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Edilizia nel villaggio altomedievale di Miranduolo (Chiusdino – SI)
Marco Valenti
Premessa
La mia presenza a questo seminario sull’edilizia tra tarda antichità e medioevo è legata da
una parte alla cortesia del curatore e dall’altra al fatto che mi occupo da quasi venti anni
delle forme insediative succedutesi con la fine dei paesaggi tardo romani.
Questa linea di ricerca mi porta molto spesso a parlare di villaggi e degli edifici che li
compongono 1 , pertanto non sempre le pagine che poi consegno alle stampe per gli atti di
seminari e convegni riescono ad essere originali. E’ vero che la ricerca procede con ritmi
sempre più accellerati, ma lo è altrettanto che per rinnovare i quadri generali già tracciati
occorre molto tempo ed un numero considerevole di dati registrati.
Anche stendere una storia degli studi è impresa improba nello spazio concessomi, in
quanto la formazione dell’insediamento altomedievale e delle sue caratteristiche strutturali
occupa un posto di rilievo nell’intera archeologia medievale europea.
In generale, ricorderò che soprattutto Germania, Svezia, Francia ed Inghilterra hanno
portato avanti con sistematicità tale ricerca. Sono comunque le indagini effettuate in
ambito tedesco i veri punti di riferimento nello studio del villaggio e dell'edilizia
altomedievale in materiale deperibile; in questo contesto si colloca lo sviluppo della
Hausforschung, settore che si occupa specificatamente dell’edilizia dalla protostoria al
medioevo soprattutto in ambito rurale. La Hausforschung è strettamente legata alle
tematiche dominanti negli studi del medioevo tedesco ed al filone della
Siedlungsarchäologie dove trova la sua prima e più naturale collocazione 2 . Gli insediamenti
rurali costituiscono, in effetti, uno degli interessi più rilevanti e prolifici dell’archeologia
medievale di ambito germanico e resta tuttora insuperata la grande indagine di Donat 3 ,
uscita contemporaneamente al ben noto testo d’ambito francese di Chapelot e Fossier
messo in secondo piano sul nascere 4 .
In questi ultimi anni i progressi e le analisi più interessanti provengono dalla Francia,
grazie soprattutto alla ripresa dei grandi lavori infrastrutturali 5 che hanno portato
all’individuazione e allo scavo di molti nuovi siti rurali. Contemporaneamente si sono
moltiplicati i contributi di dibattito o di sintesi; dai punti stabiliti da Zadora-Rio 6 , affiancati
dai lavori di Lorren e Périn 7 , alle elaborazioni di Faure-Boucharlat 8 sino ai quadri sia
complessivi sia di dettaglio di Peytremann: autore, quest’ultima, alla quale si deve una
sintesi per la Francia rurale del nord tra IV e XII secolo, basata su un considerevole
plafond archeologico che rappresenta a parer mio un punto di arrivo, per metodo e
analiticità, dal quale ripartire anche nel resto dell’Europa 9 .
1
Per tutti VALENTI 2004.
2
Una sintesi breve ma efficace si veda FEHRING 1991.
3
DONAT 1980.
4
CHAPELLOT, FOSSIER 1980.
5
Mi riferisco in particolare ai consistenti lavori svolti per autostrade e raccordi autostradali, linea ferroviaria
ad alta velocità e la costruzione di Euro-Disney.
6 ZADORA-RIO 1995 e ZADORA-RIO 2003.
7 RICHÉ, PÉRIN 1996, pp. 338-341 e LORREN, PERIN 1995.
8 FAURE-BOUCHARLAT 2001.
9 PEYTREMANN 2003.

1 – Lo studio dell’architettura deperibile in Italia: alcune tracce di lavoro
disattese.
In un contributo relativamente recente, pessimistico e critico sullo stato di avanzamento
della ricerca, Gelichi e Librenti rilevavano un interesse iniziale dell’archeologia medievale
italiana per l’edilizia altomedievale in materiale deperibile, riferendosi soprattutto ai lavori
pioneristici di Michelangelo Cagiano de Azevedo sul periodo tardoantico e longobardo 10 ;
lavori che introdussero per primi l’argomento utilizzando le fonti scritte integrate dalle
pochissime evidenze materiali disponibili 11 ; un’archeologia dell’edilizia altomedievale
comunque senza archeologia 12 .
Anche alcuni scavi svolti fra gli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso avevano iniziato a
restituire evidenze riconducibili a edifici in legno, rivelando la loro importanza per
comprendere adeguatamente la trasformazione della società urbana e rurale post
classica 13 . Furono seguiti dai lavori del Gruppo Ricerche Genova di Mannoni,
perseguendo quello straordinario filone di ricerca rappresentato dai “villaggi
abbandonati” 14 . Edifici in materiale deperibile vennero riconosciuti nei contesti del
Refondou presso Savignone, del castellaro di Zignago, di Piana Damigia nello stesso
comune, della pieve di Codiponte, di Gronda presso Luscignano e di piazza Matteotti a
Genova 15 . Nello stesso periodo, altrettante attestazioni furono registrate negli inediti scavi
di Piazza della Signoria a Firenze 16 , nel villaggio di Santa Maria in Civita ad opera della
British School at Rome fra 1974 e 1978 17 , sul colle di San Pieto a Tuscania da un’equipe
10
GELICHI, LIBRENTI 1997.
11
CAGIANO DE AZEVEDO 1970; CAGIANO DE AZEVEDO 1972a; CAGIANO DE AZEVEDO 1973;
CAGIANO DE AZEVEDO, SCMIEDT 1974; CAGIANO DE AZEVEDO, 1976.
12
Contributi dedicati agli edifici in legno sono affiancati da lavori dedicati all’edilizia pubblica o con
committenza di alto profilo sociale e ad aspetti più generali della società longobarda nei quali comunque il
tema dei modi di costruire e di abitare affiora sempre. Si vedano sull’edilizia urbana (CAGIANO DE
AZEVEDO 1972b; CAGIANO DE AZEVEDO 1974a; CAGIANO DE AZEVEDO 1974b), sui palazzi
longobardi (CAGIANO DE AZEVEDO 1959; CAGIANO DE AZEVEDO 1969; CAGIANO DE AZEVEDO
1975), sull’edilizia religiosa (CAGIANO DE AZEVEDO 1977) e sul restauro delle mura di Milano (CAGIANO
DE AZEVEDO 1978).
13
Fra i primi in ordine di tempo si ricordano, oltre al sito di Bagnoregio studiato da Cagiano, le indagini su
Castelseprio e Luni, entrambe svolte da equipe di ricerca straniere (rispettivamente quella polacca facente
capo a Stanislaw Tabaczynski e quella inglese guidata da Brian Ward Perkins); in effetti non è un caso che il
tema sia introdotto in Italia attraverso studiosi provenienti da scuole nelle quali, come abbiamo visto in
precedenza, il tema dell’edilizia in legno ha tradizioni ben radicate.
14
La grande letteratura su questo tema trova la sua prima espressione nella scuola francese di storia
economica degli anni ’60 del XX secolo (VILLAGES DÉSERTÉS 1965), poi ripreso dagli archeologi
medievisti transalpini e inglesi (ARCHÉOLOGIE DU VILLAGE DÉSERTÉ 1970; BERESFORD, HURST
1971). Per l’ambito italiano occorre ricordare i lavori storici di Christiane Klapisch-Zuber (KLAPISCH-ZUBER,
DAY 1965; KLAPISCH-ZUBER 1973), oltre al precoce scavo sul sito siciliano di Brucato ad opera di Jean-
Marie Pesez, fra i primi in Italia (PESEZ 1973, PESEZ 1974; PESEZ 1984).
15
Si vedano GRUPPO RICERCHE GENOVA 1974a; D'AMBROSIO 1985; ZIGNAGO 1, 1978; GARDINI
1977-1983; GRUPPO RICERCHE GENOVA 1974b.
16
Si veda la segnalazione in CIAMPOLTRINI 1994, p. 625.
17
Si vedano BARKER, HODGES, WADE 1980; CHRISTIE 1987, pp. 455-456; HODGES 1979; HODGES,
WICKHAM, 1981.

italo-inglese nel 1974 18 e sul sito di Castel Antico a Idro indagato da Brogiolo nel 1980 19 .
Con la prima metà degli anni ‘80 il numero degli scavi medievali a livello nazionale crebbe
notevolmente; anche le evidenze relative a edifici con parti strutturali in legno
aumentarono sia in ambito urbano 20 , sia in ambito rurale con particolare riferimento agli
scavi di insediamenti incastellati in Toscana 21 .
I dati registrati si impennano poi decisamente a partire dagli anni ’90 e sarebbe
impossibile citarli tutti. Occorre comunque rilevare come, nonostante la consistenza
numerica delle nuove informazioni, siano ancora molti i casi inediti; inoltre, anche
nell’ambito dei siti pubblicati, ci si limita molto spesso a segnalare solo la presenza di
buche di palo, battuti di vita ed eventuali focolari 22 .
Tendenzialmente, quindi, si rileva una quantità molto modesta di capanne ben descritte e
interpretate; ancora più povero risulta il panorama dei contributi di sintesi e sull’utilizzo dei
dati sull’edilizia in materiale deperibile come indicatori per la ricostruzione degli aspetti
socio-economici di un singolo sito o di un territorio.
A tuttoggi appare quasi isolato il contributo di sintesi sull’edilizia residenziale fra V e VIII
secolo, curato da Brogiolo, frutto del 4° seminario sull’Italia centro-settentrionale tra
tardoantico ed altomedioevo del settembre 1993. Le considerazioni espresse e le
questioni poste sono ancora attuali, a ulteriore riprova della carenza di studi esaustivi
sull’argomento 23 . Tant’è vero che l’ulteriore e metodica trattazione si deve nuovamente a
questo autore, insieme a Gelichi, nella loro sintesi sulla città altomedievale italiana. In
questa sede, proseguendo nella riflessione sull’avvento dell’edilizia in materiale deperibile,
viene svolta una ripartizione molto ponderata secondo criteri cronologici, funzionali e di
spazio storico 24 .
Se si escludono alcuni pregevoli lavori di sintesi improntati alla macroscala spaziotemporale,
nei quali l’edilizia in materiale deperibile fa la sua comparsa funzionalmente
18 Si vedano ANDREWS 1978, p. 487; GIANFROTTA, POTTER 1980; POTTER 1975, p. 229; RASPI
SERRA 1975, p. 7.
19 Si vedano BROGIOLO 1980; BROGIOLO 1982-1984; BROGIOLO 1983.
20 Come nei grandi cantieri del nord Italia come gli scavi per la terza linea della metropolitana a Milano o il
restauro del monastero altomedievale di San Salvatore a Brescia, oltre ad un grande numero di scavi di
emergenza.
21 Per tutti VALENTI 2004.
22 Della scarsa qualità delle pubblicazioni italiane si lamentano anche Gelichi e Librenti (GELICHI, LIBRENTI
1997, p. 219). Cito come come esempi eccezionali di casi ben documentati e studiati, almeno le strutture
provenienti dai siti di Santa Giulia a Brescia, Poggio Imperiale a Poggibonsi, Ferrara corso Porta Reno,
Piadena, San Michele di Trino, Sant’Antonino di Perti, San Tomè di Carvico, Invillino – Ibligo, Santa Maria di
Manerba, Filattiera pieve di Sorano, Ponte Nepesino e Caprignano. Di recente pubblicazione, anche gli scavi
del battistero paleocristiano di Mantova dove gli edifici in materiale deperibile sono descritti con dovizia di
particolari (BROGIOLO 2004), i casi goti e longobardi del Piemonte (PEJRANI BARRICO 2004;
MICHELETTO 2007).
23 BROGIOLO 1994.
24 BROGIOLO, GELICHI 1998. Per l’età tardoantica si affrontano temi quali il degrado delle architetture
antiche, il frazionamento di domus e villae, l’edilizia in muratura di derivazione “rustica”, l’edilizia aulica,
l’edilizia palaziale; le strutture in muratura e in elementi misti di VI e VII secolo sono divise sulla base della
provenienza dalla Romania o dalla Langobardia, mentre a parte si affronta l’edilizia in legno divisa per
tipologie costruttive (pali portanti infissi nel terreno e alzato ligneo su zoccolo in muratura); anche per i
periodi successivi, fino al X secolo, la trattazione è ripartita fra edilizia in muratura e in legno.

