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NARRATIVA<br />
Mi chiamo Lea almeno credo, perché<br />
così si rivolgono a me gli<br />
umani quando mi guardano.<br />
Credo <strong>di</strong> essere una leonessa perché così<br />
c’è scritto sulla targhetta esposta nella gabbia<br />
dove sono rinchiusa.<br />
I miei primi ricor<strong>di</strong> risalgono a qualche<br />
anno fa quando, ancora cucciola, mi portarono<br />
su per delle scale in un posto piccolo<br />
e buio. Fuori pioveva e in quella piccola<br />
gabbia mi accolsero due umani.<br />
Uno grande e l’altro più piccolo, un cucciolo<br />
come me <strong>di</strong> nome Fabrizio.<br />
Mi mise un collare e mi guidò giù per delle<br />
scale ripide e strette. Io avevo tanta forza e<br />
tiravo senza saperlo; lui mi gridava “Piano<br />
Lea, piano Lea”. Chissà cosa voleva <strong>di</strong>re?<br />
Arrivammo fuori da quella grande gabbia.<br />
Un cartello in<strong>di</strong>cava: “Comune <strong>di</strong> Modena”.<br />
Ci raggiunse anche l’umano più grande<br />
che chiamavano Franco. Salimmo su una<br />
strana gabbietta con delle ruote e delle cose<br />
trasparenti che permettevano <strong>di</strong> vedere attraverso.<br />
Faceva freddo anche se ho una belle pelliccia<br />
e quando la gabbia si mise in movimento<br />
subito le cose trasparenti non furono<br />
più trasparenti. Mi avvicinai e con la lingua<br />
cominciai a leccare: era acqua fresca.<br />
Fabrizio <strong>di</strong>sse a Franco: “È proprio bella e<br />
docile. Adesso dove la portiamo?” Franco<br />
rispose: ”An<strong>di</strong>amo al giar<strong>di</strong>no pubblico<br />
dove c’è il leone e la mettiamo nella seconda<br />
gabbia che per fortuna abbiamo costruito.”<br />
Io non so cosa vuol <strong>di</strong>re vivere libera, ma la<br />
gabbia era grande e confortevole. In effetti,<br />
erano due gabbie: una interna coperta dove<br />
passavo la notte ed una esterna più grande<br />
dove potevo uscire durante il giorno.<br />
Il giorno, molti cuccioli umani venivano a<br />
trovarmi e mi chiamavano in coro:<br />
. Quando<br />
pigramente mi muovevo ed uscivo nella<br />
gabbia esterna era tutto un vociare e gridare:<br />
<br />
La cosa più bella era quando Franco mi veniva<br />
a trovare e molte volte mi portava lui<br />
stesso una bella testa <strong>di</strong> cavallo o un bel<br />
pezzo <strong>di</strong> coscia <strong>di</strong> bue.<br />
8<br />
I FIGLI DI LEA <strong>di</strong> FABRIZIO FRIGIERI-TONI<br />
Franco era il grande amore <strong>di</strong> mia mamma Lea: un amore impossibile essendo la mia mamma una<br />
leonessa e Franco un umano. La mia mamma morì assieme a me ed a due miei fratellini gemelli a<br />
seguito del parto. Anche Fabrizio, il figlio <strong>di</strong> Franco ha avuto una storia simile alla mia. La sua<br />
mamma Iole, morì anche lei per metterlo alla luce.<br />
Poi apriva la porta della gabbia interna e<br />
io mi sedevo con le zampe incrociate e<br />
lui cominciava a grattarmi sulla fronte, in<br />
mezzo agli occhi. Io, la leonessa, li chiudevo<br />
e, lentamente, quasi mi addormentavo.<br />
Franco con la sua bella voce suadente<br />
mi <strong>di</strong>ceva tante cose e mi vedeva crescere,<br />
<strong>di</strong>ventare una leonessa grande che prima o<br />
