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latina: il Sermo de elemosnis, testo omiletico dalla forte connotazione escatologica,<br />

attribuito a Cesario di Arles 118 .<br />

In tale sermone, il Vescovo di Arles descrive con minuzia di dettagli il duro<br />

strale pronunciato dalle ossa, ormai in disfacimento nel sepolcro, nei confronti di coloro<br />

i quali sono ancora in vita: ci troviamo di fronte forse a uno dei testi latini che<br />

maggiormente ha influito sullo sviluppo e sul successivo successo in ambito insulare del<br />

tema del discorso delle ossa 119 , motivo che per la sua spiccata carica escatologica spesso<br />

sarebbe stato accostato, al pari di quello del discorso dell'anima al corpo, al motivo<br />

dell'ubi sunt 120 . Nelle parole delle ossa compare, infatti, tutta la forza immaginifica e il<br />

cupo ammonimento tipici di tale tematica:<br />

“Rogo, vos fratres, aspicite ad sepulchra divitum, et quotiens iuxta illa transitis, considerate<br />

et diligenter inspicite, ubi sunt illorum divitiæ, ubi ornamenta, ubi anuli vel inaures, ubi<br />

diademata pretiosa, ubi honorum vanitas, ubi luxoriæ voluptas, ubi spectacula vel furiosa vel<br />

cruenta vel turpia. Certe transierunt omnia tamquam umbra.” 121<br />

Le reiterate questiones evocate dal Vescovo di Arles sembrano chiamare in causa,<br />

a differenza di quelle poste in essere da Isidoro, non tanto i grandi della terra o coloro i<br />

quali divengono famosi per la loro ricchezza, quanto una schiera di beni prettamente<br />

materiali e terreni (quali divitia e ornamenta, o anuli, inaures e diademata pretiosa), e di<br />

sostantivi astratti (la vanitas degli onori e la voluptas della lussuria) che, insieme agli<br />

spectacula, costituiscono nella sostanza ciò che rende grandiosa la vita stessa dei potenti.<br />

Proprio questo aspetto del tutto peculiare dell'argomentazione di Cesario spinge a<br />

considerarla quale ramificazione e ulteriore variante del tema dell'ubi sunt, una differente<br />

forma della medesima argomentazione che ha ancora una volta precise radici scritturali,<br />

118 Omelia edita in Morin 1953, I, pp. 134-138.<br />

119 Una versione di tale motivo doveva essere in origine contenuta anche all'interno di uno dei<br />

componimenti del Vercelli Book, nello specifico all'interno della terza delle omelie rogazionali,<br />

generalmente conosciuta con il nome di Vercelli XIII: di tale componimento ci è giunta, però, la sola<br />

sezione iniziale e quella finale (nello specifico quella contenente l'ultima sezione dell'ammonimento<br />

delle ossa), condizione dettata dalla perdita di almeno un foglio. Il fatto che essa costituisca un<br />

unicum all'interno del corpo delle omelie anglosassoni a noi giunte non permette poi di colmare in<br />

alcun modo tale lacuna, dato che non rende però del tutto impossibile apprezzare l'incisività e<br />

l'eleganza che il monito delle ossa doveva avere assunto all'interno del componimento vercellese,<br />

secondo movenze del tutto simili a quelle messe in mostra in ambito insulare in numerose omelie di<br />

argomento escatologico. La genesi e lo sviluppo del tema del discorso delle ossa, insieme a una<br />

analisi dei suoi caratteri peculiari e del suo successo in ambito insulare (con riferimenti espliciti<br />

anche a Vercelli XIII), è stata discussa in Cross 1957, pp. 434-439.<br />

120 I testi di area anglosassone a noi giunti che ci tramandano una versione dell'ubi sunt di ascendenza<br />

cesariana, come abbiamo visto, sono purtroppo solamente due, Blickling X e Irvine VII; cfr. supra p.<br />

339 nota 106. Per una analisi dettagliata del profondo intreccio che in ambito anglosassone lega i<br />

death themes con il motivo dell'ubi sunt si veda Lendinara 2002, pp. 67-80 e Di Sciacca 2008, pp.<br />

135-138.<br />

121 Cfr. Morin 1953, p. 135.<br />

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