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Tale motivo dai forti contenuti elegiaci ha radici piuttosto antiche: prima che<br />

nella latinità cristiana, essa è già ampiamente attestata in quella classica, sia in opere in<br />

versi, sia all'interno di testi in prosa 107 . In tale ambito culturale, però, l'ubi sunt si<br />

configura come un grido di rimpianto verso quel che l'azione del tempo strappa e<br />

distrugge, in un ragionare che si esplica attraverso elenchi, spesso anche corposi, di<br />

uomini valorosi e antiche città la cui gloria è ormai perduta per sempre. Estraneo al<br />

comune pensare delle opere della latinità classica è, invece, quel moto di sofferta<br />

riflessione sulla vanità e sulla morte che così cospicuo peso ricopre nella successiva<br />

dei Synonima di Isidoro di Siviglia contenuto nel ms. Cotton Tiberius A.iii, le omelie Blickling V,<br />

Blickling VIII, Blickling X, Assmann XIV, Irvine VII e Vercelli IV. Soli due testi in versi, i poemetti<br />

Wanderer e Seafarer, ci infine testimoniano una rilettura in chiave poetica della tematica della<br />

decadenza delle cose terrene. Come avremo occasione di valutare nel corso dell'analisi del passo<br />

vercellese, alla base di gran parte delle formulazioni anglosassoni dell'ubi sunt vi è una commistione<br />

di varie tradizioni di ascendenza latina, riassumibili (seppure in maniera forse troppo rigida) nei<br />

quattro filoni tematici rappresentati da altrettanti testi della cristianità latina: i Synonima di Isidoro<br />

di Siviglia, lo pseudo-agostiniano Sermo ad fratres in eremo 58, il Sermo de elemosinis di Cesario di<br />

Arles e, infine, l'Admonitio ad filium spiritualem dello Pseudo-Basilio. Una schiacciante maggioranza<br />

dei tredici testi anglosassoni ha fra le sue fonti, in maniera più o meno esclusiva, l'opera del Vescovo<br />

di Siviglia: oltre all'omelista di Vercelli X e ovviamente al traduttore dell'escerto dei Synonima, da<br />

tale testo latino prendono ispirazione anche gli autori dell'Omelia di Macario, del Sermo Augustini<br />

(testo edito in Fadda 1977, pp. 144-157), della glossa al Liber Scintillarum (pubblicata in Rochais<br />

1957, pp. 228-230) e l'anonimo poeta del Seafarer (edito in Muir 1994, I, pp. 232-236). Due delle<br />

rimanenti omelie, Blickling X (edita in Morris 1967, pp. 106-115) e Irvine VII (pubblicata in Irvine<br />

1993, pp. 197-202), affondano le loro radici nel sermone sull'elemosina di Cesario di Arles; le<br />

omelie Blickling VIII e Assmann XIV (edite rispettivamente in Morris 1967, pp. 97-105 e in<br />

Assmann 1889, pp. 163-169), di contro, sembrano derivare da quel Sermo 58 per lungo tempo<br />

erroneamente attribuito ad Agostino di Ippona. La sola omelia Blickling V (edita in Morris 1967,<br />

pp. 54-65) appare rifarsi ai contenuti di un secondo testo dalla controversa attribuzione, l'Admonitio<br />

ad filium spiritualem. Non è stato a oggi possibile, infine, individuare alcuna fonte certa per le<br />

rimanenti due attestazioni anglosassoni dell'ubi sunt, quelle contenute nel Wanderer (edito in Muir<br />

1994, I, pp. 218-222) e in una seconda omelia del codice vercellese, Vercelli IV (omelia edita in<br />

Scragg 1992, pp. 90-104). Per maggiori informazioni bibliografiche in merito a ciascuno dei testi<br />

qui elencati si veda la ricca bibliografia fornita in Di Sciacca 2003, pp. 230-234 e note 22-34. Per<br />

una analisi dei contenuti della breve versione dell'ubi sunt contenuta all'interno della quarta omelia<br />

vercellese si veda supra, cap. II, p. 125-126.<br />

107 Per quanto concerne gli autori di testi in prosa latina che fanno uso di tale motivo, Liborio richiama<br />

l'attenzione nello specifico su tre grandi personaggi quali Cicerone, Seneca e, in ultimo, Marco<br />

Aurelio. Per quanto concerne il grande retore e avvocato, formulazioni riconducibili all'ubi sunt sono<br />

rilevabili nell'Ottava Filippica (M. Antonium Oratium Philippica, VIII, 8, 23) e nell'orazione in<br />

difesa di Plancio (Oratio pro Cn. Plancio, XIII, 33), oltre che nella famosa epistola consolatoria<br />

indirizzata a Cicerone e vergata da Servio Sulpicio in occasione della morte di Tullia (Epistulæ ad<br />

familiares, IV, 5, 2-4): quest'ultima, seppure non presenti la reiterazione anaforica delle proposizioni<br />

interrogative introdotte da ubi sunt/ubi est, desta un ragionevole interesse in quanto rappresenta la<br />

prima attestazione di quella variante del motivo che, ai nomi dei grandi uomini del passato,<br />

sostituisce quelli delle gloriose città. Meno ricche sono le testimonianze di questa tematica<br />

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