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in ðam hatan hellebrogan<br />

ond in þam witum wunigan a butan ende.” 53<br />

Non ci è dato sapere, né se l'autore del sermone abbia realmente percepito il<br />

passo in oggetto come un vero e proprio segmento in versi (e dunque se abbia<br />

volontariamente creato una sorta di breve prosimetro), né se egli lo abbia tratto da una<br />

fonte a noi sconosciuta o se, al contrario, lo abbia lui stesso composto: quello che<br />

sembra, però, evidente è come l'anonimo omelista abbia cercato di incastonare tale passo<br />

dalle spiccate caratteristiche ritmiche all'interno di una struttura compositiva in sé<br />

conchiusa. Se si pone, infatti, attenzione al passo nella sua interezza, si potrà rilevare<br />

come la voce parlante, dopo avere chiuso la narrazione dell'arringa del Maligno, riprenda<br />

il discorso facendo uso della formula men þa leofestan e chiuda lo strale di Cristo con<br />

l'altrettanto tipica espressione a butan ende, un espediente retorico generalmente<br />

utilizzato come elemento di chiusura del sermone: nel giro di pochi periodi, dunque,<br />

l'omelista ha fatto uso non solo della formula di apertura, costrutto che spesso ha<br />

funzione di intercalare all'interno della prosa religiosa anglosassone, ma anche di quella<br />

di chiusura. L'anonimo predicatore, dunque, sembra così creare un ideale contenitore,<br />

atto a isolare e nello stesso tempo a mettere in risalto i passi in esso racchiusi, un<br />

espediente che potrebbe di per sé indicare uno sforzo compositivo finalizzato a rendere<br />

funzionali l'uno con l'altro brani tratti da testi fra loro molto distanti, per genere e per<br />

stile.<br />

Le parole del Maligno prima, e in particolar modo la seguente cupa condanna<br />

pronunciata dal Cristo Giudice, poi, hanno reso evidente agli occhi del predicatore, così<br />

come dell'intera comunità dei fedeli, l'urgenza di guardare dentro le proprie coscienze di<br />

modo da potere evitare di essere scacciati dalla vista del Signore: solo i comportamenti<br />

tenuti in vita potranno, infatti, guadagnare a ogni uomo la Sua pietà e la Sua clemenza.<br />

Secondo l'anonimo omelista, in verità, le esortazioni alla condotta virtuosa che la<br />

Parola di Dio ci rivolge sono molte, e proprio fra queste egli sceglie quelle che ritiene<br />

essere fra le più significative:<br />

“We wæron oft gemyndgode to ures dryhtnes gehyrsumnesse, þæt we scoldon his willan wyrcan<br />

ond his bebodu healdan ond rummode bion rihtra gestreona ond þearfendum arfulle ond<br />

2004, pp. 57-58.<br />

53 Cfr. Trahern 1977, p. 109. Come fatto notare da Trahern, prima, e da Zacher, poi, molto numerosi<br />

sono i possibili richiami (sia tematici, sia terminologici) che collegano il breve passo vercellese con<br />

alcuni dei più noti poemetti anglosassoni a carattere parenetico-escatologico: fra essi, i due studiosi<br />

ricordano il Wanderer (vv. 20-21) e il Seafarer (v. 16), Solomon and Saturn II (v. 381), An<br />

Exortation to Christian Living (v. 27), Christ III (vv. 1519-1523), Christ and Satan (vv. 68, 119-<br />

120, 184-185, 295, 341-343, 625-626); cfr. Trahern 1977, pp. 110-112 e Zacher 2004, pp. 56-57.<br />

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