Leggi - I Cistercensi
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NOTIZIE<br />
CISTERCENSI<br />
1-2<br />
GENNAIO - APRILE<br />
1972<br />
ANNO QUINTO<br />
Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV
NOTIZIE CISTERCENSI<br />
Periodico bimestrale di vita cistercense<br />
SOMMARIO<br />
P. GOFFREDO VITI, Storia dell'Abbazia di Casamari<br />
P. BENEDETTO FORNARI, Parte Prima, Casamari Benedettina<br />
Capitolo primo:<br />
Fondazione dell' Abbazia<br />
Capitolo secondo:<br />
Inizio della vita benedettina a Casamari e suo sviluppo<br />
Florilegio Cistercense .<br />
P. PLACIDO CAPUTO, I <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova nell'opera<br />
di bonifica dell'Agro Pontino 1795-1809<br />
P. ILDEBRANDODI FULVIO, Modalità Gregoriana .<br />
P. MALACHIA FALLETTI, A proposito della musica Beat<br />
P. VITTORIO ZANNI, Quaranta giorni in Etiopia .<br />
I Monaci e lo studio della Sacra Scrittura .<br />
J. DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />
(dodicesima puntata)<br />
Direttore e Redattore<br />
Don Filippo Agostini O. Cist.<br />
Monastero Cistercense<br />
Certosa del Galluzzo - ~0124 Firenze<br />
Tel. 289.226<br />
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GOFFREDO VITI O. CISTo<br />
Storia dell'Abbazia di Casamari<br />
DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI<br />
Parte Prima<br />
Casamari Benedettina<br />
(secolo XI - XII)<br />
di<br />
BENEDETTO FORNARI O. CISTo<br />
Capitolo Primo FONDAZIONE DELL'ABBAZIA<br />
Il luogo ed il nome<br />
I primi religiosi che diedero ongme all'abbazia partirono dalla<br />
città di Veroli e, allontanatisi di circa sette chilometri dal centro abitato,<br />
giunsero a ridosso di una collina tutta sassi e sterpi, situata all'estremo<br />
lembo orientale del territorio cittadino. Questi pionieri decisero di stabilirsi<br />
in quel luogo perché sembrò loro aver trovato il necessario per<br />
una immediata sistemazione: la solitudine, l'acqua del fiume Amaseno<br />
e numerosi ruderi di antiche costruzioni. Quel luogo incolto ed abbandonato<br />
era chiamato fin dall'Alto Medioevo Casamari, in ricordo del<br />
console romano Caio Mario che, secondo il parere di molti storici, vi<br />
ebbe i natali nel 156 a. C. Il nome di Casamari, come appare dai documenti,<br />
presenta almeno venti lezioni differenti 1 che potrebbero mutarne<br />
sostanzialmente l'etimologia. Tutte queste varianti derivano probabilmente<br />
da trascrizioni imperfette di amanuensi posteriori. Nonostante<br />
i dubbi insinuati dalle varianti, l'etimologia di Casamari, per quasi<br />
tutti gli storici è CASA MARII, cioè villa, residenza o patria di Caio<br />
Mario.<br />
l Le principali sono: Casamarium, Caservarium, Castermarium, Caseniarium, Combri<br />
Mari, Cajamara, Casamaro, Gallìs Cazemarre: Cfr ]ANUASCHEK, 58.<br />
-1-
Solo il D'Onofrio dissente dalla mentalità comune. Infatti egli<br />
in una recente pubblicazione 2 escogita una originale ma ardita etimologia:<br />
«Come resistere alla tentazione di spiegare CASAMARI nient' altro<br />
che con una CASA MARII} Casa di Mario? Ma a dispetto di una così<br />
allettante spiegazione} sarei dell'avviso che etimologicamente i due vocaboli<br />
non abbiano niente in comune. Forse ci troviamo di fronte ad un<br />
toponimo pre-romano, di origine osca (l'estremo confine nord degli Osci<br />
arrivava infatti da queste parti): in Varrone c'è tramandato il termine<br />
osco casnar (al genitivo: casnaris) col significato di « vecchio »; mentre<br />
in Quintiliano} ... col significato di «cacciatore» si trova ancora casnar<br />
che altri invece leggono casamo. È difficile arrivare ad una conclusione<br />
certa; a me sembrerebbe comunque assai probabile che CASAMARI sia<br />
proprio un nome di luogo di origine osca, oscillante tra il casnar ed il<br />
casamo » 3.<br />
L'ipotesi avanzata dal D'Onofrio non ci convince perché, dai reperti<br />
archeologici, non risulta alcun vocabolo che possa indirizzare la<br />
nostra attenzione verso un villaggio chiamato casnar o casamo.<br />
I numerosi ruderi che si presentarono agli occhi dei primi religiosi<br />
erano chiaramente di epoca romana. Ancora oggi se ne possono<br />
ammirare alcuni davanti all'abbazia:<br />
Un acquedotto a grandi arcate che fino al secolo scorso, secondo<br />
la testimonianza del De Persiis \ forniva d'acqua il monastero.<br />
Il ponte sull'Amaseno è stato efficiente fino all'ultimo conflitto<br />
quando fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata. Poiché sono questi i resti<br />
più importanti preferiamo riportare la descrizione fatta dal Cassoni<br />
nel 1918:<br />
« Il più importante e visibile residuo romano ... è certamente il ponte<br />
e l'acquedotto gettato sul fiumicello Amaseno, un cento passi in<br />
distanza dall'ingresso principale della badia. Il muro dell'acquedotto è<br />
di una spessezza di più di novanta centimetri, e va sempre più rialzandosi<br />
a misura dell'avvallarsi della collina; trapassa il ponte, s'interna e<br />
