La pietra fungaia di Federico Cesi. - Accademia Nazionale dei Lincei

La pietra fungaia di Federico Cesi. - Accademia Nazionale dei Lincei La pietra fungaia di Federico Cesi. - Accademia Nazionale dei Lincei

05.06.2013 Views

Rend. Fis. Acc. Lincei s. 9, v. 13:45-49 (2002) Storia delle scienze sperimentali. — La pietra fungaia di Federico Cesi. Nota (*) del Socio Antonio Graniti. Abstract. — Federico Cesi’s fungal stone. One of the ca. 600 colour plates of fungi, prepared by F. Cesi around 1623-1628 to illustrate his never accomplished work Theatrum Naturae, ispublished here. This beautiful and most accurate plate shows a fruit body of Polyporus tuberaster, the so-called «stone fungus», that Cesi grew on a window at Rome. Information on the lasting habit of growing this species for getting crops of edible mushrooms throughout the year, and on its ancient use in medicine, is given. A singular coincidence is a name given to the fungus since Roman times: Lapis lyncea which refers to the popular belief that the soil-borne «stones» originated from the lynx urine. Key words: Polyporus tuberaster ; Stone fungus; Federico Cesi. Riassunto. — È qui pubblicata, con qualche commento, una delle circa 600 tavole a colori sui funghi che Federico Cesi aveva preparato tra il 1623 e il 1628 per illustrare la sua incompiuta opera Theatrum Naturae. Questa bellissima tavola riproduce con grande accuratezza il corpo fruttifero del Polyporus tuberaster, la cosiddetta «pietra fungaia», che Cesi aveva coltivato su una finestra a Roma. Sono aggiunte notizie sulla perdurante tradizione di coltivare questa specie per ottenere funghi mangerecci durante l’anno e sull’uso che in precedenza n’era stato fatto in medicina. Una singolare coincidenza è che un nome comunemente dato al fungo sin dall’epoca romana era Lapis lyncea, nella credenza che a dare origine alla «pietra» ipogea fosse l’urina della lince. Questa qui riprodotta (fig. 1) è una delle circa 600 tavole a colori sui Funghi (Fungorum genera et species) fatte dipingere dal vivo da Federico Cesi tra il 1623 e il 1628 come materiale di riferimento per il Theatrum Naturae, lagrande opera di storia naturale da lui progettata e iniziata, ma che la sua morte interruppe. La dispersione delle carte lincee dopo il 1630 vide i codici Cesiani prima nella collezione di Cassiano dal Pozzo e poi nella biblioteca degli Albani, dove furono confiscati dall’esercito rivoluzionario nel 1798 in forza del Trattato di Tolentino e portati in Francia. Dopo varie vicissitudini, nel 1869 essi furono destinati per legato alla biblioteca dell’Institut de France a Parigi ove, dopo il loro ritrovamento (Alessandrini et al., 1985), tuttora si trovano. La tavola rappresenta con grande fedeltà diparticolari e perfezione d’esecuzione un corpo fruttifero di Polyporus tuberaster Jacq. : Fr. visto di sopra e di lato, senza la parte ipogea. In alto a destra, è rimasto un frammento della nota autografa di Federico Cesi, «rifilata» probabilmente quando le tavole sui funghi furono rilegate in tre volumi che portano lo stemma degli Albani. La nota era stata però trascritta in bella calligrafia da un amanuense, probabilmente durante la permanenza delle tavole nella collezione di C. dal Pozzo: Ex lapide seu tubere fungifero Romae in fenesta / M Augusti fine. (*) Presentata nella seduta del 20 giugno 2001.

Rend. Fis. Acc. <strong>Lincei</strong><br />

s. 9, v. 13:45-49 (2002)<br />

Storia delle scienze sperimentali. — <strong>La</strong> <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> <strong>di</strong> <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong>. Nota (*) del<br />

Socio Antonio Graniti.<br />

Abstract. — <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong>’s fungal stone. One of the ca. 600 colour plates of fungi, prepared by F. <strong>Cesi</strong><br />

around 1623-1628 to illustrate his never accomplished work Theatrum Naturae, ispublished here. This<br />

beautiful and most accurate plate shows a fruit body of Polyporus tuberaster, the so-called «stone fungus»,<br />

that <strong>Cesi</strong> grew on a window at Rome. Information on the lasting habit of growing this species for getting<br />

crops of e<strong>di</strong>ble mushrooms throughout the year, and on its ancient use in me<strong>di</strong>cine, is given. A singular<br />

coincidence is a name given to the fungus since Roman times: <strong>La</strong>pis lyncea which refers to the popular belief<br />

that the soil-borne «stones» originated from the lynx urine.<br />

Key words: Polyporus tuberaster ; Stone fungus; <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong>.<br />