allo studio degli insediamenti rurali altomedievali 25 , sono veramente pochi gli archeologi
italiani che considerano tali dati come indicatori fondamentali per la costruzione di modelli.
In questo senso si può forse dire che esistono, fra gli archeologi medievisti italiani, delle
remore o dei dubbi sull’effettiva possibilità di utilizzare i dati sulle capanne come indicatore
valido per la lettura di processi storici più generali. La loro presenza è sempre auspicabile
per mostrare lunghe diacronie ed un insediamento altomedievale al di sotto di depositi più
recenti; raramente, però, rientrano nella costruzione di un modello storico che contempli
gerarchie e letture di tipo socio-economico.
Le obiezioni che vengono spesso mosse, più o meno esplicitamente, allo studio
dell’edilizia in materiale deperibile, influendo così sulla convinzione di un basso potenziale
informativo, sono soprattutto di due tipi: la scarsa conoscenza per l’epoca romana che, se
affrontato, secondo i sostenitori di tale idea, riequilibrerebbe il tema dell’originalità e della
grande diffusione del legno nell’alto medioevo (annullando così anche le ipotesi di tipo
etnico sull’origine di alcuni tipi di edifici); l’edilizia in materiale deperibile è “architettura
povera” riferita ad un generico e mai veramente individuato substrato culturale di tipo
popolare che, in parte, ridimensionerebbe il ruolo egemonico, di rottura e novità, con i
secoli precedenti.
Io, al pari dei ricercatori con i quali lavoro, fra tutti Fronza, penso invece il contrario e
sostengo come la scarsa conoscenza del tema per il periodo romano, non indebolisca le
considerazioni desumibili dalle evidenze note per l’altomedioevo; significherebbe negare
la realtà. Allo stesso modo reputo fuori luogo pensare che questo tipo di architettura non
possa essere considerata un indicatore valido perché fa parte di un substrato di
conoscenze comuni. Come sostiene Fronza, infatti, ragionare «in questo modo
significherebbe, ad esempio, negare gli studi sull’evoluzione dei tipi che si conducono da
oltre mezzo secolo in ambito nord-europeo; si pensi, ad esempio, alla questione della
longhouse tipo Warendorf o all’evoluzione della Hallenhaus contadina di area germanica
dall’età del ferro al tardomedioevo, con tutte le implicazioni sull’organizzazione del lavoro
contadino, sulla produzione agricola e sulla strutturazione socio-economica dei villaggi
rurali che ne derivano» 26 .
Perchè allora studiare l’edilizia altomedievale e con quali finalità?
Guardando ad ognuna delle tradizioni di ricerca e degli autori europei cui ho accennato
sinora, analizzare il carattere delle forme insediative nella diacronia significa soprattutto
contribuire alla comprensione dei rapporti socio-economici dei centri di popolamento e le
loro trasformazioni. Credo fermamente che il giusto taglio da dare non possa essere
diverso.
La formazione dell’insediamento altomedievale e delle sue caratteristiche strutturali
(urbanistica, tipologia delle abitazioni, annessi e strutture artigianali, popolazione,
economia) deve infatti essere affrontata analizzando nel dettaglio i modi di costruire e di
abitare; nonchè, sulla base delle classi di reperti in associazione agli edifici, individuarne la
funzione, leggere le condizioni di vita ed i rapporti sociali in atto; iniziamo così a metterci in
grado di ricostruire, o per lo meno, tratteggiare, le basi e lo sviluppo del popolamento tra
25 Occorre citare almeno FRANCOVICH, HODGES 2003; BROGIOLO, GELICHI 1996. BROGIOLO et alii
2005; GELICHI, LIBRENTI 2005.
26 FRONZA 2005.

VI e XI secolo.
Nonostante i tentativi di voler vedere una sorta di continuità soprattutto con il periodo
tardoantico, l’edilizia abitativa altomedievale rappresenta una completa rottura con il
passato. Si costruiscono abitazioni, villaggi, città interamente in materiali deperibili o
vengono riusate lungamente le rovine della romanità; è un’epoca decisamente diversa,
con organismi societari, politici ed economici non paragonabili ai secoli antecedenti, per i
quail proprio l’interpretazione delle forme del costruire e del vivere in gruppo, fornisce in
realtà le chiavi di lettura per comprendere le nuove economie in atto ed i rapporti (tra le
persone e con i mezzi di lavoro) al loro interno. Si tratta di individuare gli indicatori,
indispensabili per definire i simboli del potere o della sottomissione agli albori delle società
post-classiche; società basate su nuove forme insediative ed abitative venute in essere,
parafrasando il titolo del recente e controverso libro di Ward Perkins, dopo la caduta di
Roma e la fine della civilizzazione 27 .
Le strutture materiali dell’insediamento rappresentano allora un prodotto complesso, come
è stato ricordato da Galetti, della storia dell’economia e dell’agricoltura, dei rapporti di
produzione, dei sistemi insediativi, delle armature sociali, delle condizioni culturali e
dell’evoluzione delle cognizioni tecniche, oltre che un sicuro indice della qualità della vita
dei loro abitanti 28 . Il fine ultimo nello studio degli edifici abitativi, e delle loro relazioni in più
ampi complessi insediativi, risiede nel contribuire, insieme ad altri indicatori, a fare luce
sulle modalità di affermazione dei poteri locali attraverso un’inchiesta sul ceto produttivo
contadino e di conseguenza le trasformazioni nell’organizzazione e nella gestione della
terra.
Nella direzione indicata rientra per esempio l’esperienza che stiamo svolgendo da quasi
un quindicennio sull’edilizia altomedievale, iniziata con il progetto senese su Poggio
Imperiale (Poggibonsi), dove l’argomento “capanne” è stato affrontato sistematicamente 29 .
Dall’approfondimento bibliografico e metodologico seguito, sono nate alcune iniziative
(seminari, tesi di laurea e di dottorato, pubblicazioni) che hanno portato alla costruzione di
una tipologia delle strutture in materiali deperibili tardoantiche e altomedievali scavate in
Europa, alla realizzazione di un grande database e di una piattaforma GIS a esse dedicati,
nonché proposte metodologiche di schemi interpretativi 30 . Dai seminari e dalle riflessioni
svolte nel corso degli anni sono nate delle metodologie interpretative presentate al primo
convegno della Società degli Archeologi Medievisti Italiani del 1997 (griglie di lettura e
interpretazione delle singole buche di palo e dei contesti stratigrafici altomedievali
interpretabili come strutture in materiale deperibile), del 2000 al secondo convegno SAMI
(applicazione pratica delle griglie precedentemente elaborate, concentrandoci soprattutto
sull’utilizzo del mezzo informatico e sui vantaggi che ne derivano per una migliore
comprensione delle evidenze trattate), del 2006 al quarto convegno SAMI (strumenti e
materiali per un atlante dell’edilizia altomedievale in materiale deperibile) 31 .
27 WARD PERKINS 2005.
28 GALETTI 1997, pp. 9-10.
29 Per Poggibonsi si veda da ultimo FRANCOVICH, VALENTI 2007.
30 Per gli approfondimenti sull’edilizia altomedievale in particolare si vedano FRONZA 1998-1999; FRONZA
2005.
31 Si vedano FRONZA, VALENTI 1997; FRONZA, VALENTI 2000; FRONZA 2006.