si continua nella collina opposta dentro la clausura monastica, ove<br />
si abbassa di nuovo. La sua lunghezza oggi misurabile, sorpassa i cento-<br />
2 D'ONOFRIO CESARE, PIETRANGELI CARLO, Le Abbazie del Lazio, Roma 1969.<br />
3 Ibidem, 245-246.<br />
4DE PERSIIS, 2: «L'acquedotto e il ponte sono opere romane; l'uno e l'altro ci restano<br />
ancora dopo tante e si svariate ingiurie del tempo e degli uomini. Il primo però più<br />
danneggiato che non il secondo; ma compie tuttora il suo uffizio. Ristaurato circa la metà<br />
del secolo scorso, ridonò alla Badia il commodo dell'acqua viva ».<br />
2-
Arcate dell'antico acquedotto.<br />
venti metri; si apre in sei arcate di circa cinque metri di corda ciascuna,<br />
delle quali tre soltanto sono oggi aperte; due per il passaggio della via<br />
provinciale, ed una vicino all'arco del ponte. Due altre minori aperture<br />
erano ancora visibili nell'interno del recinto monastico un venti anni<br />
addietro, molto più simili a larghe porte, anziché ad archi.<br />
Il ponte è di una solidità e floridezza meravigliosa: le due faccie<br />
dei muraglioni, settentrionale e meridionale, sopra cui esso riposa,<br />
sono costruite di grandi pietre calcaree rettangolari, che fan concorrenza<br />
coi massi delle mura dette pelasgiche. La luce dell'unico arco è di<br />
circa sei metri: un grande deposito di terra e di pietre accumulate sotto<br />
e intorno al ponte dalla impetuosità del torrente, impedisce di misurare<br />
la vera profondità di esso, che non va ora a più di quattro metri, e di<br />
contemplare la sua severa bellezza. La intiera volta e tutto il rimanente<br />
del ponte, è in massi quadrati pienamente affacciati e diligentemente<br />
commessi, che non vi si scorge la menoma lesione dopo tanti secoli,<br />
e si appoggia sopra un cordone assai risentito della medesima pietra;<br />
il ripieno è giunto quasi a toccare questi cordoni» 5.<br />
Un'altra interessante testimonianza è costituita da un tratto<br />
5 CASSONI, Cereate, 32.<br />
-3-
Il ponte sull'Amaseno. Ruderi dell'arco inferiore.<br />
di strada a larghe selci, venuta alla luce durante la recente sistemazione<br />
dei giardini davanti all'attuale ristorante Abbazia. Questa strada si<br />
allaccia ad una piazza pavimentata anch'essa a grandi lastre di pietra che<br />
attualmente si trova sotto il pavimento della sala parrocchiale, visibile<br />
attraverso una botola. All'estremità della piazza, nascosta, si erge una<br />
colonna, lasciata in loco che si può ammirare a destra dell'ingresso all'abbazia.<br />
A questi monumenti più grandiosi fa seguito una serie di reperti<br />
archeologici che ci permettono di identificare questa località con iI<br />
villaggio romano di CEREATE, forse perché dedicato alla dea Cerere.<br />
In un secondo tempo, probabilmente dopo le gesta di Caio Mario, vi<br />
fu aggiunto il titolo onorifico di MARIANAEo MARIANORUM.La storicità<br />
di un Cereate Mariano è affermata da diversi autori latini tra cui: Strabone<br />
6, Plinio 7 e Plutarco 8. Tra gli storici più vicini a noi ricordiamo solo<br />
lo Schmidt 9, il Mommsen lO e il Liibker 11, che in qualche modo si sono<br />
6 STRABONE, Geographicon Pempton, Lib, V, cap. 3, lO.<br />
7 PLINIO, Historia mundi, Lib. III, cap. 9, 11.<br />
8 PLUTARCO, De uiris illustribus, Vita Marii.<br />
9 SCHMIDT, 41.<br />
lO MOMMSEN T., Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.), vol. I, IX, X.<br />
11 LUBKER F., Lessico ragionato della Antichità Classica, trad. MURERO c., Ro-<br />
-4-
interessati di Cereate, e che sono unanimi nell'ammettere che l'abbazia<br />
di Casamari sorge sulle rovine dell'antico villaggio romano di Cereate<br />
Mariano. Il parere degli storici è stato confermato abbondantemente dai<br />
numerosi frammenti epigrafici, oggetti fittili, monete di epoca romana rinvenuti<br />
periodicamente nei pressi di Casamari e che attualmente si possono<br />
ammirare nel museo dell'abbazia.<br />
Citiamo qui solo due epigrafi che ci sembrano le più adatte per<br />
confermare l'esistenza di Cereate Mariano sul luogo ove sorge l'abbazia.<br />
La prima, scoperta a Casamari nel 1780 e successivamente trasferita<br />
ad Arpino, presenta l'elenco delle magistrature e degli ordini sacerdotali<br />
ricoperti da Caio Mario:<br />
C. MARIO C. F.<br />
COSVII. PRo TRIB. PL.<br />
Q. AUG. TR. MIL.<br />
C(aio) MARIO, C(ai) F(ilio) / CO(n)S(uli) VII, PR(aetori), TRIB(uno)<br />
PL(ebis) / Q(uestori), AUG(uri), TR(ibuno) MIL(itari) 12:<br />
A Caio Mario figlio di Caio, sette volte console, pretore, tribano della<br />
plebe, questore, augure, tribano militare.<br />
La seconda, ritrovata a Casamari nel 1834 durante uno scavo davanti<br />
all'antica residenza abbaziale e attualmente nel museo dell'abbazia,<br />
è un cippo in pietra di cm. 110 X 43 X 40. I caratteri sono rozzi ed irregolari.<br />
Presenta un fiore a quattro petali nei lati destro e sinistro, e<br />
uno a otto petali nel lato posteriore 13. L'iscrizione è dedicata ad un benemerito<br />
