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ALPIN DEL DOMM - Gruppo Alpini Milano Centro

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<strong>ALPIN</strong> <strong>DEL</strong> <strong>DOMM</strong><br />

NOTIZIARIO <strong>DEL</strong> GRUPPO MILANO CENTRO<br />

SEZIONE ANA MILANO<br />

Numero Unico — Settembre 2001<br />

Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale <strong>Alpini</strong> – Sezione di <strong>Milano</strong> – <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> – Giulio Bedeschi<br />

Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 <strong>Milano</strong> – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci<br />

"Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle"<br />

in ricordo di<br />

Giulio Bedeschi<br />

Alpin del Domm 1


Alpin 2 Alpin del del Domm Domm


N<br />

el novembre dello<br />

scorso anno il nostro<br />

<strong>Gruppo</strong>, come<br />

è noto, ha organizzato<br />

una manifestazione per<br />

commemorare Giulio Bedeschi<br />

nel decennale della Sua scomparsa.<br />

Nella prestigiosa cornice della<br />

Sala Alessi di Palazzo Marino,<br />

stracolma di alpini e di gente<br />

comune, gli oratori avevano intrattenuto<br />

i presenti, prospettando<br />

una analisi letteraria delle opere<br />

dello scrittore, ovvero rammentando<br />

momenti di vita comune<br />

con l’amico scomparso.<br />

In quell'occasione, però, si era<br />

sentita la mancanza del canto, di<br />

quei nostri canti, così tristi, ma<br />

così coinvolgenti, che una grossa<br />

importanza avevano avuto anche nella<br />

vita di Bedeschi, tanto da esserne egli<br />

stesso ispiratore, promotore e persino autore.<br />

Sorgeva, pertanto, spontanea l'idea di organizzare<br />

una nuova manifestazione, impostata<br />

questa volta sul canto, che completasse<br />

l'omaggio a Giulio Bedeschi.<br />

Più se ne parlava e più il progetto prendeva<br />

forma, anche dilatandosi, creando,<br />

in noi tutti una sorta di esaltazione.<br />

Sembrava, infatti, che tutto fosse già stato<br />

preparato da altri: si aveva quasi l'impressione<br />

di essere guidati da una mano<br />

invisibile alla scoperta di un evento che<br />

era lì pronto per manifestarsi e che attendeva<br />

solo che qualcuno lo mettesse in opera.<br />

Non poteva, però, trattarsi di un semplice<br />

concerto di cori, ma occorreva fare in<br />

modo che la musica creasse un percorso<br />

di ricordi, di sensazioni, di emozioni …<br />

Pressoché immediata è stata la individuazione<br />

dei protagonisti: il Coro ANA di<br />

<strong>Milano</strong> ed "I Crodaioli", atteso il fatto<br />

che con entrambi Bedeschi aveva fattivamente<br />

collaborato. Massimo Marchesotti<br />

ci dava immediatamente la sua disponibilità,<br />

alla quale seguiva<br />

quella di Bepi De Marzi.<br />

Dopo Natale eravamo pronti per<br />

“partire” .<br />

Innanzi tutto dovevamo individuare<br />

dove tenere il Concerto: ancora<br />

la sala Alessi? L’Aula Magna<br />

dell’Università Cattolica?<br />

Un grosso aiuto ci veniva da Marchesotti<br />

il quale, approfittando<br />

delle proprie conoscenze, ci faceva<br />

ottenere addirittura la disponibilità<br />

del Teatro Dal Verme, finalmente<br />

ristrutturato dopo anni di<br />

lavoro. Il prestigio della sala ci faceva<br />

raddoppiare gli sforzi, contattando<br />

sponsor (Regione Lombardia,<br />

Banca Mediolanum, Edi-<br />

La platea del rinnovato teatro Dal Verme<br />

zioni Mursia, Tipografia Tajana), definendo<br />

il programma, predisponendo locandine,<br />

inviti, brochure, eccetera.<br />

Tutto andava per il meglio, eppure un'incognita<br />

ci assillava: <strong>Milano</strong>!<br />

Questa metropoli che viene normalmente<br />

definita fredda ed agnostica, avrebbe compreso<br />

l'iniziativa e risposto al nostro appello?<br />

I milanesi erano ancora interessati ed attratti<br />

dalle emozioni pure che scaturiscono<br />

da sentimenti tanto semplici quanto eterni?<br />

Vi era ancora spazio, a <strong>Milano</strong>, per la Cultura<br />

…Alpina?<br />

L’ansia raggiungeva il suo apice quando,<br />

qualche giorno prima del concerto, veniva<br />

effettuato il sopralluogo per le verifiche del<br />

caso: la sala era stupenda ma, soprattutto<br />

vista dal palco, immensa e, l'impresa di<br />

riempire tutti i 1600 posto, appariva decisamente<br />

ardua.<br />

* * *<br />

E , finalmente, veniva il giorno fatidico:<br />

un’ora e mezzo prima dell’inizio eravamo<br />

già sul posto e, non senza meraviglia, vedevamo<br />

gente che si accalcava davanti<br />

Il <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> centro è intestato a Giulio Bedeschi.<br />

all’ingresso del Teatro<br />

per entrare: alla fine,<br />

dopo che tutti i posti erano<br />

stati riempiti, e numerosi<br />

spettatori si erano<br />

seduti per terra, il<br />

servizio d’ordine - incalzato<br />

da precisi ordini<br />

dei Vigili del Fuoco - si<br />

vedeva costretto a chiudere<br />

le porte del Teatro,<br />

respingendo almeno<br />

trecento persone colpevoli<br />

di "… non essere<br />

arrivate con largo anticipo…".<br />

<strong>Milano</strong>, dunque, aveva<br />

compreso ed ampiamente<br />

risposto all'appello,<br />

e la nostra ansia<br />

era, come per incanto,<br />

scomparsa.<br />

L'introduzione del Capogruppo, i saluti<br />

del Presidente Nazionale e del Vice Presidente<br />

del Consiglio della Regione<br />

Lombardia On. Piergianni Prosperini e<br />

poi Suor Anna Maria Marconi che con<br />

semplicità disarmante parlava del dolore<br />

e della sofferenza illustrando l'opera della<br />

Associazione Casa dell'Accoglienza<br />

per la quale, nel corso della serata sarebbe<br />

stata lanciata una raccolta di fondi con<br />

esito più che proficuo.<br />

Terminati questi brevi interventi, veniva<br />

ufficialmente intitolato il <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong><br />

<strong>Centro</strong> a Giulio Bedeschi, e la signora<br />

Luisa scopriva, tra gli applausi, una riproduzione<br />

del logo con la nuova intitolazione.<br />

Non rimaneva, a questo punto, che godersi<br />

lo spettacolo.<br />

I due Cori hanno eseguito magistralmente<br />

il loro repertorio, inframmezzato da<br />

brani delle "Gavette" e dai ricordi di De<br />

Marzi. Nella sala non volava una mosca,<br />

il pubblico era attento, incantato e rapito<br />

da sentimenti profondi che esplodevano,<br />

al termine di ogni esecuzione, in entusiastici<br />

e fragorosi applausi.<br />

La sala è, poi, stata letteralmente<br />

travolta dalla commozione<br />

quando i due cori, congiuntamente,<br />

hanno intonato, insieme<br />

al pubblico - rigorosamente in<br />

piedi - “Sul ponte di Perati” e<br />

“Signore delle Cime”.<br />

La serata si è, poi, conclusa nella<br />

prestigiosa sede del <strong>Gruppo</strong><br />

di Cinisello Balsamo ove, nel<br />

corso della cena, i Crodaioli di<br />

De Marzi hanno tenuto un<br />

…"secondo concerto"…<br />

* * *<br />

Unica nota triste di tutta questa<br />

incredibile giornata, è stata la<br />

(Continua a pagina 4)<br />

Alpin del Domm 3


(Continua da pagina 3)<br />

mancanza di un amico illustre e sincero<br />

del nostro <strong>Gruppo</strong> che era stato uno dei<br />

protagonisti e degli artefici della prima<br />

serata in ricordo di Giulio Bedeschi: l'alpino,<br />

il professore, l'amico Giuseppe<br />

Cantamessa che, poco meno di un mese<br />

prima della serata al Dal Verme era<br />

"andato avanti".<br />

Noi siamo certi, comunque, che il prof.<br />

Cantamessa era con noi anche il 9 di giugno<br />

e desideriamo, per questo, ringraziarlo<br />

ancora una volta e ricordarlo, riportando<br />

un breve racconto (liberamente<br />

ispirato ad un brano di uno degli autori<br />

del '900 che maggiormente amava, Paolo<br />

Monelli) che il figlio Alessandro ha letto<br />

al termine della cerimonia funebre.<br />

"Il 14 maggio 2001 l'alpino Giuseppe<br />

Cantamessa ha affardellato il suo zaino<br />

e si è trasferito in tutta fretta in Paradiso.<br />

Perché tutti gli alpini che "vanno avanti",<br />

vanno in paradiso: dalle montagne a<br />

lì non c'è che un passo.<br />

Ma affacciatosi curioso al Paradiso delle<br />

"penne mozze", invece dello sguardo<br />

arcigno del Generale Cantore vede un<br />

gruppetto di ragazzi corrergli incontro<br />

sorridenti e vocianti. Quando gli si<br />

stringono attorno festosi egli riconosce<br />

i visi: sono alcuni dei suoi ragazzi dei<br />

primi anni di insegnamento nel dopoguerra:<br />

quasi coetanei e, qualcuno, anche<br />

col cappello alpino in testa. Qualcun<br />

altro, assai più giovane e solitario si tiene<br />

in disparte: il Professore lo afferra<br />

vigorosamente per un braccio e lo trae<br />

a se, tenendolo vicino.<br />

Poi ordina subito di arieggiare l'ambiente.<br />

Non ci sono finestre da aprire, ma<br />

l'ordine è perentorio: "c'è troppa afa in<br />

questo posto, forse quel sole caldo è<br />

troppo vicino...".<br />

Alpin 4 Alpin del del Domm Domm<br />

Quindi ordina a tutti di<br />

prendere posto e comincia<br />

a passeggiare silenziosamente<br />

avanti e indietro.<br />

Si ricorda anche di uno<br />

straccio della polvere sempre<br />

presente nella sua borsa:<br />

"spolverate cattedra,<br />

sedia e pulire la lavagna!"<br />

dispone asciutto ai suoi capiclasse.<br />

Di tanto in tanto giungono<br />

altri ragazzi. Chi in gruppi<br />

affiatati, chi alla spicciolata<br />

e qualcuno, isolato, si avvicina<br />

timido ed incerto.<br />

Ogni volta sono baci ed abbracci<br />

e vigorose pacche<br />

sulle spalle.<br />

Poi invita ognuno a prendere ordinatamente<br />

posto.<br />

Ci sono gli alunni dei primi anni di insegnamento<br />

alla statale, poi le mitiche maturità<br />

dell'Istituto Gonzaga. Il professore<br />

sente un fremito d'orgoglio: quante<br />

personalità e professionisti di rilievo tra<br />

loro! Sono le classi delle gite semiserie al<br />

Dente del Gigante ed alla Madonnina del<br />

Grappa.<br />

Un vocìo squillante e petulante annuncia<br />

le più giovani classi miste, con le gaie presenze<br />

femminili entusiaste delle visite ai<br />

reparti <strong>Alpini</strong> tra i monti della Pusteria.<br />

Per ultimi (ma non meno importanti per<br />

lui) i privatisti dei bienni, gli ultimi allievi<br />

della sua lunga carriera d'insegnante. Avanzano<br />

lenti, questi ultimi, ancora memori<br />

della grande fatica sostenuta. Ma il<br />

Professore li sprona, li incita e li incoraggia<br />

più degli altri.<br />

Poco in disparte Luigi, il vecchio amico<br />

dell'Università che l'ha preceduto per<br />

organizzargli l'aula, anch'egli insegnante<br />

e famoso scrittore, tenendo sotto il<br />

braccio una copia del suo<br />

"Velocifero" (col quale era giunto fin<br />

lì) osserva la scena con sguardo sornione:<br />

ripensa al Beppe Cantamessa<br />

come al gigante della montagna che<br />

utilizza gli abeti come stuzzicadenti...<br />

Quando anche l'ultimo allievo è arrivato<br />

ed ha preso posto, improvvisamente<br />

il Professore ordina:<br />

"Silenzio, via tutto dai banchi!".<br />

Ma invece di iniziare un'interrogazione<br />

scritta, il Professor Cantamessa<br />

si volta si, inginocchia e prega:<br />

"Questi sono i miei ragazzi, Signore<br />

Iddio. Tu li accogli e li benedici".<br />

Posa il tuo zaino Professore Alpino! .<br />

* * *<br />

Nessun resoconto scritto della serata, per<br />

quanto dettagliato possa essere, riuscirà<br />

mai a descrivere appieno l'intensità e la<br />

molteplicità delle sensazioni e dai sentimenti<br />

che i due cori sono riusciti a suscitare<br />

in ogni singolo spettatore.<br />

Ad ogni buon conto, anche per sgombrare<br />

il campo dal dubbio che questa cronaca<br />

sia viziata da "partigianeria", ci pare<br />

opportuno riportare il pensiero ed i commenti<br />

di alcuni personaggi che hanno<br />

preso parte alla manifestazione.<br />

È doveroso, ovviamente, lasciare la prima<br />

parola al nostro Presidente Nazionale<br />

Beppe Parazzini che ci ha scritto:<br />

"Caro Alessandro,<br />

con la seconda iniziativa<br />

pubblica il <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> ha<br />

evidenziato la sua personalità finalizzata<br />

a valorizzare e diffondere la cultura<br />

alpina in una società che, solo apparentemente,<br />

sembra averla accantonata.<br />

Al rammarico delle centinaia di persone<br />

che, per mancanza di posti, hanno dovuto<br />

rinunciare alla manifestazione, hanno<br />

fatto da contraltare la gioia e la commozione<br />

delle migliaia di persone presenti.<br />

Il <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>, a cui va pertanto<br />

il mio plauso più sincero, saprà regalarci<br />

ancora tante emozioni alpine: ne<br />

sono certo.<br />

Salutissimi alpini.<br />

Beppe Parazzini"<br />

* * *<br />

Graditissima ospite d’onore è stata la<br />

moglie di Bedeschi, la signora Luisa, che<br />

così ci ha scritto :<br />

"Entrando nell'immensa sala del Teatro<br />

Dal Verme ho provato un sentimento<br />

misto di commozione e di sgomento;


La signora Luisa Bedeschi e il presidente nazionale Beppe Parazzini<br />

quanta gente! Un pienone inaspettato.<br />

Erano venuti veramente a ricordare mio<br />

marito? Signore che emozione! E poi i<br />

canti, la lettura dei brani dei libri ed applausi,<br />

tanti, che erompevano dopo l'attenzione<br />

ed il silenzio durante le cante,<br />

eseguite con passione e grande bravura<br />

dai due Cori.<br />

Mio marito mi diceva molto spesso, che<br />

ogni mattina alzandosi, ringraziava il signore<br />

(per la sua vita), in quanto era vivo<br />

perché uno davanti a lui era morto salvandolo.<br />

Ed aggiungeva: è per questo che<br />

dedico tanto tempo, tutto il tempo che<br />

posso, a quei ragazzi, perché finché saranno<br />

nei nostri cuori, continueranno ad<br />

esserci, ed è questo, e vi assicuro che<br />

non è retorica, che ho sentito sabato.<br />

Giulio e i suoi compagni erano con me e<br />

con noi tutti.<br />

Ringrazio con tutto il cuore, per primi gli<br />

<strong>Alpini</strong> milanesi e <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> e unendoli<br />

tutti, ricordo Alessandro Vincenti quale<br />

loro rappresentante..<br />

Ringrazio vivamente il Coro "I Crodaioli"<br />

di Bepi De Marzi, quello dell'ANA di <strong>Milano</strong><br />

del Maestro Marchesotti, mirabili<br />

esecutori.<br />

Grazie a Mursia, al Comune ed a tutti i<br />

collaboratori, e un grazie speciale a quel<br />

meraviglioso pubblico a cui, come portavoce<br />

di Giulio, dico ancora: non dimentichiamo<br />

quei ragazzi, quegli <strong>Alpini</strong>, quei<br />

soldati che sono morti per la Patria.<br />

Luisa Bedeschi"<br />

* * *<br />

Abbiamo anche raccolto le impressioni di<br />

un commilitone e carissimo amico di Giulio<br />

Bedeschi, Peppino Prisco, che nel corso<br />

della serata abbiamo visto con gli occhi lucidi,<br />

quando i due cori, all’unisono con la<br />

sala, hanno intonato<br />

Sul ponte di Perati.<br />

"Cominciamo … dalla<br />

fine!<br />

Quando tutti si<br />

stanno preparando<br />

ad uscire dal bellissimo<br />

e rinato<br />

"Teatro Dal Verme",<br />

i due cori (75<br />

elementi) avanzano<br />

nel proscenio verso<br />

il pubblico plaudente.<br />

Marchesotti e<br />

De Marzi invitano<br />

tutti a cessare<br />

l'applauso vivacissimo<br />

per partecipare<br />

all'ultima canzone.<br />

Così, dopo un attimo di silenzio, cantiamo<br />

tutti l'inno più triste ma forse<br />

più solenne di noi alpini: "Sul ponte di<br />

Perati, bandiera nera". Per l'esattezza,<br />

pur essendo stonato e con una pessima<br />

voce, io l’ho cantato spesso ad ogni riunione<br />

degli avvocati - alpini. Eppure lì al<br />

Dal Verme una profonda, improvvisa<br />

commozione mi blocca e devo lottare<br />

con me stesso per non scoppiare a piangere,<br />

per nascondere agli altri quanto<br />

sento nel mio animo; ma alla fine non<br />

riesco a trattenere le lacrime; poi gli<br />

abbracci dei tanti amici mi dimostrano<br />

che il mio pudore era ingiustificato.<br />

Grazie dunque a De Marzi e a Marchesotti<br />

ed ai loro coristi; e grazie al<br />

<strong>Gruppo</strong> "<strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>", a Vincenti a<br />