Un’attività non finalizzata soltanto a soddisfare esigenze di conoscenza e a costruire degli
strumenti analitici fini a se stessi; rappresenta invece uno dei percorsi di ricerca che l’Area
di Archeologia Medievale dell’Università di Siena svolge per comprendere e seguire lo
sviluppo della base fondiaria e di potere delle élites rurali e delle aristocrazie. In definitiva,
nella comprensione del rapporto tra la produzione agricola e le complesse forme di un
sistema economico individuiamo il nodo fondamentale per lo studio di qualsiasi economia
pre-industriale 32 .
Su questa agenda della ricerca si è inserito, contribuendo ancor di più a scandirne le linee
programmatiche, lo scavo di Miranduolo (Chiusdino-SI) dove dopo sette campagne, il
castello risulta anticipato da un’articolata e pianificata presenza insediativa ascrivibile ai
secoli dell’alto medioevo.
2 – Miranduolo: un “archivio” di tecniche costrutti ve in materiali
deperibili.
In generale Miranduolo costituisce un caso ottimale per leggere nella diacronia la
formazione della signoria fondiaria ed il suo sviluppo in signoria territoriale. Si tratta di un
piccolo castello dell’alta Val di Merse, sulla sommità di un poggio a quota 390 m slm,
delimitato a nord est e a sud ovest dal tracciato di due torrenti asciutti, esteso poco più di
mezzo ettaro, che per particolari condizioni (varie distruzioni per incendio, articolazione
topografica su terrazzamenti, assoluta assenza di frequentazione dopo gli inizi del XIV
secolo) presenta uno stato di conservazione delle stratigrafie di eccezionale portata.
Attestato per la prima volta da fonti scritte nell’anno 1004 nel patrimonio della famiglia
comitale dei Gherardeschi, lo scavo, oggetto di datazioni sistematiche attraverso analisi
radiocarboniche, ha interessato il 45% della collina dimostra che l’insediamento ebbe
inizio almeno quattro secoli prima 33 .
L’insediamento strutturato più antico data così nel corso dell’VIII secolo, pur se nelle ultime
campagne di scavo si sono individuate strutture cronologicamente precedenti e tali da
permettere di retrodatare la prima occupazione della collina almeno gli inizi del VII secolo;
un sensibile rinnovamento del villaggio avvenne invece intorno alla prima metà del IX
secolo con la gerarchizzazione evidente, connotata da forti segni lasciati sulla collina, fra
spazi elitari e spazi d’insediamento contadino; la costruzione di edifici in materiali misti e di
un primo muro di cinta in materiali misti si ascrive tra seconda metà e fine del X secolo;
mentre il passaggio a un’edilizia totalmente in pietra è attestato tra la fine dell’XI e gli inizi
del XII secolo.
Dal punto di vista del seminario di Monselice, il sito si distingue nel panorama nazionale
per la ricchezza e la varietà delle informazioni restituite sulle tecniche costruttive in
materiali deperibili dovute principalmente, ripeto, alle dinamiche di formazione del deposito
stratigrafico. Le distruzioni per incendio susseguitesi in quasi tutte le sue fasi, hanno
favorito la conservazione degli elementi strutturali lignei, determinando un inusuale
archivio materiale delle relative tecniche costruttive. Le tipologie più numerose riguardano
le capanne con struttura portante in armatura di pali, seguite per numero di attestazioni da
quelle su basamento in muratura e dalle capanne seminterrate. Nel complesso, con la
32 Al riguardo si veda WICKHAM 1988.
33 Si veda per i primi sette anni di scavo VALENTI 2008 con bibliografia completa.

campagna 2007, si sono scavate 880 buche di palo suddivise in 34 capanne, 13 edifici a
materiali misti, 6 strutture funzionali e 8 strutture di fortificazione.
Queste pagine saranno quindi articolate essenzialmente in quattro punti; inizierò con
un’agile disamina delle tipologie di deposito legate agli edifici in materiali deperibili, alla
quale seguirà la descrizione dei tre tipi di architetture riconocibili: cioè “popolari”,
“funzionali” e di “potere”.
3 – Buche di palo, elevati e coperture.
Buche - Gli allineamenti delle buche forniscono indicazioni fondamentali per l’attribuzione di
pianta, struttura portante e divisione interna, soprattutto di fronte a capanne in armatura di
pali; va preso in considerazione anche nell’interpretazione stratigrafica delle buche stesse,
in quanto la regolarità nella disposizione influisce sul grado di affidabilità e sull’attribuzione
dell’evidenza.
Ma il solo rinvenimento di buche di palo e la presenza di allineamenti più o meno regolari,
non esaurisce le considerazioni da fare circa l’interpretazione e la definizione di strutture
tipo capanna. Una lettura corretta e soprattutto tale da fornire, nell’insieme degli edifici
individuati in un contesto insediativo, quegli elementi indispensabili per la definizione di
modellizzazioni, deve prevedere un’attenta valutazione delle buche stesse e dei parametri
da utilizzare per la ricostruzione strutturale degli edifici in legno e delle loro tecniche
costruttive, nonchè della vita o delle vite di un edificio. Fra questi indicatori rientrano
soprattutto la forma, la composizione del riempimento, la presenza di elementi di rinforzo
alla stabilità e gli eventuali riusi.
La planimetria e la sezione di una buca di palo sono indispensabili per decodificare le
tecniche impiegate e l’accuratezza nella realizzazione. A Miranduolo quasi tutte le
evidenze hanno pianta circolare, subcircolare o leggermente ellittica e sezione cilindrica o
più o meno tronco-conica; solo il 10% dei casi mostrano pianta quadrata ma tale presenza
non è riconducibile a edifici di maggior tenore: i pali squadrati sembrano essere stati
distribuiti in modo abbastanza casuale nelle armature di molte strutture. Le altre due
morfologie planimetriche individuate riguardano le buche doppie a forma di “8” con tagli
leggermente sovrapposti e quelle irregolari. Ambedue indicano quasi sempre riusi o
restauri degli elementi strutturali e sono da attribuire principalmente alla lunga vita di edifici
che richiedevano periodiche sostituzioni di pali o rinforzi alla loro stabilità (soggetti al
deterioramento degli agenti naturali o di eventi traumatici); attività quindi che alterarono
facilmente la forma originaria del taglio. Il riuso costituisce una costante negli edifici in
legno e si notano molte casistiche da collegare soprattutto a due azioni principali: è
possibile scavare una nuova buca spostata di pochi centimetri dall’originale, oppure si può
recuperare la stessa buca modificandone la planimetria e la sezione verticale. Sul sito di
Miranduolo è attestata tutta la casistica di uso prolungato e ripetuto dei medesimi alloggi
strutturali fin qui descritto e nel complesso siamo riusciti ad isolare almeno 113 casi.
Alla forma della buca, nonchè alle forme che ha avuto nel tempo, si collega la natura del
riempimento; la sua composizione è quindi da connettere a fattori quali la rimozione del
palo dopo l'abbandono dell’edificio, la sostituzione durante la sua vita, gli interventi
posteriori di eventuali riedificazioni. Nel caso di pali rimasti in situ dopo l’abbandono si
sono registrati riempimenti piuttosto friabili, di colore scuro, distinti dal terreno circostante e

con una marcata presenza di carboni. Simili evidenze, di facile riconoscimento al momento
dello scavo, sono di solito scarsamente attestate in ambito italiano dove i siti
pluristratificati, con un continuo riuso nel tempo degli stessi spazi, costituiscono la norma.
Anche a Miranduolo, nonostante le eccellenti condizioni di conservazione delle stratigrafie
più antiche, le tracce di carbone all'interno dei riempimenti sono attestate in soli 138 casi,
rivelando così ulteriori indizi di una forte continutà insediativa 34 .
Un altro indicatore delle tecniche costruttive è costituito dalla presenza di espedienti utili
ad aumentare la stabilità del palo. Il metodo più elementare, attestato nel 30% dei casi di
Miranduolo prevede l'uso di pietrisco per compattare il riempimento. La scarsa presenza di
zeppe in posto dipende dalla storia stessa degli edifici; la loro conservazione nella
posizione originaria richiede particolari condizioni post-deposizionali: è necessario che il
palo non venga espiantato e il riempimento non rimaneggiato oppure che le pietre di
rinforzo siano state conficcate nella sezione del taglio. Le attività di frequente
consolidamento o di espianto e sostituzione del palo sono quindi riconoscibili anche
tramite le numerose pietre o pietrisco rimescolati all’interno del riempimento, spesso
interpretabili come zeppature rigettate dopo la rimozione. Una seconda tecnica è
rappresentato dai rinforzi tufacei od argillosi; queste “ciambelle” collocate intorno ai pali
sono attestate a Miranduolo in oltre 70 casi. Venivano realizzate attraverso tagli che
circondano l'alloggio originario, quindi più larghi e meno profondi, poi riempiti da terra
pressata. A prima vista interpretabili come l’impiego di una tecnica più raffinata, in realtà la
loro disposizione in relazione agli edifici sembra casuale e di fatto solo finalizzata a quegli
elementi strutturali necessitanti di forti consolidamenti o per isolarli dall’umidità.
Elevati - Individuare od ipotizzare le evidenze dei materiali utilizzati nella realizzazione
degli elevati è molto difficile, tranne nei casi più fortunati di alzati lignei in ottimo stato di
conservazione per l’anaerobicità del terreno 35 . Questo problema costituisce quindi uno dei
gap maggiori per arrivare a ricostruzioni attendibili circa l’aspetto della struttura in corso di
indagine ed è generalizzato; come dimostra il database di respiro europeo curato da
Fronza, articolato al momento (senza contare gli scavi italiani) su oltre 2.300 strutture di
capanna schedate, solo in poco meno del 34% dei casi sono stati registrati chiaramente
gli elementi costitutivi degli alzati 36 . Credo pertanto che la maggior parte delle
interpretazioni fornite per le capanne italiane poggino spesso su basi molto ipotetiche.
A Miranduolo, pur di fronte allo stato eccezionale delle restituzioni, possiamo
essenzialmente ricondurre gli elevati a due tipi: ad intreccio ed in terra pressata.
Uno degli edifici in miglior stato di conservazione che mostrava la costruzione di elevati
con graticci poi intonacati di terra era una capanna destinata a magazzino, in uso tra la
34 Esistono comunque anche casi opposti, nei quali si assiste ad un ricompattamento all'interno del
riempimento della terra circostante al taglio. Tali eventualità, quasi sempre imputabili all'espianto del palo
durante la vita o in seguito all'abbandono delle strutture, sono altrettanto facilmente riconoscibili e nella
maggioranza dei casi sono costituiti dal disfacimento della roccia che forma la geologia del poggio. In
definitiva, l'espianto dei pali può essere considerata una pratica largamente diffusa su tutto il sito e per tutte
le fasi altomedievali, senza che si notino particolari disomogeneità fra i vari contesti indagati.
35 Si pensi per esempio al caso di Fidenza (CATARSI DALL’AGLIO 1994) o quello più recente di Nogara
(SAGGIORO 2005).
36 FRONZA 2005, capitolo 2.

