lui un atto eroico. Suo padre e uno dei suoi fratelli erano nell’esercito, ed un altro doveva presentarsi in quei giorni presso il Distretto Militare. Lasciò a casa la madre e due sorelle. Arrivò a Isoke, Bahr-el-Gebel nel 1951. Si trovò subito a lavorare in un campo immenso. I cristiani della missione erano 8.000 su una popolazione di 80.000, con un incremento di circa 1.500 Cristiani all’anno. Approfittando di un periodo di libertà dal ministero, si dedicò alla costruzione di circa 30 cappelle in mattoni. Molte di esse furono erette sotto la sua personale supervisione. Dirigeva una scuola d’artigianato con un buon numero di apprendisti e vari istruttori. Dette un vigoroso impulso alle conversioni di adulti e organizzò l’Azione Cattolica anche nei villaggi più piccoli impegnandone i membri a guidare le preghiere nelle cappelle. Promosse la vita Cristiana, in particolare aiutò a risolvere delicate situazioni familiari. Fu trasferito a Torit nel 1959 e a Rungu nel 1963. Martirio. Quando i Simba arrivarono a Rungu i missionari si nascosero. Fr. Mosca che sopravvisse all’eccidio, descrive gli accadimenti: “La mattina del 30 novembre, dopo quasi una settimana di vita randagia nella foresta, i maestri vennero a dirci che i Simba li avevano minacciati di morte e avrebbero eseguito il loro piano se non fossimo usciti dal bosco. Facemmo allora consiglio e decidemmo di comune accordo di arrenderci per salvare la vita a quella povera gente che aveva fatto tanto per noi, anche se sapevamo con tutta certezza di andare incontro alla morte. Ci confessammo tutti con serenità pensando al glorioso sacrificio che il Signore ci chiedeva per il bene delle anime a noi affidate e per tutto il Congo”. 200
Quando uscirono dal bosco i padri Piazza, Migotti e Fr. Mosca furono portati fino al fiume Bomokandi, fucilati, e gettati nel fiume. Ma Fr. Mosca riuscì a nuotare. Ci disse: “Fui fatto scendere e sedere sul ciglio della strada, a pochi passi dall’imboccatura del ponte, con la faccia verso il bosco. Prima di spararmi (tiravano con un solo fucile perché scarseggiavano le munizioni) il capogruppo mi ordinò in francese: ‘Mostra la tua faccia!’ obbedii meccanicamente senza fiatare. Mi stavo rigirando verso il bosco che rintronò la fucilata. Provai un forte colpo alla spalla sinistra, vicino al collo, e il braccio rimase come paralizzato. Fui indeciso un attimo sul da farsi: se mi fossi voltato mi avrebbero sparato un altro colpo, Con mente lucidissima seguii l’ispirazione di lasciarmi cadere pesantemente sul fianco destro, come morto. Intanto il sangue usciva a fiotti dalla ferita. Io fui il penultimo ad essere gettato nel fiume. L’ultimo fu il cadavere di p. Piazza. La grazia del Signore mi assistette anche il quel momento e non ebbi il minimo tremito di paura al pensiero che avrei potuto sfracellarmi contro le pietre o contro un pilone del ponte, o annegare. Fortunatamente toccai l’acqua con la schiena e appoggiando i piedi sul greto riuscii ad aggrapparmi ad un pilone.” Vagò per giorni finché cadde di nuovo fra le mani dei “Simba”: “Dapprima i ‘simba’ mi guardarono con occhi pieni d’odio: poi un ufficiale cominciò a commentare: Ma questo è un miracolo!… Solo Dio ti ha salvato!… Tu sei invulnerabile. Ti faremo Arcivescovo dell’Armata Popolare!” Mi rifocillarono con pane e margarina. Tutti volevano vedere la mia ferita e ripetevano meravigliati: “Solo Dio ti ha salvato!”