Lavizzari ed a quanti hanno dato l'anima<br />

ed il cuore per organizzare questo magnifico<br />

pomeriggio di<br />

giugno!<br />

E grazie soprattutto<br />

a Giulio Bedeschi, cui<br />

la serata è stata dedicata,.<br />

Grazie per<br />

aver scritto Centomila<br />

Gavette di<br />

Ghiaccio, non solo il<br />

più bel libro sulla<br />

Campagna di Russia,<br />

ma per me una delle<br />

più belle opere letterarie<br />

in assoluto;<br />

grazie anche per aver<br />

composto musica<br />

e parole di "Alpino<br />

della Julia" sconfinando<br />

con successo<br />

dall'attività di scrittore; grazie per la<br />

fraterna amicizia alpina della quale mi<br />

ha onorato.<br />

Peppino Prisco"<br />

* * *<br />

Non potevano mancare, ovviamente, le<br />

parole dei due protagonisti della serata, i<br />

maestri dei due cori.<br />

Bepi De Marzi ci ha scritto:<br />

"Mi ha sorpreso il Capogruppo che chiedeva<br />

“possiamo cominciare?”. E in prima<br />

fila, il Presidente Parazzini, poi<br />

l’avvocato Prisco e, appena dietro,<br />

Bearzot.<br />

Emozione? Sì, molta emozione. Cantare<br />

vicino al Coro dell’ANA!<br />

Alto, come un sospiro liberato dalla memoria,<br />

l’amico Flaminio Gervasi.<br />

"Aprite le porte” era una sinfonia tra le<br />

sinfonie. “Possiamo cominciare?”.<br />

Ma come si può trasformare un concerto<br />

al Dal Verme in un girotondo? Ecco la<br />

suora che parla di tumori, di tragedie,<br />

di lacrime. Ha la voce innamorata e decisa<br />

di chi raccoglie la disperazione dei<br />

poveri del mondo. Forse erano così le<br />

voci dei comandanti che sostenevano gli<br />

alpini nella Ritirata di Russia.<br />

Anche la signora Luisa è in prima fila. I<br />

Bedeschi hanno il dono del sorriso che<br />

rassicura. Il fratello Beppe, rimasto a<br />

Verona, è qui seduto tra i tenori secondi.<br />

Gli piace cantare e far cantare. Anche<br />

a Giulio piaceva cantare. Muoveva la<br />

mano come se volesse armonizzare i<br />

suoni del vento. Sorridendo, sempre<br />

sorridendo.<br />

Mando allora un sorriso a Massimo Marchesotti,<br />

amico e fratello. “Fatti il codino<br />

bianco come lui”, mi dicono i tenori<br />

primi sempre un poco maliziosi. Dio mio,<br />

noi qui a cantare con il Coro dell’ANA di<br />

Due dei Gruppi presenti: Bareggio e Lacchiarella<br />

<strong>Milano</strong>! “Possiamo cominciare?”, insiste<br />

il Capogruppo sperdendo lo sguardo<br />

(Continua a pagina 6)<br />

Alpin del Domm 5


(Continua da pagina 5)<br />

nell’immensa sala che pare salire alle nuvole.<br />

Ma il Presidente nazionale capirà le<br />

mie venete passioni, le mie ansie, le mie<br />

rabbie, le mie delusioni?<br />

“Prossimi alle stelle…”.<br />

Sperduti nella felicità. Possiamo cominciare.<br />

Grazie, alpini di <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>.<br />

* * *<br />

Massimo Marchesotti, dal canto suo:<br />

"Ricordo bene il giorno che visitammo<br />

con Alessandro Vincenti e Gianluca<br />

Marchesi il nuovo Teatro Dal<br />

Verme per quello che sarebbe stato<br />

il concerto dedicato a Giulio Bedeschi.<br />

Che impressione ci fece. Pensammo<br />

che mai saremmo riusciti a riempirlo.<br />

Troppo grande e forse troppo<br />

importante per noi.<br />

Non fu così. Qualcuno aiuta gli audaci:<br />

soprattutto se sono alpini. La<br />

sala si riempì. Eccome si riempì.<br />

In prima fila le autorità: il Presidente<br />

Parazzini, l'onorevole Prosperini,<br />

Peppino Prisco - non ci chiese<br />

di cantare, come sempre succede,<br />

"sul Ponte di Perati", era già in programma<br />

e venne cantato da tutto il<br />

pubblico -.<br />

I due cori, seduti uno da una parte, uno<br />

dall'altra, si studiavano. Noi eravamo tesi<br />

come corde di violino. Li conosco bene i<br />

miei coristi. Cantare con i Crodaioli di De<br />

Marzi è una cosa che ti toglie il fiato.<br />

Che gioia, per me, trovare l'amico Bepi a<br />

<strong>Milano</strong>. Quanti concorsi e quanti convegni<br />

passati insieme, a parlare, a conoscersi.<br />

Quante intese tra noi. Adesso arriva il<br />

nostro momento. Nessuno può dire se il<br />

Alpin 6 Alpin del del Domm Domm<br />

Uno scorcio del palcoscenico in primo piano “I Crodaioli”<br />

canto "esista"<br />

davvero o se<br />

sia generato da<br />

noi stessi, dal<br />

nostro corpo<br />

come una difesa<br />

al silenzio.<br />

Cantiamo e basta.<br />

Il canto<br />

corale: è la più<br />

ferma negazione<br />

della solitudine.<br />

Se nel<br />

freddo e nell'asprezzadegli<br />

elementi la<br />

vita è svuotata,<br />

i canti degli<br />

alpini sanno riscaldarlad'amicizia<br />

e d'amore. In questi canti, in cui<br />

il tema della morte s'affaccia sovente,<br />

gli alpini hanno saputo calare la solennità<br />

del divino nel quotidiano della vita e<br />

meritano, senza alcun dubbio, un posto<br />

di assoluto privilegio. Sentirli cantare,<br />

e noi stessi cantarli, dà un senso di sicurezza,<br />

di malinconia. Mai c'è in loro lo<br />

spirito guerriero nel senso peggiore,<br />

c'è invece la solidarietà, l'amore della<br />

vita privi di ogni fronzolo. Sono i canti<br />

della preghiera perché il massacro ab-<br />

Suor Anna Maria Marconi e il capogruppo Sandro Vincenti<br />

bia termine.<br />

Massimo Marchesotti<br />

Coro ANA <strong>Milano</strong>"<br />

* * *<br />

La serata è stata anche occasione per raccogliere<br />

fondi a favore della associazione<br />

"Casa dell'Accoglienza" che si occupa di<br />

accogliere i malati di tumore ed i loro familiari.<br />

La generosità del pubblico ci ha<br />

consentito di consegnare un contributo<br />

molto importante e la sig.ra Lucia Cagnacci<br />

Vedani, presidente di questa asso-<br />

ciazione, così ci ha scritto:<br />

"Gentile Avvocato Vincenti,<br />

a nome degli operatori, dei volontari, e<br />

mio personale, desidero ringraziare dì<br />

cuore Lei e tutti gli <strong>Alpini</strong> del <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> per aver dedicato alla<br />

nostra Associazione il meraviglioso concerto<br />

de "I Crodaioli" e del Coro ANA<br />

di <strong>Milano</strong>, svoltosi il 9 giugno scorso<br />

nella splendida cornice dello storico Teatro<br />

Dal Verme.<br />

E' ancora vivissima in noi l'emozione<br />

profonda che i Cori ci hanno donato in<br />

quello che rimarrà un indimenticabile<br />

pomeriggio di armonia musicale che ci<br />

ha coinvolti tutti, dando eco ai sentimenti<br />

di indelebile memoria e di profonda<br />

umanità che scaturivano dalle parole<br />

di Giulio Bedeschi, tratte dal suo<br />

ineguagliabile libro - testimonianza Centomila<br />

gavette di ghiaccio".<br />

E poi, al termine dello spettacolo. ecco<br />

un'altra espressione di concreta solidarietà<br />

verso le persone malate e i loro<br />

familiari ospitati nelle nostre Case: la<br />

raccolta di offerte nel grande<br />

"salvadanaio" posto nell'atrio del teatro.<br />

Offerte totalmente devolute alla<br />

nostra Associazione, per un totale di<br />

Lire 16.100.000.<br />

Tutto ciò si è realizzato grazie a Voi,<br />

<strong>Alpini</strong> del <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong><br />

<strong>Centro</strong>, grazie al Vostro<br />

vivo esempio di condivisione.<br />

Questo contributo ci aiuterà<br />

a sostenere alcune<br />

spese che vogliamo affrontare<br />

per migliorare e<br />

rendere più confortevoli<br />

gli ambienti a disposizione<br />

dei nostri ospiti durante<br />

la loro permanenza<br />

così lontano da casa.<br />

In ultimo, pensando di<br />

farVi cosa gradita, Vi alleghiamo<br />

la lettera che ci<br />

è giunta da una nostra cara<br />

amica che ha assistito<br />

al concerto e che conosce<br />

molto bene la nostra opera. A Voi …<br />

commentarla!<br />

Nel ringraziarvi ancora d'essere concretamente<br />

al nostro fianco, rinnoviamo<br />

l'invito a mettersi in contano con noi a<br />

tutti coloro che desiderino approfondire<br />

la conoscenza dei diversi ambiti di<br />

possibile volontariato presso la nostra<br />

Associazione.<br />

Sperando in una prossima e graditissima<br />

occasione di incontro, Vi salutiamo


con la più viva cordialità.<br />

Luisa Cagnacci Vedani"<br />

* * *<br />

E poi anche Suor Annamaria Marconi, la<br />

"stupenda e dolcissima suor Annamaria"<br />

come l'ha definita il maestro Bepi De Marzi,<br />

ha voluto dedicarci qualche riga:<br />

"Cari amici,<br />

così mi permetto di chiamarvi<br />

dopo la cordialità dimostratami.<br />

Il mio scritto non è quello ufficiale (ci sarà<br />

chi lo preparerà) ma solo quello dettato<br />

da un cuore commosso e colmo di gratitudine.<br />

E questo non solo per i fondi<br />

raccolti, ma perché ho capito che i problemi<br />

"sommersi" della nostra Casa, sono<br />

stati ascoltati con "cuore".<br />

Complimenti per la "qualità" e la proposta<br />

della serata.<br />

La "vicenda" del nostro incontrarci ha i<br />

segni della Provvidenza e la spontaneità<br />

di chi non sta troppo a ragionare, ma -<br />

colto il bisogno - si rimbocca le maniche,<br />

si dà da fare e ti assicura "su di me puoi<br />

contare".<br />

Ho sentito attorno a noi tanto affetto e<br />

benevolenza. Sono certa che potremo<br />

collaborare per ripetere ad ogni fratello<br />

che bussa alla nostra porta: se vuoi c'è<br />

un posto per dormire, un pane da spezzare<br />

e un'esperienza da condividere.<br />

Questo è per me il Vangelo che non sta<br />

tanto a porre l'attenzione su<br />

"disquisizioni teologiche", ma si<br />

fa vicinanza semplice, cordiale.<br />

Grazie ancora. Per tutti i cari <strong>Alpini</strong><br />

avrò un ricordo e una preghiera.<br />

A presto.<br />

Sr. Annamaria Marconi"<br />

* * *<br />

Da ultimo, riportiamo quello che la<br />

stampa ha pubblicato, prima e dopo<br />

il concerto.<br />

da AVVENIRE - 6 giugno 2001<br />

A dieci anni dalla scomparsa, una<br />

manifestazione per riscoprire il<br />

medico - scrittore che in vita fu<br />

spesso frainteso<br />

BEDESCHI: CENTOMILA GAVETTE<br />

TOLTE DAL FRIGO DEI CENSORI<br />

Sarà mica stato un po’ “revisionista” anche<br />

lui, ed ante litteram, il dottor Giulio<br />

Bedeschi: dottor perché medico e non<br />

perché scrittore tra i più venduti (e i meno<br />

riconosciuti) degli ultimi 50 anni?<br />

Il sospetto aleggia: Bedeschi dovette<br />

bussare a 17 porte di editori prima che il<br />

diciottesimo – Ugo Mursia, che da allora<br />

in poi stampò tutti i suoi titoli – accettasse<br />

di pubblicare nel 1963 le Centomila<br />

gavette di ghiaccio.<br />

Ma non fu solo la stanchezza degli italiani<br />

per tutte le memorie di guerra a<br />

indurre gli editori a rifiutare un best<br />

seller che oggi conta oltre tre milioni di<br />

copie vendute, ben 132 edizioni, innumerevoli<br />

premi; fu anche la censura ideologica<br />

che non volava dare spazio ai<br />

reduci dalla tragica campagna di Russia<br />

(i “fascisti” colpevoli di avere assalito la<br />

gran madre del proletariato…) a dissuadere<br />

il mondo degli intellettuali dal dar<br />

credito a Bedeschi.<br />

Il quale però – ben prima di Ciampi a<br />

Cefalonia e di Alessandro Natta con<br />

quel suo libro che rivaluta gli internati<br />

italiani in Germania – non smise di raccogliere<br />

sui suoi taccuini le memorie dei<br />

soldati qualunque: su qualsiasi fronte<br />

avessero combattuto, e anche se non<br />

avevano fatto la resistenza con la R<br />

maiuscola. Ne nacquero i dieci volumi<br />

del C’ero anch’io: da Nikolajewka: C’ero<br />

anch’io del 1972 al terzo tomo di Prigionia:<br />

c’ero anch’io, uscito a poche settimane<br />

dalla morte dell’autore, e passando<br />

attraverso tutti i paesaggi –<br />

l’Albania, l’Africa, i Balcani, l’Italia<br />

stessa – che i connazionali in grigio verde<br />

dovettero frequentare nell’ultima<br />

guerra, quasi sempre loro malgrado.<br />

Il tenente Pietro Marchisio reduce del “Conegliano”<br />

A dieci anni dalla scomparsa (è morto a<br />

Verona nel 1990) l’ufficiale medico della<br />

divisione alpina “Julia” Bedeschi, sopravvissuto<br />

alla ritirata sul Don, viene<br />

ora ricordato a <strong>Milano</strong> in una serata il<br />

cui titolo avrebbe gradito: “Dispersi nel<br />

silenzio, prossimi alle stelle”.<br />

L’Associazione Nazionale delle penne<br />

nere – in collaborazione con Regione,<br />

Comune, editore – gliela allestisce sabato<br />

17 presso il Teatro dal Verme, ingresso<br />

libero; nessuna commemorazione,<br />

bensì la lettura di brani dai suoi libri<br />

inframmezzati dalle “cante” del Coro<br />

ANA di <strong>Milano</strong> (diretto da Massimo<br />

Marchesotti) e da quelle de “i Crodaioli”<br />

di Bepi De Marzi. Il tutto per<br />

“condurre il pubblico alla scoperta del<br />

significato di speranza e di fiducia nella<br />

umanità presente nelle opere di Bedeschi”.<br />

“Scoperta”, già. Che Bedeschi infatti<br />

non sia stato capito o travisato in vita<br />

(eccetto – e non è poco – che dai semplici<br />

lettori i quali continuarono a commuoversi<br />

portando Il peso dello zaino o<br />

assaporando La mia erba è sul Don) lo<br />

scrive con la consueta poesia ma senza<br />

remore di penna sulla rivista Giovane<br />

Montagna lo stesso De Marzi: il quale<br />

del medico-scrittore è stato amico, oltreché<br />

conterraneo (ambedue sono nati<br />

ad Arzignano, nel Vicentino, Bedeschi<br />

nel 1915): “Come spesso accade ai generosi,<br />

è stato persino frainteso…<br />

Frainteso e criticato malevolmente anche<br />

da certi settori del reducismo che,<br />

soprattutto, non avrebbero voluto che<br />

parlassero i semplici soldati…Frainteso<br />

perché si è voluto vedere nella sua faticosissima<br />

e delicata operazione (la raccolta<br />

di testimonianze di militari qualunque)<br />

non il gesto<br />

di un uomo generoso<br />

che tende le ani ai<br />

dimenticati, bensì<br />

una disincantata operazione<br />

militare…<br />

Bedeschi non sarà<br />

mai un caso letterario,<br />

e proprio per la<br />

supponenza dei critici<br />

e degli scrittori<br />

di professione che<br />

mal sopportano il<br />

successo dell’ultimo<br />

arrivato”.<br />

“In tutti questi anni<br />

sono passato a conclusioni<br />

sempre più<br />

ampie e sempre più<br />

affratellanti”, rivelava<br />

in una delle ultime interviste<br />

l’autore, che – nonostante il successo –<br />

aveva continuato a fare il reumatologo a<br />

<strong>Milano</strong>. Quali conclusioni? “Estrarre<br />

l’uomo che soffre dal soldato che combatte.<br />

Capire come l’uomo possa salvare<br />

la sua dignità anche in situazioni incredibili.<br />

Evitare che una generazione,<br />

(Continua a pagina 8)<br />

Alpin del Domm 7


(Continua da pagina 7)<br />

quella dei militari italiani nella Seconda<br />

Guerra Mondiale, risulti una generazione<br />

maledetta o, peggio ancora, inutile”.<br />

Eccolo il “revisionismo” mite dell’alpino,<br />

medico e scrittore Giulio Bedeschi: uno<br />

che tornando dal fronte russo aveva giurato<br />

di non toccare mai più la neve e per<br />

noi posteri si ritrovò a scongelare Centomila<br />

gavette di ghiaccio.<br />

* * *<br />

da METRO – Venerdì 8 giugno<br />

2001<br />

“Cori alpini per Bedeschi al<br />

Dal Verme”<br />

UN CONCERTO BENEFICO A<br />

INGRESSO GRATUITO, AL DAL<br />

VERME,<br />

RICORDANDO GIULIO BEDE-<br />

SCHI.<br />

Sarà domani alle 17,00, organizzato<br />

dal gruppo <strong>Alpini</strong> di<br />

<strong>Milano</strong>, con i canti del Coro<br />

ANA e dei Crodaioli di Bepi<br />

De Marzi, un omaggio alla figura<br />

di Giulio Bedeschi,<br />

l’autore di Centomila gavette<br />

di ghiaccio di cui ricorre il<br />

decennale della scomparsa.<br />

Proprio dal suo celeberrimo libro è tratta<br />

la fase messa ad epigrafe<br />

dell’avvenimento: “Dispersi nel silenzio,<br />

prossimi alle stelle”.<br />

Saranno raccolti fondi per l’associazione<br />

Casa dell’accoglienza, che assiste i malati<br />

di cancro.<br />

* * *<br />

dal CORRIERE <strong>DEL</strong>LA SERA – venerdì<br />

8 giugno 2001<br />

“Due Cori alpini …”<br />

Teatro Dal Verme (Via San Giovanni sul<br />

Muro, 2)<br />

Alle 17,00, due cori alpini, i “Crodaioli” diretti<br />

da Bepi De Marzi e il Coro dell’ANA<br />

di <strong>Milano</strong>, guidato da Massimo Marchesotti,<br />

compongono un concerto in memoria<br />

di Giulio Bedeschi, con letture dei<br />

suoi brani.<br />

* * *<br />

da IL GIORNO – Venerdì 8 giugno 2001<br />

“E LE STELLE STAVANO A GUARDARE”<br />

(Marzio Gazzetta)<br />

“Dispersi nel silenzio, prossimi alle stelle”.<br />

È questo il suggestivo titolo della serata<br />

in programma domani (inizio ore<br />

17.00 con ingresso gratuito) allo storico<br />

Alpin 8 Alpin del del Domm Domm<br />

teatro Dal Verme.<br />

L’iniziativa è stata promossa dal <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Alpini</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> per ricordare Giulio<br />

Bedeschi, “alpino, medico, scrittore”,<br />

come lui stesso amava definirsi, nato ad<br />

Arzignano (Vicenza) il 31 gennaio 1915 e<br />

scomparso a Verona, dove si era da poco<br />

trasferito, nel dicembre 1990.<br />

Bedeschi è stato ufficiale medico<br />

nell’ARMIR (armata italiana in Russia),<br />

Scorcio della sala gremita<br />

protagonista e testimone della tragica<br />

ritirata nel gennaio 1943 tra i ghiacci<br />

della pianura russa, in cui furono coinvolti<br />

tanti soldati italiani e soprattutto<br />

gli alpini della Divisione Julia, da lui magistralmente<br />

narrata nel suo capolavoro<br />

Centomila gavette di ghiaccio.<br />

La serata sarà caratterizzata dal concerto<br />

de “I Crodaioli”, gruppo sorto nel<br />

1958 ad Arzignano, diretto da Bepi De<br />

Marzi, e dal Coro ANA (Associazione<br />

Nazionale <strong>Alpini</strong>) di <strong>Milano</strong> nato nel settembre<br />

