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traccia, insomma, è un vero percorso che, dall'iniziale hic et nunc delle cose umane (ben<br />

espresso dalla reiterazione della formula her in worulde), progressivamente guida il fedele<br />

a prendere coscienza prima dell'ineluttabilità del momento della dipartita da questa vita<br />

e, successivamente, di quella del severo Giudizio del Signore 132 .<br />

Un ultimo sprone alla rettitudine<br />

Con l'amara constatazione della transitorietà delle cose terrene si conclude la<br />

sezione di più spiccata e intensa parenesi della decima omelia vercellese: dopo tale<br />

accorato richiamo a scegliere attentamente fra il bene ultraterreno e quello materiale,<br />

infatti, il ritmo dell'omelia inizia a scemare, e il componimento si avvia a conclusione,<br />

non prima, però, di avere nuovamente ricordato ai fedeli l'importanza della preghiera.<br />

Come è stato ampiamente dimostrato, le cose terrene sono passeggere per<br />

natura, e, per questo, a esse non è saggio dedicare energie che andrebbero invece rivolte<br />

al bene della propria anima 133 : non ci è dato sapere, infatti, in che modo il Signore terrà<br />

conto delle nostre azioni terrene al momento del Giudizio.<br />

132 Non va dimenticato, inoltre, come la spiccata dicotomia fra questo mondo e quello che verrà donato<br />

dal Signore ai meritevoli sia anche amplificata dal confronto fra il vero Giudice, quel Dio le Cui<br />

intenzioni sono inconoscibili all'uomo, e quei giudici terreni, la cui giustizia è soggetta alla<br />

corruzione e alla morte.<br />

133 “For þan nis naht ne selre þonne we lufigen urne dryhten mid ealle mode, ond mid ealle mægene, ond ofer<br />

eallum urum ingehiedum.”; cfr. Scragg 1992, p. 211.246-247; (Perciò non vi è nulla di meglio che<br />

noi amiamo il nostro Signore con tutta la nostra mente e con tutte le nostre forze, e con tutta la<br />

nostra mente [comprensione]). In merito all'operazione di rielaborazione messa in atto dall'anonimo<br />

omelista vercellese, Samantha Zacher ha messo in evidenza come la seconda parte del teme dell'ubi<br />

sunt sia nella sostanza incorniciata da una doppia attestazione dell'espressione for þan nis naht (per<br />

questo non vi è nulla). La prima di esse è inserita in chiusura della descrizione della rovina alla<br />

quale andrà incontro il sepolcro del potente, quando l'omelista lancia un nuovo richiamo a non farsi<br />

ingannare dalla caducità delle cose terrene: “[...] for þan nis naht þysses middangeardes wlite ond þysse<br />

worulde wela; he is hwilendlic ond yfellic ond forwordenlic, swa ða rican syndon her in worulde.”; cfr.<br />

Scragg 1992, p. 210.231-233 ([…] per questo non sono nulla la bellezza di questa terra e la ricchezza<br />

di questo mondo, essa è transitoria e perfida e mortale, così come [lo] sono i ricchi qui nel mondo).<br />

La seconda, invece, è posta poco dopo la conclusione del motivo dell'ubi sunt, immediatamente<br />

dopo la formula a butan ende: mentre nel primo caso la formula for þan nis naht era da ascriversi alla<br />

volontà di tradurre un'espressione attestata nella fonte latina (brevi est huius mundi felicitas), la<br />

seconda sua attestazione non ha ascendenze latine, ed è dettata da una precisa volontà rielaboratoria<br />

dell'anonimo autore. Questi, infatti, sembra non solo voler creare una sorta di parallelismo con<br />

quanto espresso in precedenza, ma appare anche guidato dalla volontà di segnalare in maniera forte<br />

l'inizio di una nuova sezione, indipendente da qualunque fonte latina e spiccatamente imperniata<br />

sull'invito a ottenere gioie celesti in cambio dei caduchi beni terreni, tematica peraltro rintracciabile<br />

anche in due omelie rogazionali vercellesi (Vercelli XI e Vercelli XII). Cfr. Zacher 2004, p. 74.<br />

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