del villaggio:<br />
FELICI VICTORIO<br />
V E<br />
PATRONO<br />
PRO MERITIS<br />
ORDa CEREATINORUM<br />
MARIANORUM<br />
A Felice Vittorio, personaggio egregio, patrono. Per; meriti, l'ordine dei<br />
Cereatini Mariani (donò).<br />
ma 1898.<br />
12 MOMMSEN, CI.L., voI. X, 5782; CASSONI, Cereate, 72; DEL PROPOSTO-FoRNARI, 8.<br />
13 MOMMSEN, CI.L., vol. X, 5781; CASSONI, Cereate, 72, 3; GIANNETTI, 31-34;<br />
DEL PROPOSTO-FoRNARI, 8.<br />
-5-
Tratto di via romana.<br />
Uno studio scientifico, anche se breve, su Cereate è stato fatto<br />
nel 1851 dal Garrucci e pubblicato nel Bollettino dell'Istituto di corrispondenza<br />
archeologica 14.<br />
A proposito di questo lavoro cosi si esprimono due studiosi su<br />
Casamari: il De Persiis e il Cassoni: «Parlare di Casamari dopo che<br />
fu pubblicato questo scritto dell'insigne archeologo e non farne tesoro<br />
sarebbe voler ripudiare la gran luce che esso spande sopra i luoghi<br />
ove è posta la Badia e sopra la storia » 15.<br />
Il Cassoni nel 1918 fa il punto della situazione nell'Avvertenza<br />
al suo studio su Cereate e afferma: « ... Cercammo, quindi, di esso (di<br />
Cereate) con l'intelletto d'amore negli storici antichi e moderni, frugammo<br />
nelle vetuste memorie del monastero, negli autori di relazioni<br />
e di storie ancora inedite quanto poteva riuscire utile per la sua (di<br />
Cereate) ricostruzione primitiva. Lo trovammo, in verità, onorevolmente<br />
ricotdato in parecchi classici autori ed anche in quasi tutti i più accreditati<br />
Dizionari moderni di Geografia e Storia antica; ma, in generale<br />
tutte le notizie fornite da costoro erano slegate, assai scarse ed incerte.<br />
14 GARRUCCI, I Cereatini.<br />
15 DE PERSIIS, 4, in nota.<br />
-6-
Monumento a Felici Victorio (Museo dell'abbazia).<br />
-7-
Un solo lavoro esiste che parla direttamente e con qualche ampiezza del<br />
Cereate, ed è quello dell'illustre archeologo P. Raffaele Garrucci: I Cereatini<br />
Mariani scoperti nel luogo ove ora è Casamari, pubblicato nel<br />
Bollettino di corrispondenza archeologica per l'anno 1851-1852, con<br />
altra breve ripresa del medesimo autore sullo stesso soggetto, uscita nel<br />
periodico La Civiltà Cattolica nel 1882, Serie II, voI. IX, pago 723 » 16.<br />
Il Garrucci quindi ebbe l'onore di essere il primo ad interessarsi<br />
a fondo per l'identificazione tra Cereate Mariano e Casamari.<br />
10 studio più minuzioso però è proprio quello del Cassoni 17 che<br />
esamina con cura la frammentaria letteratura precedente, coordinando<br />
un prezioso materiale per la storicità di Cereate, l'ubicazione, la topografia,<br />
le vicende e il patrimonio archeologico. Per quanto riguarda il<br />
patrimonio archeologico egli elenca 53 frammenti di iscrizioni 18, 23 residui<br />
architettonici 19, 9 oggetti di bronzo 20, 18 oggetti fittili 21 e 84<br />
monete dal IV secolo a. C. fino al IV secolo d. C. 22.<br />
L'opera del Cassoni, eccellente sotto molti punti di vista presenta<br />
tuttavia delle lacune. In tutti questi elenchi l'autore offre una scrupolosa<br />
descrizione esterna dei documenti precisandone, nella massima parte<br />
dei casi, l'esatto luogo di ritrovamento, ma non decifra le iscrizioni<br />
epigrafiche<br />
colare.<br />
e monetarie e non le inquadra nel contesto storico parti-<br />
Il Giannetti con il volume Cereate Marianae ha rimediato recentemente<br />
a questa lacuna solo per la parte epigrafica. Sarebbe augurabile<br />
una rielaborazione e un completamento storico-archeologico non solo<br />
su Cereate ma anche sulle altre terre limitrofe tanto ricche di patrimonio<br />
storico-archeologico romano, ma anche tanto dimenticate!<br />
Dall'epoca romana facciamo un salto di circa otto secoli per<br />
giungere agli inizi del secolo XI quando questa zona riaffiora nella<br />
storia presentandosi con un nuovo nome: Casamari, come afferma la<br />
Cronaca del Cartario parlando dei primi religiosi: « ... venerunt ad [undum,<br />
qui dicitur Casemarii, territorio<br />
d'fi . 23<br />
e t eta... » .<br />
oerulano, uidentesque ibi antiqua<br />
È legittimo porsi a questo punto un primo interrogativo: perché<br />
16 CASSONI, Cereate, 4.<br />
17 CASSONI, Cereate.<br />
18 Ibidem, 71-87.<br />
19 Ibidem, 87-92.<br />
20 Ibidem, 94.<br />
21 Ibidem, 94-96. La numerazione giunge fino a 29, ma dal numero 12 passa al 24,<br />
22 Ibidem, 96-102.<br />
23 Cron. Cart., cfr doc. 1 del secondo volume.<br />
-8-
questo nucleo di preti e laici abbandonarono la città per rifugiarsi tra<br />
quei ruderi?<br />
I veri motivi che determinarono la fondazione dell'abbazia:<br />
Millenarismo ed eremitismo?<br />
Tutti gli storici che in qualche modo si sono interessati di Casamari<br />
hanno esposto sommariamente gli avvenimenti riguardanti le<br />
origini, accettando alcuni dati del De Persiis 24 che, a nostro avviso,<br />
non corrispondono del tutto alla realtà storica. Le cause che determinarono<br />
la fondazione di Casamari per alcuni furono il terrore millenaristico<br />
