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presentarsi, ormai spogliati degli onori terreni, di fronte all'unico vero trono, quello del<br />

Creatore 30 .<br />

Fonte principale del breve passo vercellese, così come della seguente descrizione<br />

degli eventi che caratterizzeranno il Giudizio Finale, è il Capitolo LXII del Liber<br />

Exhortationis ad Henricum comitem 31 di Paolino di Aquileia, sezione dell'opera dove,<br />

dopo avere illustrato la grandezza e l'importanza del rinunciare al Maligno e alle sue<br />

opere, viene descritto quanto miserabile sarà il destino di coloro i quali al momento del<br />

Giudizio saranno indifesi contro le accuse di Satana 32 . Dopo un invito a vigilare perché il<br />

Diavolo non si trovi nella condizione di riconoscere le sue opere in ciascuno di noi, e<br />

dunque a richiederci come cosa di sua proprietà 33 , il Patriarca di Aquileia passa a<br />

descrivere in questi termini il momento nel quale il Cristo Giudice si presenterà agli<br />

uomini:<br />

“Exspectatur enim dies judicii: aderit ille æquissimus judex, qui nullus potentis personam<br />

accipiet, cujus palatio auro argentoque nullus episcopus, nec abbas, nec comes corrumpere<br />

poterit. Astabunt omnes animæ, ut referat unaquæque secundum illud quod in corpore gessit,<br />

30 La sensazione di completa solitudine e quasi di imbarazzante nudità che traspare dalla descrizione<br />

fatta dall'anonimo omelista ricorda quella altrettanto forte e cupa che viene descritta da un altro<br />

motivo escatologico piuttosto diffuso in area insulare, presente fra le altre anche nella quarta omelia<br />

vercellese, quello del no aid from a kin: mentre in questo secondo caso la solitudine e l'impotenza<br />

dell'anima giudicata sono generalmente messe in evidenza attraverso la reiterazione dell'impossibilità<br />

di dare o ricevere aiuto nel momento del Giudizio, l'immagine evocata nella decima omelia vercellese<br />

sostituisce la figura dell'aiuto dei congiunti con quella dell'appoggio (ben più materiale) che<br />

potrebbe giungere dal portare doni preziosi al Signore. Lo schema che soggiace a tali exempla è però<br />

del tutto simile: così come davanti al Cristo Giudice nessuno potrà attendersi qualunque aiuto<br />

esterno, e dovrà dunque farsi sostenere solamente dalle proprie azioni, allo stesso modo l'uomo non<br />

potrà né abbigliarsi con stoffe pregiate né portare al Redentore oro e gioielli, dato che gli unici doni<br />

a Lui graditi saranno la fede e le azioni virtuose compiute in vita. Per il tema no aid from a kin si<br />

veda Lendinara 2002, pp. 67-80, mentre per quanto concerne il suo utilizzo all'interno di Vercelli IV<br />

si veda supra cap. II, pp. 92-100.<br />

31 PL 99, coll. 197-282 (in particolare, per il Capitolo LXII si vedano le coll. 271-272).<br />

32 Il Capitolo LXII, dal titolo Dæmon accusator in judicio, segue infatti in maniera diretta e<br />

consequenziale a uno più breve, intitolato Quam libenter diabolo renuntiandum: et auxilii contra eum<br />

expostulatio: in quest'ultimo Paolino traccia a uso dei fedeli un quadro, breve ma incisivo, della<br />

pericolosità delle macchinazioni e delle tentazioni del Diavolo, opere che condurranno alla<br />

perdizione quando il Giudice verrà e chiederà conto delle azioni terrene di ciascuno. Secondo<br />

Paolino, dovere di ogni buon fedele è quello di rinunciare alle opere del Maligno per rifugiarsi sotto<br />

l'abbraccio del Salvatore, che con le sue braccia allontanerà il male e difenderà ciascun uomo dalla<br />

perdizione.<br />

33 “O mi frater charissime, quam felix anima quæ tam potentem habet defensorem! Ideo nunc quæso vigilet<br />

unusquisque nostrum, ne apud eum diabolus in die judicii suos pannos agnoscat, et incipiat reus detineri,<br />

quem Christus sua gratia voluit liberari. Nec sibi male blandiantur, qui post acceptam gratiam corrigi<br />

nolunt, atque rursus ad suas pristinas redeunt voluptates.” (PL 99, col. 271).<br />

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