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tali due testi, prima su tutte la giustapposizione di due versetti biblici, l'uno facente<br />
parte del canone della Vulgata e l'altro, di contro, a esso estraneo 68 . Qualunque sia la<br />
lettura che si voglia dare alla doppia, e peraltro errata, attribuzione del contenuto del<br />
passo in oggetto a Giacomo, prima, e poi a Salomone, quel che in ogni caso traspare da<br />
subito dall'analisi dell'incipit del discorso di Cristo è ancora una volta un rapporto di<br />
estrema libertà dell'omelista con la sua fonte, un atteggiamento spiccatamente<br />
rielaboratorio che caratterizzerà l'intera sezione del sermone 69 .<br />
Spinto dalla cecità del suo interlocutore, Cristo, poi, lo incalza con una serie di<br />
domande, ognuna delle quali suona come una precisa accusa:<br />
“[...]þonne ðu, welega, hwi noldest ðu mine bebodu healdan? Ac se min þearfa aswæmde æt<br />
þinre handa. Hwi noldest þu geþencan hwa hit þe sealde? þonne he cliopade earmre stemne,<br />
ond þu widsoce þæt ðu hiene ne gehyrdest.” 70<br />
Il ricco uomo durante la sua esistenza ha sempre negato il giusto aiuto ai<br />
bisognosi, fingendo di non sentirne il pianto e le richieste di aiuto. Al contrario, però,<br />
ognuna di queste voci piangenti non è sfuggita al Creatore:<br />
“Ac ic his giomrunga gehyrde ond geseah hwæt ðu dydest minum þearfan þam þe þe<br />
mildheortnesse bædon. ond þu hie oferhogodest ond geunrotsodest ond þinne andwlitan fram<br />
him awendest ond ne gemundest no hwæt se witega cwæð: Se ðe his andwlitan fram þam<br />
þearfan awendeð þonne he hluddost cliopað, dryhten hyne gehyreð þonne se man nele þone<br />
oðerne gehyran.” 71<br />
68 All'interno della sua analisi delle versioni anglosassoni del Sermo De Misericordia, James Cross<br />
segnala puntualmente sia l'attestazione del versetto non canonico all'interno di Assmann XI, sia la<br />
sua parallela presenza all'interno del sermone latino De Jejunii Laudibus: quel che Cross, di contro,<br />
stranamente non segnala è appunto la presenza all'interno di questo componimento di entrambi i<br />
passi biblici che si fondono nel passo vercellese. Correttamente,poi, egli mette in risalto come Eccli.<br />
III, 33 compaia anche in una seconda omelia pseudo-agostiniana facente parte della raccolta<br />
Collectio Quinquaginta, il Sermo CCCXI, intitolato ancora una volta De Eleemosynis: “Quas enim<br />
sine peccato? Nam sicut exstinguit ignem, sic et eleemosyna exstinguit peccatum” (PL 39, col. 2343); cfr.<br />
Cross 1990, p. 437 n. 14.<br />
69 In merito proprio alla mancanza di un qualunque senso di riverenza verso la fonte, è a mio parere<br />
interessante mettere in luce come il versetto di Ecclesiastico che costituisce la seconda sezione della<br />
citazione attribuita a Salomone sia sì tratto dal De Misericordia (Sicut aqua extinguit ignem, ita<br />
elimosina peccata), ma non dall'incipit (come forse si potrebbe presumere), bensì dalla conclusione<br />
del primo dei due grandi blocchi tematici che costituiscono il sermone: ancora una volta, dunque,<br />
l'omelista ha estrapolato dal suo contesto iniziale, e ha successivamente ricontestualizzato, uno<br />
specifico passo da lui ritenuto funzionale alla sua argomentazione, in questo caso addirittura<br />
modificandone in parte il senso generale.<br />
70 Cfr. Scragg 1992, p. 203.132-135; “Dunque, perché tu ricco non hai desiderato di tenere fede ai<br />
Miei dettami? Per di più il bisognoso languiva nelle tue mani. Perché non hai voluto prendere in<br />
considerazione quel che Io ti ho concesso? Quando egli chiamava con voce più fievole, tu negavi di<br />
averlo udito.”.<br />
71 Cfr. Scragg 1992, pp. 203.135-204.140; “Ma Io ho udito il suo lamentare, e ho visto quel che tu hai<br />
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