1949 e, dal 1972, diretto da<br />

Massimo Marchesotti.<br />

Marchesotti, giovanile e dinamico sessantaseienne<br />

milanese, diplomato in pianoforte<br />

al Conservatorio di <strong>Milano</strong>, alterna<br />

l’hobby della musica all’impegno<br />

professionale della pittura, esponendo<br />

con successo le sue opere in itali ed<br />

all’estero, specie in Danimarca.<br />

E circa l’imminente concerto al Dal Verme<br />

il “maestro” Marchesotti ha voluto<br />

precisare: “La serata milanese, realizzata<br />

grazie alla preziosa collaborazione<br />

della Regione Lombardia, della Banca<br />

Mediolanum, della Casa Editrice Mursia,<br />

nonché delle autorità comunali che hanno<br />

offerto la prestigiosa sede del Teatro<br />

Dal Verme a titolo gratuito, è stata<br />

dedicata a Giulio Bedeschi e non certo<br />

casualmente.<br />

Infatti, il <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong><br />

dell’Associazione <strong>Alpini</strong>, promotore<br />

dell’iniziativa – ha evidenziato con Marchesotti<br />

– è intitolato a Giulio Bedeschi,<br />

vicentino di nascita, ma milanese<br />

d’adozione, il grand’uomo che con le sue<br />

opere ha contribuito in modo determinante<br />

alla divulgazione dei valori basilari<br />

dell’immenso patrimonio spirituale<br />

degli alpini.<br />

Non solo: non tutti sanno<br />

che il libro Centomila<br />

gavette di ghiaccio di<br />

Bedeschi fu rifiutato, e<br />

per ben diciotto anni, da<br />

tutti gli editori ai quali<br />

era stato proposto; e<br />

soltanto nel 1963<br />

l’editore milanese Ugo<br />

Mursia lo pubblicò, intelligentemente,<br />

in una<br />

collana di libri interamente<br />

dedicata alla Seconda<br />

Guerra Mondiale.<br />

Da allora questo intramontabile<br />

classico della<br />

letteratura di guerra ha<br />

raggiunto il traguardo di<br />

ben 130 ristampe”.<br />

COME SI ARTICOLERÀ LA<br />

SERATA?<br />

“Saranno letti brani delle opere scritte<br />

da Bedeschi, a cui seguirà una serie di<br />

canzoni eseguite dai “Crodaioli” e dal<br />

<strong>Gruppo</strong> ANA di <strong>Milano</strong>, composto da 44<br />

coristi.<br />

All’ingresso del teatro Dal Verme saranno<br />

esposti tre grandi quadri: due realizzati<br />

da Piero Gauli, che ha partecipato<br />

alla campagna di Russia, ed uno<br />

mio, in cui campeggia un gigantesco cappello<br />

alpino rosso in ricordo del martirio<br />

della Julia e di tutti i soldati italiani, a<br />

fianco di una giallo girasole, il fiore che<br />

accolse gli alpini che si trovarono sul<br />

fronte russo nell’estate del 1942”.<br />

* * *<br />

da IL GIORNALE DI VICENZA – 13<br />

giugno 2001<br />

“I Crodaioli ricordano Bedeschi. Tanta<br />

commozione a <strong>Milano</strong>”<br />

“Tutto ora tace: a illuminar la neve neppure<br />

s’alza l’ombra di una voce…”: ai<br />

versi di Carlo Geminiani, ormai diventati<br />

un classico poetico sulla ritirata di Russia,<br />

e con la musica di Bepi De Marzi,<br />

nell’immenso Teatro Dal Verme di <strong>Milano</strong>,<br />

c’è stato un fremito di emozione.<br />

L’avvocato Prisco, seduto in prima fila,<br />

accanto al presidente nazionale degli


alpini, non ha nascosto la commozione.<br />

Il coro di Arzignano mancava dal capoluogo<br />

lombardo da qualche anno.<br />

L’ultima volta era stato all’Università<br />

Cattolica mentre alla prima, nel salone<br />

del Circolo della Stampa di Palazzo Serbelloni,<br />

era stato introdotto proprio<br />

dallo scrittore Giulio Bedeschi che sabato<br />

scorso, a dieci anni dalla scomparsa,<br />

è stato ricordato con il concerto dei<br />

“Crodaioli” nel rinnovato Teatro Dal<br />

Verme, nel cuore storico di <strong>Milano</strong>, trasformato<br />

in perfetto auditorium per<br />

concerti.<br />

Accanto ai “Crodaioli”, il coro dell’ANA<br />

di <strong>Milano</strong>, diretto da Massimo Marchesotti,<br />

anch’egli compositore, ma anche<br />

pittore, barbuto artista delle immagini<br />

provocatorie.<br />

Organizzato dal <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>,<br />

il concerto ha registrato una partecipazione<br />

incredibile di pubblico, centinaia<br />

di spettatori già in attesa dalle prime<br />

ore del pomeriggio.<br />

Il tema, concertato da De Marzi e Marchesotti,<br />

è stato incentrato su un passaggio<br />

del libro “Centomila gavette di<br />

ghiaccio”: “Dispersi nel silenzio, prossimi<br />

alle stelle”.<br />

Così è stato possibile svolgere un itinerario<br />

musicale punteggiato dalle toccanti<br />

sottolineature letterarie che, prese dai<br />

libri di Bedeschi, sono state proposte<br />

dalle voci degli stessi coristi: per i<br />

“Crodaioli” Maurizio Signorini e Tono De<br />

Marzi.<br />

Ha suscitato addirittura stupore la nuova,<br />

inattesa versione corale di “Joska la<br />

rossa”, come pure “L’ultima notte” eseguita<br />

in un gregorianeggiante unisono dalle<br />

suggestive profondità timbriche.<br />

E per ricordare l’infanzia di Bedeschi ad<br />

Arzignano, dove è nato nel 1915, ecco una<br />

ninna nanna di De Marzi in dialetto vicentino,<br />

proposta da quattro sole voci soliste:<br />

Claudio Fortuna, Moreno Dani, Tono<br />

De Marzi e Paolo Marana. Infine, per sottolineare<br />

“la riconciliazione” dello scrittore<br />

con la neve, incubo della ritirata del<br />

1943, riconciliazione datata 1946 e che<br />

ha segnato l’avvio dell’ufficiale medico<br />

Bedeschi all’attività letteraria della grande<br />

memoria, ecco il canto che dice “Ora<br />

verrà la neve, verrà la tramontana e coprirà<br />

le pietre della fontana. Chiudi per<br />

me la porta, la porta verso il prato e lascia<br />

fuori il tempo: è già passato…”<br />

* * *<br />

da Lettera al Direttore - CORRIERE<br />

<strong>DEL</strong>LA SERA - 13 giugno 2001<br />

RICORDO DI GIULIO BEDESCHI – VALORI<br />

ANCORA VIVI<br />

Desidero vivamente ringraziare il <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Alpini</strong> di <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> che sabato 9<br />

giugno ha organizzato presso il teatro<br />

Dal Verme un pomeriggio in ricordo di<br />

Il retro … coro<br />

Giulio Bedeschi.<br />

Il Coro dei “Crodaioli” diretto da Bepi<br />

De Marzi e il Coro dell’ANA diretto da<br />

Massimo Marchesotti hanno eseguito<br />

bellissimi canti di montagna e<br />

dell’ultima guerra, inframmezzati dalla<br />

lettura eseguita in modo magistrale di<br />

brani tratti da “Centomila gavette di<br />

ghiaccio” e da altri libri di Bedeschi.<br />

Pur essendo gremita fino all’ultimo posto,<br />

nella sala c’erano un silenzio assoluto<br />

ed una palpabile commozione, che accomunava<br />

tutti i presenti, fra i quali<br />

stavano diversi bambini.<br />

Credevo che lo spirito di Patria, il rispetto<br />

e la commemorazione dei suoi<br />

caduti, l’amore per la montagna inteso<br />

come elevazione dello spirito fossero<br />

ormai sentimenti sorpassati.<br />

Questo pomeriggio mi ha fatto scoprire<br />

con grande piacere che questi valori sono<br />

ancora vivi in tanti di noi.<br />

Candida Giuliani<br />

* * *<br />

da “Il Coro informazioni” anno 6, numero<br />

7/8, luglio agosto 2001 p. 5<br />

Ricordando Giulio Bedeschi:<br />

Alpino, medico, scrittore<br />

Non è stato un sabato qualunque quello<br />

del 9 giugno 2001 al rinnovato Teatro<br />

Dal Verme di <strong>Milano</strong>, era un grande ricordo<br />

per un grande uomo, che il <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Alpini</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> ha voluto com-<br />

memorare con un meraviglioso concerto<br />

corale. Giulio Bedeschi: alpino, medico e<br />

scrittore di Arzignano (Vicenza), nato il<br />

31 gennaio 1915 e scomparso nella città<br />

di Verona nel 1990. nella nefasta campagna<br />

di Russia fu ufficiale medico<br />

nell’ARMIR<br />

(Armata Italiana in<br />

Russia) dove nel<br />

gennaio 1943 si<br />

trovò coinvolto nella<br />

tragica ritirata<br />

dove la lunga fila<br />

dei fantasmi in grigioverde<br />

si perdeva<br />

nella sconfinata<br />

pianura russa (dal<br />

canto di Bepi De<br />

Marzi “L’ultima notte<br />

degli alpini”) e<br />

tra questi gli alpini<br />

della divisione Julia.<br />

testimoniando<br />

tutto questo per<br />

non dimenticare,<br />

scrisse questa tragica<br />

realtà nel suo<br />

grande capolavoro: Centomila gavette di<br />

ghiaccio. E quel sabato di giugno nel Teatro<br />

Dal Verme, alla presenza di autorità,<br />

penne nere e pubblico, si alzava un<br />

canto, il canto degli alpini magistralmente<br />

interpretato da due grandissimi<br />

cori, “I Crodaioli” di Arzignano<br />

(Vicenza) diretto dal Maestro Bepi De<br />

Marzi e dal coro ANA (Associazione<br />

Nazionale <strong>Alpini</strong>) di <strong>Milano</strong> diretto dal<br />

Maestro Massimo Marchesotti. Ma gli<br />

alpini non lasciano nulla al caso, infatti<br />

dopo i dovuti ringraziamenti alla regione<br />

Lombardia, Banca Mediolanum e Casa<br />

Editrice Mursia per la loro collaborazione<br />

e alle autorità comunali che a titolo<br />

gratuito hanno offerto il Teatro<br />

Dal Verme, sono stati raccolti fondi per<br />

l’Associazione Casa dell’Accoglienza che<br />

ha lo scopo di accogliere i malati oncologici<br />

in terapia presso l’Istituto dei<br />

Tumori e l’Istituto Besta, ed il parente<br />

che li accompagna. E sulle note del canto<br />

“Signore delle Cime” le 1500 persone<br />

presenti in sala si sono unite all’unisono,<br />

all’esecuzione dei due cori mentre il nostro<br />

pensiero andava ancora all’alpino,<br />

medico, scrittore Giulio Bedeschi e al<br />

suggestivo titolo di questa manifestazione<br />

“Dispersi nel silenzio, prossimi alle<br />

stelle”.<br />

(M. Magni)<br />

(Continua a pagina 10)<br />

Alpin del Domm 9


(Continua da pagina 9)<br />

da L'<strong>ALPIN</strong>O - Settembre 2001<br />

Al teatro Dal Verme il Coro ANA della<br />

Sezione di <strong>Milano</strong> diretto dal maestro<br />

Massimo Marchesotti e "I Crodaioli" di<br />

Bepi De Marzi.<br />

UN CONCERTO DI CORI SULL'ONDA<br />

DEI RICORDI<br />

organizzato dagli alpini del "<strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>",<br />

con lettura di brani tratti da<br />

"Centomila gavette di ghiaccio" di Giulio<br />

Bedeschi al quale è stato dedicato il nome<br />

del <strong>Gruppo</strong>. Una raccolta di fondi per<br />

la Casa dell'Accoglienza, i cui volontari<br />

assistono malati terminali ed i loro familiari.<br />

Quello di sabato 9 giugno al teatro Dal<br />

Verme di <strong>Milano</strong> non è stato uno spettacolo<br />

fra i tanti: è stato tutto speciale.<br />

Per la peculiarità degli attori, per le sue<br />

motivazioni, per i suoi contenuti.<br />

Possiamo dire che, più ancora di quanti si<br />

sono esibiti sul palcoscenico, la protagonista<br />

assoluta è stata ...l'alpinità, quest'immenso<br />

patrimonio degli<br />

alpini fatto di rispetto dei<br />

valori fondamentali, delle<br />

proprie tradizioni e radici,<br />

fatto di altruismo e di generosità.<br />

Il pomeriggio - organizzato<br />

dagli alpini del <strong>Gruppo</strong><br />

<strong>Centro</strong> della Sezione di <strong>Milano</strong><br />

in collaborazione con la<br />

Regione Lombardia, la presidenza<br />

del Consiglio comunale,<br />

il nostro <strong>Centro</strong> Studi ANA,<br />

la Banca Mediolanum e la casa<br />

editrice Mursia - era dedicato<br />

alla memoria di Giulio Bedeschi<br />

e comprendeva un<br />

concerto di cori alpini e di<br />

montagna eseguiti da due<br />

formazioni d'eccezione: il coro della sezione<br />

ANA di <strong>Milano</strong>, del maestro Massimo<br />

Marchesotti e il coro dei Crodaioli,<br />

diretto dal maestro Bepi De Marzi.<br />

La fama delle due corali ha fatto accorrere<br />

al Dal Verme centinaia di persone,<br />

anche da fuori provincia.<br />

I 1800 posti del teatro erano al completo:<br />

per motivi di sicurezza, circa trecento<br />

altre persone sono state costrette a<br />

rinunciare allo spettacolo semplicemente<br />

...perché la sala non poteva contenerle.<br />

Gli onori di casa sono stati fatti dal capogruppo<br />

di <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> Alessandro Vincenti,<br />

che ha ringraziato tutti, collaboratori,<br />

coristi e spettatori e ha spiegato il<br />

motivo della serata: onorare Giulio Bede-<br />

Alpin 10 Alpin del Domm del Domm<br />

schi, dedicare il gruppo <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong><br />

alla sua memoria (la signora Luisa Bedeschi<br />

ha scoperto - fra gli applausi - la<br />

targa che annunciava la nuova denominazione<br />

del gruppo) un concerto di cori<br />

alpini intercalati da letture di brani<br />

tratti da Centomila gavette di ghiaccio,<br />

il capolavoro di Bedeschi, un capolavoro<br />

della letteratura italiana che ha superato<br />

i tre milioni di copie in 132 edizioni.<br />

E, come ha detto Vincenti, "poiché<br />

gli alpini, non fanno nulla che non lasci<br />

anche un segno di solidarietà", per aggiungere<br />

un segno concreto alla serata<br />

hanno lanciato la raccolta di fondi a favore<br />

della Associazione Casa dell'Accoglienza<br />

di via Saldini 26, a <strong>Milano</strong> (tel.<br />

02 71092888) i cui volontari assistono i<br />

malati terminali di tumore e ospitano i<br />

loro familiari. Suor Anna Maria Marconi,<br />

ha fornito - se il dolore può essere<br />

compreso in una statistica - qualche numero:<br />

1828, dei quali 282 malati, assistiti<br />

soltanto l'anno scorso. E ha raccontato<br />

casi strazianti, che sono purtroppo<br />

cronaca quotidiana in una città<br />

troppo spesso distratta e ignara. Al Dal<br />

Carla De Albertis Spizzico del Comune di <strong>Milano</strong> e Beppe Parazzini<br />

Verme, a conclusione di questa splendida<br />

serata, gli spettatori hanno risposto<br />

all'appello con generosità.<br />

Il vice presidente del Consiglio regionale<br />

della Lombardia Piergianni Prosperini,<br />

alpino, ha ringraziato il pubblico e ha<br />

ribadito l'impegno a far sì che in Lombardia<br />

ci sia una caserma a disposizione<br />

degli alpini di leva e di leva annuale, "in<br />

modo da non essere costretti a mandare<br />

i nostri ragazzi a fare il servizio militare<br />

negli alpini in altre regioni".<br />

Il presidente nazionale Beppe Parazzini,<br />

che era accompagnato dall'avvocato<br />

Peppino Prisco e dal presidente della<br />

sezione di <strong>Milano</strong> Tullio Tona, ha elogiato<br />

gli alpini del gruppo <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong><br />

per "un'iniziativa che mantiene la cultura<br />

dell'alpinità in una società che sembra<br />

trascurare i valori e nella quale gli<br />

alpini sono insostituibili. Grazie anche a<br />

Prosperini - ha continuato Parazzini -<br />

che si adopera per far tornare gli alpini<br />

in Lombardia e a <strong>Milano</strong>, culla del glorioso<br />

5° Reggimento. E grazie anche a<br />

voi, che siete qui questo pomeriggio,<br />

perché avete capito gli sforzi che la nostra<br />

Associazione sta facendo per la<br />

salvaguardia dei valori".<br />

Il resto è stato concerto, di altissima<br />

levatura e impatto: il pubblico ha applaudito<br />

ogni esecuzione dei due cori,<br />

che hanno cantato alternandosi e alternando<br />

brani di Bedeschi. Il maestro<br />

Marchesotti ha diretto il suo coro e<br />

tutto il pubblico nel "Ponte di Perati".<br />

Altrettanto commovente il ricordo di<br />

Bepi De Marzi, quando ha raccontato di<br />

aver cantato a Bedeschi "L'ultima notte<br />

degli alpini", musicata dallo stesso De<br />

Marzi su parole di Carlo Geminiani sulla<br />

tragedia della ritirata di Russia. "Che<br />

bella - disse lo scrittore alpino - Perché<br />

non la cantate a una voce sola? Così potrei<br />

cantarla anch'io…".<br />

"Stasera faremo così",<br />

ha annunciato De Marzi.<br />

E il suo coro ha splendidamente<br />

cantato, quasi<br />

una preghiera, a una voce<br />

sola, tranne l'ultima<br />

nota, un rintocco di<br />

campana esploso a quattro<br />

voci: colpo basso,<br />

caro Bepi, che hai fatto<br />

venire un nodo in gola.<br />

Poi De Marzi ha coronato<br />

un vecchio sogno:<br />

cantare con il coro ANA<br />

di <strong>Milano</strong>, nel "Signore<br />

delle Cime".<br />

Era ormai il momento<br />

del commiato. La gente ha lasciato il teatro<br />

a malincuore: uscendo, ciascuno ha<br />

lasciato un aiuto alla Casa dell'Accoglienza,<br />

risultato superiore a ogni aspettativa.<br />

Poi, cantori e ospiti, hanno<br />

raggiunto la sede degli alpini di Cinisello<br />

Balsamo, dove hanno cenato e concluso<br />

la serata con i responsabili della Casa<br />

dell'Accoglienza, esibendosi ancora, ma<br />

solo per il piacere di cantare, come si<br />

usa fra alpini. Mentre la sala cadeva nel<br />

silenzio, i Crodaioli hanno cantato l'Ave<br />

Maria a suor Anna Maria che avevano<br />

ormai ...adottato. E benché fosse un<br />

momento di allegria e di gioia, qualcuno<br />

aveva gli occhi lucidi per la commozione.<br />

(g.g.b.)