Riassunto. — È qui pubblicata, con qualche commento, una delle circa 600 tavole a colori sui funghi che<br />

<strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong> aveva preparato tra il 1623 e il 1628 per illustrare la sua incompiuta opera Theatrum Naturae.<br />

Questa bellissima tavola riproduce con grande accuratezza il corpo fruttifero del Polyporus tuberaster, la<br />

cosiddetta «<strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong>», che <strong>Cesi</strong> aveva coltivato su una finestra a Roma. Sono aggiunte notizie sulla<br />

perdurante tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> coltivare questa specie per ottenere funghi mangerecci durante l’anno e sull’uso che<br />

in precedenza n’era stato fatto in me<strong>di</strong>cina. Una singolare coincidenza è che un nome comunemente dato<br />

al fungo sin dall’epoca romana era <strong>La</strong>pis lyncea, nella credenza che a dare origine alla «<strong>pietra</strong>» ipogea fosse<br />

l’urina della lince.<br />

Questa qui riprodotta (fig. 1) è una delle circa 600 tavole a colori sui Funghi<br />

(Fungorum genera et species) fatte <strong>di</strong>pingere dal vivo da <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong> tra il 1623 e il 1628<br />

come materiale <strong>di</strong> riferimento per il Theatrum Naturae, lagrande opera <strong>di</strong> storia naturale<br />

da lui progettata e iniziata, ma che la sua morte interruppe. <strong>La</strong> <strong>di</strong>spersione delle carte<br />

lincee dopo il 1630 vide i co<strong>di</strong>ci <strong>Cesi</strong>ani prima nella collezione <strong>di</strong> Cassiano dal Pozzo<br />

e poi nella biblioteca degli Albani, dove furono confiscati dall’esercito rivoluzionario nel<br />

1798 in forza del Trattato <strong>di</strong> Tolentino e portati in Francia. Dopo varie vicissitu<strong>di</strong>ni,<br />

nel 1869 essi furono destinati per legato alla biblioteca dell’Institut de France a Parigi<br />

ove, dopo il loro ritrovamento (Alessandrini et al., 1985), tuttora si trovano.<br />

<strong>La</strong> tavola rappresenta con grande fedeltà <strong>di</strong>particolari e perfezione d’esecuzione un<br />

corpo fruttifero <strong>di</strong> Polyporus tuberaster Jacq. : Fr. visto <strong>di</strong> sopra e <strong>di</strong> lato, senza la parte<br />

ipogea. In alto a destra, è rimasto un frammento della nota autografa <strong>di</strong> <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong>,<br />

«rifilata» probabilmente quando le tavole sui funghi furono rilegate in tre volumi che<br />

portano lo stemma degli Albani. <strong>La</strong> nota era stata però trascritta in bella calligrafia da<br />

un amanuense, probabilmente durante la permanenza delle tavole nella collezione <strong>di</strong> C.<br />

dal Pozzo:<br />

Ex lapide seu tubere fungifero Romae in fenesta / M Augusti fine.<br />

(*) Presentata nella seduta del 20 giugno 2001.


46 a. graniti<br />

Fig. 1. – Polyporus tuberaster Jacq. : Fr. – Tavola ad acquerello fatta eseguire da F. <strong>Cesi</strong> per il Theatrum<br />

Naturae tra il 1623 e il 1628 (riproduzione fotografica della Biblioteca dell’<strong>Accademia</strong> <strong>Nazionale</strong> <strong>dei</strong> <strong>Lincei</strong>,<br />

eseguita nel 1985 dall’originale, foto Dr. P. Ragazzini, con il permesso dell’Institut de France <strong>di</strong> Parigi).<br />

Questa nota merita un breve commento. Perché ilfungo avrebbe dovuto trovarsi<br />

a Roma, su una finestra? È da escludere che sia cresciuto naturalmente sul legno<br />

dello stipite, un habitat non consono al fungo stesso, che pre<strong>di</strong>lige le ceppaie o i fusti<br />

d’alberi abbattuti e il terreno umido <strong>dei</strong> boschi. È invece verosimile che sulla finestra,


la <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> <strong>di</strong> federico cesi 47<br />

probabilmente esposta a prevalenti con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> scarsa luminosità ed’elevata umi<strong>di</strong>tà<br />

relativa, come quella <strong>di</strong> una cantina o <strong>di</strong> un locale annesso al giar<strong>di</strong>no botanico che<br />