. Uno propose di disinfettarmi la ferita con l’acqua. Quella stessa sera l’ufficiale era andato ad avvertire le suore del mio ritrovamento, e che il giorno seguente mi avrebbero portato da loro per la medicazione Il colonnello di Rungu, di ritorno da un viaggio, si disse molto spiacente di sapere che i padri erano stati uccisi e assicurò le Suore che se lui fosse stato presente la strage non sarebbe avvenuta.” Dopo alcuni giorni arrivarono i liberatori e il Fratello fu rilasciato. L’uccisione di p. Zuccali. P. Zuccali era rimasto nel bosco insieme al laico Paul Lepêche, sperando che entro pochi giorni sarebbe giunta l’Armata Nazionale a salvarli. Il mattino del 2 dicembre un indigeno li obbligò ad uscire dal nascondiglio perché – diceva- i ribelli uccidevano non solo chi occultava i bianchi, ma anche chi li aveva semplicemente visti I due si diressero verso la missione. La moglie di un maestro, una santa donna, non appena scorse i due padri traditi da quell’uomo tentò di assumersi tutte le responsabilità della loro vita. Il traditore era quasi convinto dalla sue parole, quando all’improvviso sbucò un camion di “simba” che uccisero il Padre e il giovane belga, proprio vicino alla turbina del fiume Rungu. Il Padre fece in tempo a dare l’assoluzione al compagno e benedire la donna che aveva rischiato la vita per salvarli. I cadaveri vennero gettai nei gorghi del Rungu che è affluente del Bomokandi, e furono portati via dalla corrente. Invano i maestri li cercarono per lungo tratto del fiume. I nostri missionari di Ndedu e le Suore Comboniane che lavoravano in cinque missioni nella Diocesi di Wamba furono torturati e seviziati per molti giorni, ma furono infine liberati. Espulsioni di massa dei nostri missionari dal Sudan Meridionale 2 L’espulsione dei missionari dal Sudan Meridionale iniziata nel 1962 terminò nel 1964, quando furono espulsi gli ultimi rimasti. L’espulsione ebbe luogo dal 26 febbraio al 9 marzo: 104 confratelli, 98 Suore Comboniane e 12 padri di Mill Hill, per un totale di 214. Le accuse furono: attività sovversive ed illegali, ostinazione nello sfidare la legge, incitamento alla sovversione. Il decreto di espulsione si riferisce ad alcuni casi particolari di sacerdoti che erano stati tacciati di tali accuse, ma che erano stati tutti assolti dai magistrati locali. Nessuna accusa fu mossa alle Suore; ciò nonostante furono tutte deportate. Gli Ordinari, cioè il Vescovo 2 Vedere Bollettino n. 169 201
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Quando uscirono dal bosco i padri Piazza, Migotti e Fr. Mosca furono portati <strong>fino</strong> al fiume<br />
Bomokandi, fucilati, e gettati nel fiume. Ma Fr. Mosca riuscì a nuotare. Ci disse:<br />
“Fui fatto scendere e sedere sul ciglio della strada, a pochi passi dall’imboccatura del ponte,<br />
con la faccia verso il bosco. Prima di spararmi (tiravano con un solo fucile perché<br />
scarseggiavano le munizioni) il capogruppo mi ordinò in francese: ‘Mostra la tua faccia!’<br />
obbedii meccanicamente senza fiatare.<br />
Mi stavo rigirando verso il bosco che rintronò la fucilata. Provai un forte colpo alla spalla<br />
sinistra, vicino al collo, e il braccio rimase come paralizzato. Fui indeciso un attimo sul da farsi:<br />
se mi fossi voltato mi avrebbero sparato un altro colpo, Con mente lucidissima seguii<br />
l’ispirazione di lasciarmi cadere pesantemente sul fianco destro, come morto. Intanto il sangue<br />
usciva a fiotti dalla ferita.<br />
Io fui il penultimo ad essere gettato nel fiume. L’ultimo fu il cadavere di p. Piazza. La grazia del<br />
