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una evidente preminenza del primo sul secondo: tale atteggiamento è, ancora una volta,<br />

leggibile come possibile derivazione diretta della struttura della fonte latina di<br />

riferimento. Il De Misericordia, infatti, ci descrive il Redentore incalzare così il genere<br />

umano:<br />

“Reuera si consideres, homo ingrate, teipsum ego fecit; quod uiuis meum est; quicquid habes,<br />

ego tibi dedi; et ingratus es. Ecce in ea quæ tibi dedi, auferam a te, et sine me uiue si potes.<br />

Tibi dedi ut haberes, pauperi non dedi. Quare? Ut te probarem. Non quia unde darem non<br />

habui. Sed per pauperes probare te uolui. Prerogatorem te constitui in bonis meis. Fac<br />

misericordiam; quia nichil perdis, et me tibi qui dedi, non offendes. Quid tibi soli uindicas<br />

quod ambobus dedi? Quid tu solus comedes quod ambobu creaui? Quid te filiis tuis fingis<br />

seruare quod potest omnis sufficere?” 79<br />

Nuovamente, dunque, l'anonimo omelista vercellese trae dal fitto incedere del<br />

sermone latino, non solo gran parte della forza immaginifica che anima il nuovo duro<br />

rimprovero di Cristo al ricco peccatore, ma anche una sorta di canovaccio stilistico e<br />

retorico sul quale impostare la sua opera di rivisitazione dei contenuti della fonte stessa.<br />

Tornando al componimento vercellese, Cristo, dopo avare ammonito il ricco<br />

peccatore in merito alle sue tante mancanze, lo incalza mettendolo di fronte alla sua<br />

impotenza nei confronti della natura e delle forze che essa può scatenare su comando del<br />

Signore. A causa folle condotta tenuta in vita, infatti, il ricco avido potrebbe essersi<br />

convinto che quel che viene prodotto dalla terra sia di sua proprietà, e per questa<br />

ragione non gli possa venire per nessuna ragione strappato, né ora, né in futuro.<br />

peccatore:<br />

La realtà dei fatti è però ben differente rispetto a quella immaginata dal<br />

“Wenst ðu ðæt hit þin sie þæt sio eorðe forðbringeð, hio þe groweð ond bloweð ond on lif<br />

bringeð? Eall ic nu afyrre minne fultum fram ðe. Hafa æt þinum gewinne þæt ðu mæge ond<br />

on þinum geswince. Ic ofteo mine renas þæt hie þine eorðan ne onhrinað, ond ic afyrre fram<br />

79 Cfr. Cross 1990, p. 432 e 434. Il passo latino qui citato è preceduto da questo breve strale di<br />

carattere parenetico sul tema dell'elemosina, il cui contenuto è però raccolto solamente in minima<br />

parte dall'omelista vercellese: “Si crederis, da pauperibus quia Christo das. Si dederis Christiano et in<br />

futuro thesaurum bonum tibi ponis unde glorieris et unde flammas peccatorum tuorum extinguas, quia<br />

scriptum est: 'Elimosina a morte liberat', a morte secunda de qua dictum est sanctis martyribus: In<br />

secunda mors non habet potestatem sed regnabunt cum Domino Iesu Christo. Misericordia iram Dei<br />

avertit. Audi Salomonem dicentem: 'Sicut aqua exstinguit ignem, ita elimosina peccata'. Da egenti,<br />

succurre non hebenti, fame pereunti. Crudele est ut quod habes et qui non habet non des. Satis peccatum<br />

est ut de tua habundantia non repleas eius inopiam. Nam male flagellamur in rebus uariis quia egenis<br />

bene non facimus”. Dell'intero corpo di tematiche spiccatamente parenetiche contenute nel passo in<br />

oggetto, l'unica che trovi attestazione all'interno di Vercelli X è la similitudine dell'elemosina come<br />

acqua che spegne la violenza distruttrice del peccato: essa, però, secondo un uso compositivo al<br />

quale l'omiletica anglosassone ci ha abituato, viene completamente decontestualizzata e riadattata<br />

per divenire funzionale a un argomentare che ben poco ha a che vedere con quello di partenza.<br />

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