metà del IX e gli inizi del X secolo, dove la presenza di elevati in ramaglie o simili è
evidenziata dal ritrovamento di rami di pruno selvatico, erica e nocciolo nonchè di intonaci
recanti tracce in negativo.
Gli elevati in terra pressata sono invece quasi sempre associati a case con muri in terra
fondati su uno zoccolo in muratura. A Miranduolo è il tipo di alzato più diffuso con una
netta prevalenza numerica riferibile al primo insediamento incastellato, per il quale ben 9
edifici hanno mostrato tracce di elevati in terra, pari al 69,23% del totale. Le stratigrafie
interpretabili come resti materiali degli elevati in terra disfatti sono per lo più costituiti da
livelli di forte spessore a matrice argillosa o limosa, molto compatti e con alto grado di
durezza, frequentemente misti a pietrisco, molto arrossati se distrutti per incendio. Questi
alzati, in terra pressata, venivano ancorati alla fondazione attraverso una serie di pali posti
a distanze regolari. Un contesto di straordinaria chiarezza è la casa rinvenuta sul
terrazzamento ovest (un edificio caratterizzato da due fasi d’uso; la seconda con un
ampliamento degli ambienti), dove alcuni muri erano ancora parzialmente conservati in
elevato poichè appoggiati al taglio dello stesso terrazzamento roccioso, mentre altri
risultavano disfatti in grandi chiazze di terra gialla, di compattezza durissima, che
coprivano interamente l’originaria superficie della casa.
Coperture - L’assenza di chiare stratigrafie, a livello europeo, lascia in genere interpretare
le coperture come realizzate in materiali deperibili, quindi con paglia, frasche, terra,
letame, ecc., oppure in scandole. Quasi tutte le capanne risultano così tendenzialmente
coperte attraverso l’impiego di materiali vegetali e Miranduolo non fa certo eccezione.
Tuttavia sia per le fasi più antiche di insediamento sia per i decenni posti a cavallo tra X e
XI secolo, lo scavo rivela anche un impiego significativo di lastre calcaree scistoso come
componenti di tetti di capanne e di case in terra.
Se in generale questo tipo di copertura si lega a case con muri in terra su fondazione in
pietra (il 66.67% dei 16 casi riconosciuti) proponendosi quindi anch’esso come un tratto
caratteristico degli edifici costruiti con la deduzione del primo castello, esistono comunque
attestazioni legate al villaggio di VIII secolo. In particolare segnalo una capanna
seminterrata costituita da un taglio sulla roccia di forma rettangolare con angoli stondati e
dimensioni pari a 2,5 x 3,5 m. Il deposito derivante dall’abbandono era costituito da un
livello in lastre di calcare scistoso ben conservato, risultato del crollo della copertura,
depostosi su un livello di argilla nera, ricca di carboni e resti di travi in legno di quercia
carbonizzate, disfacimento delle strutture del tetto. Il piano di calpestio, in argilla compatta,
conservato solo nelle zone perimetrali del taglio, copriva uno strato di pietre di piccole
dimensioni interpretabile come preparazione del battuto. La loro rimozione ha permesso di
portare in luce il piano in roccia e, nella parte centrale, una buca circolare, alloggiamento
del palo portante della copertura in lastre di calcare scistoso. Un focolare, posto
nell’angolo nord ovest del taglio, veniva delimitato da un circolo di pietre e caratterizzato
da un forte arrossamento della parete in roccia. Si trattava quindi di una grubenhaus di
piccole dimensione, con tetto a cono allargato in lastrine di calcare, poggiante sia su un
palo centrale interno sia sul piano roccioso esterno all’escavazione; la copertura doveva
avere una piccola parte aperta per la fuoriuscita dei fumi.

4 - Architetture “popolari”
Le abitazioni delle famiglie contadine operanti a Miranduolo sono di tre tipi. Si sono
individuate capanne seminterrate per l’occupazione di VII e VIII secolo; capanne a livello
del suolo di varia pianta, sia contemporanea alle seminterrate sia per il IX e parte del X
secolo; edifici con un solo lato caratterizzato da fondazione in pietra o con muri in terra su
fondazione in pietra per la metà del X-inizi XI secolo.
Capanne seminterrate - Edifici con la struttura portante e livelli di vita alloggiati all'interno di
un’escavazione sono diffuse prevalentemente fra la fine del V e la prima metà dell'VIII
secolo in Italia, avendo funzione soprattutto abitativa. A Miranduolo, come ho già illustrato
nel paragrafo precedente a proposito di quella con copertura in lastre di calcare, sono di
piccole dimensioni e disposte sia in sommità sia sui versanti terrazzati della collina.
Una delle capanne in sommità, per esempio, ha pianta e dimensioni (3 x 4 m) simili alla
precedente, anche se la parte settentrionale sembra in parte franata. Sul fondo ed al
centro dell'escavazione, profonda 70-80 cm, si sono individuate quattro buche disposte a
coppie parallele che formano l'ossatura portante. Altre due strutture seminterrate sono
state identificate durante la campagna 2007; essendo entrambe ancora in corso di scavo
non è possibile fornire un'interpretazione affidabile delle tecniche costruttive impiegate,
anche se a prima vista non sembrano differire dalle altre. La prima, al momento, ha
restituito reperti che datano fra fine VI-VII secolo; la seconda, collocata su un terrazzo
basso presso la porzione occidentale del versante sud, è tagliata direttamente nel piano
roccioso e sembra presentare un deposito in buono stato di conservazione.
Queste grubenhäuser, nella Toscana rurale, vanno ad aggiungersi a quelle già scavate a
Poggibonsi e, nel loro insieme si inseriscono, è inutile nascondersi dietro a un dito, nel
dibattito della comunità storico-archeologica italiana sulla loro derivazione o meno da
modelli alloctoni. L’argomento di per sè risulta piuttosto complesso e coinvolge la delicata
questione dell’interpretazione etnica applicata alle evidenze materiali, non solo per il
profilo etnogenetico ma anche in relazione alla più recente prospettiva archeoetnologica.
Non vorrei spendere molto tempo in questa sede sull’argomento. Tengo però a ribadire
come la questione della derivazione alloctona di una tipologia edilizia non significhi fare
passi indietro nella ricerca ed un ritorno ad un’archeologia di stampo nazionalisto ormai
morta e sepolta.
Al tempo stesso, riprendendo spunti affrontati poco sopra, la mancanza di dati sull’edilizia
“povera” o “contadina” di età romana mi riporta direttamente all’altra questione sollevata
precedentemente: l’edilizia povera non può essere considerata un indicatore valido perché
fa parte di un substrato di conoscenze comuni, una sorta di patrimonio tecnologico
dell’umanità.
Il discorso è comunque corretto: si ritrovano tipi edilizi simili nei più disparati contesti
spazio-temporali, spesso molto distanti e assolutamente scollegati fra di loro. Ma, mi pare,
che il nostro compito di archeologi sia proprio capire se ci sono o meno dei nessi fra le
evidenze, di tracciarne una sintesi evolutiva (o involutiva, a seconda dei casi), di isolare
particolarità e pattern spaziali e/o temporali. Sembra alquanto riduttivo, in questo caso
addirittura semplicistico, riportare ogni caso che non rientra nei nostri modelli ad un
generico sapere pan-umano. Limitandoci all’edilizia in legno, vorrebbe dire che sono del

tutto inaffidabili gli studi sull’evoluzione tipologica che sono condotti da più di mezzo
secolo in ambito nord-europeo.
Nel caso specifico delle grubenhäuser abitative, per esempio, non vi sono in Italia
attestazioni fra III e V, ad eccezione dei casi di Villandro 37 e Castel Antico di Idro 38 , dove
però si tratta in realtà di tipiche case retiche semiscavate con basamento in muratura o
massicciata interna all’escavazione. E questo mi ricorda molto da vicino l’esempio delle
capanne messapiche citate da Arthur per i confrondi nel contesto di Supersano (LE) 39 , e
tutta la questione dell’edilizia povera come substrato culturale immutato nei secoli; la
domanda che mi sorge spontanea è: qual’è il collegamento fra le capanne retiche o quelle
messapiche con le grubenhäuser che, di colpo, si diffondono fra V e VII secolo nelle città e
nelle campagne italiane? A mio parere, il fatto che nel IV-V secolo a Villandro in Alto Adige
costruiscano capanne retiche (queste si, possono essere considerate un retaggio
culturale) è cosa ben diversa dal ritrovamento di una grubenhaus abitativa sotto il duomo di
Siena 40 , o delle capanne seminterrate di Brescia 41 , o in un villaggio costruito ex novo che,
come accade a Poggibonsi 42 , in qualche modo oblitera una precedente fase tardoantica
costituita da molto più comuni case in terra (e di nuovo è pertinente parlare di retaggio
culturale).
Tornando alla capanne seminterrate che inizierebbero a comparire anche in età romana,
ma per davvero si crede, per esempio, che le restituzioni del podere S. Mario, nel
volterrano 43 , siano interpretabili come conoscenza e traccia di questa tecnica costruttiva
già per l’epoca romana e quindi paragonabili in questa direzione? Le grubenhäuser sono
tutt’altro tipo di struttura ed è sufficiente consultare la sconfinata tradizione di studi sulle
capanne seminterrate di origine slava per rendersene conto. Tradizione di studi che, per
altro, insieme ai rinvenimenti d’ambito polacco, ungherese, ecc., non fa altro che
confermare una stretta coincidenza tra gli alloctoni dell’ Italia e questo tipo di costruzione.
Come si giustificano, solo per citare alcuni esempi le restituzioni di Collegno 44 con
associazione dei cimiteri gotio e longobardo, o quelle di Frascaro dove i resti di un abitato
37
DAL RÌ, RIZZI 1994.
38
BROGIOLO 1980.
39
ARTHUR 1999.
40
Si vedano VALENTI 2004 e CAUSARANO, FRANCOVICH, VALENTI 2003.
41
Tra i tanti BROGIOLO 1993.
42
FRANCOVICH, VALENTI 2007.
43
Per le disquisizioni su questo caso, inserito peraltro nel tema della limitatezza di ricerche sull’edilizia
“povera” pre-medievale, si veda AUGENTI 2004. L’edificio di S. Mario assomiglia invece alle strutture
cosidette di tipo “retico”. La fattoria, identificata durante ricognizioni sistematiche condotte in Val di Cecina, è
stata oggetto di indagini stratigrafiche in quanto rappresentativa della tipologia insediativa prevalente in
quest'area. Si tratta di una casa rurale situata su una delle terrazze fluviali prospicienti il Cecina,
caratterizzata da una lunga continuità di vita; in base ai materiali di superficie il sito pareva occupato fra il IV
secolo a.C. e il V secolo d.C. Le campagne di scavo hanno confermato tale continuità che è possibile
articolare in tre fasi principali. La più antica comprende le strutture murarie più consistenti: si tratta di
un'abitazione composta da due ambienti di forma rettangolare, accostati sui lati lunghi con pavimenti in terra
battuta ribassati rispetto al piano di campagna. I muri sono a secco con grandi ciottoli di fiume non lavorati
facilmente reperibili. Frammenti di intonaco di capanna in argilla concotta sono riconducibili ad un alzato in
incannicciata per cui si ipotizza che I muri fungessero da fondazione; la copertura è in tegole ed embrici,
presenti in grande quantità nei livelli di crollo. Si veda MOTTA 1997.
44
PEJRANI BARICCO 2004.