<strong>Cesi</strong> aveva fatto allestire per gli stu<strong>di</strong> lincei sulle piante, questo fungo sia stato coltivato,<br />

come <strong>di</strong>ce chiaramente la nota, ex lapide fungifero, dauna «<strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong>».<br />

Con questo nome era, infatti, comunemente conosciuto P. tuberaster, una Poliporacea<br />

che si presta ad essere coltivata. Ciò che sulla tavola del <strong>Cesi</strong> non compare èlaparte<br />

ipogea del fungo che dà origine a gruppi <strong>di</strong> corpi fruttiferi: un ammasso scleroziale<br />

compatto e duro, d’aspetto in qualche modo simile ad una <strong>pietra</strong>, donde il nome,<br />

costituito da un fitto intreccio d’ife miceliche, quelle più esterne sclerotizzate e brune<br />

per la melanizzazione delle pareti; il quale, se formato nel terreno, ingloba e riunisce<br />

sabbia, humus, frammenti <strong>di</strong> legno, sassi, detriti <strong>di</strong> roccia.<br />

<strong>La</strong> massa scleroziale compatta, <strong>di</strong> color bruno ocraceo o verde scuro, globosa o<br />

lievemente appiattita, della grandezza <strong>di</strong> un pugno, ma talora <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori<br />

potendo raggiungere 30-40 centimetri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro e un peso <strong>di</strong> 8-9 kg, è immersa<br />

nel terreno <strong>dei</strong> boschi o <strong>dei</strong> campi, ove è per lo più trovata scavando o arando il<br />

terreno, in qualche modo come accade per i tartufi, con i quali talora può esser confusa<br />

(da cui il nome <strong>di</strong> Tartufi fungarii <strong>dei</strong> vecchi testi). Queste false pietre, raccolte,<br />

messe in un vaso con terreno e trasportate in un locale fresco e aduggiato, come<br />

una cantina o una grotta, oppure interrate a 5-10 cm <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà in un orto o<br />

un giar<strong>di</strong>no e innaffiate, sviluppano perio<strong>di</strong>camente e ripetutamente i corpi fruttiferi<br />

(basi<strong>di</strong>omi). Questi ultimi sono stipitati (3-6 cm), carnosi, con cappello rotondo, convesso,<br />

piano-depresso o imbutiforme, con margini ondulati e sovente lacerati, misurante<br />

da 2 a 15 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro e fino a 2 cm <strong>di</strong> spessore. <strong>La</strong> superficie superiore del<br />

cappello è<strong>di</strong>color paglierino o cannella, flavescente, ed è decorata da screziature concentriche<br />

brune a forma <strong>di</strong> scagliette appuntite all’estremità. <strong>La</strong> superficie inferiore del<br />

cappello, poroide, cremea e uniforme, mostra lo strato imenoforo costituito da minutissimi<br />

canalicoli o pori, sulle cui pareti interne si <strong>di</strong>fferenziano i basi<strong>di</strong> e le spore.<br />

I funghi così ottenuti sono eduli e, almeno un tempo, molto ricercati e apprezzati<br />

sulla mensa.<br />

<strong>La</strong> funzione naturale dello sclerozio è quella <strong>di</strong> assicurare la sopravvivenza del fungo<br />

attraverso gli anni e in perio<strong>di</strong> sfavorevoli, siccitosi ad esempio, o in ambienti anche<br />

biologicamente avversi. Bagnato, lo sclerozio può assorbire acqua più della metà del suo<br />

peso; se si coltiva, regolando opportunamente le irrigazioni si possono ottenere i funghi<br />

già dopo 4-5 giorni o cadenzarne la formazione per un periodo piuttosto lungo, anche<br />

più <strong>di</strong>unanno.<br />

In Italia, P. tuberaster era un tempo comune nei boschi dell’Appennino centromeri<strong>di</strong>onale,<br />

meno <strong>di</strong>ffuso più anord. I recenti ritrovamenti del fungo (S. Onofri,<br />

comun. pers.) ne in<strong>di</strong>cano ancora la presenza in alcune regioni italiane (dalla Liguria<br />

alla Calabria e alla Sardegna), ma l’uso <strong>di</strong> coltivare la <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> è ormai perduto<br />

ovunque, anche perché oggi si coltivano industrialmente e più facilmente altre specie<br />

fungine.<br />

<strong>La</strong> «<strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong>» è nota fin dall’antichità. L’uso commestibile del fungo, ritenuto<br />