Signore mi assistette anche il quel momento e non ebbi il minimo tremito di paura al pensiero<br />
che avrei potuto sfracellarmi contro le pietre o contro un pilone del ponte, o annegare.<br />
Fortunatamente toccai l’acqua con la schiena e appoggiando i piedi sul greto riuscii ad<br />
aggrapparmi ad un pilone.”<br />
Vagò per giorni finché cadde di nuovo fra le mani dei “Simba”:<br />
“Dapprima i ‘simba’ mi guardarono con occhi pieni d’odio: poi un ufficiale cominciò a<br />
commentare: Ma questo è un miracolo!… Solo Dio ti ha salvato!… Tu sei invulnerabile. Ti<br />
faremo Arcivescovo dell’Armata Popolare!”<br />
Mi rifocillarono con pane e margarina. Tutti volevano vedere la mia ferita e ripetevano<br />
meravigliati: “Solo Dio ti ha salvato!”. Uno propose di disinfettarmi la ferita con l’acqua.<br />
Quella stessa sera l’ufficiale era andato ad avvertire le suore del mio ritrovamento, e che il<br />
giorno seguente mi avrebbero portato da loro per la medicazione<br />
Il colonnello di Rungu, di ritorno da un viaggio, si disse molto spiacente di sapere che i padri erano<br />
stati uccisi e assicurò le Suore che se lui fosse stato presente la strage non sarebbe avvenuta.”<br />
Dopo alcuni giorni arrivarono i liberatori e il Fratello fu rilasciato.<br />
L’uccisione di p. Zuccali. P. Zuccali era rimasto nel bosco insieme al laico Paul Lepêche,<br />
sperando che entro pochi giorni sarebbe giunta l’Armata Nazionale a salvarli.<br />
Il mattino del 2 dicembre un indigeno li obbligò ad uscire dal nascondiglio perché – diceva- i<br />
ribelli uccidevano non solo chi occultava i bianchi, ma anche chi li aveva semplicemente visti<br />
I due si diressero verso la missione. La moglie di un maestro, una santa donna, non appena<br />
scorse i due padri traditi da quell’uomo tentò di assumersi tutte le responsabilità della loro vita.<br />
Il traditore era quasi convinto dalla sue parole, quando all’improvviso sbucò un camion di<br />
“simba” che uccisero il Padre e il giovane belga, proprio vicino alla turbina del fiume Rungu.<br />
Il Padre fece in tempo a dare l’assoluzione al compagno e benedire la donna che aveva<br />
rischiato la vita per salvarli. I cadaveri vennero gettai nei gorghi del Rungu che è affluente del<br />
Bomokandi, e furono portati via dalla corrente. Invano i maestri li cercarono per lungo tratto<br />
del fiume.<br />
I nostri missionari di Ndedu e le Suore Comboniane che lavoravano in cinque missioni nella<br />
Diocesi di Wamba furono torturati e seviziati per molti giorni, ma furono infine liberati.<br />
Espulsioni di massa dei nostri missionari dal Sudan Meridionale 2<br />
L’espulsione dei missionari dal Sudan Meridionale iniziata nel 1962 terminò nel 1964, quando<br />
furono espulsi gli ultimi rimasti. L’espulsione ebbe luogo dal 26 febbraio al 9 marzo: 104<br />
confratelli, 98 Suore Comboniane e 12 padri di Mill Hill, per un totale di 214.<br />
Le accuse furono: attività sovversive ed illegali, ostinazione nello sfidare la legge, incitamento<br />
alla sovversione. Il decreto di espulsione si riferisce ad alcuni casi particolari di sacerdoti che<br />
erano stati tacciati di tali accuse, ma che erano stati tutti assolti dai magistrati locali. Nessuna<br />
accusa fu mossa alle Suore; ciò nonostante furono tutte deportate. Gli Ordinari, cioè il Vescovo<br />
2 Vedere Bollettino n. 169<br />
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