con capanne seminterrate dalle pareti di ramaglia rivestita d’argilla, sono collegati ad un
sepolcreto con materiali goti 45 , oppure di Cornate d’Adda 46 , dove queste capanne
chiarissime nella loro definizione non sono state riconosciute ed anche qui si pone
l’associazione con il cimitero probabilmente longobardo.
E non colpisce il fatto che in molti casi di capanne seminterrate, queste strutture si
pongano all’interno di contesti di riuso e durante le fasi di inserimento delle popolazioni
alloctone nella penisola?
Si tratta di una forma abitativa peraltro ampiamente praticata nell’intero mondo del
barbaricum. Senza tornare a citare i casi di Bona ormai ben noti 47 , o di Donat per l’area
slava 48 , si deve comunque sottolineare come già negli insediamenti sarmati databili tra II-
III secolo e fine IV-inizi V secolo le abitazioni erano costituite da grubenhäuser con elevati in
graticcio e fango pressato e da case anch’esse seminterrate con muri in terra. Gli
insediamenti rurali goti di III e IV secolo, rinvenuti in Ucraina, Moldavia e Romania, sono
generalmente aperti ed ubicati per lo più su un pendio dolce, su un ripiano prospisciente
un fiume o lungo le sue sponde. Si estendevano tendenzialmente in lunghezza, con edifici
disposti su file parallele; come il centro ucraino di Lepesovka nella Volinia meridionale, che
articolato su due file parallele, per una lunghezza di 1000 m ed una larghezza di 180-200
m, era composto da 12 grandi case, 19 focolari e 2 fornaci: da un lato capanne
seminterrate, dall’altro a livello del suolo. Le capanne seminterrate, tra una profondità di
0,50-1,50 m, avevano di solito pianta quadrata con superficie di 5-6 mq, tetto a spioventi
sorretto da pali angolari, pareti in fascine intrecciate ricoperte da argilla, focolare a ferro di
cavallo; altre strutture simili, ma destinate a laboratori od attività artigianali, erano
seminterrate per 2,50-2,60 m circa ed il tetto poggiava direttamente al suolo 49 .
Sulla questione sono tornati recentemente Brogiolo e Chavarria Arnau, discutendola in
un'ottica europea, che riconoscono la complessità del problema e propongono una lettura
45
MICHELETTO 2003; MICHELETTO 2004.
46
Si consulti su “Fasti on line” ZOPFI 2006.
47
BONA 1976.
48
DONAT 1980. A questo autore rimandiamo comunque per un’estesa bibliografia sulle capanne
seminterrate.
49 Altri esempi. Negli insediamenti gepidi ed avari in Ungheria e Romania, tra V e metà VI secolo, tipo
Moresti, l’insediamento si caratterizza per la presenza delle tipiche grubenhäuser abitative con escavazione di
0,70-1,50 m: abitazioni a pianta quadrata o rettangolare con angoli stondati, o irregolarmente circolari, di
modeste dimensioni, ad armature di sei pali perimetrali disposti lungo i lati maggiori, con focolare angolare,
talvolta dotate di un annesso quadrato di lato pari a 2 m.
Negli insediamenti slavi, in Polonia, nella repubblica Ceca, in Moldavia il tipo più diffuso è la capanna
seminterrata a pianta quadrata o rettangolare con misure di 3-5 x 4-7 m coprente una superficie di 20-30 mq;
gli elevati erano costituiti da assi in legno ricoperte di argilla ed il tetto era composto da paglia o incannicciati;
il riscaldamento era ottenuto attraverso un focolare centrale deputato anche alla cottura dei cibi. In
particolare, nella repubblica Ceca, bassa pianura lungo il corso del fiume Vltava e nei pressi della città di
Roztoky, è stato indagato un insediamento slavo di VI-VII secolo, che rappresenta comunque un unicum; è
infatti largamente l’abitato più esteso di cui si abbia notizia e sembra trattarsi di una comunità che dovette
forse il suo sviluppo al fatto di occupare una importante posizione di guado. La scoperta è stata fatta durante
la costruzione della nuova autostrada che collega Praga a Roztoky dove gli archeologi hanno potuto
indagare un contesto composto da 270 abitazioni (anche se ne sono ipotizzabili oltre 300). Si veda, con
indicazioni bibliografiche, VALENTI 2007. Per completare invece la lista delle capanne seminterrate
rinvenute in Italia si consulti FRANCOVICH, VALENTI 2007 con relativa bibliografia.

più equilibrata nella quale sostengono che l'arrivo dei gruppi alloctoni potrebbe «aver
esercitato un'influenza anche sugli insediamenti rurali autoctoni, con un reciproco
processo di acculturazione, del quale occorrerà ricostruire i molteplici aspetti a partire dai
dati attualmente disponibili» 50 . Condivido pertanto la loro posizione ma tengo a ribadire
che non dobbiamo negare aprioristicamente la presenza alloctona in coincidenza di
capanne seminterrate, oltretutto quando le associazioni di reperti spingono in tale
direzione 51 .
Capanne a livello del suolo - Sono caratterizzate dalla presenza di un'armatura di pali
direttamente infissi nel terreno, distribuiti in pianta secondo vari criteri che determinano le
varianti della struttura portante; si tratta del tipo più diffuso e con la più ampia eterogeneità
di dimensioni, piante, strutture portanti, tecnica degli elevati e distribuzione spaziotemporale
delle evidenze a livello europeo e italiano.
A Miranduolo la presenza di capanne in armatura di pali è numericamente prevalente, nel
complesso 32 casi dei quali, da un punto di vista cronologico, la maggiore parte delle
strutture, ben 21 sono attribuibili agli inizi del IX e il terzo quarto del X secolo, 8 all’VIII
secolo.
Come esempio di capanna più antica propongo una struttura che venne edificata sul più
basso versante terrazzato meridionale della collina. Un edificio quadrangolare la cui
particolarità risiede soprattutto nell’essere stato predisposto in parte tagliando
trasversalmente il declivio, in parallelo quindi ai terrazzi soprastanti, in parte incidendo la
roccia longitudinalmente per creare un’insennatura destinata alla zona settentrionale della
capanna: entrambi perimetrali, dei quali sono stati individuati 4 pali portanti di mediograndi
dimensioni, si dispongono infatti a ridosso dei tagli longitudinali. Una caratteristica
comune ai pali portanti, oltre alle grosse dimensioni dei tagli, è rappresentata dalla
presenza di consistenti zeppe in pietra nei riempimenti. Dell’edificio, che pare aver avuto
pareti a graticcio, si conservano anche i resti dei pali di rinforzo, alcuni lembi di battuto in
terra stesi sulla roccia spianata, infine un piccolo silos posto al centro dell’ambiente
principale contenente diverse cariossidi carbonizzate. Immediatamente a est, era
sistemato un annesso rettangolare; dipartendosi dal limite meridionale, si estendeva per
poco più della metà della lunghezza dell’edificio costituendo un ambiente largo circa 2,5
m, addossato lungo la parete est dell’ambiente principale, mentre la parete opposta era
innalzata su un’armatura di 5 pali; doveva trattarsi di un vestibolo all’entrata.
Come esempio di struttura databile tra IX e X secolo, propongo invece ancora uno degli
edifici dei terrazzamenti; in particolare una capanna orientata nord-sud, occupante una
superficie di circa 30 mq (7,5 x 4 m). Si conservano, oltre allo scheletro portante, i resti di
un focolare e un taglio circolare molto probabilmente relativo a una fossa granaria, vista
l’esigua profondità e il notevole diametro rispetto ai pali limitrofi. Il focolare misurava 70 x
40 cm e venne sistemato nell’angolo nord est, alloggiato a contatto diretto con la roccia.
La fossa si trovava invece nella parte opposta dell’edificio, in prossimità dell’angolo sud
50 BROGIOLO, CHAVARRIA ARNAU 2005.
51 Mi chiedo, provocatoriamente ed in deciso contrasto con i più recenti temi dell’acculturazione (con le più
ampie speculazioni alle quali hanno portato anche in tema di etnicità della cultura materiale): dove sono finiti
tutti i goti ed i longobardi che entrarono nella penisola?