<strong>di</strong> pregio, era relativamente frequente nell’antica Roma, ed è proseguito nel Me<strong>di</strong>o


48 a. graniti<br />

Evo, nel Rinascimento, e anche in epoca posteriore, fino alla fine del XIX secolo; poi è<br />

<strong>di</strong>venuto raro con il cambiamento delle con<strong>di</strong>zioni edafiche, il progressivo <strong>di</strong>boscamento<br />

elospopolamento della montagna. Attraverso i tempi, la <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> aveva avuto<br />

impieghi <strong>di</strong>versi, soprattutto in me<strong>di</strong>cina, per curare varie malattie e segnatamente, forse<br />

in modo omeopatico per la somiglianza delle concrezioni, i calcoli renali (Pegler, 2000).<br />

Gli antichi scrittori narravano della <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> in vari e fantasiosi mo<strong>di</strong>, attribuendola<br />

al mondo minerale o animale. Ciò avrebbe dovuto attirare l’attenzione <strong>di</strong> F. <strong>Cesi</strong><br />

il quale, proprio degli esseri <strong>di</strong> «mezzana natura», con caratteri o proprietà comuni al<br />

mondo vegetale e minerale, aveva trattato più volte, in particolar modo <strong>dei</strong> legni fossili<br />

(Scott e Freedberg, 2000) coniando peraltro per il legno piritizzato o pietrificato nuovi<br />

e significativi termini (Metallophytum, Lythophytum : <strong>Cesi</strong>, 1630). Ma egli, attentissimo<br />

osservatore della natura, era certamente pervenuto alla stessa conclusione che un secolo<br />

dopo Pier Antonio Micheli (1729), il padre della Micologia moderna, nella sua Nova<br />

Plantarum Genera avrebbe usato («prendono un abbaglio») per liquidare definitivamente<br />

favole e fantasie su questo fungo: Allucinantur, qui credunt, ra<strong>di</strong>cem huius plantae esse<br />

genuinam lapidem e avrebbe descritto con precisione forma, crescita e fruttificazione del<br />

fungo. Ma quale <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> raffigurazioni, se si paragona la tavola <strong>di</strong> <strong>Cesi</strong> a quelle<br />

<strong>dei</strong> botanici che lo seguirono nel tempo! Bastano, per il raffronto, l’incisione <strong>di</strong> P. Boccone<br />

(1697), da alcuni Autori ritenuta la prima a stampa del fungo, e quelle, peraltro<br />

molto precise, <strong>di</strong> P.A. Micheli (1729) e <strong>di</strong> G.A. Battarra (1755). Occorre arrivare alla<br />

tavola dell’Iconographia Mycologica <strong>di</strong> G. Bresadola (1931) per avere una raffigurazione<br />

in qualche modo comparabile.<br />

È certamente una singolare coincidenza; ma tra le fantasiose storie <strong>di</strong> cui si è sopra<br />

accennato, ce n’è una che merita <strong>di</strong> essere ricordata. Scrittori latini (ad es. Strabone nel<br />

I secolo d.C.) in<strong>di</strong>cano la <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> con nomi attinenti alla lince, quali Lyncurium<br />

o Lyncurius e <strong>La</strong>pis lyncea. L’origine <strong>di</strong> questi termini è spiegata da Plinio: Fieri autem<br />

ex urina quidem Lyncis. Sed egestam terra protinus bestia operiente eam quoniam invideat<br />

hominum usui ::: , nella credenza che a dare origine alle pietre fungaie fosse l’urina della<br />

lince, subito dallo stesso animale coperta con terra per sottrarla all’uso degli uomini. Uso<br />

ricordato nel Me<strong>di</strong>o Evo (ca. 1320) da Matteo Silvatico della Scuola me<strong>di</strong>ca salernitana:<br />

<strong>La</strong>pis Lyncis apud Evacem fit de urina Lupi-Cervarii mixta, in montibus coagulata, qui in domus<br />

servata generat optimos fungos supra toto quolibet anno, che l’urina della lince, coagulata in<br />

montagna e conservata in casa poteva fornire funghi per tutto l’anno (Gasparrini, 1841;<br />