<strong>ALPIN</strong> <strong>DEL</strong> <strong>DOMM</strong><br />

NOTIZIARIO <strong>DEL</strong> GRUPPO MILANO CENTRO<br />

SEZIONE ANA MILANO<br />

Numero Unico — Settembre 2001<br />

Fotocopiato in proprio da: Associazione Nazionale <strong>Alpini</strong> – Sezione di <strong>Milano</strong> – <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> – Giulio Bedeschi<br />

Redazione: Via Vincenzo Monti 36, 20123 <strong>Milano</strong> – tel. 02.48010991 – Responsabile Sandro Vincenti – Inviato gratis ai Soci<br />

PALAZZO MARINO<br />

SALA ALESSI<br />

25 NOVEMBRE 2000<br />

ATTI <strong>DEL</strong> CONVEGNO<br />

PROMOSSO<br />

DAL GRUPPO <strong>ALPIN</strong>I MILANO CENTRO<br />

DA "CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO"<br />

A "IL PESO <strong>DEL</strong>LO ZAINO"<br />

Alpin del Domm 11


Il tavolo della “Presidenza”. Da sinistra a destra: Alessandro Vincenti, Leonardo Caprioli, Giovanni Marra, Peppino Prisco, Piergianni Prosperini.<br />

Sullo sfondo alcuni componenti del coro “Biele stele”.<br />

Alpin 12 Alpin del Domm del Domm


Alessandro Vincenti (capogruppo): Il<br />

<strong>Gruppo</strong> <strong>Alpini</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>, di recente<br />

costituzione - è nato infatti all’inizio di<br />

quest’anno - , ha voluto organizzare un<br />

evento particolare per celebrare l'inizio<br />

della sua attività. Ci è venuta, quindi,<br />

l’idea di organizzare questo convegno anche<br />

in considerazione del fatto che cade<br />

proprio in questo periodo, il decennale della<br />

scomparsa di Giulio Bedeschi, che oltre<br />

ad essere lo scrittore notissimo che tutti<br />

conoscete, oltre ad essere alpino - artigliere<br />

alpino -, per tantissimi anni ha frequentato<br />

proprio la Sezione di <strong>Milano</strong> dell'Associazione<br />

Nazionale <strong>Alpini</strong>. Ci è sembrato naturale,<br />

pertanto, che fosse proprio <strong>Milano</strong>,<br />

gli alpini milanesi, ad avere l'obbligo morale<br />

di ricordarlo.<br />

L'idea ci ha subito entusiasmato, ma anche<br />

preoccupato: se l’argomento, infatti, era<br />

senz’altro stimolante e interessante era particolarmente<br />

sentita in noi la paura di non<br />

essere all'altezza del compito. Vi era, anche<br />

il timore di non riuscire a stimolare<br />

opportunamente il pubblico: quanti avrebbero<br />

raccolto il nostro invito? Avevamo<br />

dubbi persino sulla sala da utilizzare: la<br />

Sede Sezionale ovvero questa splendida<br />

Sala Alessi, messaci a disposizione dalla<br />

Presidenza del Consiglio Comunale di <strong>Milano</strong>.<br />

Certo la Sala Alessi è prestigiosa ma<br />

di una capienza elevatissima e ciò ci preoccupava.<br />

Del resto, visto la nostra totale inesperienza,<br />

ci mancavano del tutto i parametri<br />

di riferimento.<br />

La decisione, pertanto, è stata presa più<br />

con il cuore che con la ragione: Bedeschi<br />

meritava una sede prestigiosa e così lo avremmo<br />

commemorato nella Sala Alessi di<br />

Palazzo Marino.<br />

Alla fine siamo arrivati al gran giorno e,<br />

guardandomi in giro, mi rendo conto che le<br />

nostre preoccupazioni erano infondate: la<br />

sala è piena all'inverosimile e mi si dice<br />

che non tutti siano riusciti ad entrare. Questo<br />

fatto ci conforta perché prova che i nostri<br />

valori non sono affatto, come certuni<br />

cercano di far credere, desueti e dimenticati.<br />

Il mio compito, come responsabile del<br />

<strong>Gruppo</strong> <strong>Alpini</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>, è quello di<br />

parlare il meno possibile. Prima, però, di<br />

cedere la parola agli oratori ufficiali debbo<br />

ringraziare le Autorità civili e militari che<br />

hanno voluto essere con noi oggi. Mi scuso<br />

se non faccio un elenco nominativo ma<br />

rischierei di dimenticare qualcuno.<br />

Il primo saluto, oltre ad un caloroso ringraziamento,<br />

va certamente alla signora Luisa<br />

Bedeschi che ha voluto essere con noi stasera.<br />

Questo applauso penso che sia la prova<br />

più vera dell'affetto che lega ancora oggi<br />

gli alpini, e non solo gli alpini, a Giulio<br />

Bedeschi. Ringrazio, poi, la Sezione ANA<br />

di <strong>Milano</strong> che ha voluto far partecipare il<br />

Vessillo sezionale a questa nostra manifestazione<br />

e gli altri Gruppi della Sezione<br />

che numerosi sono oggi intervenuti con i<br />

loro Gagliardetti. Ringrazio, poi, il Presidente<br />

del Consiglio Comunale di <strong>Milano</strong>,<br />

Giovanni Marra, che ci ha consentito di<br />

usufruire di questa prestigiosissima sede,<br />

e con lui i consiglieri Gavazzi e Prosperini<br />

che non hanno certo lesinato il loro<br />

appoggio ed aiuto fattivo. Un saluto particolare<br />

ai reduci di Russia Giovanni Toffoli<br />

- artigliere alpino ed infermiere che<br />

fu in Russia con Bedeschi - il tenente<br />

Marchisio, anch'egli del Conegliano, ed<br />

il tenente Ivo Emett che oltre alla Campagna<br />

di Russia dovette subire anni di<br />

durissima prigionia.<br />

Consentitemi, infine, di leggere un telegramma<br />

che ci è pervenuto dal Vescovo<br />

di Vicenza:<br />

“La prego portare alla serata milanese,<br />

espressione mia spirituale partecipazione<br />

a ricordo di Giulio Bedeschi, comunicando<br />

il mio plauso agli organizzatori e<br />

compiacendomi con lei degno fratello.<br />

Pietro Nonis Vescovo”.<br />

Vorrei dare subito la parola al Presidente<br />

Marra per un cenno di saluto.<br />

Giovanni Marra (Presidente del Consiglio<br />

Comunale di <strong>Milano</strong>): È con grande<br />

piacere che il Consiglio comunale di<br />

<strong>Milano</strong> ha accettato di ospitare questo<br />

incontro organizzato dal <strong>Gruppo</strong> <strong>Alpini</strong><br />

<strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> per ricordare Giulio Bedeschi<br />

nel decimo anniversario della<br />

morte. È per noi un onore ricordare in<br />

questa sede un grande scrittore che con le<br />

sue parole ha contribuito a rendere ancora<br />

più grandi le imprese di un glorioso<br />

corpo militare come quello degli <strong>Alpini</strong>.<br />

Nei libri di Bedeschi si sono riconosciuti<br />

centinaia di migliaia di lettori o hanno<br />

riconosciuto persone a loro care, nelle<br />

tragedie, nella sofferenza, nell’eroismo.<br />

Nei piccoli e nei grandi gesti di solidarietà<br />

raccontati da Giulio Bedeschi si riconosce<br />

gran parte degli italiani.<br />

L’imperativo che muove gli <strong>Alpini</strong> ad<br />

andare avanti comunque è in altre parole<br />

la vera grande risorsa di cui dispone questo<br />

nostro grande, anche se a volte un po’<br />

improvvisato paese. Si tratta di una preziosissima<br />

risorsa che gli <strong>Alpini</strong> hanno<br />

sempre portato nel loro zaino sia nei tempi<br />

tragici della guerra, come quelli raccontati<br />

da Bedeschi, sia in occasione di<br />

piccole e grandi calamità in tempi di pace.<br />

L’azione e i valori che guidano gli<br />

<strong>Alpini</strong> sono però anche un grande sicuro<br />

presidio per la nostra identità e unità nazionale.<br />

Dove c’è stato bisogno indipendentemente<br />

dalla posizione geografica,<br />

gli <strong>Alpini</strong> sono stati e sono sempre per<br />

portare, con tempismo ed efficacia, aiuto<br />

alle popolazioni delle nostre regioni travolte<br />

da disastri naturali e non, ma voglio<br />

dire anche non solo nelle nostre regioni.<br />

Ricordo in questi giorni il ventesimo anniversario<br />

del terremoto in Irpinia e nel<br />

ricordarlo è doveroso ricordare il contributo<br />

che fu portato prima agli <strong>Alpini</strong> e<br />

dall’Associazione Nazionale <strong>Alpini</strong> così<br />

come fecero prima in occasione del terremoto<br />

in Friuli e più recentemente in Piemonte<br />

con le disastrose alluvioni degli<br />

ultimi anni. Con il loro impegno gli <strong>Alpini</strong><br />

dimostrano che le maglie che tengono<br />

assieme la nostra amata patria sono molto<br />

più resistenti di quanto normalmente si<br />

creda. Questa epopea degli <strong>Alpini</strong> non è<br />

ancora stata scritta con quell’efficacia<br />

con cui Bedeschi racconta le vicende della<br />

campagna di Russia e le vicende successive<br />

di Centomila gavette di ghiaccio<br />

e il Peso dello zaino, e mi auguro che<br />

questa lacuna venga presto colmata. Gli<br />

<strong>Alpini</strong> infatti meritano di essere amati e<br />

ricordati sempre, in pace e in guerra, infatti,<br />

amando loro si impara ad amare il<br />

nostro Paese.<br />

Alessandro Vincenti: È noto che il<br />

<strong>Gruppo</strong> è il nucleo più piccolo<br />

dell’Associazione Nazionale <strong>Alpini</strong>. È,<br />

quindi, per noi un grande onore la presenza<br />

del Presidente Nazionale – Giuseppe<br />

Parazzini – al quale chiediamo due<br />

parole di saluto, benché ci avesse chiesto<br />

di non farlo parlare.<br />

Giuseppe Parazzini (Presidente Nazionale<br />

ANA): Buona sera a tutti. Questa è<br />

un po’ una pugnalata alle spalle, ma per<br />

Giulio Bedeschi la si sopporta volentieri.<br />

Ringrazio ancora la signora Luisa per<br />

aver presenziato a questa bella cerimonia.<br />

Volevo solo limitarmi a fare i complimenti<br />

al neo costituito <strong>Gruppo</strong> della<br />

Sezione di <strong>Milano</strong>, <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>,<br />

al suo capogruppo e a tutti quelli che<br />

lo compongono, perché avevamo bisogno<br />

di avere qualcuno che prendesse a<br />

cuore anche questi aspetti associativi,<br />

ricordare le grandi persone che ci hanno<br />

indicato tanti valori e tanti ideali da seguire.<br />

Sono orgoglioso e ringrazio quindi<br />

ancora il <strong>Gruppo</strong> di <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong> per<br />

questa iniziativa che dà il là a tutta la sua<br />

attività. Grazie a tutti, approfitto<br />

dell’occasione per fare inoltre a tutti i<br />

presenti gli auguri per le prossime feste.<br />

Viva l’Italia e viva gli <strong>Alpini</strong>.<br />

Alessandro Vincenti: Prima di passare<br />

alle relazioni ufficiali, una piccola sorpresa.<br />

Abbiamo scoperto, quasi per caso,<br />

che nella nostra città c'è un gruppo di<br />

ragazzi, di liceali, che fanno parte di alcuni<br />

complessi corali, ma che si sono<br />

uniti per fare un coro a se stante, il Coro<br />

"Biele Stele", che canta esclusivamente<br />

le nostre canzoni.<br />

Prima di dare la parola al prof. Canta-<br />

(Continua a pagina 14)<br />

Alpin del Domm 13


(Continua da pagina 13)<br />

messa per la relazione introduttiva, pertanto,<br />

chiederei al direttore del Coro - Paolo<br />

Grava -, di eseguire una nostra canta.<br />

Il coro Biele Stele canta "Joska la Rossa"<br />

Alessandro Vincenti: Vi confesso che<br />

anche per me è stata una piacevolissima<br />

sorpresa perché, anche se me ne avevano<br />

tanto parlato, non li avevo ancora sentiti e<br />

sono veramente bravi. Li sentiremo ancora<br />

più tardi.<br />

Ma, a proposito di cori, doveva essere presente<br />

con noi oggi anche Bepi De Marzi,<br />

maestro de “I Crodaioli”, il quale, impossibilitato<br />

a presenziare per altri e precedenti<br />

impegni, ci ha indirizzato questa lettera:<br />

“Subito dopo l’uscita del libro Centomila<br />

gavette di ghiaccio, Carlo Geminiani amico<br />

della famiglia Bedeschi e in particolar<br />

modo di Giuseppe, Beppe, ispirandosi a<br />

due precisi momenti del libro, scrissi i versi<br />

di Joska la Rossa e L’ultima notte degli<br />

<strong>Alpini</strong>, perché ne facessi dei canti. Li presentammo<br />

al Teatro Sociale di Arzignano<br />

nel novembre del 1963 e fu proprio Giulio<br />

a raccontarne le origini, le ragioni e le<br />

emozioni. Poi lungo gli anni assistendo a<br />

qualche conferenza vicentina dello scrittore<br />

ho trovato i motivi per la musica di Le<br />

voci di Nicolajewka e Giulio ha condotto il<br />

nostro cantare intorno a questa storia fatta<br />

di armonia e urla disperate in un concerto<br />

nel salone del Circolo della Stampa di <strong>Milano</strong><br />

nella seconda metà degli anni Sessanta.<br />

Così sempre in quegli anni siamo giunti<br />

al festoso incontro in Piazza S. Marco di<br />

Venezia, dove 15 cori hanno intonato insieme<br />

Il Signore delle cime, Joska la Rossa,<br />

L’ultima notte degli <strong>Alpini</strong> e fu ancora<br />

l’amico Giulio Bedeschi a introdurre ogni<br />

momento cantato. Vorrei tanto essere lì<br />

con voi tutti magari con un gruppo di coristi<br />

e ritrovare i suoni della dolce memoria<br />

ma stasera canteremo a Gorizia, però a<br />

ogni canto sarà la voce morbida di Giulio<br />

a intonare i nostri pensieri. Date un bacio<br />

per me e per noi alla carissima signora<br />

Bedeschi che immagino presente e che ha<br />

vissuto con noi quei giorni indimenticabili.<br />

Un abbraccio fraterno e riconoscente.<br />

Bepi De Marzi, Carlo Geminiani, i Crodaioli.”<br />

Diamo quindi inizio alle relazioni ufficiali.<br />

Cedo, dunque, la parola, al prof. Giuseppe<br />

Cantamessa, alpino, giornalista pubblicista,<br />

critico letterario del quotidiano l’Italia che<br />

nel 1962 ideò la pagina “Italia libri” e la<br />

prima pagina di un quotidiano interamente<br />

dedicata alla presentazione di libri. Tra i<br />

volumi da lui pubblicati figura L’alpino in<br />

pace e in guerra.<br />

Prof. Cantamessa: Buonasera. Ritengo<br />

opportuno iniziare con una spiegazione ed<br />

Alpin 14 Alpin del Domm del Domm<br />

una premessa breve. La spiegazione riguarda<br />

proprio il titolo della relazione:<br />

“Da Centomila gavette di ghiaccio a Il<br />

peso dello zaino”. I due volumi si sviluppano<br />

in un ciclo storico che inizia dalla<br />

guerra in Albania e finisce dopo l’8<br />

settembre, esattamente il 28 dicembre<br />

1943. Ma la parte più interessante è<br />

“Giusto riconoscimento a Giulio Bedeschi”.<br />

Quando nel 1963 fu pubblicato<br />

Centomila gavette di ghiaccio i critici<br />

letterari dei quotidiani e dei settimanali<br />

scrissero tutti belle parole: erano anche<br />

stati trascinati dall’entusiasmo e<br />

dall’accoglienza del pubblico; basti ricordare<br />

che l’anno dopo il libro vinceva il<br />

Premio Bancarella, tre anni dopo aveva<br />

raggiunto la diffusione di un milione di<br />

copie; oggi si è già a tre milioni di copie.<br />

Era ammissibile che i critici letterari fossero<br />

incerti; erano in parte scusabili e<br />

c’ero anch’io tra quelli da scusare: era il<br />

primo libro.<br />

Avevo osservato che c’erano tutte le caratteristiche,<br />

tutti gli aspetti perché quel<br />

libro entrasse a far parte della storia della<br />

letteratura italiana del Novecento. Entrando<br />

nella storia della letteratura italiana<br />

doveva essere un’opera d’arte e Bedeschi<br />

uno scrittore di valore letterario,<br />

cioè un artista.<br />

Gli artisti possono essere scultori, pittori,<br />

musicisti, poeti, narratori che si esprimono<br />

in un’opera perfetta. Si poteva avere<br />

qualche esitazione perché era la prima<br />

opera. Ma quando nel 1966 fu pubblicato<br />

Il peso dello zaino si doveva avere, da<br />

parte di tutti, il coraggio di riconoscere il<br />

valore dell’opera d’arte dello scrittore, e<br />

che Bedeschi fosse degno di essere compreso<br />

nella storia della letteratura italiana.<br />

Ho qui un documento, una pagina che<br />

ha trentaquattro anni, quella del 20 aprile<br />

1966. Il libro Il peso dello zaino, pubblicato<br />

in prima edizione da Garzanti (passò<br />

poi a Mursia), ultimata la stampa il 17<br />

marzo, l’editore Garzanti giustamente<br />

mandò a tutti i quotidiani ed a tutti i settimanali<br />

fogli di stampa piegati perché potessero<br />

leggerlo prima: ed io che desideravo<br />

proprio considerare la validità dello<br />

scrittore, lo lessi subito e pubblicai<br />

l’articolo di apertura della mia pagina<br />

quando il libro non era ancora in libreria<br />

perché vi arrivò ai primi di maggio. In<br />

quell’articolo affermavo chiaramente che<br />

Bedeschi doveva far parte della storia<br />

della letteratura italiana perché i suoi libri<br />

erano opere di valore letterario, cioè<br />

opera d’arte. I motivi erano diversi: si<br />

passava dalla prosa d’arte all’uso<br />

dell’armonia del periodo, all’uso di certe<br />

tecniche che Bedeschi aveva spontanee<br />

perché era un artista, perché era uno<br />

scrittore. Pensate alla difficoltà di certi<br />

scrittori quando vogliono usare l’isteron<br />

proteron e quando vogliono usare la so-<br />

vrapposizione linguistica oppure la suddivisione<br />

del periodo con la bipolarità<br />

della narrazione e con la struttura dialogica<br />

del linguaggio. Per Bedeschi era<br />

tutto naturale, perché era un artista e da<br />

allora ho atteso che si potesse esprimere<br />

questo riconoscimento a Bedeschi.<br />

Due anni fa, finalmente, Luigi De Vendittis<br />

pubblicò tre volumi mastodontici,<br />

sembrano tre messali, per di più pesantissimi,<br />

dal titolo “ Uso e forme della creazione<br />

letteraria in Italia”: nel terzo volume,<br />

finalmente, metteva Giulio Bedeschi<br />

nella letteratura italiana; ma non mi è<br />

bastato perché, prima di tutto, citava solo<br />

Centomila gavette di ghiaccio ; e invece<br />

vedremo che ha maggiore valore letterario<br />

“Il peso dello Zaino” perché in questa<br />

opera l’autore ha avuto la libertà di<br />

creare, cioè lo scrittore ha potuto<br />

“scavare” perché ha scritto un romanzo<br />

su documenti veri, su testimonianze vere:<br />

e poi non dava un giudizio critico, un<br />

giudizio estetico completo, come si desidera<br />

quando uno scrittore entra a far parte<br />

della storia della letteratura italiana. Il<br />

mio tentativo, questa sera, è proprio questo,<br />

brevissimo perché non abbiamo tempo:<br />

vedere, analizzando l’opera di Bedeschi,<br />

come è un artista, cioè analizzare<br />

l’opera e, in qualche punto, che possono<br />

essere una, due, tre righe, mezza pagina,<br />

vedere perché è un artista, quale è la differenza<br />

tra l’artista e gli altri.<br />

L’opera narrativa di Bedeschi si inquadra<br />

naturalmente, nella storia della letteratura,<br />

in un settore particolare, cioè la letteratura<br />

di guerra; e nella letteratura di<br />

guerra ci sono due tecniche narrative che<br />

vi dico in parole semplici: in una si parla<br />

al sentimento e in un’altra si parla alla<br />

mente, alla ragione; e i due volumi di<br />

Bedeschi sono proprio suddivisi in queste<br />

due categorie. Nel primo parla al sentimento<br />

e nel secondo parla alla ragione.<br />

Ma prima di iniziare ad analizzarli dobbiamo<br />

chiederci: chi è l’artista? Come si<br />

fa a capire se Bedeschi fu un artista? Per<br />

definire l’artista mi piace usare una definizione<br />

che disse due mesi fa Monsignor<br />

Ravasi, Prefetto dell’Ambrosiana, ricordando<br />

Aligi Sassu.<br />

Commemorando Aligi Sassu e parlando<br />

dell’artista in generale cioè lo scultore, il<br />

pittore, il musicista, il poeta, il narratore,<br />

disse: “ l’artista è quello che sa scavare<br />

(bellissimo questo verbo) al di là delle<br />

persone, al di là delle cose per scoprire<br />

cosa c’è dietro “. Cioè, praticamente,<br />

l’artista è quello che di fronte ad una soggettivazione<br />

che abbiamo tutti, riesce in<br />

se stesso a giungere all’oggettivazione<br />

mediante il momento creativo dell’arte<br />

che egli possiede: sia con la parola, sia<br />

con la poesia, sia con la musica, sia con<br />

la pittura, sia con la scultura: e, nel se-<br />

(Continua a pagina 15)