unito ad una forma di vita eremitica, almeno per un trentennio,<br />
per altri invece fu o solo il millenarismo o solo l'eremitismo.<br />
Poiché queste cause non ci convincono ci permettiamo di esaminare<br />
a ritroso i testi storici che si sono interessati del caso, allo scopo di<br />
.<br />
fare più luce sui veri motivi<br />
saman.<br />
che determinarono la fondazione di Ca-<br />
Lo Scaccia-Scarafoni nel 1951 affermava: «Sui primi del sec. XI<br />
alcuni sacerdoti verolani e propriamente Benedetto, Giovanni Orso e<br />
Azzone adiunctis quibusdam laicis fidelibus eiusdem loci, come dice<br />
la più antica cronaca della Badia, spinti dal terrore di una prossima<br />
fine del mondo che le leggende chiliaste avevano largamente diffuse<br />
anche nelle nostre contrade, abbandonata la città... si ritirarono a<br />
far vita di penitenza fra i silenti ruderi di quella che era stata la patria<br />
di Caio Mario: l'antico Cereate ... » 25.<br />
In nota l'autore conferma la validità della sua posizione basandosi<br />
su certe espressioni di documenti locali: «numerose sono le donazioni<br />
di beni fatte, con palese allusione al giudizio finale, in favore di chiese<br />
e di monasteri contenute nelle pergamene del secolo X e XI dell'archivio<br />
capitolare della cattedrale di Veroli, che possono essere collegate<br />
alla credenza del millenarismo; ma sopra tutte è da ricordare una donazione<br />
collettiva di alcuni abitanti del vicino castello di Monte<br />
San Giovanni (perg. 26, anno 1028) nella quale è fatto palese cenno alla<br />
doppia resurrezione che era uno dei presupposti della leggenda chiliasta ...<br />
In tale atto di donazione è espressa, per chi receda dalla concessione fat-<br />
24 DE PERSIlS, 39-40.<br />
25 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 1.<br />
9-
ta, la minaccia: non babeat partem in prima resurrectione set cum<br />
[uda ... sit pars illius in stagnum ignis ardentis 26.<br />
A noi questa prova non sembra convincente. Non è assolutamente<br />
necessario ricorrere alla minaccia di un documento del 1028per convalidare<br />
il chiliasmo e di conseguenza provare la causa della fondazione<br />
di Casamari! Infatti apparteneva allo schema generale dei documenti<br />
pubblici e privati inserire nel contesto la cosidetta sanzione 27 che<br />
comminava una pena spirituale o temporale ai trasgressori della disposizione<br />
di un documento e prometteva un premio agli osservanti.<br />
Il De Benedetti, nei suoi manoscritti, parlando delle origini dell'abbazia<br />
asserisce: «All'aprirsi del mille la comune preoccupazione<br />
della salvezza eterna, in cui si era trasformata l'attesa millenaristica del<br />
regno di Cristo ... aveva deciso alcuni chierici della città di Veroli ad abbandonare<br />
le loro case per iniziare nella solitudine una vita di penitenza<br />
»28. Il De Benedetti oltre il millenarismo ammette pure un<br />
periodo trentennale di vita eremitica. «Il cambiamento dalla vita<br />
eremitica in cenobitica dovette quindi essere determinato da un fattore<br />
estrinseco dalla volontà degli stessi chierici» 29.<br />
Il Fusciardi: «Le origini della Badia si riannodano alla falsa persuasione<br />
del regno millenario di Cristo, entrata nel cuore di molti sul<br />
finire del X secolo » 30.<br />
Il Cassoni parla solo di vita eremitica: «I Pii solitari verolani ritiratisi<br />
a Casamari ... » 31<br />
Il De Benedetti e il Fusciardi dipendono probabilmente dal De Persiis<br />
o dalle prime espressioni della Cronaca del Cartario 32 accettate<br />
troppo frettolosamente. Il De Persiis tuttavia non è il responsabile di<br />
tutto. Infatti nell'Avvertenza del suo studio su Casamari afferma di essersi<br />
servito del Rondinini, del Giraud, del Moroni e di alcuni fascicoli<br />
manoscritti di Colombano Longòria 33, ma non poté servirsi del Cartario:<br />
« Inutilmente cercai del celebre Cbartarium Casamariense o codice ma-<br />
26 Ibidem, nota 1.<br />
27 P. RABIKAUSKAS, Diplomatica Generalis, Praeletionum lineamenta, Romae 1967,<br />
27 e 31.<br />
28 DE BENEDETTI, Casamari, ms. Parte Prima, capitolo primo: Origini e vita benedettina,<br />
1.<br />
29 Ibidem, 3.<br />
30 FUSCIARDI, Guida, 1.<br />
31 CASSONI, Silloge, 4; ID., Crono/assi, 7-8.<br />
32 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />
33 DE PERSIIS, VI.<br />
-10-
noscritto »34. Trattando delle cause della fondazione di Casamari esprime:<br />
«Era sul terminare il secolo decimo, e la falsa persuasione del<br />
regno millenario di Cristo, entrata nell'animo d'innumerevoli cristiani,<br />
tanto gli angustiava e percuoteva, che affine di apparecchiarsi all'universale<br />
finimondo non vi era nuovo ingegno di penitenza, che assai volentieri<br />
non avessero adoperato a salute. Di qui la sterminata moltitudine<br />
di coloro, che, abbandonati gli agi della vita, fuggite le città, ne andavano<br />
al deserto, dove tanto più utile riputavano il vivere, quanto più<br />
ruvido, solitario e salvatico lo avessero incontrato. Cento e mille esempi<br />