Mattirolo, 1914).<br />

Questi nomi erano ancora comuni agli inizi del XVII secolo, se Giovanni Battista<br />

della Porta nella sua Phytognomonica (1588) li ricorda e spiega l’uso curativo del fungo<br />

per i calcoli renali: Fungus est in saxis nascens, ab aliquibus Lyncurius <strong>di</strong>ctus, miro experimento<br />

frangendo calculo, quippe umbra exsiccatus, contritus, potusque a jejuno cum urina veteri, ita<br />

renes expurgat, ut nunquam in eis calculi regenerentur.<br />

<strong>La</strong> rivoluzione scientifica iniziata da F. <strong>Cesi</strong> e dai suoi Accademici era ormai ben<br />

lontana da queste fantasie. Rivedendo oggi – dopo quasi 400 anni – la tavola del P.<br />

tuberaster, siritrova in essa l’espressione dello spirito <strong>di</strong> ricerca della verità, del reale,<br />

che ha animato i primi <strong>Lincei</strong>, e del loro amore anche estetico e contemplativo per


la <strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong> <strong>di</strong> federico cesi 49<br />

la Natura. Con precisione e intensità analitica, la tavola non solo rivela «il natural<br />

desiderio <strong>di</strong> sapere» <strong>di</strong> F. <strong>Cesi</strong> e la bellezza sui generis dell’essere vivente, se <strong>di</strong> bellezza si<br />

può parlare a proposito <strong>di</strong> un fungo: qui c’è veramente l’occhio <strong>di</strong> lince e, si potrebbe<br />

aggiungere, anche un cuore linceo.<br />

Bibliografia<br />

Alessandrini A., De Angelis G., <strong>La</strong>nzara P., 1985. Il Theatrum plantarum <strong>di</strong> <strong>Federico</strong> <strong>Cesi</strong> nella Biblioteca<br />

dell’ Institut de France. Atti Acc. <strong>Lincei</strong> Rend. fis., s. 8, vol. 78: 315-325.<br />

Battarra J.A., 1755. Fungorum agri Ariminensis historia. Typis Ballautianis, Faventia.<br />

Boccone P.S., 1697. Museo <strong>di</strong> fisica ed esperienze. J.B.Zuccato, Venezia.<br />

Bresadola J., 1931. Iconographia Mycologica, Vol. XIX (Tab. 901-950), Hymenomyceteae. Fam. II Polyporaceae.<br />

Società Botanica Italiana, Me<strong>di</strong>olani.<br />

<strong>Cesi</strong> F., 1630. Tabulae Phytosophycae. Allegate a: N.A. Recchi, Rerum Me<strong>di</strong>carum Novae Hispaniae Thesaurus.<br />

Typ. V. Mascar<strong>di</strong>, Romae: 900-936.<br />

Della Porta J.B., 1588. Phytognomonica. Lib. VI, Neapolis.<br />

Gasparrini G., 1841. Ricerche sulla natura della <strong>pietra</strong> fungaja e sul fungo che vi sopranasce. Atti dell’<strong>Accademia</strong><br />

Pontaniana, s. 2, 2: 195-254, 5 tavv.<br />

Mattirolo O., 1914. Notes sur l’histoire de la «pierre à champignons »(<strong>pietra</strong> <strong>fungaia</strong>). Bulletin de la Société<br />

Nationale d’Acclimatation de France, estratto: 17 pp.<br />

Micheli P.A., 1729. Nova plantarum genera iuxta Tournefortii methodum <strong>di</strong>sposita. Typis B. Paperinii,<br />

Florentiae.<br />

Pegler D.N., 2000. Useful fungi of the world: stone fungus and fungus stones. Mycologist, 14: 98-101.<br />

Scott A.C., Freedberg D., 2000. Fossil woods and other geological specimens. The Paper Museum of Cassiano<br />

dal Pozzo, series B, part III, Harvey Miller Publ., Begijnhof, Belgium.<br />

Pervenuta l’11 giugno 2001,<br />

in forma definitiva il 15 giugno 2001.<br />

Dipartimento <strong>di</strong> Biologia e Patologia Vegetale<br />

Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari<br />

Via G. Amendola, 165/A - 70126 Bari<br />

granitia@agr.uniba.it

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