(Continua da pagina 14)<br />

condo volume, proprio Bedeschi ci darà<br />

l’esempio di questa differenza che c’è tra<br />

noi, che sentiamo la soggettivazione, e<br />

l’artista che di fronte alla medesima sensazione<br />

ci dà la pagina di poesia in prosa o la<br />

pagina di poesia.<br />

Iniziamo ad analizzare Centomila gavette<br />

di ghiaccio. Immagino che l’abbiate già<br />

letto tutti quanti perché non ho la possibilità<br />

di dirvi i riassunti dei tempi. Se dovessi<br />

esprimere un paragone come si usa quando<br />

si analizzano libri e si osserva la creatività<br />

dell’artista, la struttura del periodo, a quali<br />

autori si ricollega (lasciando il richiamo a I<br />

promessi Sposi di Manzoni perché lì c’è<br />

tutto), rimanendo nella letteratura del 900<br />

farei un riferimento: Centomila gavette di<br />

ghiaccio lo collegherei con il romanzo ciclico<br />

di Bacchelli Il mulino del Po, mentre<br />

Il peso dello zaino a un libro che fu pubblicato<br />

nel medesimo anno in cui fu pubblicato<br />

“Centomila gavette di ghiaccio” di Bedeschi,<br />

cioè a Il velocifero di Luigi Santucci.<br />

Ma c’è una differenza: Bedeschi non<br />

divide in parti i suoi libri: se voi li avete<br />

letti vi siete accorti che i libri sono divisi in<br />

tempi: quattro tempi il primo, quattro tempi<br />

il secondo; e non basta. A ogni tempo<br />

premette una didascalia che può essere un<br />

verso, due versi, tre versi, quattro versi che<br />

sono il leitmotiv del tempo stesso, cioè come<br />

avviene nelle sinfonie; infatti i tempi<br />

sono nient’altro che i tempi o i movimenti<br />

di una sinfonia. E allora a me è venuto più<br />

spontaneo un paragone diverso, non con la<br />

letteratura ma con la musica. Mi sembra<br />

che nei due libri di Bedeschi si possa percepire<br />

un grande poema sinfonico, o meglio<br />

come due sinfonie che si sviluppano<br />

una dopo l’altra come se fossero l’opera 67<br />

e l’opera 68 di Beethoven: non rimanete<br />

perplessi, le conoscete, sono la Quinta e la<br />

Sesta sinfonia detta La Pastorale.<br />

Poiché il tempo disponibile è poco, iniziamo<br />

subito una analisi per poter giudicare<br />

Bedeschi scrittore letterario. Il “tempo primo”<br />

di Centomila gavette di ghiaccio è il<br />

periodo in cui il Sottotenente medico Serri<br />

presta servizio, in Albania, in una divisione<br />

di fanteria. Ci sono pagine stupende,<br />

quando dirò “pagine” o “ brani di antologia”<br />

vuol dire che ci sono nel libro pagine<br />

così complete che possono, pur collegate<br />

col resto, vivere da sole: si possono pubblicare,<br />

appunto, in una antologia. Nel tempo<br />

primo ci sono pagine toccanti: non posso<br />

fermarmi a lungo perché ho dovuto tagliare<br />

anche i brani più belli; vi sono pagine in<br />

cui compare sempre l’eroismo e questo<br />

spiega la caratteristica. Centomila gavette<br />

di ghiaccio parla al sentimento ma non ha<br />

bisogno dei traumi emotivi, non ha bisogno<br />

degli intimismi psicologici, non ha<br />

bisogno di niente perché Bedeschi è un<br />

artista e descrive tutti atti eroici; e questo<br />

vale non solo per i libri di valore letterario,<br />

vale anche per tutte quelle testimonianze<br />

di guerra, per tutti quei libri che sono<br />

stati pubblicati: pensate anche a quelli<br />

sulla prigionia dei nostri soldati in Russia,<br />

quelli dei cappellani militari prigionieri;<br />

e qui Bedeschi mi ha dato una soddisfazione<br />

grandissima: giungeremo a<br />

questo punto. Mi sono ripromesso di non<br />

essere polemico questa sera: non lo sarò<br />

ma se qualche volta, ad un certo punto,<br />

dirò qualcosa è perché sono stati troppo<br />

ingiusti.<br />

Bedeschi, quindi, non usa traumi emotivi<br />

perché parte da fatti che sono eroici. Il<br />

fatto eroico porta naturalmente a quello<br />

che è l’aspetto più grande, cioè al meraviglioso:<br />

ma attenti bene, meraviglioso<br />

nel significato del termine latino<br />

“monstrum”, cioè prodigio, prodigioso. E<br />

qui siamo in una categoria mentale: a<br />

questo punto si giunge al magistero del<br />

sentimento. Quindi non ha proprio bisogno<br />

di usare quei mezzi e tanto meno di<br />

quello che un critico letterario di un quotidiano,<br />

pur scrivendo belle parole, aveva<br />

evocato come moduli deamicisiani. Forse<br />

non aveva letto De Amicis, ma certamente<br />

non aveva letto i saggi critici di Croce<br />

e di Santucci sulla letteratura infantile.<br />

Ma iniziamo un’analisi più impegnata.<br />

Dopo il tempo primo che narra le vicende<br />

con la divisione di fanteria, si giunge<br />

al tempo secondo quando c’è l’armistizio<br />

e la pace. Possiamo fare una prova. Pensate<br />

Voi come vi esprimereste se doveste<br />

dire che c’è la pace: provate a pensarci.<br />

Io vi dico che cosa ho scritto e poi leggiamo<br />

come si esprime un artista. Quando<br />

vent’anni fa stavo terminando di scrivere<br />

L’Alpino in guerra e in pace (libro<br />

che è stato onorato dalla prefazione del<br />

Presidente Caprioli) ho creduto di esprimermi<br />

in modo originale incominciando<br />

il titolo con la congiunzione “ e ”, volendo<br />

scrivere in modo diverso dai soliti, e<br />

intitolai quella parte “ E venne la pace ”.<br />

Adesso sentite come un artista dice che<br />

c’è la pace senza usare il termine pace. “<br />

Saporito era nuovamente il pane, dolce il<br />

riposo, buona a bere l’acqua, privo di<br />

incubi il sonno, bello, bellissimo era vivere<br />

ancora ”. Questo è l’artista che<br />

“scava”, che vede e che sa dire quello<br />

che tutti proviamo ma che solo lui, poi,<br />

sa esprimere. A un certo punto, finita la<br />

guerra, il Tenente Serri, cioè Bedeschi,<br />

venne trasferito nell’ospedale da campo<br />

840 e poi in un ospedale da campo della<br />

Julia. Ed è qui che una sera vede le tende<br />

nel bosco e si accorge che il bosco è<br />

troppo silenzioso e sente che gli <strong>Alpini</strong><br />

danno la voce al bosco. Non leggo la prima<br />

parte dell’episodio perché non abbiamo<br />

tempo, ma sentiamo la conclusione.<br />

“ Così nasceva il canto”: state attenti alla<br />

progressione dell’espressione musicale<br />

come a poco a poco cresce; “ mormorato<br />

all’inizio quasi seguito di pensieri accorati<br />

e gonfio di contenuto respiro, lamento<br />

più che grido perché mai dissociato<br />

dal rimpianto per coloro che non cantano<br />

più attorno ai fuochi. Un’infinita nostalgia<br />

di cose perdute piangeva fra gli<br />

<strong>Alpini</strong> immobili e gravi: pareva allora<br />

veramente nel tenebroso silenzio del bosco<br />

che innanzi alle rosse lingue guizzanti<br />

le parole e le voci venissero a sciogliersi<br />

grondando sangue e lacrime”.<br />

Avete notato come sa usare i traslati in<br />

modo stupendo, meraviglioso? La<br />

“nostalgia infinita” che piange, le parole<br />

e le voci che grondano “sangue e lacrime”.<br />

D’accordo: sono dei traslati; ma<br />

solo un artista li sa usare così bene ed è<br />

anche per questo che Bedeschi doveva<br />

essere valorizzato. Nel terzo tempo poi,<br />

(dobbiamo proseguire velocemente) la<br />

Julia è tornata in Italia; ma prima della<br />

partenza il Tenente medico Serri aveva<br />

chiesto all’amico Reitani di raccontargli<br />

tutte le vicende della Julia e l’amico, una<br />

sera, gliele aveva raccontate. Era la notte<br />

di Natale del 1941 e il Capitano Reitani,<br />

con un “isteron proteron” (si può definire<br />

una trasposizione di tempo e di luogo ma<br />

che trova un riferimento a ciò che sta avvenendo<br />

in quel momento) narra la vicenda<br />

della notte di Natale dell’anno precedente.<br />

È Natale e sta nevicando e la<br />

neve e il Natale riportano il racconto a<br />

quel Natale del 1940 quando mille <strong>Alpini</strong><br />

passarono la notte portando ciascuno<br />

quattro proiettili per i 75/13 su in alto<br />

alle batterie che erano senza munizione e<br />

che stavano per essere attaccate dai Greci.<br />

Vi è poi il trasferimento in Italia con un<br />

“brano d’antologia”: l’affondamento della<br />

Galilea e la perdita del battaglione Gemona.<br />

In Italia, dopo la licenza, partono<br />

per la Russia.<br />

Trasferiamoci là in Russia nel dicembre<br />

1942. La batteria del Capitano Reitani,<br />

con un gruppo di pronto intervento, è<br />

incuneata in avanti mentre ai fianchi le<br />

altre Divisioni, tranne quelle degli <strong>Alpini</strong>,<br />

si sono ritirate.<br />

Gli <strong>Alpini</strong> dovettero rimanere per proteggere<br />

tutti gli altri che si ritiravano, Tedeschi,<br />

Ungheresi e Rumeni. Fu un momento<br />

cruciale perché non sapevano se<br />

fossero riusciti a resistere ai Russi o se<br />

fossero sopravvissuti. Erano in quella<br />

situazione precaria quando giunse presso<br />

di loro Padre Leone, il cappellano del<br />

Battaglione sciatori Monte Cervino”. Padre<br />

Leone si accostò ai due ufficiali, il<br />

Capitano Reitani e il Tenente medico<br />

Serri: vide gli <strong>Alpini</strong> sdraiati nella neve,<br />

pensò che difficilmente sarebbero sopravvissuti<br />

e allora volle assolverli tutti.<br />

Vi leggo solo l’ultima parte. Dice il cappellano:<br />

“Ormai credo di poterlo fare, la<br />

(Continua a pagina 16)<br />

Alpin del Domm 15


(Continua da pagina 15)<br />

penitenza la stanno già facendo da un pezzo<br />

mi pare – E fissando i due ufficiali disse:<br />

-- Io vi assolvo, io vi assolvo tutti – levò<br />

la mano nuda sulla distesa bianca”.<br />

E qui abbiamo un capoverso che è stupendo,<br />

è di un realismo proprio doloroso, triste;<br />

ma ha fatto bene Bedeschi a rendere<br />

giustizia a questi cappellani militari che<br />

sono stati prigionieri in Russia. Seguitemi<br />

perché è veramente affascinante. “ Era<br />

una mano diafana, esangue, di frate, adusata<br />

al breviario e al messale, a innalzar<br />

l’Ostia, a spargere carità dove toccava; e<br />

Dio solo già sapeva che di lì a pochi mesi,<br />

nell’orrore della prigionia, Padre Leone,<br />

distrutto dalle cancrene dei congelamenti,<br />

moribondo in tutto ma non nello spirito si<br />

sarebbe trascinato sino al suo ultimo respiro<br />

da morente, ad alzare su di essi giacenti<br />

quella mano ormai putrida e sfatta<br />

fino all’ossa, gocciolante di pus nel benedire”.<br />

A questo punto c’è un passaggio nel quale<br />

Bedeschi dimostra di possedere una tecnica<br />

particolare: quando descrive momenti<br />

tristi è capace di passare con una dissolvenza<br />

ad una distensione, anzi è capace di<br />

giungere a considerare la serenità della<br />

morte, tanto che accanto alla tematica della<br />

neve, alla tematica del Natale ho descritto<br />

in Bedeschi anche la tematica della serenità<br />

della morte. “Padre Leone tacque a<br />

lungo e assorto. Poi all’improvviso, come<br />

cambiando umore esclamò quasi allegro –<br />

In gamba ragazzi. Tanto in un modo o in<br />

un altro, deve toccare a tutti. “ Quia pulvis<br />

es”. Te lo ricordi ancora il latino, dottore?<br />

– Giacché sei polvere – mormorò Serri<br />

– Sènti, Sènti i signori ufficiali che i parla<br />

latin anca a Jvanowka! –“.<br />

Notate questa trasposizione del linguaggio,<br />

questa sovrapposizione linguistica che Bedeschi<br />

usa sovente magistralmente. “ –<br />

Era la voce del conducente Pilòn che stava<br />

passando accanto con un telo da basto caricato<br />

sulle spalle. Continuò: -- El bèlo xe<br />

che ‘sto latìn lo so ànca mi, el xe el latìn<br />

de me nòno, el lo dixèva sempre, poarèto,<br />

quando me nòna ghe scondèva el tabàco!<br />

Volé sentirlo? – Cambiò spalla al telo da<br />

basto, e recitò: -- Me meto omo, chi pulvisè<br />

et in pulvere redeventàri ! – Padre, perdona<br />

loro “ – disse ridendo il cappellano<br />

aprendo le braccia e levando gli occhi al<br />

cielo”.<br />

Ma il momento è veramente tragico e la<br />

serenità della morte appare poco dopo,<br />

quando temono di non poter resistere e<br />

Reitani e Serri, ormai amici fraterni, si<br />

stringono la mano. Sono due righe e ve le<br />

leggo: “-- Addio, Italo – disse il Capitano<br />

afferrando nel buio e stringendo con grandissima<br />

forza la mano del medico: -- Addio,<br />

Ugo – disse il medico. – Siamo stati<br />

fratelli. Noi crediamo in Dio, ci ritroveremo<br />

tra poco “.<br />

Alpin 16 Alpin del Domm del Domm<br />

Invece riescono a superare quel momento<br />

e giunge la notte di Natale 1942: è stupenda,<br />

è mirabile. Bedeschi qui ha saputo<br />

dare una disgiunzione linguistica e,<br />

soprattutto, una sovrapposizione del linguaggio<br />

che è meravigliosa, perché c’è il<br />

cappellano che legge la messa in latino,<br />

mentre dentro di sé, dal suo cuore, rivolge<br />

una preghiera a Gesù Bambino. C’è<br />

uno sdoppiamento, ma la parte originale<br />

è che Bedeschi fa parlare il cappellano<br />

come se parlasse agli <strong>Alpini</strong> e invece<br />

parla a Gesù Bambino. Ve ne leggo alcune<br />

righe: “Il cappellano leggeva in fretta<br />

e a bassa voce le parole della Messa di<br />

Natale. – Vedi, Bambino Gesù – forse<br />

diceva il suo cuore mentre gli occhi scorrevano<br />

sulle righe del messale – questi<br />

sono gli <strong>Alpini</strong> che fanno la guerra. Ma<br />

non ne hanno colpa. Tu lo sai. Sono stati<br />

mandati e devono ubbidire. Preferirebbero<br />

lavorare tranquilli nelle loro case,<br />

per i loro figli e per le mogli che sono<br />

rimaste sole, e per i vecchi … Guardali<br />

come sono ridotti, quasi peggio di te<br />

quando nascesti: hanno solo un po’ di<br />

fradicia paglia per sdraiarsi: Tu almeno<br />

avevi, scusa, il bue e l’asinello a riscaldarti<br />

col fiato. Loro, no. …<br />

Quando mi sono voltato verso di loro per<br />

annunciare ‘ Gloria in Excelsis Deo’ ho<br />

visto che sono inginocchiati nella neve<br />

rivolti al tuo altare: me l’aspettavo, li<br />

conosco bene. E stanno a testa china. Ti<br />

pregano, se li ascolti sentirai che Ti chiedono<br />

soprattutto di farli tornare presto a<br />

casa, alle loro montagne; da soli non<br />

possono andarci, sono capaci di morire<br />

qui, per ubbidire. Tu stesso li hai fatti<br />

così –“.<br />

<strong>Alpini</strong> che siete qui in sala, avete capito<br />

bene cosa dice il cappellano a Gesù<br />

Bambino? Se avete udito bene, avete capito<br />

che in questo punto Bedeschi, per<br />

mezzo del cappellano, ha espresso<br />

l’elogio più sublime che si possa dire agli<br />

<strong>Alpini</strong>. Lo rileggo. Il cappellano dice a<br />

Gesù Bambino: “—Tu stesso li hai fatti<br />

così: ma se li restituisci alla casa, sentirai<br />

che felicità, che bontà d’intenti e<br />

d’opere vive nel loro cuore …-- Press’a<br />

poco così doveva pregare il cappellano,<br />

perché era un alpino anche lui “.<br />

<strong>Alpini</strong>, fate una bella cosa. Vedete se<br />

riuscite a trovare un elogio degli <strong>Alpini</strong><br />

più bello di questo. Ma state attenti: accanto<br />

all’elogio c’è l’aggettivo<br />

“sublime”. Cercatelo: se lo trovate, fatemelo<br />

sapere; vi ringrazierò.<br />

Passiamo al tempo quarto che è dedicato<br />

alla ritirata. Nella descrizione della ritirata<br />

ci sono molte pagine belle (con un isteron<br />

proteron ne troveremo anche<br />

nell’altro volume): ma la pagina dedicata<br />

alla battaglia di Nikolajewka è meravigliosa:<br />

secondo me quella di Bedeschi è<br />

la migliore, perché accanto a quelli che<br />

sono gli aspetti tristi, dolorosi, cruciali,<br />

ha saputo mantenere la serenità. E’ una<br />

pagina di poesia, pagina proprio da antologia.<br />

Credo di aver recensito 22 o 23<br />

volumi che descrivevano la battaglia di<br />

Nikolajewka. Ne ho trovati solo due che<br />

mi sono piaciuti, ma questo è quello che<br />

più ho apprezzato. L’altro era quello di<br />

Monsignor Chiavazza, Scritto sulla Neve,<br />

che fu poi anche traslato nel disco Philips<br />

Con gli alpini in Russia.<br />

Ma la descrizione di Bedeschi è quella<br />

che mi è piaciuta maggiormente, perché<br />

ha saputo mantenere quello spirito di serenità<br />

e di poesia anche nei momenti più<br />

tristi, anche nei momenti più dolorosi,<br />

anche nei momenti più ostili all’uomo,<br />

quando l’uomo non è più capace di essere<br />

amico dell’altro uomo.<br />

Nel tempo quarto c’è anche il ritorno in<br />

Italia. Furono fortunati: viaggiarono nei<br />

carrozzoni con gli sportelli e i finestrini.<br />

Pochi di voi hanno conosciuto i famosi<br />

carri “ quaranta uomini, otto cavalli ”.<br />

Questa volta, per i reduci dalla Russia,<br />

c’erano i carrozzoni. A un certo punto<br />

Bedeschi ci offre una pagina indimenticabile.<br />

Una sera, quando era già buio, in<br />

un carrozzone venne, chissà da chi, un<br />

mormorio incerto, un accenno a labbra<br />

chiuse; “altri lo raccolsero, lo passarono<br />

di bocca in bocca”. Notate, adesso, la<br />

progressione nella intensità musicale dei<br />

verbi. “ Il motivo vagolò indeciso”. ( Bellissimo<br />

questo verbo “vagolò” ). Solo un<br />

artista può comunicarci questa espressione.<br />

“ Il motivo vagolò indeciso, sfiorò<br />

lento il cuore degli uomini, altre voci lo<br />

accrebbero donandogli una consistenza<br />

triste, simile a un accorato pianto che<br />

fluisce nel buio. Ma gli artiglieri alpini<br />

non piangevano, erano immobili, forse<br />

ad occhi chiusi. Cantavano. A bassa voce,<br />

un sussurro. Veniva a loro il ricordo<br />

di cento, di mille, d’infinite cose lasciate<br />

disciogliere in una, in quel filo di voce<br />

che si faceva strada nel buio come una<br />

piccola vena d’acqua tra le pietre e<br />

l’erba “. Bedeschi, con le parole, ci ha<br />

trasmesso questa delicatissima sensazione<br />

musicale. Un altro artista, ma era un<br />

musicista, era Smetana, nel poema sinfonico<br />

“La mia patria”, nel tempo primo La<br />

Moldava, usò un solo flauto tenore per<br />

interpretare in modo quasi impercettibile<br />

questa sensazione del “filo di voce che si<br />

fa strada, nel buio come una piccola vena<br />

d’acqua tra le pietre e l’erba”. E la canzone<br />

era struggente come tutte le canzoni<br />

degli <strong>Alpini</strong>: parlava di un ponte, parlava<br />

di una bandiera, parlava della Julia, parlava<br />

degli <strong>Alpini</strong>. Avete capito: era “Sul<br />

ponte di Perati”. Bedeschi fa cantare agli<br />

<strong>Alpini</strong> le prime due strofe; ma io ho<br />

l’impressione, e la mia impressione deriva<br />

da quanto ha scritto Bedeschi nelle<br />

(Continua a pagina 17)