di splendida santità, di carità ferventissima e di altre nobili virtù ripetono<br />
la loro origine da cosiffatto movimento di spiriti, che allora dappertutto<br />
invadeva; e cento e mille asili e domicili di santa vita e di scienza<br />
allora ci nacquero fondati siccome furono per la medesima salutare<br />
perturbazione di animi. La Badia di Casamari trae la sua origine da cotesto<br />
sentimento pauroso bensì, ma al tempo stesso profondamente<br />
cristiano. Un quattro o cinque sacerdoti della vicina città di Veroli, tocchi<br />
ancor essi e scossi al pensiero della penitenza, se n'escono abbandonando<br />
ogni cosa, e vanno nel luogo ove un tempo furono i Cerea tini<br />
Mariani e stettero in piedi i palagi di Caio Mario. Ruderi informi e<br />
più che salvatica campagna rimanevano al tempo che i nostri penitenti<br />
vennero a cercare colà il luogo della nuova abitazione» 35.<br />
Il De Persiis dipende quindi chiaramente dal Giraud per quanto<br />
riguarda il timore del giudizio universale. Infatti è proprio il monaco<br />
di Casamari che nel suo Abrégé introduce nella storiografia per le origini<br />
di Casamari i timori del giudizio universale:<br />
« Plusieurs eclesiastiques de la ville de Veroli touchez au<br />
fond due coeur par la consicleration du jugement universel et cles<br />
peines de 1'enfer, et du peril où ils se trouvaient au milieu du<br />
monde comme aussi de la sainte vie cles religieux de Saint Dominique,<br />
se resolurent de se consacrer au service du Seigneur<br />
pour toutte leur vie afin de se rendre favorable en ce iour terrible<br />
où il viendra juger les vivants et les morts - et cl'embraser la vie<br />
religieuse selon le genre de vie qui se practiquait au monastère de<br />
S. Dominique » 36.<br />
Il Giraud che scrisse la sua opera inedita nel 1722 cita spesso il<br />
Rondinini, di poco anteriore a lui 37. Il Rondinini non accenna affatto<br />
34 Ibidem.<br />
35 Ibidem, 39.<br />
36 GIRAUD, 4.<br />
37 L'opera de Rondinini è de 1707.<br />
Il -
aUa questione del giudizio universale e al terrore delle pene dell'inferno,<br />
ma si limita a trascrivere dal Baronio le prime frasi delle Cronaca<br />
del Cartario:<br />
« Anno ab incarnatione domini nostri Jesu Christi millesimo<br />
trigesimo sexto, indictione quarta erant in civitate Verulana<br />
quidam boni meriti clerici, qui servantes praecepta dominica ...<br />
venerunt ad fundum qui dicitur Casaemarii ... » 38.<br />
Infine per il supposto periodo eremitico a Casamari il De Persiis si<br />
basa sul Moroni. Questi afferma che i sacerdoti verolani « mossi dal divino<br />
Spirito a menar vita veramente ecclesiastica ed eremitica si ritirarono<br />
nel vicino luogo di Casa-Mario» 39. Da quale fonte attinge il<br />
Moroni? Pur citando il Rondinini ed il Baronio egli confida molto nelle<br />
informazioni avute dagli stessi monaci: «Tanto si ritiene a Casamari<br />
e tanto afferma l'Ughelli » 40.<br />
È quindi soprattutto una fonte orale e l'Ughelli da solo non può<br />
dare tutte le garanzie.<br />
Il viaggio a ritroso ci ha portato ad individuare il tempo in cui si<br />
è iniziato a vedere nel millenarismo e nelI'eremitismo le cause della<br />
fondazione di Casamari.<br />
Dai testi citati si può dedurre che il Giraud, pur parlando del<br />
giudizio universale e delle pene dell'inferno, non si è pronunziato sui<br />
timori millenaristici.<br />
Il De Persiis dunque è stato il primo ad attribuire motivi millenaristici<br />
alla fondazione di Casamari e a diffondere la tradizione orale<br />
del Moroni, corroborata dall'autorità dell'Ughelli, circa il periodo eremitico<br />
pre-benedettino a Casamari. Il De Persiis potrebbe essere stato<br />
indotto a convalidare la sua posizione da alcune espressioni della Cronaca<br />
del Cartario:<br />
« ...erant in Cicitate Verulana quidam boni meriti clerici qui<br />
servantes dominica praecepta divinaque iudicia meditantes, dicentes:<br />
Vae nobis, qui nomine clericatus habentes officium, vitam<br />
neque canonicam, neque monasticam ducirnus, quid de nobis<br />
erit, quid in extremo dicturi sumus examine? Ad cuius auxilium<br />
confugiemus? Faciamus nobis arnicos de mammona iniquitatis,<br />
ut cum ab hac vita migraverimus, recipiant nos in aeterna tabernacula<br />
» 41.<br />
38 RONDININI, 4.<br />
39 MORONI, t. XCIV, 95.<br />
40 Ibidem.<br />
41 BARONlO, T. I, a. 1030, 105; RONDINlNI, 4-5; per il testo completo cfr doc. 1 del<br />
secondo volume.<br />
- 12-
Non ci sembra dover affrontare una lunga discussione per scartare<br />
definitivamente il timore dell'imminente fine del mondo come movente<br />
fondamentale per i preti verolani, data appunto l'arbitraria interpretazione<br />
del De Persiis. È vero che il testo su riportato parla del giudizio<br />
finale quid in extremo dicturi sumus examine, ma più che l'universale<br />
finimondo del De Persiis 42 è da rilevare un profondo sentimento di<br />
perfezione dei boni meriti eterici di fronte alla realtà della morte, del<br />