poi avrebbe dovuto incontrare Leo, il leone<br />
maschio che viveva nella grande gabbia <strong>di</strong><br />
fianco alla mia.<br />
Franco aveva gli occhi buoni ed io per <strong>di</strong>-<br />
mostragli il mio affetto gli mettevo le zampe<br />
sulle spalle e strusciavo la sua guancia<br />
con la mia.<br />
Un brutto giorno, il guar<strong>di</strong>ano mi portò da<br />
mangiare e mi buttò dentro la gabbia un<br />
pezzo <strong>di</strong> costato pieno <strong>di</strong> ossa. Come sempre<br />
spolpai tutto, ma nessuno venne a pulire<br />
la gabbia. Mi addormentai aspettando<br />
la voce <strong>di</strong> Franco. Quando mi svegliai, non<br />
mi accorsi delle ossa e così ne pestai una.<br />
Emisi un ruggito acuto! Era la prima volta<br />
che sentivo il dolore. Un piccolo osso acuminato<br />
si era conficcato nella zampa anteriore<br />
sinistra. Giravo nervosa e zoppicante<br />
per la gabbia emettendo il mio richiamo.<br />
Tutti i tentativi <strong>di</strong> togliermi quella spina<br />
erano vani ed il dolore non cessava.<br />
Verso sera il guar<strong>di</strong>ano preoccupato per il<br />
mio nervosismo chiamò Franco che arrivò<br />
e cominciò a parlarmi: <br />
Aprì la porta ed io mi avvicinai con un<br />
guaito. Mi sedetti e girai la zampa all’insù.<br />
<br />
Franco prese una pinza ed un li<strong>qui</strong>do fresco.<br />
Con la pinza prese l’ossicino e via…<br />
Il dolore era passato ! Il mio amico Franco<br />
mia aveva guarita!<br />
Passavano i giorni, i mesi ed io ero oramai<br />
una leonessa adulta. Leo mi cercava e mi<br />
lanciava i richiami d’amore. Il giorno predestinato<br />
dell’amore, feci la conoscenza <strong>di</strong><br />
Leo.<br />
Era proprio un bel maschio; una folta criniera<br />
ed una lunga coda che agitava in continuazione.<br />
In poco tempo rimasi incinta.<br />
Passavano i giorni, ma io non mi sentivo<br />
in gran forma. Avevo bisogno <strong>di</strong> muovermi,<br />
<strong>di</strong> saltare. Quando uscivo nella gabbia<br />
esterna ero nervosa e mi arrampicavo sulle<br />
barre per fare un balzo più lungo. Il dolore<br />
alla pancia non mi passava, anche se sentivo<br />
la vita che si agitava dentro. Franco non<br />
mi abbandonava mai e quando aprivano lo<br />
sportello della gabbia, mi grattava la fronte<br />
e mi <strong>di</strong>ceva tante parole dolci.<br />
I centoventi giorni della gestazione passarono<br />
in fretta, ma io capivo che la vita non<br />
si muoveva più nella mia pancia.<br />
Chiamarono Franco ed il dottore degli animali.<br />
Solo con Franco vicino mi facevo<br />
avvicinare e così lui mi strinse la testa e mi<br />
fecero una puntura. Cominciai a sognare e<br />
sapevo che sarebbe stato l’ultimo, sì proprio<br />
l’ultimo sogno.<br />
Vagheggiai, Franco che mi accarezzava e<br />
piangeva, mentre teneva in braccio i miei<br />
tre cuccioli. Sognai ancora Franco che mi<br />
baciava la fronte e mi <strong>di</strong>ceva “Ciao Lea,<br />
mai più, mai più …”<br />
Poi le porte della gabbia si apersero ed il<br />
giar<strong>di</strong>no fu tutto per me. Saltavo e correvo<br />
felice.<br />
Ero libera come la natura mi aveva fatto!<br />
De<strong>di</strong>cato a Iole, donna con lo stesso spirito<br />
<strong>di</strong> Lea