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andavano incontro, si sono completamente disinteressati dell'arrivo della morte e del pericolo di presentarsi colpevoli di fronte al Cristo Giudice. L'incalzante arringa di Satana non può che concludersi con il terzo e ultimo invito al Signore ad affrettare il momento del Giudizio: in questo caso, però, il Maligno non incentra più il suo atto di accusa sul comportamento deprecabile dei peccatori, ma, piuttosto inaspettatamente, chiama in causa il Sacrificio salvifico posto in atto da Cristo. In questo modo, egli ripercorre le tappe del cammino di Salvezza e Redenzione: “Dem, la ealra gesceafta reccend ond scippend ond steorend, dem rihtne dom. Hwæt, ðu þe sylfne gemeddest for hyra ealra lufan ond for urre læððo. þin feorh for hyra in deað þu gesealdest, ond þu þe sylf on rode astige ðær ðu ðæt þin halige blod on eorðan agute for him, ond mid þine þe æðelan swate gebohtest, ond mid þine þy deorwyrðan blode alysdest ond gefreoðodest; ond hie þe þæs leanes ealles forgeaton” 42 Così come era stato nelle due prime sezioni dello strale di Satana, anche la terza e conclusiva serie di accuse viene introdotta da quel ritmato e allitterante invito a pronunciare il Giudizio delle anime che, nella sostanza, è ormai divenuto qualcosa di molto simile a una vera e propria formula. Nonostante il Sacrificio del Salvatore e tutto quello che Egli ha fatto per l'umanità, è ormai evidente come una parte degli uomini abbia completamente dimenticato la bontà e la grandezza di Dio, preferendo i doni del Maligno alla speranza di salvezza da Lui garantita a ciascun uomo. Proprio in merito alla scelta fatta dai peccatori, a Satana sembra, però, premere di precisare un dato importante, quello di non avere mai promesso benefici o premi in cambio della loro fedeltà: l'uomo ha dunque scelto volontariamente la via della perdizione, ben sapendo di consegnarsi inevitabilmente alla condanna e alla dannazione eterna 43 . Proprio con l'amara metafore del canto e della musica all'interno dell'ambito letterario anglosassone) data da Christina Heckman. La decima omelia vercellese, infatti, sembra superare la classica dicotomia che prevedeva da un lato la musica celeste e al suo opposto la cacofonia infernale, creando piuttosto una seconda interessante contrapposizione fra una musica, in questo caso tentatrice, e la Parola divina portatrice di insegnamenti salvifici. Nel componimento vercellese, poi, tale dicotomia, come abbiamo potuto osservare, si complica ulteriormente in ragione della contrapposizione fra una musica tentatrice (quella di Satana) e una melodia divinamente ispirata (quella del salmista), della quale, in ambito anglosassone, è esempio perfetto il personaggio di Cædmon; cfr. Heckman 1998, pp. 57-70. 42 Cfr. Scragg 1992, p. 201.93-97; “Giudica, dunque, Signore e Creatore e Timoniere di tutte le creature, pronuncia una vera sentenza. Ecco, Tu ti sei umiliato per amore di tutti loro e per la nostra malizia. Tu hai dato la Tua vita per essi, e Tu hai issato Te stesso sulla croce, dove hai versato il Tuo santo sangue sulla terra per essi, e con il tuo nobile sudore [sangue] hai redento loro, e con il Tuo sangue prezioso hai liberato [loro] e hai decretato la pace con loro. Ma essi hanno dimenticato completamente questo dono.”. 43 “Þa hie to me cyrdon, næfre ic him are ne gefremede, ne næfre helpes geuðe; ac forlæt hie me in wite gelædan ond in susle cwelman, ond þa mishyrnesse gewrecan þe hie wið ðe worhton.”; cfr. Scragg 1992, p. 316
constatazione dell'irragionevole cecità dell'uomo si conclude il lungo monologo di accusa di Satana. Ancora una volta, quanto descritto dall'omelista vercellese trova riscontro nel Liber Exhortationis: il Patriarca di Aquileia, infatti, poco dopo avere tratteggiato i caratteri della Giustizia divina, descrive la repentina entrata in scena del Maligno che, pronto e scaltro, inizierà a declamare di fronte a ciascun uomo ogni sua malefatta, pensiero impuro e mancanza di buona volontà 44 . Dopo avere ampiamente dimostrato la sua perniciosa influenza sugli uomini, questi, poi, gioendo appunto per la corruzione portata nel mondo, in maniera sprezzante si rivolgerà al Signore: “Æquissime judex, judica istum meum esse ob culpam, qui tuus esse noluit per gratiam. Tuus est per naturam: meus est per miseriam. Tuus est ob passionem: meus est ob suasionem. Tibi inobediens: mihi obediens. A te accepit immortalitatis stolam: a me hanc pannosam, qua indutus est, tunicam. Tuam vestem amisit: cum mea veste hunc advenit. Quid apum eum impudicitia faciebat, quid intemperantia, quid avaritia, quid ira, quid superbia, quid cætera mea membra? Dimisit te: confugium fecit ad me: meas sorores video comitari cum illo. Quid enim idcirco faciebat? Quid cum superbia disputabat? Quid cum ira furiebat? Thesaurizavit sibi iram in die iræ. Æquissime judex, judica, inquam, quia justitia et judicium præparatio sedis tuæ. Judica illum meum esse, et mecum damnandum esse. Hæc omnia quæ huc attulit, mea esse cognosco. Meus esse voluit, et mea concupivit; mecum puniri debet; quoniam quem tu dignatus es tanto pretio liberare, ipse se mihi voluit postmodum libenter obligare.” (PL 99, col. 272) Se torniamo per un istante a osservare quanto descritto nell'omelia vercellese in funzione proprio del contenuto e della struttura del passo latino appena citato, potremo valutare come l'omelista anglosassone sembri cogliere e riproporre con attenzione gran parte delle suggestioni evocate dal testo di Paolino, agendo però con piglio fortemente rielaboratorio sulla sua originaria disposizione degli argomenti. Nel primo invito del Satana vercellese a procedere con il giudizio delle anime, infatti, si può individuare un eco di quel “Æquissime judex, iudica, inquam, quia iustitia et judicium præparatio sedis tuæ” che all'interno del passo latino non apre, ma bensì 201.97-100 (Quando essi si sono rivolti a me, io mai fatto loro alcun beneficio, né mai dato loro aiuto, ma mi fu permesso di condurli nel castigo, e di ucciderli nel tormento, e di vendicare quegli atti di disubbidienza che loro avevano perpetrato nei tuoi confronti.). 44 “Præsto enim erit adversarius diabolus, et recitabuntur verba professionis nostræ et objiciet nobis in faciem quidquid fecimus, et in qua die peccavimus, et in quo loco, et quid boni operis tunc temporis facere debuimus. Et si tales inventi fuerimus, exsultabit ille adversarius in conspectu piissimi judicis, superiorem se esse nobis declamans, agens talem causam apud talem judicem. Habet enim dicere tunc ipse diabolus: [...]” (PL 99, coll. 271-272). 317
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