giudizio di Dio e alla preoccupazione di non aver saputo profittare del<br />
tempo utile perché, sebbene chierici, si sentivano insoddisfatti della propria<br />
vita vitam neque canonicam, neque monasticam ducimus. Inoltre<br />
da tutto il contesto della Cronaca del Cartario 43 il Vae nobis... sembrerebbe<br />
dettato più da un afflato spirituale dell'autore della Cronaca che<br />
a distanza di almeno due secoli vuol vivificare una narrazione, che non<br />
da una fedeltà strettamente storica.<br />
Il leggendario millenarismo poteva maggiormente trarre in inganno<br />
i meno provveduti se Casamari fosse stata fondata nel 999. L'articolo<br />
dell'Olgiati Mille e non più mille 44 anche se breve è sufficiente per dimostrare<br />
che la leggenda millenaristica ha fatto il suo ingresso nella<br />
mentalità popolare alla fine del secolo XVI, cioè seicento anni dopo il<br />
putatum eventum. Il sentimento escatologico della parusia è stato sempre<br />
presente fin dai primi tempi del cristianesimo ed è sempre affiorato<br />
attraverso i secoli, ma nessuno ha mai attribuito ad un simile sentimento<br />
una portata universale e tragica come vorrebbe il millenarismo.<br />
L'Olgiati riporta prove convincenti di molti studiosi che sfatarono definitivamente<br />
la leggenda, come il Rosière, il Von Eicken, il Roy, il Dorval,<br />
lo Schoolmeesters. Inoltre il belga Godefroid Kurth con un esame accuratissimo<br />
di documenti ha dimostrato l'assoluta falsità della leggenda:<br />
« Se durante il secolo X si fosse attesa la fine del mondo per l'anno mille<br />
i cronisti del tempo non avrebbero mancato di indicarlo: ora né quelli<br />
che hanno scritto prima di tale data pronunciano una parola sullo spavento<br />
col quale la si sarebbe aspettata, né quelli che hanno scritto dopo<br />
dicono una parola dei trasporti di gioia coi quali si sarebbe salutato il<br />
primo sole del 1001...». Ma c'è di più. « Tutti i documenti che ci restano<br />
del secolo X ci mostrano una società che attende alle sue occupazioni<br />
quotidiane in una tranquilla sicurezza come in ogni altro<br />
tempo» 45.<br />
42 DE PERSIIS, 39.<br />
43 Cfr nota 41 di questo capitolo.<br />
44 OLGIATI, in Vita e Pensiero, 34 (1951), 310-314.<br />
45 Ibidem, 314.<br />
-13-
E Jean Guiraud aggiunge: «Dal 970 all'anno 1000 abbiamo 150<br />
Bolle di Papi spedite durante il trentennio: nessuna fà allusione, neppure<br />
nella forma più vaga alla fine prossima del mondo. Dal 990 al 1000<br />
si sono tenuti venti concili: nessuno parla della data fatale; al contrario<br />
tutti legiferano per gli anni che seguiranno il mille ... Il Concilio di<br />
Roma del 998 infligge al Re Roberto una penitenza di sette anni, per<br />
conseguenza fino al 1005. Ecco in qual modo la Chiesa annunciava la<br />
fine del mondo » 46.<br />
Anche nelle relazioni delle catastrofi avvenute verso la fine del<br />
secolo X, si registrano dai cronisti dell'epoca pesti, carestie, grandi incendi,<br />
inondazioni, terremoti, persino l'ecclisse totale del sole; mai però<br />
simili disgrazie vennero additate come preludio dell'ultimo giorno<br />
dell'umanità 47.<br />
Per l'altra supposizione del periodo eremitico pre-benedettino, il<br />
Moroni che ne fu il maggiore assertore scrisse: «Passati circa trent'anni<br />
(dal 1005) si unirono ai primitivi altri sacerdoti e laici verolani, per<br />
imitarli nel tenore di vita solitaria e penitente, i quali formatisi in Congregazione,<br />
coll'annuenza del vescovo di Veroli, d'unanime consenso si<br />
diedero a vita claustrale approvata dalla chiesa. Questa risoluzione effettuarono<br />
col recarsi nel celebre e florido monastero di San Domenico<br />
di Sora nel 1036 ... a ricevere l'abito nero monastico con la Regola del<br />
Patriarca San Benedetto» 48.<br />
Questo periodo trentennale di vita eremitica a Casamari ci sembra<br />
una invenzione del Moroni, poiché per quanto finora si sia ricercato in<br />
proposito, da nessun documento possiamo dedurre una simile organizzazione<br />
iniziale 49. Casamari non era assolutamente un luogo adatto per<br />
condurre vita eremitica, essendo situata lungo la via Latina o un diverticolo<br />
di essa - quasi l'attuale tracciato della via Mària - che univa<br />
Frosinone e quindi Roma con Arpino, Sora e la valle del Comino so.<br />
Infine sappiamo dalla Cronaca del Cartario che il primo abate di<br />
Casamari Benedetto, desideroso di vita eremitica transiens ad vita eremiticam<br />
(e non rediens ad vitam eremiticam) se ne andò prima nella<br />
regione di Fondi e quindi nelle isole Ponziane, non travando nella regione<br />
di Casamari, posti adatti alla vita eremitica SI.<br />
46 Ibidem.<br />
47 Ibidem.<br />
48 MORONI, T. XCIV, 95 sgg.<br />
49 In seguito, sempre in questo primo capitolo, torneremo di nuovo ad interessarci<br />
dela questione parlando della data di fondazione dell'abbazia.<br />
soGIANNETTI, 42-46.<br />
51 Per il testo completo in questione cfr il doc. 1 del secondo volume.<br />
-14-
• VEROLi<br />