(Continua da pagina 16)<br />

pagine 77 e 78 (vi dico il numero delle pagine<br />

perché non abbiamo il tempo di leggerle),<br />

che abbiano cantato anche la quinta<br />

strofa. Non li sentiva nessuno: erano là nel<br />

loro carrozzone e hanno cantato anche<br />

quella quinta strofa che in quei tempi era<br />

proibito cantare: c’era la proibizione assoluta<br />

perché parlava di tradimento. Mentre<br />

non so se abbiano cantato la sesta strofa<br />

perché ancora non sapevano quanti e quanti<br />

e quanti <strong>Alpini</strong> sarebbero morti soprattutto<br />

nei campi di prigionia. La sesta è<br />

quella che comincia “Un coro di fantasmi<br />

vien giù dai monti ”, che certi cori cantano<br />

per prima dopo che il coro degli <strong>Alpini</strong><br />

della Taurinense cominciò a recitarla, non<br />

a cantarla: solo a recitarla.<br />

Siamo così giunti al ritorno degli eroi. Ritorno<br />

degli eroi che, naturalmente, Bedeschi<br />

rievoca senza mezzi termini: ce lo descrive<br />

con un realismo che è veramente<br />

desolante, ma vero. Fu proprio così. Quando<br />

entrarono in Italia, alla prima sosta gli<br />

<strong>Alpini</strong> scesero dalle carrozze per toccare la<br />

terra, per baciarla, ma vennero rimandati<br />

sulle carrozze. Anzi, i ferrovieri chiusero<br />

gli sportelli e fecero alzare i vetri: e agli<br />

<strong>Alpini</strong> che si lamentavano, ecco la chiusura<br />

del ritorno degli eroi “ –Che <strong>Alpini</strong> o<br />

non <strong>Alpini</strong> !! Ma vi vedete ? – urlò allora<br />

il ferroviere; -- Vi accorgete sì o no che<br />

fate schifo ? –“.<br />

Il titolo del secondo volume Il peso dello<br />

zaino è una simbologia perché non è solo<br />

lo zaino che portavano: anche quello, ma<br />

soprattutto è l’angoscia, quella che sentivano<br />

sia il Capitano Reitani, sia, ad un certo<br />

punto, il Tenente medico Serri, perché loro<br />

erano tornati. Soprattutto il Capitano Reitani<br />

non sapeva cosa fare: poi decise di andare<br />

a morire là dove erano morti i suoi artiglieri<br />

alpini. Infatti, guardate la copertina<br />

della prima edizione: gli alpini capiscono<br />

subito tutto. È rappresentato un soldato<br />

disteso a terra, morto, con le fasce gambiere<br />

e gli scarponi: ma gli scarponi sono illuminati<br />

dal sole. Quando nel 1921 Paolo<br />

Monelli pubblicò presso l’editore Treves<br />

Le scarpe al sole (fu fortunato, perché girò<br />

solo due anni tra i vari editori; Bedeschi,<br />

purtroppo, girò per diciassette anni) iniziò<br />

il suo libro con queste parole: “Nel gergo<br />

degli alpini mettere le scarpe al sole significa<br />

morire in combattimento”. Sarà questa<br />

la vicenda che si svilupperà in tutta<br />

quanta la storia del volume, che ha più<br />

valore letterario perché è un romanzo basato<br />

su documenti storici. Bedeschi ha conosciuto<br />

Padre Flad, ha sentito da lui la storia<br />

di questo religioso che studiava alla Gregoriana<br />

di Roma quando era in guerra e che<br />

divenne poi professore della medesima<br />

Università. Il religioso raccontò a Bedeschi<br />

tutta la sua storia: incredibile. Aiutante di<br />

Sanità a Stalingrado, quando la città si ar-<br />

rese, sollecitato dai suoi soldati guidò<br />

tutto il suo gruppo senza usare le armi.<br />

Era stata questa la condizione irrinunciabile:<br />

le armi, caricate su una slitta, non<br />

dovevano essere usate. Attraversò tutta la<br />

Russia e portò i suoi soldati sino alle<br />

nuove linee tedesche. Voi certamente<br />

pensate che ebbe, almeno, la “Croce di<br />

ferro” . No: otto giudizi dei tribunali della<br />

Vermacht e delle S.S. e alla fine mandato<br />

in campo di concentramento da dove<br />

lo liberarono gli americani. E con la<br />

conoscenza di questi episodi veri che aveva<br />

sentito costruì il romanzo: ed è qui,<br />

naturalmente, che appare l’artista. Nel<br />

romanzo Bedeschi può spaziare, può creare,<br />

può indagare, può scavare anche in<br />

tutti quegli altri aspetti<br />

Dopo il tempo primo nel quale c’è la narrazione<br />

brevissima della ritirata delle nostre<br />

divisioni, non solo delle tre alpine,<br />

ma anche delle sette divisioni di fanteria,<br />

tra le quali la Vicenza che fu mandata in<br />

linea con la divisa estiva, passando al<br />

tempo secondo, la narrazione si svolge<br />

nell’Ospedale di Bologna dove c’è anche<br />

Bedeschi, cioè il Tenente Serri, perché<br />

aveva avuto un inizio di congelamento ai<br />

piedi. Nel medesimo Ospedale c’è anche<br />

Scudrera: e a questo formidabile alpino<br />

Bedeschi dedica una pagina significativa<br />

quando deve chiedere al cappellano di<br />

scrivere a casa. Ma tutti i giorni, il Tenente<br />

medico serri va a trovare l’alpino<br />

Gios che ha i piedi congelati. C’è una<br />

spiegazione di queste visite giornaliere.<br />

Nel sesto giorno della ritirata, il Tenente<br />

Serri avvertì un principio di congelamento<br />

ai piedi e cominciò a restare indietro.<br />

Gli passò vicino un alpino che gli disse:<br />

“Ma va, cammina!” Subito dietro c’era<br />

una slitta con l’alpino Gios che lo vide, si<br />

strinse per fare un po’ di spazio e lo invitò<br />

a salire. Gli tolse gli scarponi, gli levò<br />

le calze e gli fece strusciare i piedi sulla<br />

neve e incitò la mula ad andare un po’<br />

più veloce in modo che al Tenente Serri<br />

potesse riprendere la circolazione del<br />

sangue. Quando poi il Tenente Serri si<br />

accorse di stare meglio e volle scendere<br />

ma non riuscì a mettere gli scarponi,<br />

Gios gli regalò i suoi valenchi. Esistono<br />

ancora: ho avuto la fortuna di vederli nello<br />

studio dell’Avvocato Prisco quei valenchi<br />

con i quali Bedeschi tornò in Patria.<br />

C’è un altro episodio, nell’Ospedale:<br />

è un racconto che può stare accanto a<br />

quelli mensili narrati da De Amicis in<br />

Cuore. È stupendo, di una delicatezza<br />

estrema: l’avrei voluto leggere, ma non<br />

abbiamo il tempo. È anche commovente<br />

nella parte finale quando la maestrina<br />

Clara va all’Ospedale per rivedere il fidanzato:<br />

non vogliono dirle dove è<br />

l’ufficiale ferito che lei cerca; ma quando,<br />

senza farsi notare, entra in una sala di<br />

medicazione, vede un tronco con una<br />

testa: non ha più né le braccia né le gambe.<br />

È una descrizione delicatissima questa<br />

della maestrina Clara.<br />

Ormai guarito Scudrera lascia l’ospedale<br />

e va in licenza a casa per sposare la Pasquala<br />

e in chiesa, Pilon, l’alpino poeta, è<br />

inginocchiato proprio dietro a Scudrera e<br />

contempla quelle spalle larghe e grosse<br />

dell’amico inginocchiato davanti a lui e,<br />

con un isteron proteron, rivede quelle<br />

spalle quando portavano i proiettili per i<br />

75/13, e poi in quella notte di Natale,<br />

quella del 1941 che era stata descritta,<br />

con la predica del cappellano. È in chiesa,<br />

ma, come capita a tutti, anche Pilon si<br />

distrae durante la cerimonia del matrimonio<br />

e, ripensando a quel Natale, gli sembra<br />

che la chiesa sia cambiata.<br />

Ma sono poche righe e ve le leggo:<br />

“Vedeva ancora quelle spalle d’alpini<br />

inginocchiati nel buio sulla neve verso la<br />

baracchetta del comando del Tolmezzo<br />

che aveva la porta aperta e si vedeva<br />

l’altare con le due candeline”. E poi, nella<br />

sua distrazione si trasporta là, nella<br />

chiesa dove si trova. “Ora tanti <strong>Alpini</strong><br />

erano entrati senza rumore e stavano<br />

inginocchiati rivolti all’altare, vicino a<br />

Scudrera stavano buoni e fermi e sembravano<br />

vivi e lui, Pilon, li riconosceva<br />

tutti, a uno a uno anche se li vedeva soltanto<br />

di spalle e aveva quasi la tentazione<br />

di chiamarli per nome ma non si poteva<br />

perché quelli erano i morti della Julia<br />

che erano entrati e stavano riempiendo<br />

tutta la chiesa”.<br />

E qui Bedeschi ci offre un esempio di<br />

quella differenza che vi ho accennato.<br />

Pilon è come noi: sente qualcosa ma non<br />

riesce ad esprimersi: e Bedeschi ci espone<br />

la differenza tra la persona comune e<br />

l’artista. Pilon si confida al tenente Serri<br />

e gli dice “Ma io vorrei dire … “cosa<br />

vuoi dire?” “Dico solo – Alpino della<br />

Julia – e Serri gli risponde – va bene”.<br />

Serri, cioè Bedeschi, ha le medesime sensazioni<br />

ma è il poeta, è l’artista e il giorno<br />

dopo dà un foglio a Pilon con le sei<br />

strofe di “Alpino della Julia”. La conoscete<br />

la poesia perché l’avete sentita cantare<br />

e quindi conoscete la struttura differenziata<br />

tra la prima, la terza e quinta<br />

strofa, nelle quali c’è l’espressione del<br />

dolore e la seconda, la quarta e la sesta<br />

che invece esprimono il desiderio che si<br />

ripete in queste tre strofe pari coi primi<br />

quattro versi e con gli ultimi due che sono<br />

uguali. Si ripetono sempre e dicono,<br />

insistono a dire “Semo soltanto i fioli<br />

vostri, i fioi de le montagne de l’Italia”.<br />

Sono versi di una potenza espressiva e di<br />

una originalità senza pari.<br />

Dopo il mese di licenza si trovano al forte<br />

di Osoppo e un giorno il Tenente Serri<br />

va verso un muricciolo, vi si siede, osserva<br />

sotto la pianura e il fiume Taglia-<br />

(Continua a pagina 18)<br />

Alpin del Domm 17


(Continua da pagina 17)<br />

mento e sente che è ingiusto che lui sia lì:<br />

si ricorda i compagni che sono rimasti nella<br />

neve e cerca di dire qualcosa e pensa a<br />

quando aveva provato la sensazione di non<br />

riuscire più a camminare e vedeva gli alpini<br />

che si allontanavano e lui che rimaneva<br />

indietro.<br />

Ecco allora l’artista che scava e sa esprimere<br />

quello che pensa e scrive sei versi.<br />

Sono il secondo verso della prima strofa, i<br />

primi due versi della quarta e della quinta<br />

strofa e il primo verso della sesta strofa<br />

della “Preghiera dell’Alpino ignoto”.<br />

Quando viene raggiunto dal Capitano Reitani<br />

glieli fa leggere e il Capitano condivide<br />

anche lui questa angoscia. È una poesia<br />

che si struttura in modo diverso dall’altra:<br />

vi è una contrapposizione tra le prime cinque<br />

strofe e l’ultima. Nelle prime cinque<br />

strofe i versi iniziali sono un crescendo di<br />

sofferenza: “Per le mie ferite, per il mio<br />

silenzio, per il lungo calvario, per gli occhi<br />

di mia madre, per le mani di mio figlio”.<br />

Poi termina con la preghiera: e qui<br />

l’esclamazione è potente e grandiosa: “ Tu,<br />

o Signore, tendi la mano!” Quando io leggo<br />

questi versi, vedo innanzi la volta della<br />

Cappella Sistina, là dove Michelangelo ha<br />

dipinto “Dio Padre” che si china e tende la<br />

mano all’uomo che, in basso, alza la sua<br />

per afferrarla. Ma c’è quella anafora, quel<br />

“Tu” ripetuto insistentemente, sempre più<br />

angosciante di strofa in strofa che mi sembra<br />

un rintocco di campana, ma di quella<br />

campana, di Maria Dolens che lassù, al<br />

castello di Rovereto, ogni sera alle 20,30<br />

suona per tutti i caduti di tutte le guerre.<br />

E giungiamo alla brevissima preghiera di<br />

Pilon: è una finezza di Bedeschi. Pilon è<br />

un artigliere alpino, un conducente: noi<br />

tutti sappiamo come venivano allora chiamati<br />

i conducenti. Eppure Pilon, a un certo<br />

punto, dopo che c’è stato l’armistizio e tutti<br />

cercano di ritornare nelle loro case, vuole<br />

andare a un comando con la divisa, il moschetto,<br />

lo zaino. Ma è sfinito, non ne può<br />

più e si siede su un paracarro con le mani<br />

in tasca Sente di dover dire una preghiera,<br />

brevissima, cinque parole delle quali due<br />

ripetute: ed ecco che a questo punto si alza<br />

dal paracarro (notate la finezza di questo<br />

artigliere conducente), leva le mani di tasca<br />

e guardando il cielo dice: “Guarda giù,<br />

guarda giù, Signore”.<br />

E ci avviamo verso la fine. Reitani, che è<br />

andato in licenza in Sicilia, ritorna indietro<br />

con un reparto italiano, dopo l’invasione<br />

degli alleati e, dovendo decidere, non sa se<br />

stare al Sud o andare al Nord, perché, da<br />

qualsiasi parte si metta deve combattere<br />

contro gli Italiani e non vuole. Viene a sapere<br />

che c’è un reparto di Italiani che combatte<br />

ancora in Russia insieme a un battaglione<br />

tedesco e pensa di raggiungerli.<br />

Nello sfaldamento che avviene dopo l’8<br />

settembre 1943, anche il tenente Serri cer-<br />

Alpin 18 Alpin del Domm del Domm<br />

ca di tornare a casa. E in questo ritorno<br />

c’è l’episodio delle tre pettegole<br />

(leggetelo perché è davvero bellissimo).<br />

Dedica una riga a ciascuna: leggetelo<br />

perché vale la pena di vedere come Bedeschi<br />

ha saputo indagare e presentare in<br />

modo completo anche i piccoli personaggi<br />

ai quali dedica una riga sola, al massimo<br />

due righe.<br />

Il Capitano Reitani raggiunge il fronte<br />

russo e, nell’ultima mattina, il 28 dicembre,<br />

incontra Padre Flad. Scambia con lui<br />

poche parole dicendogli che è venuto lì<br />

per morire dove sono morti i suoi <strong>Alpini</strong>.<br />

Ma Padre Flad gli risponde: “No, questa<br />

è un’espressione sentimentale; per una<br />

soluzione bisogna avere un aspetto razionale,<br />

la vera conclusione viene soltanto<br />

da un atto d’amore assoluto”.<br />

E abbiamo l’atto d’amore assoluto che<br />

conchiude il volume. In quella stessa<br />

mattina i Russi attaccano e Pagliula, il<br />

suo attendente viene ferito e gli grida di<br />

salvarlo. Il Capitano se lo carica sulle<br />

spalle ma, a un certo punto, anche lui<br />

viene ferito e cade. Rimane a terra svenuto,<br />

e quando rinviene non c’è più nulla,<br />

non c’è più nessuno: sono già passati tutti.<br />

Ma ecco che sente un lamento: “Vodi,<br />

Vodi, acqua, acqua”: guarda, e lì a due<br />

metri c’è un soldato russo ferito che lo<br />

fissa, che ha la bocca aperta e che chiede<br />

acqua da bere, ma lui …<br />

No, qui ve lo leggo: sono gli ultimi quattro<br />

capoversi che sono un capolavoro.<br />

Io userei una similitudine, li definirei<br />

l’ultima grande pennellata dell’artista<br />

perché solo un artista è capace di giungere<br />

ad una simile evocazione. Notate lo<br />

sdoppiamento del periodo: “– Non posso<br />

– pensò Reitani – non ho più forza --;<br />

ma ricorda le parole del cappellano e<br />

che deve compiere un atto d’amore assoluto.<br />

Allora Reitani si ribellò: -- Non sono<br />

ancora morto -- Raccolse le ginocchia<br />

e le puntò, puntò i gomiti e a denti stretti<br />

avanzò . Strisciò ancora e capì che poteva<br />

arrivare”.<br />

Adesso state attenti alla bellezza di<br />

quest’ultima parte: l’artista sdoppia il<br />

periodo, prima tra la narrazione ed il protagonista,<br />

il Capitano Reitani, poi tra la<br />

narrazione e lui stesso.<br />

Interviene Bedeschi a chiudere<br />

l’episodio. “Strisciò ancora e capì che<br />

poteva arrivare, la mano è di legno ma<br />

il palmo fa conca e mi serve ugualmente,<br />

l’affondò nel bianco e la trasse ricolma,<br />

la tenne sospesa nell’aria, l’uomo già<br />

spalancava le labbra aspettando la neve,<br />

poco poco e ti tocco lo vedi sarei già da<br />

te se non fosse per questo dolore”.<br />

L’atto d’amore assoluto era compiuto.<br />

“Più aumentava il dolore, più percepiva<br />

vicina una acquietante presenza; A quel<br />

punto un Qualcosa (è scritto con la iniziale<br />

maiuscola) “lo attrasse e lo fer-<br />

mò. – Lascia lo zaino soldato Reitani –”.<br />

E’ intervenuto lo stesso scrittore.<br />

“Allora la mano si fermò, restava protesa<br />

nell’aria perché il tempo era finito e il<br />

Capitano Reitani ormai si assentava da<br />

tutta quella neve”.<br />

Era il 28 dicembre 1943. Quarantasette<br />

anni dopo, nel 1990, poche ore prima del<br />

28 dicembre, nel tardo pomeriggio del 27<br />

dicembre, anche Giulio Bedeschi si spegneva.<br />

È una coincidenza, una pura coincidenza:<br />

ma io non ho mai capito perché<br />

ci siano delle coincidenze che sembrano<br />

intuizioni e che frequentemente, però,<br />

avvengono negli artisti.<br />

Alessandro Vincenti: Il prof. Cantamessa<br />

ci ha parlato della "preghiera<br />

dell’alpino ignoto" di Giulio Bedeschi,<br />

che ora ci verrà letta, anzi recitata, da un<br />

attore professionista dei Filodrammatici<br />

Alessandro Conte.<br />

Preghiera dell’Alpino Ignoto:<br />

O Signore<br />

TU per le mie ferite<br />

da cui scese sangue<br />

alla terra alle pietre<br />

al fango alla neve<br />

dovunque passai;<br />

TU per il mio silenzio<br />

e il mio dolore senza volto<br />

e il mio respiro che cessò<br />

senza lamento<br />

nell’invocare Te;<br />

TU per il lungo calvario<br />

d’ogni fratello alpino<br />

che giacque infine riverso<br />

in quell’ora e per sempre<br />

simile a me<br />

nella sua stessa offerta;<br />

TU per gli occhi di mia madre<br />

-fermi nel buio fermi nel vuoto-<br />

in cui vedesti tremolare<br />

e cadere verso Te dalle ciglia<br />

la luccicante preghiera;<br />

TU per le mani di mio figlio<br />

che mai sentirono le mie<br />

e non ebbero più guida<br />

se non di ricordo,<br />

TU, o Signore, tendi la mano<br />

per quanto noi Ti offrimmo,<br />

preserva dalla vita e dalla morte<br />

ch’io conobbi in sorte<br />

e benedici<br />

ogni fratello che vive.<br />

Benedici l’Italia<br />

Alessandro Vincenti: La preghiera la<br />

trovate nella brochure che vi è stata distribuita<br />

all’ingresso.<br />

Vorrei chiamare adesso nuovamente il<br />

coro che ci canterà “Nikolajewka”. Questi<br />

ragazzi sono stati scoperti dal nostro<br />

vice capo <strong>Gruppo</strong>, Gianluca Marchesi,<br />

tenore primo del Coro ANA della Sezio-<br />

(Continua a pagina 19)


