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Dopo l'ultimo strale del Signore contro la condotta umana, l'omelia volge al<br />

termine. Ancora una volta l'anonimo predicatore affida all'espressione a butan ende il<br />

compito di segnalare in maniera forte la conclusione non solo del breve e incisivo<br />

discorso del Salvatore, ma anche quella dell'intera sezione dedicata al motivo dell'ubi<br />

sunt: così come era stato già in precedenza, dunque, l'omelista vercellese fa uso di una<br />

delle più diffuse formule conclusive per isolare una sezione del suo componimento da<br />

quel che la circonda, riuscendo così non solo a segnalarne la presenza e a metterne in<br />

risalto i contenuti, ma anche a cadenzare in maniera chiara il succedersi dei differenti<br />

nuclei tematici che compongono una omelia dai molteplici volti.<br />

Secondo quello che è uno schema fisso dell'omiletica insulare, l'ultimo spezzone<br />

del componimento è dedicata all'invito a godere del Regno di Dio: il cambiamento di<br />

registro stilistico rispetto alla sezione precedente è, ancora una volta, evidente.<br />

L'anonimo predicatore, infatti, dopo avere spronato se stesso e chi lo sta ascoltando a<br />

rivolgersi con animo puro a Dio, inizia a descrivere con incedere litanico e fortemente<br />

anaforico le grandiose bellezze del Regno del Padre: lì sarà possibile godere della vista<br />

del Signore e portargli giusta adorazione, e in quel luogo di eterna gioventù e saggezza<br />

infinita ognuno potrà godere della Sua Gloria insieme alle schiere riunite di angeli, santi<br />

e patriarchi 139 .<br />

L'eterna gioia e l'esultanza perpetua sarà poi lì accompagnata dalla musica e dalla<br />

lode perpetua del Signore, in uno spettacolo di bellezza incomprensibile alla semplice<br />

mente umana:<br />

“Þær is sang ond swinsung ond Goðes lof gehyred, ond þæs hyhstan cyninges gehyrnes, ond sio<br />

biorhtu þara haligra sawla ond þara soðfæstra scinaþ swa sunne, ond þa men rixiað swa<br />

englas on heofenum. ond we syndon þyder gelaðode ond gehatene to þan halegan ham ond to<br />

þam cynelycan friðstole þær drihten Crist wunaþ ond rixað mid eallum halegum a butan<br />

ende, amen” 140<br />

139 Nella descrizione delle schiere celesti che accompagneranno il Signore e godranno della Sua vista,<br />

l'omelista utilizza l'espressione geferræden apostola (la congrega degli apostoli), formula che richiama<br />

alla memoria la cacciata dei peccatori descritta nella prima sezione dell'omelia: in quell'occasione i<br />

malvagi, infatti, erano stati esclusi dal seguito di Dio (geferrærredenne) e così scacciati lontano da<br />

Lui. La reiterazione di tale sostantivo potrebbe, dunque, non solo costituire un nuovo sottile<br />

parallelismo all'interno della struttura argomentativa del sermone, ma anche creare una esplicita<br />

contrapposizione fra le due schiere di anime descritte nei due passi, quella dei peccatori e quella dei<br />

virtuosi.<br />

140 Cfr. Scragg 1992, p. 213.270-275; “Lì vi è canto e melodia e lode di Dio udita, e l'ascolto<br />

dell'Altissimo Re. E lo splendore delle sante anime, e i giusti brilleranno come il sole e gli uomini<br />

regneranno nei cieli come angeli. E noi siamo invitati là e chiamati a quella santa casa e a quel<br />

santuario regale, dove il Signore Cristo dimora e regna con tutti i santi per sempre senza fine.<br />

Amen.”.<br />

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