Topografia di Casemari dalla «Civiltà Cattolica» 1891<br />
-15-
Escluse dunque come cause della fondazione di Casamari il millenarismo<br />
e l'eremitismo, esaminiamo dal contesto storico, quale altra<br />
causa abbia potuto influire per la fondazione di Casamari.<br />
Riforma monastica nel secolo X e XI<br />
Nel periodo in cui nasceva l'abbazia di Casamari, era in atto a<br />
Roma e nel Lazio una grande riforma del monachesimo, che partiva da<br />
Cluny. L'iniziativa aveva avuto le sue origini circa un secolo avanti 52<br />
con il secondo abate di Cluny: S. Oddone (880-942) 53.<br />
« La réforrne tentée par Saint Odon pans le duché de Rome,<br />
serà reprise après sa mort par son di sciple , le franc Baudouin,<br />
abbé de Saint Paul, de l'Aventin et du Mont-Cassin; puis par<br />
saint Mayeul et Odilon de Cluny ... Dans le mèrne duché de Rome<br />
de nuovelles abbayes se fondent. L'une des Egures les plus attachantes<br />
de ce mouvement monastique au Xl" siècle, est celle de<br />
saint Dominique de Foligno, qui, venu en Campanie, fonde Sain-<br />
Barthélemy de Trisulti, vers 1006, puis le monastère de Sora ... »54.<br />
Un biografo di S. Domenico, Luigi Tosti ci presenta ancor più diffusamente<br />
la figura del santo inserendola a ragione in questo movimento<br />
di riforma.<br />
«Molti, stimolati dall'esempio di Domenico, gittatasi dietro ogni<br />
cosa mondana si ponevano monaci sotto la disciplina di lui a seguire il<br />
Signore. E da questo bene che operava Iddio per lo suo mezzo prese<br />
argomento il santo uomo, che il Signore il chiamasse a propagare la<br />
vita monastica e a rivendicarla per nuovo vigore di disciplina, dalla<br />
quale erano caduti non solo i monaci, ma tutti i ministri della Chiesa.<br />
Perciò correndo questo secolo X santo Oddone rilevava in Francia con<br />
la famosa Congregazione di Cluny la disciplina dei monaci, Aligerno a<br />
Montecassino: e fra tanti altri che recano le antiche storie riformatori<br />
e propagatori della vita monastica, va per fermo noverato San Dome-<br />
• 5S<br />
ruco....<br />
Nato a Foligno nel 951 Domenico trascorse la sua giovinezza nella<br />
regione umbra. Diresse quindi la sua attività in Abruzzo e nel Lazio 56,<br />
52 PENCO, I, 190-193.<br />
53 J. HOURLlER, Oddone, in Bibliotheca Sanctorum , voI. IX, Roma 1967, 1101-1104.<br />
54 SCHMITZ, I, 166.<br />
55 TOSTI, 22-24.<br />
56 F. CARAFFA, Domenico di Sora, in Bibliotheca Sanctorum, voI. IV, Roma 1964,<br />
737-739.<br />
-16-
dove fu ben presto noto a tutti per la sua santità e il suo zelo di propagatore<br />
della riforma monastica.<br />
«Coepit igitur ... orbi declarari Dominicus, et non jam servus<br />
Dei, non jam homo iustus et timoratus dumtaxat, sed vere<br />
sanctus; vere amicus Dei, vere vita, signis atque doctrina antiquorum<br />
sanctorurn, ad omnibus imitator haberi »57.<br />
Questo è l'elogio che ne fa Alberico Cassinese. Nel 1006 San Domenico<br />
fonda il monastero di San Bartolomeo di Trisulti. «Post haec<br />
in Campaniam, ad locum qui Trisaltus dicitur, construxit in deserto<br />
monasterium iuxta fontem limpidissimum ... » 58.<br />
Dopo Trisulti San Domenico fonda anche altri monasteri in Abruzzo<br />
e quello che poi prenderà il suo nome, presso Sora.<br />
Questa sua infaticabile attività era a tutti nota. Molti sono i miracoli<br />
ascritti al Santo da Alberico Cassinese. Uno di questi miracoli ci<br />
interessa in modo particolare, perché legato alla storia di Casamari.<br />
Si tratta della guarigione di un bimbo nella città di Veroli.<br />
«Per eos dies puer quidam Berolensis (Veroli) mutus et<br />
claudus ad virum Dei delatus est, cuius cum linguam pedesque<br />
tetigisset, et gressum pedes et lingua loquelam hora eadem divinitus<br />
receperunt » 59.<br />
Il miracolo citato dimostra che San Domenico doveva essere noto<br />
a tutti i verolani e in modo particolare, diremmo, al clero della città.<br />
Ma anche se il miracolo non fosse autentico, nessuno oserebbe mettere<br />
in dubbio la fama di San Domenico in detta città. Veroli dista da Trisulti<br />
non più di dieci chilometri.<br />
Quindi i quattro preti verolani che « adiunctis quibusdam fidelibus<br />
laicis » fondano Casamari in questo periodo di rinnovamento spirituale,<br />
da nessun altro potevano aver l'avvio che dall'esempio del grande abate<br />
benedettino, allora all'apice della popolarità.<br />
Questa realtà, che per noi ha costituito una ricerca faticosa, era<br />
del resto molto chiara ad alcuni tra gli storici già menzionati. Per esempio<br />
lo Jacobilli inizia cosi il capitolo X della vita di San Domenico:<br />
«Vita del monastero di Casa-Mario, eretto dai discepoli di San Domenico<br />
... Alcuni sacerdoti e laici di Veroli, città nella campagna di<br />
Roma, mossi dalla fama della gran perfezione delli monaci, e discepoli<br />
57 LENTINI, 75.<br />
58 Ibidem.<br />
59 Ibidem, 76.<br />
-17-
di San Domenico che vivevano nel monastero fuori di Sora, pregarono<br />
con grand'istanza Giovanni Beuerendo, abbate di esso, e discepolo<br />