est, con un diametro di circa 70 cm e una profondità di poco superiore ai 25 cm. L’edificio
era costruito a livello del suolo e articolato in un’armatura di pali perimetrali, con elevati
probabilmente in terra pressata. Tre buche centrali, di cui due obliterate dai resti del
battuto relativo alla fase più recente, indicano la presenza di un allineamento interno, sul
quale doveva impostarsi il trave di colmo del tetto. Aveva quindi una copertura a doppio
spiovente, della quale non permangono tracce; non è possibile stabilire se fosse in lastre
di calcare scistoso oppure, come più probabile, in materiale deperibile.
Edifci con fondazione in pietra - Case con basamento in muratura, solitamente a secco, ed
elevati in materiale deperibile sono diffuse nell’intero ambito europeo, significativamente
dall’VIII secolo e con continuità per tutto il medioevo.
A Miranduolo le attestazioni di questo tipo di struttura portante sono in numero di nove. Gli
zoccoli in muratura presentano generalmente una tecnica edilizia omogenea, costituita da
pietre calcaree di medio-piccole dimensioni, spaccate e solo in alcuni casi sommariamente
lavorate. Nella maggioranza dei casi il legante è costituito da terra di colore chiaro,
granulometria molto fine, consistenza compatta e con frequenti inclusi di tipo ghiaioso;
mentre in due casi solamente è attestata la presenza di legante costituito da malta di
calce.
Questi basamenti si impostano direttamente sui piani di vita, talvolta con fondazione a
fossa molto stretta, mentre la messa in opera è quasi sempre piuttosto irregolare e
raramente si distinguono corsi orizzontali o suborizzontali; frequenti le zeppature realizzate
in pietrame di piccole dimensioni. Nella maggior parte dei casi, sui basamenti erano
alloggiati i pali che costituivano l’intelaiatura per gli elevati, quasi sempre in terra pressata
e più raramente ad intreccio.
Esistono sia esempi di strutture con i quattro perimetrali fondati su basi di pietra, sia
esempi di edifici con un solo lato in pietra ed il resto della struttura articolata su uno
scheletro di pali. Per le prime rimando come esempio ottimale alla casa descritta nel
paragrafo 3. Per le seconde propongo un edificio in materiali misti che sostituì una
capanna, costituendone il rifacimento in nuove forme edilizie. Della casa con uno zoccolo
in pietra si possono quindi distinguere soprattutto le tracce in negativo degli elementi
strutturali pertinenti ai pali portanti ed il perimetrale sud. La struttura aveva forma
rettangolare a occupare praticamente l’intero terrazzo creato livellando la roccia; aveva
pianta quadrangolare ed estensione pari 6,40 x 4,20 m circa. I pali portanti orientale e
centrale della capanna dismessa furono obliterati dal basamento in pietra costruito a sud,
mentre il solo palo angolare ovest mantenne la sua funzione. La stessa soglia non subì
cambiamenti, rimanendo posizionata nell’angolo sud est, come nell’età precedente. La
copertura sembra essere stata ancora a doppio spiovente e alcuni frammenti di lastre di
calcare scistoso indicano il loro utilizzo nel tetto.
5 – Architetture “funzionali”
Miranduolo si caratterizza per l’estesa presenza di strutture destinate, tra IX e XI secolo
alla lavorazione ed all’accumulo di scorte alimentari. Erano tutte poste in coincidenza della
zona sommitale del villaggio e del successivo castello. Ci troviamo di fronte ad una varietà
di realizzazioni molto articolata, che vanno dai fornetti per l’essiccazione di granaglie ai

silos (anche tripartiti, scavati sulla roccia o realizzati portando sul poggio terra
impermeabilizzante cavata nei vicini spazi pianeggianti), dagli spazi coperti da tettoie su
pali (sia con copertura in paglia sia in lastre) a veri e propri edifici con destinazione di
magazzino.
Tutte queste strutture si succedettero in coincidenza degli stessi spazi ed il fatto che
subirono distruzione per incendio ha dato modo di poter identificare i loro elementi
costitutivi con precisione. Presenterò quindi tre diversi magazzini: uno databile nel corso
del IX secolo, gli altri due tra X-XI secolo.
Il primo, al quale ho già accennato in precedenza a proposito degli elevati a graticio,
aveva pianta rettangolare, formata da un fronte nord e ovest in armatura di pali, mentre a
est e a sud i suoi limiti venivano costituiti dagli speroni rocciosi. Il tetto era a una falda;
fortemente inclinato, si appoggiava a meridione sulla roccia. Alcune buche in prossimità
dei lati terminali e verso il centro alloggiavano i pali di sostegno del tetto; altre buche di
grandi dimensioni fungevano da alloggio per contenitori da conserva. Veniva completata
da un piano seminterrato scavato nella roccia, di forma quadrangolare con angoli stondati,
ricavato sul lato nord est: un magazzino-cantina con misure di 5 x 3 m, altezza di circa 1 m
e coperto da un tavolato che fungeva da pavimento dell’ambiente superiore.
Quest’edificio venne costruito prevalentemente in legno di quercia per i pali perimetrali e i
travetti, utilizzando invece il castagno per i travi portanti; pali e travi dovettero essere
fissati fra loro attraverso l’impiego di legacci in frassino, mentre i puntoni per incastri e
chiodature sembrano essere attestati dall’olmo. La presenza di elevati in ramaglie o simili,
pare evidenziata dal ritrovamento di rami di pruno selvatico, erica e nocciolo forse
impiegato anche per fermare le coperture in paglia. Al suo interno erano presenti alcuni
contenitori (cesti e alcuni recipienti ceramici, tra i quali un boccale monoansato a impasto
selezionato), disposti in posizioni differenti. Nei contenitori, sul lato sud dell’edificio,
venivano conservati soprattutto grano duro, in parte segale e orzo e piccole quantità di
frutti come uva, pesche, castagne, noci, nocciole e olive; mentre sul lato nord si
accatastarono prodotti forse destinati ai pastoni per gli animali (circa il 27% della
restituzione; legumi tipo il favino e la cicerchia uniti alle ghiande).
A pochi metri di distanza, tra fine X-XI secolo, fu impiantato un ulteriore magazzino; aveva
dimensioni di almeno 5,70 x 4 m ed i livelli di distruzione mostrano anche qui con
chiarezza le sue caratteristiche edilizie; aveva muri in pietra di calcare spaccata e
sbozzata, che costituivano i basamenti per elevati in terra, mentre la copertura venne
realizzata in lastrine di calcare scistoso su un’intelaiatura di travi; doveva essere a uno
spiovente inclinato di 45° a nord. Ha restituito livelli caratterizzati da un altissimo tenore
archeobotanico; 17 sono le specie arboree e arbustive riconosciute, selvatiche e coltivate,
con un numero di carboni esaminato pari a 304 unità. Le evidenze identificate come
quercia a foglie caduche (28%) e il castagno (15%) presentano in maggior parte tracce di
lavorazione e squadrature, indice di utilizzo delle specie negli elementi strutturali.
Osservate quindi le determinazioni complessive dei resti antracologici, si può affermare
che il tetto e le infrastrutture edilizie videro l’impiego di legni di quercia e di castagno per
travi e pali, di carpino nero, orniello, acero campestre, corbezzolo, sorbo, cisto, erica,
edera, sambuco, rosacee e rose per fare ramaglie e legacci.
La successione stratigrafica risultava di straordinaria portata e in eccezionale stato di

giacitura. L’intero spazio delimitato dai basamenti in pietra era infatti caratterizzato dalla
presenza di uno spesso livello di terra concotta, di colore rosso molto vivo, mista a una
quantità enorme di carboni e corrispondente al disfacimento degli elevati per incendio.
Questo livello copriva il crollo del tetto, caratterizzato da lastrine di calcare scistoso di
medie dimensioni, da terra carboniosa di colore nero con tracce di arrostimento, da un
trave di quercia bruciato, a sezione rettangolare largo circa 20 cm, conservato per una
lunghezza complessiva di 1 m circa. Il livello di battuto era composto da terra molto
compatta e spessore sottile, un’argilla giallo scura e con presenza di carboni e chiazze di
terra più scure; ha mostrato la presenza di 3.794 reperti tra cereali e legumi, 15 vinaccioli,
2 ghiande, alcuni frammenti di noccioli di frutta non identificabili, 2 tralci di vite
carbonizzati; inoltre erano presenti manici di attrezzi in legno e 2 bordi di una ciotola
anch’essa in legno. Le derrate agricole e in particolare il frumento venivano contenuti in
spessi sacchi di canapa, dei quali si sono conservati alcuni lembi.
Il magazzino, in definitiva, era usato per conservare derrate, attrezzi e contenitori; il suo
spazio interno deve immaginarsi come occupato da balle disposte al centro, forse alcune
rastrelliere sulle quali si riponevano vari tipi di frutta tra cui l’uva, attrezzi e masserizie
diverse appoggiate o appese alle pareti. Resti di queste infrastrutture possono
riconoscersi in alcune buche non riferibili a partizioni interne e nella presenza consistente
di legno e travetti apparentemente non riconducibili al sistema di copertura. Al riguardo la
presenza del pioppo supera, anche se di poco, la quercia e il castagno; la spiegazione
dovrebbe essere riconosciuta proprio nella presenza di molti frammenti di legno
carbonizzato associabili a porzioni di manufatti contenuti nel magazzino; i carboni in legno
di pioppo presentavano, infatti, una tipologia di lavorazione diversa da quella verificata nei
legni a uso edilizio, in particolare arrotondamenti e torniture.
In fase è stato indagato un ulteriore magazzino (affiancato a infrastrutture per
l’essiccazione di granaglie) con pianta rettangolare e in armatura di pali di medie
dimensioni, con pareti in terra e copertura a lastre di calcare scistoso probabilmente miste
a paglia o ramaglie; il livello di abbandono era infatti costituito da uno strato di terra nera
argillosa piuttosto compatta, mista a un numero limitato di lastrine e pietrisco. Aveva
dimensioni di 7 m in lunghezza x 2,83 m in larghezza e il tetto, a uno spiovente, era
inclinato anche in questo esempio almeno di 45° verso settentrione. I carboni raccolti
rivelano l’impiego di elementi strutturali portanti realizzati in quercia (51%) e castagno
(14%); il loro uso in tal senso viene dimostrato dalle dimensioni maggiori rispetto alla
media del campione totale e dai segni evidenti di una lavorazione a squadratura; il
rafforzamento di questa interpretazione è dato inoltre dalla presenza su molti dei carboni
di ife fungine attestanti un attacco da parte di funghi lignivori a strutture stabili. Furono
inoltre utilizzate ramaglie o legacci impiegando frassino (6%), scotano (4%), sorbo (2%),
viburno e pochi rami di vite (1%).
Venne steso un piano di calpestio in terra battuta attraverso un livello di colore marrone
chiaro e di consistenza compatta, individuato dopo aver rimosso il disfacimento della
copertura. I risultati delle analisi carpologiche indicano come all’interno della struttura si
dovevano accumulare sacchi o balle distribute in base al prodotto contenuto, già pulito
dalle glumette e pronto al consumo: la segale, il farro e il farro piccolo sono concentrati
nella zona sud ovest, mentre i grani da panificazione in quella nord est e l’orzo, presente

