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“[...] pauper misericordiam rogat et contristaris, et faciem tuam auertis. Oblitus es dictum<br />

prophete: 'Qui auertit faciem suam a paupere et ipse inuocabit dominum et non exaudiet<br />

eum. Inclina aurem ad egenum et fame deficientem, ut et tuam vocem exaudiat deus.” 73<br />

Come si potrà osservare, il brano vercellese denota una struttura del tutto simile<br />

a quella del testo latino, e, cosa ancora più indicativa, puntella la propria pregnanza<br />

dottrinale sul medesimo passo del Libro dei Proverbi, in entrambi i casi non<br />

semplicemente tradotto ma, piuttosto, parafrasato: la sostituzione dell'immagine uditiva<br />

che permea il versetto biblico di origine con quella del non rivolgere lo sguardo verso il<br />

povero accomuna in maniera evidente i due testi, mostrando chiaramente l'opera di<br />

traduzione messa in atto in questa occasione dall'omelista vercellese.<br />

Il forte rimprovero del Redentore è, però, lungi dall'essere concluso:<br />

immediatamente dopo il passo tratto dal Libro di Ecclesiastico, l'omelista riprende<br />

brevemente la parola per introdurre la seconda parte dell'arringa accusatoria del Signore.<br />

Il Salvatore, così come aveva fatto in precedenza, incalza senza sosta il suo interlocutore<br />

con domande secche e dirette:<br />

“To hwan wurd ðu swa heamul minra goda þe ic ðe dyde ond sealde? To hwan areceleasodest<br />

ðu ðære gife þe ic þe geaf? Ic þe nu afyrre fram mine sylene þe ic þe ær forgeaf. þonne bist ðu<br />

wædla in woruldrice. For hwan noldest ðu geþencean þæt ic wille forgildan æghwylce gode<br />

dæde þe for minon naman man gedeð? Mid hundteontigum fealdum ic hit forgilde swa hit is<br />

on minon godspelle gecweden: Swa lange swa ge hit doð, ond swa oft swa ge hit syllað anum<br />

minum leofestum, ge hit symle me syllað, ond ic eow sylle ecne gefean in heofonum.” 74<br />

Cristo, quasi nell'atto di rendere ancora più evidente agli occhi del peccatore la<br />

sua condotta colpevole, resa ancora più grave dalla sua totale incapacità di ascoltare la<br />

Sua Parola, parafrasa poi quanto da Lui stesso insegnato in vita e contenuto all'interno<br />

del Vangelo di Matteo:<br />

“Et quicumque potum dederit uni ex minimis istis calicem aquæ frigidæ tantum, in nomine<br />

discipuli, amen dico vobis, non perdet mercedem suam.” (Matth. X, 42)<br />

73 Cfr. Cross 1990, pp. 431-432 e p. 434. Cross in questa occasione decide di apportare una correzione<br />

al testo latino tramandatoci in Salisbury 179, correggendo la lettura exaudiet eum con exaudietur,<br />

conformando così il passo al testo della Vulgata: non è mia intenzione, però, di accettare tale ipotesi<br />

di correzione (conformandomi così al comportamento tenuto da Scragg) in quanto la forma<br />

originaria exaudiet eum meglio rende ragione della forma inglese antica hyne gehyreð attestata nel<br />

manoscritto vercellese.<br />

74 Cfr. Scragg 1992, pp. 204.141-205.149; “Perché sei stato così avido dei Miei beni che Io ti ho dato<br />

e garantito? Perché tu hai disprezzato le grazie che Io ti ho concesso? Io ora ti priverò dei Miei doni<br />

che prima ti ho dato, d'ora in avanti tu sarai misero nel regno terreno. Perché tu non hai voluto<br />

tenere a mente che Io premierò ciascuna buona azione che l'uomo farà in Mio nome? Io lo premierò<br />

così come è scritto nel Mio Vangelo: 'Fin quando che fai questo e quanto spesso dai [questo] a colui<br />

il quale mi è più caro, tu sempre lo darai a me, e Io ti concederò gioia eterna in Paradiso'.”.<br />

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