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componimento vercellese.<br />

La carità negata: lo strale di Cristo all'uomo ricco<br />

Più di una volta nel corso della prima sezione del sermone, l'anonimo<br />

predicatore aveva indicato nel fare del bene e nel comportarsi in maniera caritatevole in<br />

ogni momento della propria esistenza un vero e proprio viatico di salvezza: spinto<br />

probabilmente dalla consapevolezza dell'importanza di tali precetti cristiani, l'omelista<br />

decide di ribadirli in maniera ancora più incisiva, questa volta non affidandosi a una<br />

astratta argomentazione sulla virtù salvifica della carità, ma immaginando una violenta<br />

apostrofe del Redentore contro l'avidità di un ricco uomo del Suo tempo.<br />

Siamo di fronte a un lungo e articolato passo, frutto della capacità interpolatoria<br />

e rielaboratoria dell'anonimo omelista anglosassone: egli trae, infatti, gran parte del<br />

materiale compositivo da un sermone, per lungo tempo ritenuto pseudo-agostiniano, dal<br />

titolo De Remedia Peccatorum o Sermo de Misericordia 56 , le cui tematiche vengono però<br />

essi, seppure comuni sia nella prosa ritmica, sia nel genere poetico anglosassone, compaiano nel<br />

testo vercellese con una produttività sinonimica del tutto unica: nel solo breve passo in oggetto è<br />

possibile individuarne addirittura quattro (tutti riferiti al genere umano), uno dei quali (retend, colui<br />

che conforta) costituisce praticamente un unicum nell'intera produzione anglosassone. Notevole, poi,<br />

nel campo dei sostantivi in -end destinati alla descrizione di Dio, l'esempio di steorend (timoniere,<br />

guida, direttore), termine che ben raramente viene utilizzato per il Signore: fra le sue attestazioni<br />

più note vi è quella, peraltro duplice, contenuta nell'Andreas (vv. 120 e 1335), dove il poeta si trova<br />

nella necessità di descrivere il Signore che, sotto mentite spoglie di un marinaio, traghetta Andrea<br />

verso la terra dei Mermedoni. La ripetizione di tali epiteti di stampo poetico all'interno di passi<br />

contenutisticamente cruciali dell'omelia, secondo Zacher, donerebbe un maggiore impatto uditivo (e<br />

di conseguenza mnemonico) ai brani che li contengono, aiutando in questo modo il predicatore a<br />

mettere in risalto i differenti nodi tematici che animano il suo ragionare. Cfr. Zacher 2004, pp. 58-<br />

59.<br />

56 La tradizione manoscritta di tale sermone, comprendente circa 38 testimoni redatti fra l'ottavo e il<br />

quindicesimo secolo, ci tramanda, nella sostanza, tre differenti versioni del componimento in<br />

oggetto: la prima, e certamente più popolare, di tali versioni è quella pubblicata all'interno del<br />

volume 39 della Patrologia Latina, sotto la dicitura di Sermo CCCX. Per lungo tempo ritenuto<br />

pseudo-agostiniano (anche in ragione della attribuzione al santo Vescovo di Ippona riportata<br />

nell'incipit di gran parte dei testimoni manoscritti di tale versione del sermone), esso è in verità da<br />

ascriversi probabilmente a Cesario di Arles (così come dimostrato da Morin, che per tale ragione lo<br />

inserisce all'interno della Collectio Quinquaginta). La seconda versione, tramandataci da un solo<br />

codice risalente al secolo XII (il ms. Munich, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 22266), è in realtà un<br />

sermone composito che unisce frammenti del De Remedia Peccatorum con passi tratti da altri<br />

sermoni cesariani appartenenti alla medesima Collectio Quinquaginta; di maggiore interesse per la<br />

nostra ricerca è la terza e ultima variante del testo in analisi, tramandataci nei rimanenti nove codici:<br />

il testo tratto in particolare da due di tali codici (Salisbury, Cathedral Library 9 e Salisbury,<br />

Cathedral Library 179) è, infatti, alla base di ampie sezioni delle omelie Napier XLIX e Vercelli X,<br />

oltre che del settimo componimento della Seconda Serie delle Omelie Cattoliche di Ælfric. In tale<br />

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