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passi delle Scritture.<br />
L'omelista vercellese incalza poi l'uditorio affermando come su questa terra ogni<br />
cosa, anche la dimora più alta e solida, è per sua stessa natura assalita dal pericolo di<br />
essere distrutta, e anzi, quanto più grandiose sono le cose del mondo, tanto più esse<br />
saranno sottoposte a rischi sempre maggiori:<br />
“æghwylc heah ham her in worulde bið mid frecennesse ymbseald. Emne swa ða<br />
woruldgeþingu bioð maran, swa bioð þa frecennessa swiðran” 94<br />
Il tono gnomico di tale affermazione sembra richiamare nuovamente l'attenzione<br />
dei fedeli alla riflessione sull'ingannevole e fasulla grandezza delle cose umane,<br />
costantemente esposte alla rovina e alla decadenza.<br />
La seguente similitudine fra lo splendore dei doni ricevuti dal Signore e la<br />
grandezza dei sacrifici da Lui chiesti, secondo le proprie forze, a ciascun uomo è una<br />
stretta conseguenza delle riflessioni fin qui affrontate dall'omelista. Quasi a evidenziare<br />
in maniera inequivocabile l'importanza del rispondere prontamente alle prove del<br />
Signore (per quanto grandi possano essere), egli infatti sprona i fedeli a riflettere sui<br />
grandiosi esempi che fornisce loro la natura stessa che li circonda:<br />
“Swa ge magon bi ðan þa bysene oncnawan ond ongitan: þæt treow, þonne hit geweaxeð on<br />
ðam wudubearwe ond hit hlifað up ofer þa oðre ealle ond brædeþ, ond hine se stranga wind<br />
þonne gestandeð, hit bið swidlicor geweged ond geswenced þonne se oðer wuda. Swa bið eac<br />
gelic be ðam hean clifum ond torrum, þonne hie feorran ofer ða oðre eorþan hlifiað, ond hie<br />
þonne semninga feallan onginnaþ ond ful heardlice hriosað to foldan. Swylce eac be ðam<br />
micelum muntum ond dunum, þa þe hyhst standaþ ond goriað ofer ealne middangeard, ond<br />
þeahhwæðere hi wite habbað þæs ealdordomes þæt hie bioð geneahhe mid hatum fyre geþread<br />
ond geþræsted, ond geslægen mid lige” 95<br />
erroneamente, il passo “Potentes autem potenter tormenta patientur”.<br />
94 Cfr. Scragg 1992, p. 208.206-208; “Ciascuna grande casa qui sulla terra è assalita dal pericolo. Allo<br />
stesso modo maggiori sono gli onori del mondo, peggiori sono i pericoli”. Così come fatto notare da<br />
Samantha Zacher, l'immagine della grande dimora terrena, o per traslato del casato, minacciato dal<br />
rischio continuo di rovina è rintracciabile in area anglosassone in ulteriori due testi, entrambi di<br />
genere poetico: la Fenice (vv. 199-207) e la versione in versi del Metro VII di Boezio (vv. 29-39); cfr.<br />
Zacher 2004, p. 72 nota 48.<br />
95 Cfr. Scragg 1992, pp. 208.208-209.218; “Così voi potete capire e considerare da questo esempio:<br />
quell'albero, quando cresce nella foresta e torreggia e si spinge al di sopra di tutti gli altri, e quando<br />
il forte vento lo sferza, è mosso e vessato più violentemente che gli altri [alberi] della foresta. Così è<br />
anche, allo stesso modo, per quanto concerne quelle alte colline e quelle rocce, quando esse<br />
torreggiano ben oltre le altre terre, e poi esse improvvisamente iniziano a cadere e duramente si<br />
fracassano contro il terreno. Ancora, quelle grandi montagne e quelle alture, quelle che si stagliano<br />
più alte e si innalzano sopra tutte le terre, hanno, non di meno, lo svantaggio di quella preminenza:<br />
esse sono spesso afflitte dal caldo fuoco e tormentate dalle fiamme.”.<br />
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