in percentuale minore, a est. I legumi sono scarsamente rappresentati e distribuiti in modo
uniforme su tutta l’area indagata; tuttavia per il favino è possibile individuare una maggiore
concentrazione accanto all’orzo. La distribuzione di molti arbusti evidenzia inoltre il loro
accantonamento in angolo preciso del magazzino e questo fa ipotizzare che si trattasse di
fascine da utilizzare per il fuoco. L’analisi dei fosfati presenti sui battuti, rilevando
concentrazioni di residui, conferma la destinazione prettamente di struttura destinata allo
stoccaggio di prodotti agricoli; solo nella zona sud est, dove come abbiamo visto si
concentrava soprattutto il farro, i residui organici presenti non trovano spiegazioni precise
e potrebbero indicare la conservazione di alimenti che non hanno lasciato tracce oppure
sporco derivato da attività diverse; allo stesso modo può essere interpretata l’altra
concentrazione di residui presente sugli spazi immediatamente esterni all’edificio.
6 – Achitetture “di potere”
Da un punto di vista delle tecniche costruttive non sono deducibili in linea di massima
grandi differenze tra le strutture che abbiamo individuato come pertinenti a figure
dominanti nella gerarchia sociale del villaggio e le abitazioni comuni. La vera differenza tra
i due generi di edifici si riconosce in parte nelle dimensioni ma soprattutto nell’estensione,
nella ripartizione funzionale e nella clausura dello spazio di pertinenza. Se per le capanne
e le case comuni si documentano pochi metri all’intorno, talvolta cinti da staccionate e
forse ad uso ortivo, per gli edifici più importanti è la grande superficie a disposizione e la
sua articolazione a fare la differenza. Questo da un punto di vista topografico ed
urbanistico, poichè a livello di restituzioni materiali (ossa, ceramica, vetro e metallici
soprattutto) si pongono ulteriori differenziazioni che non descriverò in questa sede. Sia per
il villaggio di periodo carolingio sia per il primo castello, l’abitazione “dominante” era posta
nella stessa posizione ed aveva articolazione simile. Il potere si riperpetuava a
Miranduolo, sempre sulla medesima superficie.
Case - La realizzazione più antica era una capanna con pianta quadrangolare costruita
tagliando la roccia per almeno 1,50 m di profondità e spianandola per poco più di 8 m in
lunghezza; il lato est, rappresentato da pali inseriti in coincidenza del taglio, distanti poco
meno di 1 m l’uno dall’altro, veniva protetto dai venti proprio dall’escavazione che fungeva
in parte da parete, mentre i pali perimetrali e quelli del lato ovest erano inseriti
direttamente sulla roccia spianata. Tre buche di palo di grandi dimensioni rappresentano
una delle tre navate con sviluppo in orizzontale; tale disposizione e la stessa scelta
costruttiva effettuata per la parete est, lasciano ipotizzare un edificio sviluppato in verticale
con la probabile presenza interna di un vano soppalcato. La struttura presenta almeno due
fasi edilizie, evidenziate da una serie buche relative a paletti di piccole dimensioni non
coerentemente allineate con le preesistenti, da riusi e buche di palo di medie e mediograndi
dimensioni sia impiantate sul riempimento di precedenti buche dimesse, sia a
tagliarne altre. Inizialmente sembra trattarsi di un edificio più piccolo, costruito tra la fine
dell’VIII secolo e i primi decenni del IX secolo, con dimensioni di 5,20 x 6,20 m; gli elevati
dovevano essere costituiti di graticci rivestiti di terra pressata, mentre la copertura, in
paglia o altro materiale deperibile, pare del tipo a un solo spiovente inclinato di 45° in
direzione ovest; scaricava cioè verso la palizzata e il fossato, anche se non si esclude

comunque la possibilità dello spiovente doppio.
Questa grande capanna fu nuovamente ricostruita, con la fondazione del castello, come
edificio con alzati in materiali misti. Le stratificazioni sono in parte danneggiate dalle
attività di cantiere svoltesi nel tempo in questa parte della sommità, ma gli elementi
identificatori della struttura, così come le sue misure, sono chiari. La nuova casa, a pianta
quadrangolare, ripercorreva infatti pressoché fedelmente l’ingombro precedente,
raggiungendo 7,90-8 x 6-6,20 m circa. Anch’essa, come la capanna più antica, doveva
avere due piani, gli elevati in terra su armatura di pali e zoccoli in pietra, un’intelaiatura di
ramaglie e incannicciato i cui resti erano presenti tra i disfacimenti degli elevati come
frammenti di intonaco bruciato con impresse nette tracce in negativo. Sfruttava in pratica
gli accorgimenti edilizi della capanna più antica, soprattutto per il limite orientale in cui
doveva aprirsi anche la porta; ma anche nel sistema di sostegno del tetto, per il quale
furono riusate numerose buche di palo, ben 14. I pali dunque, oltre a dividere in due
navate gli ambienti interni e dopo essere stati funzionali all’ancoraggio del piano
soppalcato, si associavano a un’intelaiatura di travi e travetti in legno di quercia, spesso a
sezione rettangolare, sulla quale venne stesa una copertura in lastrine di calcare scistoso
rinvenute spezzate e sovrapposte l’una sull’altra nei livelli di abbandono dell’edificio.
Clausure - Oltre al fatto che le due residenze di carattere distintivo si collocassero al centro
di estese zone deputate alla custodia dei prodotti agricoli, la differenza con le architetture
comuni si riscontra anche negli accorgimenti difensivi che chiudevano e proteggevano
l’intera area sommitale.
Due realizzazioni molto particolari caratterizzarono l’insediamento di IX-X secolo; si tratta
di una palizzata e due fossati conseguiti ad un progetto di riorganizzazione che modificò la
morfologia del rilievo e l’urbanistica del villaggio, dividendolo in due zone con diverse
destinazioni. Da una parte si isolarono gli spazi destinati alla famiglia leader, mentre i
versanti meridionali della collina, uniformati nel loro aspetto e per la cultura materiale
rinvenuta, furono invece destinati alle abitazioni dei singoli contadini.
I due fossati presentano le medesime dimensioni, pari a 35 m di lunghezza x 7 m di
larghezza, con una profondità media poco superiore ai 5 m. L’escavazione di quello est fu
probabilmente facilitata dalla sua collocazione, in quanto venne fatto cadere ai piedi del
versante collinare. Il fossato ovest, intagliato nella metà circa del pianoro sommitale,
richiese probabilmente l’asportazione di circa 1.225 mc di roccia. Pur non sapendo con
quali e quanti attrezzi venne realizzato il lavoro, disponiamo di una piccozza in ferro, molto
pesante (1,400 kg), smarrita nel corso delle operazioni di scasso.
La possente palizzata che circoscriveva la nuova area sommitale aveva pianta
quandrangolare con angoli stondati, seguiva l’andamento delle isoipse più esterne e fu
oggetto di ripetute opere di manutenzione durante il secolo circa nel quale rimase in uso.
Gli spazi meridionali hanno permesso di osservare i suoi elementi costitutivi, per la
presenza di resti di palo carbonizzati e degli elementi di “compattamento” impiegati nella
fortificazione: tronchi di olmo, assemblati attraverso intelaiature realizzate in rami di
frassino, rivestiti poi da elevati in terra intonacati anche con lo scopo di isolare dall’umidità.
Fu alloggiata sul versante roccioso scavando buche in serie e talvolta all'interno di una
fossa profonda circa 50 cm; dopo l'impianto dei pali la fossa fu riempita da uno strato di

terra e pietrisco derivante dal taglio della roccia, con uno spessore di circa 60 cm.
Con la fondazione del castello, che era limitato alla zona già definita e protetta dalla
palizzata, questa venne sostituita dal circuito murario. Una fortificazione con zoccolo in
muratura, sulla quale si impostavano una serie di pali a formare l'armatura per gli elevati in
terra, ricoperti da uno spesso strato di intonaco a base di calce. Il basamento presenta
una tecnica costruttiva piuttosto omogenea e costituito da pietrame di calcare spaccato di
dimensioni medie e medio-piccole, messe in opera in modo piuttosto irregolare.
Sono state rinvenute tracce molto evidenti del disfacimento del suo elevato e la campagna
del 2007 ha rivelato un tratto del più antico circuito murario del sito, collocato sul lato
meridionale della sommità. Sono stratigrafie relative ad un crollo, a evidenti tracce
d'incendio ed a 4 chiari allineamenti composti da pietre spaccate e sbozzate che
fungevano da basamenti dell’elevato. La particolarità consiste essenzialmente
nell'eccezionale stato di giacitura dei livelli di distruzione, fornendo così informazioni
preziose sulle tecniche costruttive a cavallo fra alto medioevo e secoli centrali. Sullo
zoccolo in pietra si impostavano una serie di pali come dimostrano sia gli alloggi
regolarmente distribuiti sia i resti di pali combusti in parte ancora in posto; costituivano
un’armatura per elevati in terra pressata, anch’essi in parte ancora in sito, ricoperti da uno
spesso strato di intonaco a base di calce a protezione dall’umidità e con il fine di
coibentare.
Gli alloggi erano formati da pietre squadrate e appositamente disposte creando un
risparmio quadrangolare o circolare; in quasi tutti i casi il taglio prosegue anche nel terreno
sottostante. Almeno due di questi alloggi risultano circondati da una ciambella di rinforzo,
formata da tratti di muro in terra di colore chiaro e mista a pietrisco perfettamente
conservati. Si segnala anche la presenza di un palo in legno di quercia carbonizzato
ancora inserito nella fondazione del muro, quindi all'interno del suo alloggio; la parte
conservata corrisponde alla punta terminale del palo e propone un diametro superiore di
12 cm, che diminuisce gradualmente all'interno del riempimento della buca di palo; gli
anelli del legno mostrano la sua posizione in verticale.
Il sistematico impiego di pali nella muratura di fondazione è attestato anche da un livello di
terra esteso sull’intera superficie compresa all’interno di questa serie di muri e formatosi al
momento dell’abbandono della cinta. Questo strato, per le sue caratteristiche, è
conseguito ad un incendio ed ha restituito almeno dodici grandi resti antracologici, rilevanti
per dimensioni e stato di conservazione, interpretabili come pali per l'intelaiatura di
supporto degli elevati. Tra essi è presente un palo di quercia con diametro di circa 20 cm,
conservatosi per una lunghezza di quasi 80 cm e 8-9 cm di spessore, con l'estremità
appuntita; questa parte terminale conservava ancora un rivestimento realizzato in
corteccia di dimensioni comprese tra i 15 e i 20 cm circa che è stato possibile identificare
come Quercus subera: il sughero, date le sue proprietà, fu impiegato quindi come elemento
impermeabilizzante posto all’estremità inferiore del palo.
L’intonaco a protezione degli alzati, una soletta di forte spessore, circa 30-40 cm,
depostasi ai piedi delle fondazioni in pietra, così come il legante di tali basamenti, furono
prodotti tramite un’apposita struttura costruita nell’angolo settentrionale della zona
sommitale.
Si tratta di un miscelatore di malta costituito da una vasca di forma circolare, ricavata nella

