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letteratura cristiana del tardo-antico e del primo medioevo, nella quale l'ubi sunt diviene<br />

il veicolo privilegiato per l'esternazione di quel disprezzo per le cose del mondo così caro<br />

all'escatologia di matrice cristiana. La diffusione e il progressivo vasto successo di questa<br />

tematica in tale ambito conosce nelle opere di Efrem Siro 108 , prima, e di Isidoro di<br />

Siviglia 109 , poi, due tappe fondamentali: il grande influsso di tali personaggi sulla<br />

cristianità altomedievale, e in modo particolare sulla crescente realtà monastica, ha<br />

infatti dato modo all'ubi sunt di divenire uno dei nuclei argomentativi di maggior peso<br />

all'interno della letteratura cristiana di genere parenetico ed escatologico.<br />

all'interno delle opere di Seneca: esse si limitano a soli due passi, rispettivamente delle Lettere a<br />

Lucilio (Epistulæ ad Lucilium, CVII, 1) e della Consolatio ad Helviam matrem (XV, 1). Un discorso a<br />

parte meritano, invece, i Ricordi di Marco Aurelio, nei quali il motivo dell'ubi sunt sembra occupare<br />

una posizione di rilievo all'interno dei pensieri redatti dall'imperatore-filosofo (V, 33; VII, 58; VIII,<br />

25; XII, 27): un ruolo fondamentale in questo caso deve avere esercitato la profonda conoscenza<br />

della cultura greca da parte di Marco Aurelio, una formazione di impianto stoico che deve avere<br />

certamente influenzato in modo cospicuo la sua visione spesso cupa della morte e delle vanità<br />

umane. È opinione comune, però, che tale opera filosofica abbia avuto un impatto pressoché nullo<br />

sulla genesi della formulazione cristiana dell'ubi sunt. Fra i poeti della latinità pagana, invece, tale<br />

tematica ha trovato cospicua esplicazione nelle opere di personaggi quali Tibullo, Ovidio e Stazio.<br />

Mentre per quanto concerne il primo è a noi giunta una singola attestazione del motivo in oggetto<br />

(in Carmina, II, 3, 27), nei restanti due essa trova uno spazio certamente più ampio: in Ovidio passi<br />

riconducibili all'ubi sunt sono attestati in numerosi passi delle Metamorfosi (Metamorphoses, IV, 592-<br />

593; VII, 499-500; XI, 422; XIII, 92 e 340-341) e in un gruppo di versi degli Amores (III, 9, 38-42),<br />

nei quali, però, non compare il classico schema argomentativo basato sulla reiterazione delle<br />

espressioni ubi est/ubi sunt; nel corpo delle opere di Stazio, degni di attenzione sono l'Ecloga I del<br />

Libro II delle Silvæ (in modo particolare i vv. 41-55, seppure l'intero componimento desti<br />

nell'insieme un certo interesse) e due passi della Tebaide (V, 613-616 e XII, 311-312). Liborio<br />

richiama, in ultimo, l'attenzione su ulteriori due autori classici, uno di ambito latino e l'altro di<br />

cultura greca: Orazio e Plutarco. Echi del motivo qui discusso sono riscontrabili, infatti, sia nel<br />

compianto per la morte di Archita (Carmina, I, 28), dove però non compare in maniera esplicita la<br />

formula retorica dell'ubi sunt, sia, per quanto concerne Plutarco, in Consolatio ad Apollonium XV,<br />

110 D. Cfr. Liborio 1960, pp. 143-148.<br />

108 Per un quadro introduttivo completo ed esaustivo sulla complessa figura di Efrem Siro (oltre che<br />

sulla molto vasta produzione in lingua siriaca, greca e latina a lui più o meno correttamente<br />

attribuita) si veda la voce a lui dedicata nel IV volume del Dictionnaire de spiritualité ascétique et<br />

mystique. Fra le più antiche e influenti attestazioni del tema dell'ubi sunt di ambito cristiano vi è,<br />

appunto, quella tramandataci all'interno di una raccolta di inni funebri attribuita a Efrem, i<br />

Necrosima (in particolare si veda: Necrosima XLIII, Assemani 1742-1743, III, p. 308-311). Per<br />

quanto concerne il controverso grado di diffusione e il successo in ambito insulare delle opere<br />

(originali e a lui ascritte erroneamente) del Padre della Cristianità orientale si vedano, fra gli altri:<br />

Bestul 1981, pp. 1-24; Sims-Williams 1985, pp. 205-226; Stevenson 1998; Ganz 1999; Wright<br />

2002, pp. 228-256 (contributo in merito alla probabile derivazione della sezione iniziale di Vercelli<br />

IV e dell'Omelia di Macario da un sermone attribuibile a Efrem); Di Sciacca 2003, pp. 226-227; Di<br />

Sciacca 2006, pp. 381-387; Di Sciacca 2008, pp. 107-108.<br />

109 Come detto, la versione isidoriana dell'ubi sunt è contenuta all'interno di tre brevi capitoli del<br />

Secondo Libro dei Synonima, a oggi ritenuta la fonte d'ispirazione principe alla base della capillare<br />

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