(Continua da pagina 18)<br />

ne di <strong>Milano</strong> e dal maestro del coro.<br />

Mentre il coro si prepara, vorrei leggervi<br />

due righe di Giulio Bedeschi su questa<br />

canta.<br />

“…è una canzone scritta da un alpino Bepi<br />

de Marzi, un giovane che non ha fatto la<br />

guerra ed è una canzone che vuole rievocare<br />

attraverso la suggestione di un nome<br />

ripetuto tante volte dal coro, la situazione<br />

vissuta dalla Julia nel ’43 a Nikolajewka,<br />

la battaglia di Nikolajewka, una città nella<br />

quale si erano insediate due divisioni russe<br />

che ci contrastavano il passo in una delle<br />

tante sacche che abbiamo dovuto sfondare<br />

per uscire dall’accerchiamento. Nikolajewka<br />

è tra le più strazianti canzoni alpine,<br />

c’è soltanto quel nome sussurrato, gridato,<br />

invocato, ripetuto da voci vicine e da voci<br />

lontane, come un addio dal fondo<br />

dell’orizzonte”<br />

Prima ci ha rivolto un cenno di saluto l'attuale<br />

Presidente dell'Associazione Nazionale<br />

<strong>Alpini</strong> ed ora, nel segno della continuità,<br />

cedo volentieri la parola al dr. Leonardo<br />

Caprioli, Nardo per tutti gli <strong>Alpini</strong>,<br />

che per oltre 16 anni ha retto<br />

l’Associazione.<br />

Leonardo Caprioli: Voglio anzitutto rivolgere<br />

un cordialissimo saluto a tutti voi,<br />

in modo particolare alla signora Luisa Bedeschi,<br />

che è qui con noi, a tutti gli alpini<br />

presenti ed in modo speciale ai reduci di<br />

Russia: all’infermiere, artigliere infermiere<br />

Toffoli, al tenente reduce dalla prigionia<br />

Ivo Emett e a tutti gli altri reduci di Russia<br />

che sono qui. Un saluto deferente al mio<br />

Presidente Nazionale Beppe Parazzini, che<br />

mi meraviglio non si sia alzato a cantare<br />

con i ragazzi, perché per lui il canto è una<br />

cosa irresistibile. Io di solito sono abituato<br />

a parlare a braccio però di fronte a un pubblico<br />

come questo non era possibile ricordare<br />

Giulio Bedeschi facendo magari delle<br />

omissioni o commettendo errori, per cui ho<br />

preferito scrivere tre paginette che vedrò di<br />

leggervi il più rapidamente possibile anche<br />

perché c’è Peppino Prisco che mi controlla<br />

con l’orologio per vedere se impiego più<br />

dei dieci o quindici minuti che gli ho promesso.<br />

Io sento Giulio qui con noi stasera,<br />

sento che ha avuto un permesso speciale<br />

dal General Cantore e che è qui con noi<br />

così come lo è sempre stato nei nostri cuori.<br />

E allora gli ho scritto una specie di lettera.<br />

Quando dieci anni fa mi venne comunicata<br />

la notizia che non ti avremmo più avuto<br />

con noi, forse al momento non mi resi conto<br />

di quanto mi saresti mancato, di quanto<br />

grande fosse il vuoto lasciato nel mio cuore,<br />

di quale immensità fosse<br />

l’insegnamento trasmessomi attraverso le<br />

tue parole, i tuoi scritti, i nostri incontri.<br />

Forse per questo, da allora, ogni anno in un<br />

qualsiasi giorno del mese di agosto, torno<br />

alla chiesetta di San Lucio su<br />

quell’altipiano che sovrasta Clusone da<br />

cui si domina tutta la vallata, meta, settanta<br />

e più anni fa, delle mie giovanili<br />

imprese sciistiche, quando si partiva da<br />

Bergamo con il primo treno per la Val<br />

Seriana e arrivati a Clusone ci si inerpicava<br />

lungo il sentiero che portava prima<br />

a San Lucio e poi al Pianone, per ripercorrerlo<br />

poi nel tardo pomeriggio allorché<br />

si tornava per riprendere il treno che<br />

ci avrebbe riportato a casa.<br />

A San Lucio ricordi, tornavamo tutti gli<br />

anni e con noi c’erano altri reduci della<br />

campagna di Russia, Tino Simoncini del<br />

Vestone, che divenne poi indimenticabile<br />

sindaco di Bergamo e Zanoletti che tu<br />

In primo piano Leonardo Caprioli accanto al<br />

Presidente del Consiglio Comunale di <strong>Milano</strong><br />

Giovanni Marra<br />

descrivesti così bene nella tua Rivolta di<br />

Abele. Staffetta sciatori della 52°<br />

dell’Edolo, la mia Compagnia e il mio<br />

Battaglione, e altri di cui adesso non ricordo<br />

il nome, mentre le nostre mogli<br />

parlavano delle loro solite cose, noi ci<br />

sedavamo sul muretto della terrazza e<br />

senza dirci niente ma guardandoci negli<br />

occhi, riandavamo col pensiero a quei<br />

giorni, a quell’epopea tragica, assurda od<br />

eroica, secondo i punti di vista, o forse<br />

entrambe le cose.<br />

Un'azione corale dalla quale, di volta in<br />

volta, tu hai saputo far emergere un singolo.<br />

Giulio, gli alpini da te descritti più che<br />

combattenti sono soprattutto uomini, ai<br />

quali è capitata la sventura di una guerra<br />

che nessuno di loro aveva voluto, ma che<br />

tutti hanno combattuto con onore. Colpisce,<br />

nelle tue descrizioni, la sfida di questi<br />

uomini più con se stessi che contro il<br />

nemico, la sfida contro la rassegnazione,<br />

il desiderio di mettere fine una volta per<br />

tutte a quei giorni, durante i quali era forse<br />

più facile lasciarsi morire che continuare<br />

a vivere. Sono, così come tu ne<br />

parli, personaggi dai valori risorgimentali<br />

per i quali appare superato il dualismo<br />

eroe e antieroe, perché sono solo uomini<br />

proiettati in un'avventura da cui emergono<br />

i valori della solidarietà, della generosità,<br />

dell’aiuto reciproco. Vi sono nel racconto<br />

di questa avventura una grande<br />

sobrietà e alcuni tratti di commovente<br />

poesia e ci si rende conto, allora, che per<br />

te, Giulio, questo era il tuo mondo, quello<br />

dei Pilon e degli Scudrera, dei Toffoli,<br />

dei Reitani, dei Perbellini, un mondo nel<br />

quale tu avresti voluto rituffarti, per stare<br />

ancora con quegli uomini, per rivivere<br />

quei momenti di tragedia e di esaltazione,<br />

per riprovare e risentire tutto il calore<br />

umano e la commozione provati allora,<br />

come quando Scudrera al limite della<br />

sopportazione e della resistenza fisica,<br />

cede all’amico che sta morendo di fame<br />

quella crosta di formaggio, tanto gelosamente<br />

custodita, che doveva mangiare lui<br />

prima di morire. E, allora, Giulio nell'impossibilità<br />

e nella difficoltà di accettare il<br />

nuovo mondo che non è più il tuo, ecco<br />

che tu confronti il tuo mondo di allora<br />

con quello in cui devi vivere. Al tuo<br />

mondo di valori che non si possono barattare<br />

con nient’altro, perché la dignità<br />

umana non è mai stata in vendita meno<br />

che meno in quegli uomini nei quali tu ti<br />

rispecchi, tu contrapponi i tristi momenti<br />

del ‘68 con tutte le sue contraddizioni, la<br />

famosa ricerca di un qualcosa che possa<br />

giustificare quell’affannoso, prepotente<br />

rifiuto di ogni disciplina, di ogni sacrificio<br />

di qualsiasi impegno e fatica. La tua<br />

aperta disapprovazione per la contestazione<br />

giovanile del ‘68 potrebbe forse<br />

avvallare un giudizio abbastanza scontato<br />

su di te, scrittore uomo, non in linea con i<br />

tempi, incapace, per alcuni nella coraggiosa<br />

coerenza con te stesso e perché dotato<br />

di una onestà intellettuale che non si<br />

piega alle mode e alle strumentalizzazioni<br />

socio-politiche del momento, di cogliere<br />

i mutamenti di una società in evoluzione.<br />

Del resto l’opinione pubblica ci<br />

vede da più parti anche e soprattutto politiche,<br />

come scomodi dinosauri mummificati<br />

nella nostra epoca e nella nostra storia,<br />

comunque fortunatamente, in via di<br />

estinzione. Ma ciò non è vero, tu di quei<br />

giovani, col volto coperto da un fazzoletto<br />

e che urlavano tutta la loro rabbia per<br />

una società dalla quale si sentivano traditi,<br />

non hai guardato solo l’aspetto esterno,<br />

hai cercato di stare loro vicino e in<br />

loro hai visto emergere qualità insospettabili<br />

e ti sei accorto che, anche se con i<br />

jeans ed i capelli lunghi, in loro alberga-<br />

(Continua a pagina 20)<br />

Alpin del Domm 19


vano gli stessi sentimenti che riscaldavano<br />

il nostro cuore quando avevamo vent’anni,<br />

e fai capire che, secondo il tuo punto di<br />

vista, il compito di noi anziani avrebbe dovuto<br />

essere quello di mettere a disposizione<br />

dei più giovani la nostra esperienza,<br />

proiettandola nel mondo attuale. Perché, se<br />

ci limiteremo sempre e soltanto a contare il<br />

gruzzoletto dei nostri ricordi, fatto di monete<br />

che per altri non hanno più corso anche<br />

se per noi sono di oro zecchino, faremmo<br />

torto non solo a noi stessi, ma soprattutto<br />

ai nostri morti, ai nostri ideali, ad una<br />

società che esige comunque la nostra presenza.<br />

Ricordi Giulio, che nell’estate del 1974 su<br />

a San Lucio. ti dissi che sulla spinta di<br />

quello che i coscritti mi avevano insegnato,<br />

nel ricordo di quegli Uomini che avevo<br />

conosciuto in Russia, non me la sentivo di<br />

continuare a restare ostinatamente ancorato<br />

al passato. rifiutando quanto di nuovo ci<br />

veniva proposto e avevo detto agli <strong>Alpini</strong><br />

della Sezione di Bergamo, di cui all’epoca<br />

ero presidente, che era giunto il momento<br />

di ricordare i morti aiutando i vivi, perché<br />

questa era la componente fondamentale<br />

dell’anima alpina. Anima alpina che i più<br />

anziani avevano conosciuto in guerra come<br />

espressione di amor patrio, ma soprattutto<br />

come disponibilità ad aiutare gli altri. Anima<br />

alpina che, in tempo di pace, doveva<br />

rifiutare l’immobilismo delle commemorazioni<br />

rituali che avrebbero isterilito il nostro<br />

slancio, relegandoci in un limbo di<br />

parole che gli alpini di sempre hanno rifiutato,<br />

per operare invece in quei settori della<br />

società dove non si richiedono discorsi alati<br />

e promesse mai mantenute, ma interventi<br />

concreti. Avevo proposto allora agli alpini<br />

di Bergamo di costruire un complesso che<br />

potesse ospitare coloro che più impietosamente<br />

erano stati colpiti dalla sorte, gli<br />

handicappati, come quegli alpini che nella<br />

neve di Russia, non più in grado di proseguire<br />

il cammino, si erano accasciati esausti<br />

pietosamente ricoperti dopo pochi istanti<br />

da un candido velo di neve. Tu mi rispondesti:<br />

Nardo, tu, in questo modo, farai<br />

simbolicamente rivivere uno dei tuoi alpini,<br />

darai calore e vita a una di quelle centomila<br />

gavette di ghiaccio che sono rimaste<br />

lassù e forse riuscirai a pagare, però solo<br />

parzialmente, quel debito nei confronti della<br />

sofferenza, del dolore e della morte che<br />

allora abbiamo contratto e che ci accompagnerà<br />

per tutta la vita. Giulio perché gli<br />

interventi degli alpini a favore di chi soffre<br />

in una società come la nostra appaiono come<br />

dei miracoli a volte scioccanti? Perché<br />

lo fanno? Ci si chiede da più parti. Perché<br />

la solidarietà gratuita sgomenta più<br />

dell’egoismo? La risposta è nell’aver accolto<br />

e trasformato da parte degli alpini di<br />

oggi, il messaggio che traspare inequivocabile<br />

nei tuoi scritti, di quei ragazzi che nel<br />

1943 marciavano, pressoché scalzi, nella<br />

Alpin 20 Alpin del Domm del Domm<br />

neve, messaggio che non conosce frontiere<br />

storiche e generazionali, che sfida<br />

l’indifferenza e l’egoismo in nome di una<br />

comune umanità.<br />

Purtroppo non tutti, anzi ben pochi, hanno<br />

recepito questo messaggio. Sempre su<br />

a San Lucio tu mi dicesti, anni fa, che<br />

l’uomo solo attraverso le prove più impegnative,<br />

i sacrifici più dolorosi, le rinunce<br />

più costose, riesce ad essere veramente<br />

se stesso, riesce ad esprimere tutto<br />

quello che, potenzialmente, ognuno di<br />

noi ha nel cuore, riesce ad apprendere<br />

che la vita non può e non deve essere<br />

vissuta solo per se stessi ma anche e soprattutto<br />

per gli altri. Questo hanno insegnato<br />

i loro vecchi agli Scudrera e ai Pilon<br />

del tuo Centomila gavette di ghiaccio,<br />

questo ha voluto dire il tuo Reitani<br />

quando decise di tornare nella neve di<br />

Russia, per poter essere ancora idealmente<br />

con i suoi artiglieri, per poter tornare a<br />

vivere, e tu con lui, in quel mondo appreso<br />

durante la campagna di Russia del<br />

quale facemmo parte e che nessuno di<br />

noi vorrebbe più abbandonare. Non ricordo,<br />

o meglio non voglio ricordare, il nostro<br />

ultimo incontro proprio perché è stato<br />

l’ultimo, anche se io ogni tanto ti sento<br />

ancora accanto a me, come quel Minà<br />

della Rivolta di Abele e spesso mi dico<br />

che il buon Dio, che troppo prematuramente<br />

ti ha chiamato accanto a sé, forse<br />

lo ha fatto per non farti vivere questi ultimi<br />

dieci anni di follia, nei quali abbiamo,<br />

impotenti, constatato quanto siano diversi<br />

i tuoi uomini di allora dagli uomini di<br />

adesso, quanto quei sentimenti, che per i<br />

nostri alpini erano altrettanti, credo, siano<br />

vanificati nella ricerca soltanto<br />

dell’egoistico interesse personale o partitico.<br />

Oggi Giulio, pur di arrivare, pur di<br />

mantenere quella sedia, si accetta qualsiasi<br />

compromesso. Prima si accusa, poi<br />

si ritratta, prima si offende e si minaccia,<br />

poi ci si pente e si fa il sorrisetto di circostanza,<br />

non ci sono più ideali, e uomini<br />

che li perseguono senza secondi fini, non<br />

ci sono più gli Scudrera e i Pilon, che<br />

nella loro semplicità imparata nelle mura<br />

domestiche e rinsaldata durante la naia<br />

alpina, hanno saputo offrire uno spettacolo<br />

di tale grandezza, che tutto il resto del<br />

mondo a loro cospetto scompare. Ci stanno<br />

pian piano distruggendo Giulio, stanno<br />

uccidendo per la seconda volta tutti i<br />

tuoi artiglieri della 26, il tuo capitano, i<br />

tuoi tenenti e sottotenenti, i tuoi artiglieri,<br />

tutto quello in cui noi abbiamo creduto e<br />

che i nostri vecchi ci avevano insegnato,<br />

ma coloro che oggi credono di annientarci<br />

non sanno che quei valori che tu ci hai<br />

trasmesso sono talmente levati, talmente<br />

belli, talmente indistruttibili che non potranno<br />

mai essere strappati dal nostro<br />

cuore. Credono che eliminando i nostri<br />

Battaglioni e i nostri Gruppi, elimineran-<br />

no anche noi e non riescono a capire che<br />

non riusciranno mai a distruggere quello<br />

che abbiamo nel cuore perché Tridentina,<br />

Julia, Orobica, Taurinense, Cadore, vogliono<br />

dire alpini e alpini vogliono dire<br />

Italia, la nostra Italia.<br />

Ciao Giulio, hanno voluto che fossi io a<br />

ricordarti, forse perché sanno che ti ho<br />

voluto un sacco di bene e che ti sarò<br />

sempre grato per tutto quello che mi hai<br />

insegnato.<br />

Arrivederci lassù.<br />

Alessandro Vincenti: Tutti gli anni, il<br />

sabato prima dell’Adunata Nazionale<br />

degli <strong>Alpini</strong>, si celebra la cosiddetta<br />

"Messa della Julia". A questa messa partecipava<br />

sempre, assieme ad un gruppo<br />

di reduci, anche Giulio Bedeschi.<br />

Di questo gruppo di reduci, di amici oggi<br />

ve ne sono alcuni qui presenti: ed a loro<br />

vorrei chiedere di portare alla prossima<br />

Messa un ricordo di questa celebrazione.<br />

Vorrei, ora, dare la parola all'avvocato<br />

Giuseppe Prisco, Peppino, per tutti noi.<br />

Peppino Prisco: Saluto tutti, in particolare,<br />

dopo avere cancellato alcuni nomi<br />

perché, parlando per ultimo ci si trova<br />

sempre di fronte a delle sorprese, volevo<br />

salutare Toffoli, Marchisio ed Emett, entrambi<br />

del terzo artiglieria alpina, volevo<br />

salutare il sergente Sergio Cuttò del Battaglione<br />

L’Aquila, che ho rivisto dopo<br />

qualche anno e mi ha fatto molto piacere.<br />

Io ho avuto la fortuna di conoscere Giulio<br />

Bedeschi nel maggio del ’42. Lui era<br />

stato un mese in licenza, io venivo dal<br />

Battaglione L’Aquila Bis. Eravamo a<br />

Gorizia, andavamo a mangiare in una<br />

strana trattoria, che, se ricordo bene, si<br />

chiamava Aurora; e c’erano quelli<br />

dell’artiglieria alpina, dominavano, erano<br />

in numero maggiore. Giulio era appena<br />

arrivato ed era in fondo, io ero degli alpini<br />

e, quindi, avrei dovuto avere, rispetto<br />

agli artiglieri, il posto d’onore - ma questa<br />

è una battuta, così, perché ci sfottiamo<br />

sempre amichevolmente - e così ci<br />

confidavamo. Mi parlava del suo ritorno<br />

a casa, del padre, della madre che vivevano<br />

in dignitose ristrettezze come tutti<br />

gli italiani per bene dell’epoca, della sorellina<br />

che aveva undici anni meno di lui<br />

e quindi era considerata la piccola della<br />

famiglia. E così ricordo ancora quando il<br />

18 – 19 giugno, sempre del ’42, andammo<br />

a piedi a Udine perché c’era la sfilata<br />

davanti al Re Imperatore. Ci si metteva<br />

sull’attenti e si faceva il saluto militare in<br />

due giorni di pioggia spaventosa. Però il<br />

Padre Eterno, quel giorno favorevole, per<br />

il 21 giugno ci lascio sfilare: sfilava<br />

l’Ottavo <strong>Alpini</strong>, sfilava il Nono <strong>Alpini</strong>,<br />

sfilava il Terzo Artiglieria Alpina. Tutti e<br />

tre i reggimenti decorati di medaglia<br />

d’oro per quanto avevano fatto in Grecia.