occia e riempita da uno strato di calce compatta di pochi centimetri di spessore; in una
buca centrale veniva inserito il palo che fungeva da perno per una struttura lignea,
costituita nella parte alta da 2 o 4 manici orizzontali. Nella parte bassa, invece, il
mescolamento era ottenuto grazie ad una specie di pettine o rastrello con denti lignei; la
sua azione, per miscelare la calce e i frammenti di pietra e sabbia, lasciava sul terreno
delle tracce in negativo sotto forma di impronte di cerchi concentrici. Probabilmente l’uso
della vasca era finalizzato esclusivamente al cantiere per la ricostruzione
dell’insediamento avvenuto intorno alla metà del X secolo e riattivata in alcuni momenti di
restauro della cinta; poco più tardi sembra essere abbandonata in modo definitivo, come
evidenzia il taglio effettuato sulla porzione sud della struttura che la rendeva praticamente
inutilizzabile. Pochi sono i confronti editi di miscelatori di malta provenienti da siti scavati
nell’area Toscana; mi limitio a ricordare come altri esempi provengono dalla Svizzera
tedesca, dalla Germania e dalla Polonia e si ritiene che essa rappresenti un’acquisizione
tecnica originale del periodo carolingio 52 .
7 - Conclusione
La diversità di scala degli interventi osservati a Miranduolo, tra le realizzazioni edilizie
legate alla famiglia o gruppo dominante e quelle legate invece alla massa dei contadini nel
periodo dal IX all’XI secolo, mostra essenzialmente le scelte del potere. In questo periodo
il confine tra il villaggio gerarchizzato ed il castello è veramente poca cosa, se non
inesistente; si trattava di un centro finalizzato costantemente allo sfruttamento delle risorse
agricolo-pastorali e di conseguenza la sua articolazione urbanistica venne relazionata alla
funzionalità.
Come ho già sottolineato in precedenza, la maggior differenza tra le aree di potere e gli
spazi contadini si riconosce a prima vista nella vastità e nella loro caratterizzazione; inoltre
nella qualità degli interventi edilizi. Elementi che di seguito discuterò.
Al riguardo mi chiedo: chi costruì o plasmò complessi articolati come quelli della zona
sommitale e chi, invece, intervenne nelle aree destinate alla popolazione?
Nel corso del IX secolo, il cambiamento deciso e netto della morfologia della collina
mostra una progettualità e questo elemento, credo, possa essere individuato come
portante per la nuova veste data al villaggio. Si decise di funzionalizzare gli spazi di
residenza privilegiata rendendoli una sorta di grande fattoria, con molte strutture di
accumulo per derrate ed attività artigianali (come l’officina di un fabbro) separati e difesi
dal resto del villaggio. Dunque un progetto per la cui messa in opera, più che la qualità
delle realizzazioni, seppur esistente, è forse la scala dimensionale delle singole strutture a
fornire indicazioni su chi di fatto eseguì i necessari lavori.
Innanzitutto la decisione di scavare i due imponenti fossati. Le analisi geoarcheologiche
hanno mostrato che per scegliere i punti di fatturazione, venne individuata la faglia tra la
roccia calcarea in posto e il detrito; le pareti confermano infatti un intervento rivolto
esclusivamente sul detrito, meno compatto del calcare, quindi più facile da scavare. Ciò
significa che nella scelta di come operare, ovvero come intervenire sulla roccia e con
quale tecnica, dovettero intervenire persone dotate di cognizione di causa. Quindi, a meno
che tale conoscenza non rientrasse in quei “saperi empirici” del contadino più volte citati
52 Si veda per il miscelatore di malta e la bibliografia relativa VALENTI 2008.

per spiegare le architetture rurali altomedievali, credo si possa pensare alla presenza di
personale specializzato. In tale direzione potrebbe leggersi anche la presenza dell’unico
strumento, fra quelli potenzialmente utilizzati, che è stato restituito dallo scavo: la pesante
piccozza in ferro molto simile, per forma e dimensioni, agli attrezzi in uso presso i cavatori.
Credo comunque che gran parte del lavoro fisico sia stato svolto anche dalla popolazione
del villaggio, nell’ambito delle opere e prestazioni dovute alla famiglia dominante.
In secondo luogo la palizzata che seguì i fossati, o che fu innalzata contemporaneamente,
fu un’opera anch’essa impegnativa e tale da richiedere un numero consistente di persone;
si dovettero tagliare alberi e lavorare i grandi pali, approssimativamente in numero di 160
circa; vennero scavate trincee e buche per alloggiarli sulla cresta dei versanti derivati
dall’escavazione dei fossati; furono raccolti grande masse di arbusti di frassino per
realizzare uno scheletro di graticci così ampio da rivestire un elevato a chiudere 400 mq
circa di superficie; infine vi venne pressata terra impastata con acqua. La quantità di
lavoro non era indifferente ma le capacità tecniche richieste, in questo caso, non erano
estranee alla stessa popolazione del villaggio che, ancora, vedo impegnata in opere e
prestazioni dovute.
Lo stesso discorso vale per la costruzione della casa principale difesa dalla palizzata.
Seppur di maggiori dimensioni delle capanne “popolari” e seppur dotata di due piani,
poteva essere stata edificata con le medesime modalità. Nel complesso, quindi, vista
anche la sistematicità dei lavori svolti, nonchè la sua organicità, sono maggiormente
propenso a pensare all’opera di contadini che probabilmente fungevano da massa
lavorativa inserita nel gruppo di lavoranti professionali ingaggiati.
Se la presenza di specialisti in grado di progettare od assolvere ad una richiesta rimane
solo un’ipotesi, seppur suffragata da alcuni indizi, il loro operato si osserva invece con
maggior chiarezza in relazione alla modificazioni di metà X-XI secolo.
Per trasformare l’area sommitale in un complesso con difese rinforzate, definito castello
dalle fonti scritte, vennero ingaggiate probabilmente delle maestranze che furono in grado
di costruire elevati difensivi di una nuova tipologia ed approntare macchinari particolari a
tal fine. A prima vista, per la presenza di una fortificazione in cui si utilizzano materiali
misti, pur di fronte alla presenza del miscelatore di malta, si potrebbe pensare a
maestranze di basso livello; o, addirittura, locali che continuavano a svolgere prestazioni
d’opera per la figura dominante, replicando sistemi costruttivi appresi vedendo o
collaborando in uno dei cantieri aperti nel IX e nel X secolo tra i villaggi ed i monasteri
dislocati dalla Val di Merse alla costa tirrenica.
Ma la tecnica impiegata nella costruzione del circuito difensivo richiese senza dubbio
perizia e grande abilità; mi chiedo: avrebbe fatto differenza realizzare un muro interamente
in pietra? In altre parole avrebbe avuto il significato di maestranze professionalmente più
elevate?
Io credo di no; se la fase di cavatura e lavorazione della pietra fu in questa situazione
un’opera meno impegnativa sia come tempistica di lavoro sia come abilità (gli zoccoli non
sono in conci squadrati, bensì appena sbozzati), se non erano presenti scalpellini nel
cantiere (oppure seppur presenti non fu richiesta o necessaria tale specializzazione), ben
diversa fu però la messa in opera degli elevati. Si trattò infatti di una costruzione
tecnicamente raffinata, per la quale fu necessario sapere realizzare fondazioni di grande

spessore, ricercare e lavorare legname, scegliere dall’immediato entroterra di Miranduolo
la terra giusta per gli alzati, conoscere la tecnica del pisé, infine essere in grado di
approntare un macchinario per produrre sia legante per i basamenti sia il materiale
coibentante da stendere sull’elevato.
Per queste ragioni non credo a lavori svolti solo da locali. Ed in tale direzione si evincono
indicatori indiretti anche osservando le case dei versanti, ora borgo del castello. Ci
troviamo così di fronte a una trama fitta di abitazioni, separate da spazi aperti di breve
estensione, edificate con la stessa tecnica applicata per la costruzione della cinta muraria.
Queste case però dovettero essere edificate dai loro stessi abitanti; non credo a una
progettazione complessiva dell’intero insediamento. Credo invece più a contadini che
acquisirono nuove conoscenze tecniche perché attivi in prestazione d’opera nel cantiere
del castello od osservando il lavoro dei professionisti.
La differenza tra la qualità delle opere registrata in sommità e quella delle strutture
edificate sui versanti è palese; gli edifici del borgo sono quasi tutti irregolari e con una
scelta sempre casuale delle pietre destinate ai basamenti di fondazione. Anche i leganti
riscontrati risultano differenziati tra loro e prodotti da mani diverse in momenti diversi;
variano infatti da un tipo di legante fortemente dilavato di colore d’insieme bianco, di
consistenza friabile e scarsa aderenza composto esclusivamente da calce, a un tipo di
malta di allettamento, essa stessa molto dilavata, caratterizzata per il colore d’insieme,
variabile da bianco a grigio chiaro, per la scarsa adesione e la coesione friabile, per
l’aggregato di aspetto dimensionale vario, anche molto grossolano, con presenza di
numerosi grumi bianchi.
In definitiva a Miranduolo tra VII e XI secolo si impiegarono costantamente gli stessi
materiali edilizi e la maggioranza della popolazione edificò sempre le proprie abitazioni
con le proprie mani e le proprie risorse. Il potere, invece, che iniziò a manifestarsi con
chiarezza dal IX secolo, oltre ad utilizzare costantemente gli stessi spazi, operava in una
scala dimensionale ben diversa dai processi edilizi che investirono il resto
dell’insediamento, si dotava di un numero consistente di strutture accessorie e funzionali,
impiegava specialisti nella realizzazione di un progetto ben chiaro e definito. Ai lavori
necessari partecipavano anche i contadini che popolavano i versanti della collina e, le
novità mostrate dale maestranze attive nella zona sommitale (soprattutto la produzione di
malta e l’introduzione di costruzioni con basamenti di fondazione in pietra), portarono ad
un graduale cambiamento del villaggio introducendo nuove tecniche; tecniche replicate
come meglio si poteva ma pur sempre da persone la cui attività era tutt’altra cosa del
costruire.
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