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Una spiegazione, seppure parziale, della complessità del brano vercellese<br />

potrebbe però giungere dalla analisi delle sue possibili fonti di ispirazione. Il passo<br />

isidoriano dedicato alla tematica dell'ubi sunt sorprende, come di consueto, per la sua<br />

sinteticità colma di forza e incisività dottrinale:<br />

“Brevis est hujus mundi felicitas, modica est hujus sæculi gloria, caduca est et fragilis<br />

temporalis potentia. Dic ubi sunt reges? Ubi pricipes? Ubi imperatores? Ubi locupletes rerum?<br />

Ubi potentes sæculi? Ubi divites mundi? Quasi umbra transierunt, velut somnium<br />

evanuerunt.” (PL 83, col. 865)<br />

Le figure evocate all'interno delle incalzanti questiones isidoriane rappresentano,<br />

nella sostanza, un distillato di quelle classi più alte che gestiscono i governi terreni, e<br />

insieme di quei ceti più facoltosi e influenti che muovono la società umana: nel suo<br />

chiamare in causa i reges, i principes e gli imperatores, così come immediatamente dopo i<br />

locupletes rerum, i potentes sæculi e i divites mundi, il passo dei Synonima diviene<br />

realmente una delle più fedeli rappresentazioni della versione di ascendenza classica<br />

dell'ubi sunt cristiano.<br />

Nonostante il suo innegabile pregio stilistico e, in particolar modo,<br />

contenutistico, il brano dei Synonima non è però in grado di rendere totalmente giustizia<br />

alla complessità e alla ricchezza argomentativa non solo della versione vercellese dell'ubi<br />

sunt, ma anche di quella della maggioranza delle sue attestazioni anglosassoni. La doppia<br />

serie di domande retoriche del brano vercellese, capace di spaziare con apparente<br />

leggerezza dalla disgregazione dei potenti e dei poteri secolari a quella delle bellezze<br />

terrene e della prosperità dell'umana società, sembra infatti ripercorrere quel duplice<br />

binario biblico e pagano che nei secoli ha progressivamente arricchito le differenti<br />

formulazioni della tematica dell'ubi sunt.<br />

Ferma restando la profonda dipendenza dell'ultima sezione di Vercelli X dai tre<br />

brevi capitoli dell'opera del Vescovo di Siviglia, è possibile dunque che alla base della<br />

ricchezza argomentativa, così come della duplice struttura sintattica, del brano vercellese<br />

possa essere riscontrabile l'azione e l'influsso, forse indiretto, di una seconda fonte<br />

omelia anonima di ambito anglosassone di epoca piuttosto tarda, Irvine VII. Tale componimento<br />

combina il contenuto dell'ultima parte di Vercelli X (pressapoco l'ultimo terzo dell'omelia, dal tema<br />

dell'ubi sunt fino alle formule di chiusura) con materiali tratti da una seconda omelia a noi perduta.<br />

La prima metà dell'omelia Irvine è, infatti, costituita dall'avvicendarsi di tre filoni tematici di grande<br />

impatto escatologico: a una prima parte incentrata sul motivo cesariano della visita ai sepolcri dei<br />

defunti (con conseguente passo dell'ubi sunt), segue una dettagliata descrizione del Giorno del<br />

Giudizio e delle parole rivolte dal Redentore alle anime virtuose e a quelle peccatrici, elemento<br />

narrativo che dà origine all'ultimo dei tre nuclei tematici, quello dell'ammonizione a riflettere sulla<br />

fragilità della natura umana. Tale sermone ci testimonia, dunque, due ben distinte sezioni dedicate<br />

all'ubi sunt, ciascuna delle quali tratta da una specifica fonte latina e portatrice di una differente<br />

versione della tematica in oggetto. Cfr. infra, p. 355 nota n. 123.<br />

353

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