Poi andammo in Russia, era l’estate del ’42<br />

e lì pur essendo della Julia, entrambi, Giulio<br />

ed io, le occasioni di vedersi erano relative.<br />

I primi mesi furono tranquilli; ricordo<br />

che un giovane sottotenente del Val Cismon<br />

del 9° alpini si prestò per andare al di<br />

là del Don per fare un colpo di mano - oggi<br />

si direbbe una follia totale - e andò, si sentirono<br />

gli spari e non si seppe più niente.<br />

Ricordo di un cugino di mia moglie, moglie<br />

che allora non conoscevo, che era il<br />

tenente Cellanova, già medico, anche lui<br />

della Julia: un cecchino dall’altra parte del<br />

Don, aveva ferito un giovane alpino, e lui<br />

si era precipitato per prenderlo. Lo aveva<br />

portato al riparo, ma l’ultimo colpo fu riservato<br />

a lui. Era il segretario del GUF di<br />

Pavia, il <strong>Gruppo</strong> Universitario Fascista, e<br />

morì così, non secondo i suoi desideri: avrebbe<br />

desiderato vivere! Ma un italiano<br />

che avesse avuto le palle e l’amor patrio,<br />

allora, doveva comportarsi così e moltissimi<br />

si comportarono così.<br />

Nel dicembre del ’42 per la Julia<br />

furono giorni tremendi, catastrofici.<br />

L’Aquila, il Tolmezzo e la<br />

13° Batteria dell’Artiglieria Alpina<br />

erano già predestinate ad essere<br />

il Nucleo Celere di Intervento<br />

aggregati al 24° Corpo Corazzato<br />

Panzer tedesco e ci trovammo<br />

così all’avventura in una zona<br />

che dopo circa cinquant'anni e<br />

pagando cento dollari a un autista<br />

che conosceva il luogo, insieme a<br />

Beppe Parazzini, girai in lungo ed<br />

in largo per ritrovare Selenjar per<br />

ritrovare il Kalitwa e tutti gli altri<br />

luoghi; ma dopo qualche ora venne<br />

buio e io non trovai niente.<br />

Pazienza, 100 dollari non spostano<br />

la vita anche se, forse, la mia<br />

vita, se avessi potuto vedere quei<br />

luoghi, sarebbe stata per qualche<br />

giorno almeno più lieta.<br />

C'era un particolare però: nel '42 noi andammo<br />

lì oltre la metà di dicembre, mentre<br />

quando tornai era il mese di settembre e vi<br />

era una natura completamente diversa.<br />

Negli ultimi giorni di dicembre, dopo la<br />

morte di Burri, che era il medico della 108-<br />

° Compagnia, dopo la scomparsa di Bedini,<br />

che era il medico della 93°, al quadrivio<br />

di Seleniar dove ero andato così, non so<br />

per quale motivo, chiamato, il 28 o il 29<br />

dicembre, vidi Giulio Bedeschi, ma non ci<br />

riconoscemmo: era da giugno che non ci<br />

frequentavamo. Chiesi qualcosa, ci salutammo<br />

e solo dopo capii: un sorriso mesto,<br />

perché non si poteva essere allegri in quei<br />

tempi.<br />

Poi il 17 gennaio ci fu l’inizio di quella che<br />

tutti chiamano Ritirata di Russia, ma per<br />

tornare<br />

indietro, essendo continuamente accerchiati,<br />

fu necessario combattere, combattere<br />

duramente, vedere un’infinità di alpini mo-<br />

rire, cadere. Congelamenti a non finire:<br />

veramente una tragedia.<br />

Un libro che dovrò presentare martedì al<br />

Circolo della Stampa, con importanti personalità<br />

come Padellaro del Corriere della<br />

Sera e l’Ambasciatore Sergio Romano,<br />

narra quella che definisce come la più<br />

grande epopea dell’esercito italiano a<br />

proposito della divisione Acqui.<br />

Ma non è certo possibile fare una graduatoria<br />

fra le varie epopee. Là sono morti<br />

italiani selvaggiamente, più o meno fucilati<br />

dai tedeschi. In Russia abbiamo combattuto<br />

aspramente e, quando siamo tornati<br />

abbiamo dovuto subire l’accusa di<br />

invasori: “…eh, ma siete andati là, nella<br />

loro terra, nella loro patria”. Macché terra<br />

e terra! Era gente nata a migliaia e migliaia<br />

di chilometri di distanza, non difendevano<br />

la loro terra, obbedivano agli<br />

ordini dei loro capi.<br />

In guerra non si va per fare le belle sta-<br />

Peppino Prisco ricorda l’Amico Bedeschi<br />

tuine, si va per ammazzare, onde non<br />

essere ammazzati. Sono frasi che oggi<br />

fanno rabbrividire, ma chi ha settantanove<br />

anni, come ormai avrò io fra pochi<br />

giorni, e come tanti altri qui, sanno bene,<br />

per esperienza personale, che questa è<br />

l'assoluta verità.<br />

Dopo tornammo e non ci vedemmo, almeno<br />

io non vidi Marchisio non vidi Emett,<br />

non vidi il serpentino simpatico<br />

Sergio Cuttò e così insomma eravamo<br />

tutti sbandati. Ci fu il 25 luglio, ci fu l’8<br />

settembre, non si capiva più assolutamente<br />

nulla. Si dava un’impronta politica<br />

alla nostra guerra, si ignoravano i prigionieri,<br />

non si osava, da parte del Governo,<br />

chiedere informazioni su quanti erano<br />

caduti in prigionia, che erano decine di<br />

migliaia. E questa angoscia continuò per<br />

decenni.<br />

Quando timidamente c’è stato anche un<br />

ministro, un componente del Consiglio<br />

dei Ministri che andando in Russia in<br />

missione ha chiesto scusa perché gli italiani<br />

erano andati là a combattere, avemmo<br />

la prova della viltà dei nostri politici<br />

o meglio della loro "…coglioneria".<br />

Però noi ci trovavamo ogni tanto. Io rividi<br />

Giulio in casa della signora Delliponti,<br />

che vedo lì in terza fila e che saluto con<br />

tanto affetto, vedova di un tenente, magari<br />

sarà diventato capitano perché poi i<br />

gradi avanzano per anzianità. E siccome<br />

io sono ancora sottotenente, mi considero<br />

ancora giovane.<br />

Ci trovavamo e pensavamo: “ma cosa<br />

succede, non si può saper niente”. Nel<br />

’54, alla fine di gennaio, rientrarono 12<br />

prigionieri o 16 quanti fossero, fra i quali<br />

almeno due della Julia, Franco Magnani<br />

e Don Padre Brevi. Allora io organizzai<br />

un pranzo al ristorante Abetone, qui vicino,<br />

in Foro Bonaparte. Eravamo una<br />

trentina, non voglio dire della stessa fede,<br />

ma con gli stessi sentimenti: pensavamo<br />

a quelli che non c’erano<br />

più; speravamo che qualcuno<br />

tornasse ancora.<br />

Io invitai logicamente anche<br />

Giulio e ho persino<br />

qui due fotografie, una<br />

delle quali darò a Luisa. E<br />

Giulio qui sembra cantare<br />

allegro, ma era una serata<br />

strana: un po’ eravamo<br />

allegri e un po’ eravamo<br />

tristi, e basta vedere<br />

l’espressione dei due che<br />

sono in entrambe le fotografie,<br />

per rendersene conto.<br />

Queste due persone<br />

sono Nino Lavizzari e la<br />

signora Ester Lavizzari,<br />

rispettivamente fratello e<br />

vedova del Colonnello che<br />

comandava il 9° <strong>Alpini</strong>,<br />

padre del Tedo e nonno<br />

del Cesare che vedo qui presenti.<br />

Io darò queste fotografie una a te Luisa e<br />

una a te Tedo.<br />

Così anche quella sera ci sentivamo più<br />

uniti, isolati dal mondo, però uniti fra di<br />

noi che è quello che fa piacere.<br />

In quel periodo Giulio era entrato nel<br />

mio Rotary, avevo fatto io il presentatore,<br />

e quindi al giovedì ci vedevamo quasi<br />

sempre. In una di queste occasioni mi<br />

disse che stava perfezionando gli appunti<br />

che aveva scritto subito dopo il rientro in<br />

Italia. E ad un certo momento mi annunciò<br />

che era pronto questo dattiloscritto.<br />

Io di balle ne racconto tante, ma questa<br />

sera su quello che sto per dirvi ho<br />

un’autorevole testimone: la moglie di<br />

Giulio.<br />

Quando Giulio mi diede da leggere il<br />

dattiloscritto, io lo divorai: l’avevo avuto<br />

il sabato mattina e la domenica sera a<br />

mezzanotte mia moglie mi disse: “ma<br />

cosa c’è, hai gli occhi umidi”. “Fatti<br />

Alpin del Domm 21


miei” risposi, Ma lo dissi affettuosamente,<br />

senza reazione, “ma è perché ho finito il<br />

libro di Giulio e adesso gli telefono." "Ma<br />

sei matto, è mezzanotte!”. Matto o maleducato,<br />

io ho telefonato, Giulio ha risposto<br />

come se fossero le dieci del mattino e ha<br />

detto: “Per me è una cosa bellissima. C’è<br />

qui anche Luisa che ti ringrazia”. E così io<br />

ho citato l'Anabasi di Senofonte: ma il libro<br />

di Giulio era superiore, secondo me,<br />

anche perchè dei Greci mi interessa poco.<br />

Poi ci rivedemmo e allora timidamente, e<br />

anche qui invoco la testimonianza di Luisa,<br />

feci qualche osservazione, dissi “Ma tu<br />

metti il Colonnello Lavizzari, però invece<br />

quando parli di altri metti Verdotti anziché<br />

Rosotto. Cambi i nomi metti Gianfranco<br />

Di Nemi anziché Gianfranco Uccelli Di<br />

Nemi". E lui mi disse: “Ma sai io i vivi li<br />

ho chiamati come ho voluto. Quelli che<br />

sono mancati li ho chiamati col loro nome".<br />

Ed io lo trovai giustissimo.<br />

Seconda osservazione, timida: “Il titolo<br />

proprio non mi piace per niente”. Il titolo<br />

era “Giacché sei polvere” e questa mia osservazione<br />

lo fece un po’ riflettere.<br />

Dopo pochi giorni mi disse: “Sai Luisa ha<br />

trovato un altro titolo “Centomila gavette<br />

di ghiaccio”.<br />

Passarono gli anni io ideai la Messa che<br />

ormai si celebra ogni anno, la terza domenica<br />

di dicembre. Feci precedere la messa<br />

il giorno prima da un annuncio sul Corriere<br />

ed uno sulla Notte: “La medaglia d’oro<br />

Padre Giovanni Brevi domani alle ore 1-<br />

0.00 in San Sebastiano, celebrerà una S.<br />

Messa in memoria dei caduti del Battaglione<br />

L’Aquila.” Questa volta i suggerimenti,<br />

le garbate critiche, me le fece proprio Giulio<br />

e allora trasformai la celebrazione in<br />

suffragio dei caduti della Julia e, negli anni<br />

successivi, per tutti gli italiani, comunque<br />

inquadrati, caduti per l’Italia. Ed è ancora<br />

oggi la manifestazione patriottica più bella<br />

che c’è a <strong>Milano</strong> e non solo a <strong>Milano</strong>.<br />

Poi Giulio un giorno mi disse: “Senti ma tu<br />

conosci tanta gente: perché non troviamo<br />

un editore”. E allora cominciai ad andare<br />

da un editore all’altro: andai da Andrea<br />

Rizzoli che si confermò milanista nella<br />

fattispecie - era presidente del Milan -, mi<br />

mise nelle mani di Rusca, persona molto<br />

intelligente. Mi disse di lasciargli il dattiloscritto<br />

e che mi avrebbe fatto sapere. La<br />

sera ho telefonato a Giulio dicendogli che<br />

avevo buone speranze: del resto avevo anche<br />

qualche pratica della Rizzoli. Dopo<br />

pochi giorni, però, mi restituirono il dattiloscritto<br />

e io dovetti dire a Giulio:<br />

“Purtroppo niente”.<br />

Poi andai, su consiglio di mio cugino Michele<br />

Prisco, da Cimadori della Mondadori<br />

ed anche qui solita storia: "Si, gran bel lavoro,<br />

ma sa interessa poco..". Andai da<br />

Garzanti che mi disse testualmente: “Ma<br />

sa, io ho pubblicato due libri di reduci di<br />

Russia, ma non sono andato oltre la prima<br />

Alpin 22 Alpin del Domm del Domm<br />

edizione”. Da Feltrinelli non andai proprio,<br />

perché non avevo alcuna possibilità.<br />

Da ultimo andai da Bompiani che fu veramente<br />

gentile, affettuoso, comprensivo,<br />

però alla fine disse: “Avvocato ma lei sa<br />

quanti anni sono passati dal ’42?”. Io,<br />

probabilmente, sbagliai la risposta perché<br />

l’aritmetica non è mai stata il mio forte e<br />

lui disse: “Io ammiro l’entusiasmo di voi<br />

che ricordate i caduti, che volete bene<br />

alla Patria e tutto, però c’è poco da fare,<br />

la gente pensa a divertirsi. Siamo nel ’62,<br />

si affaccia il <strong>Centro</strong> Sinistra, stanno nazionalizzando<br />

tutto. C’è il gran Concilio<br />

del Vaticano, con tutta l’ammirazione..”<br />

“Grazie” risposi, e me ne andai.<br />

E invece il libro uscì, perché Giulio si<br />

rivolse alla famiglia Mursia - c’è qui la<br />

signora che saluto con vecchia amicizia -<br />

e così uscì il libro.<br />

Io ho una copia finita di stampare nel<br />

gennaio del ’63 e la dedica di Giulio è<br />

del 16 febbraio. Una dedica che non leggo<br />

perché assurdamente elogiativa. Gli<br />

elogi quando sono eccessivi puzzano di<br />

non sincerità, invece fra me e Giulio, come<br />

può, per l’ennesima volta testimoniare<br />

Luisa, i rapporti erano fraterni.<br />

Prima ho sentito, purtroppo sento poco,<br />

l’analisi letteraria, la critica: ma Giulio fu<br />

anche finalista del Campiello che è il più<br />

importante premio letterario italiano e<br />

quella era la prova che era un letterato.<br />

Non dico che, io poi non dissi niente a<br />

tutti questi gentiluomini che mi avevano<br />

sorriso, dato illusioni e poi negato<br />

quell’appoggio concreto che volevo venisse<br />

dato al libro di Giulio.<br />

Passarono gli anni ci vedevamo, ultima<br />

testimonianza poi non te ne chiedo più,<br />

potrei chiederla anche a Tedo Lavizzari,<br />

il 26 gennaio, il giorno di Nikolajewka,<br />

ci trovavamo in casa mia, mangiavamo<br />

qualcosa, chiacchieravamo, una ventina,<br />

trenta persone fidate e concludevamo la<br />

nostra riunione cantando “Alpino della<br />

Julia" e "Sul ponte di Perati” tutti commossi,<br />

emozionati.<br />

Poi Giulio si trasferì a Verona, è vero che<br />

è solo un’ora di treno, un’ora e mezza<br />

quel che è, In automobile ci si mette anche<br />

meno, ma insomma eravamo meno<br />

insieme e poi ci fu quella triste notizia.<br />

Sul treno che portava da <strong>Milano</strong> a Verona<br />

un’infinità di cappelli alpini e scherzosamente<br />

dicevamo: “Ma qui ci hanno<br />

richiamato sotto la naia”.<br />

Anche un richiamo non ci sarebbe dispiaciuto<br />

per stare un po’ insieme ricordando<br />

i nostri caduti.<br />

Poi sono tornati i dispersi, son tornate le<br />

urne. Ma adesso consentitemi divagazione<br />

perché sennò mi commuovo.<br />

Noi non abbiamo vinto la guerra, anche<br />

se una parte sostanziale del nostro paese<br />

si illudeva di averla vinta, quando dal<br />

Sud erano arrivati fino al Nord gli Allea-<br />

ti. L’unica vittoria che abbiamo avuto la<br />

dobbiamo a un comandante che è presente<br />

qui, e parlo di Enzo Bearzot che ci ha<br />

fatto vincere i mondiali nell’82.<br />

Ora io devo concludere perché prima ero<br />

intollerante, quando gli altri parlavano,<br />

ma avendoti notato lì con la gentile signora,<br />

ho detto: “Ora divago. Abbiamo<br />

vinto qualcosa? – Sì i mondiali!" E speriamo<br />

di vincerli ancora, ma ci vorrebbero<br />

gli <strong>Alpini</strong> anche nelle squadre di calcio”.<br />

Alessandro Vincenti: Devo chiedere ora<br />

una cortesia a tutti. Vorrei che ci si alzasse<br />

in piedi, chi ha il cappello lo metta. Il<br />

coro, ora, canterà quella che per noi alpini<br />

è una preghiera: "Sul Ponte di Perati”.<br />

Prof. Giuseppe Cantamessa: Vi chiedo<br />

solo un attimo d'attenzione: la mia è una<br />

proposta.<br />

Il Coro ANA della Sezione di <strong>Milano</strong><br />

aveva un impegno, precedentemente preso,<br />

e questa sera si trova in quel di Biella;<br />

ma qui ci sono dei coristi ed io rivolgo<br />

loro una proposta.<br />

E’ il coro più bravo di tutti quelli delle<br />

Sezioni dell’Associazione Nazionale <strong>Alpini</strong><br />

(questo l’ho scritto già trentasette<br />

anni fa con un titolo a cinque colonne).<br />

Hanno un bravo maestro, Massimo Marchesotti,<br />

hanno a disposizione dei musicisti<br />

insostituibili sia compositori che<br />

arrangiatori. Ebbene sarebbe il dono più<br />

bello se nel decimo anniversario della<br />

morte di Giulio Bedeschi cantassero “La<br />

preghiera dell’Alpino ignoto”.<br />

Non mi dicano che non c’è tempo perché<br />

l’anniversario dura un anno e voi avete a<br />

disposizione un anno, un mese e due<br />

giorni e poi dite anche che non ve lo<br />

chiedo solo io, ve lo chiede anche la signora<br />

Bedeschi. Sono certo che ve lo<br />

chiedono anche tutti gli alpini.<br />

Il Coro Biele Stele canta "Sul Ponte di<br />

Perati".<br />

Al termine della manifestazione il Capogruppo<br />

consegna agli oratori ed alle personalità<br />

intervenute un pergamena con la<br />

Preghiera dell'Alpino Ignoto ed il Guidoncino<br />

del <strong>Gruppo</strong> <strong>Milano</strong> <strong>Centro</strong>.<br />

Il Coro Biele Stele canta “Signore delle<br />

Cime”.<br />

* * *<br />

Alla fine di tutto desideriamo ringraziare,<br />

per il sostegno offerto nel realizzare<br />

questa pubblicazione:<br />

Agenzia Frua Reale Mutua assicurazioni<br />

Studio Nicola-Giordano S.r.l. consulenza<br />

immobiliare<br />

<strong>Gruppo</strong> avvocati alpini.

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