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L'avere posto i fedeli di fronte a tale chiara consapevolezza sembra, però, non<br />

essere ancora sufficiente, e l'omelista, dopo avere chiamato in causa il destino delle<br />

istituzioni umane, torna a domandarsi che cosa è rimasto delle bellezze e delle ricchezze<br />

materiali:<br />

“Hwær coman middangeardes gestreon? Hwær com worulde wela? Hwær cwom foldan<br />

fægernes? Hwær coman þa þe geornlicost æhta tiledon ond oðrum eft yrfe læfdon? Swa læne is<br />

sio oferlufu eorðan gestreona, emne hit bið gelice rena scurum, þonne he of heofenum swiðost<br />

dreoseð ond eft hraðe eal toglideð -- bið fæger weder ond beorht sunne. Swa tealte syndon<br />

eorðan dreamas, ond swa todæleð lic ond sawle” 114<br />

Seppure stilisticamente molto simile a quella che la precede, la seconda serie di<br />

domande retoriche poste dal predicatore al suo uditorio sembrano avere un tono<br />

volutamente più elevato, funzionale a un contenuto, se possibile, ancora più<br />

spiccatamente escatologico: la studiata reiterazione della formula hwær com/hwær<br />

coman 115 sembra infatti volere mettere in risalto, più che concetti quali la ricchezza e la<br />

prosperità, il loro progressivo e inesorabile decadere. L'intero passo appare quasi ruotare<br />

intorno a un singolo aggettivo, læne, la cui vera portata immaginifica è esemplificata<br />

nella similitudine fra la repentina transitorietà delle ricchezze e degli scrosci di pioggia,<br />

entrambi altrettanto veloci nel giungere così come nello svanire asciugati da due entità<br />

superiori come Dio e il Sole 116 : l'ubi sunt vercellese, dunque, appare costituirsi non solo<br />

di due sezioni distinte, ma anche, cosa ben più interessante, essere costruito su due<br />

differenti e autonomi registri stilistici 117 .<br />

Blickling VIII (testo che, come abbiamo avuto modo di specificare, non presenta legami di<br />

discendenza dalla versione isidoriana dell'ubi sunt): “[...] and hwær com se þe þa gebregdnan domas<br />

demde?” ([...] dove è andato colui che ha pronunciato false sentenze?). Cfr. Di Sciacca 2003, p. 245<br />

nota 55 (le traduzioni di entrambi i passi qui citati sono da attribuirsi a Di Sciacca) .<br />

114 Cfr. Scragg 1992, p. 211.238-244; “Dove sono andati i tesori della terra? Dove è finita la prosperità<br />

del mondo? Dove sono andate le bellezze della terra? Dove sono andati coloro i quali con grande<br />

zelo hanno lottato per ottenere terre e poi hanno lasciato una eredità ad altri? Così transitorio è<br />

questo amore eccessivo per i tesori terreni: esso è simile agli scrosci di pioggia, quando essa cade più<br />

intensamente dai cieli e dopo velocemente essa svanisce, ed è bel tempo e sole splendente. Così<br />

fragili sono le gioie terrene, e così l'anima e il corpo si dipartono [l'una dall'altro].”.<br />

115 La reiterazione dell'interrogativa introdotta dall'espressione hwær com/hwær coman come vedremo<br />

non è caratteristica della sola decima omelia vercellese: essa accomuna, infatti, un corpo di testi<br />

piuttosto cospicuo, comprendente Blickling VIII, Assmann XIV, Blickling X, Irvine VII e, in ambito<br />

poetico, il Wanderer.<br />

116 É a mio parere di un certo interesse osservare come, proprio all'interno dell'unico testo del canone<br />

biblico attribuito all'Apostolo Giacomo (il medesimo personaggio chiamato in causa dall'omelista<br />

vercellese nella sezione centrale del suo componimento), la transitorietà delle fortune dei ricchi<br />

venga descritta attraverso una similitudine con un fiore seccato dal calore del sole: “Glorietur autem<br />

frater humilis in exaltatione sua; dives autem in humilitate sua, quoniam sicut flos fœni transibit.<br />

Exortus est enim sol cum ardore, et arefecit fœnum, et flos ejus decidit, et decor vultus ejus deperiit; ita et<br />

dives in itineribus suis marcescet.” (Jac. I, 9-12).<br />

117 Altrettanto evidentemente costruita su due registri stilistici differenti appare essere una seconda<br />

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