intrinseco di esso San Domenico, che volesse edificare un monastero<br />
del suo ordine monastico, tre miglia distanti a essa città di Veroli, e<br />
sette da Sora, in un luogo del territorio di Veroli, denominato Casa Mari,<br />
già detto Casa di Mario ... onde mosso dai loro prieghi nell'anno 1036,<br />
solamente cinque anni dopo la morte di San Domenico, dell'elemosine<br />
di essi verulani le eresse nell'assegnato sito ad honore dei SS. Martiri<br />
Giovanni e Paolo » 60.<br />
Gli storici da cui Jacobilli attinge le notizie, oltre il Baronio sono il<br />
Manrique 61 e il Clavelli 62.<br />
Lo stesso Giraud, che pur ha sviato molti, riportando molte notizie<br />
inesatte, quanto all'origine benedettina e non eremitica di Casamari<br />
non ha dubbi.<br />
« Ces bons ecclésiastiques ayant gagné plusieurs autres de<br />
leurs concitoyens s'en allèrent chercher un lieu pOU! habiter;<br />
étant venus dans un fond appelé Casèmar, il commencèrent à<br />
y habiter. Mais, comme il fallait établir un genre de vie commun<br />
a tous, selon leurs dessein ils résolurent d'embrasser celui qui<br />
était en viguer au rnonastère de Saint Dominique » 63.<br />
Come si vede dunque, sia dalla Cronaca del Cartario sia dal Giraud,<br />
non c'è intervallo notevole fra l'arrivo dei presbiteri verolani e il loro<br />
ingresso tra la famiglia benedettina.<br />
Cosi pure, semplicemente, avevano asserito il Baronio 64, il Rondinini<br />
65 e il Mabillon 66.<br />
I Presbiteri verolani dunque furono evidentemente influenzati da<br />
San Domenico o addirittura da lui guidati o fatti guidare.<br />
Il Moroni riporta una fugage notizia alla quale egli stesso sembra<br />
non attribuire alcuna importanza, ma che sarebbe decisiva ai fini della<br />
nostra ricerca se ne conoscessimo la fonte. Egli, narrando l'episodio del<br />
riconoscimento ufficiale di Casamari da parte dell'abate Giovanni Beverando<br />
67 secondo successore di San Domenico, cosi si esprime: «L'abate<br />
Giovanni approvò tutto e dichiarò primo Priore-Abate del nuovo mo-<br />
60 JACOBILLI, 44.<br />
61 MANRlQUE, III, 396.<br />
62 CUVELLI, 225.<br />
63 GlRAUD, 4.<br />
64 BARONIO, I, 105.<br />
6S RONDININl, 4.<br />
66 MABILLON, Annales, IV, 346.<br />
67 Questo appellativo sarà esaminato nel secondo capitolo.<br />
-18-
nastero che dovevasi edificare in Casarnari, Benedetto I, nobile verolano,<br />
che era il più vecchio dei quattro sacerdoti fondatori (« tale alcuno<br />
disse anche il Venerabile Giovanni Beverando ») 68. Quindi, se in<br />
qualche documento autentico si potesse trovare il nome di Giovanni tra<br />
i fondatori, non ci sarebbero più dubbi: il discepolo di San Domenico<br />
avrebbe guidato i presbiteri nelle questioni di carattere pratico - scelta<br />
del luogo, organizzazione del lavoro, prime costruzioni -. Peccato che<br />
il Moroni non dica chi sia quel alcuno.<br />
Comunque non si può negare che, pur così vaga, la notizia del<br />
Moroni, dopo quanto abbiamo detto, acquista un particolare valore.<br />
Anche il Giraud asserisce che sia stato un discepolo di San Domenico<br />
a fondare Casamari:<br />
« Pour parler de la fondation de Casèmar d'une manière plus<br />
claire, il est néeessaire de dire quelque ehose du monastère de<br />
Saint Dominique et du grand Saint qui l'a fondé, eelui de Casèmar<br />
ayant été fondé par un de ses disciples » 69.<br />
Inoltre Veroli aveva avuto una lunga' tradizione benedettina:<br />
il monastero di San Erasmo, tra le mura cittadine, era stato fondato<br />
dallo stesso San Benedetto 70 ed aveva avuto un grande sviluppo, attestato<br />
dai numerosi possedimenti nei dintorni 71.<br />
Dimostrato dunque che Casamari ebbe origini cenobitiche, perché<br />
sorto in un periodo di riforma cenobitica del Basso Lazio, dobbiamo<br />
porci una domanda: quali furono i motivi che spinsero gli storici o i<br />
monaci a creare un errore che apparentemente non aggiunge nessuna<br />
gloria alla già famosa Abbazia?<br />
Il motivo, a nostro avviso è da ricercarsi nella questione della<br />
data che sarà subito esaminata. Il Moroni, il De Persiis e tutti gli altri<br />
storici posteriori sono stati costretti ad ammettere un periodo eremitico<br />
di circa 30 anni perché hanno accettato come data di fondazione di<br />
Casamari l'anno 1005. Siccome i documenti e gli avvenimenti più antichi<br />
per Casamari si aggirano tra il lO32 e 1040, questi storici si sono<br />
trovati quasi obbligati ad escogitare qualcosa che giustificasse un così<br />
lungo periodo di assoluto silenzio. Ed è nato cosi dalla fantasia di questi<br />
storici il trentennale periodo di nascondimento e di silenzio.<br />
68 MORONI, voI. XCIV, 97.<br />
69 GIRAUD, 1.<br />
70 CAPERNA, 7.<br />
71 Cfr il volume del MOTTIRONI.<br />
19 -
La questione della data di fondazione dell'abbazia<br />
Come si sarà rilevato abbiamo volutamente sorvolato sulla data<br />
della fondazione di Casamari, perché è un problema discusso e merita<br />
una particolare attenzione.<br />
La maggior parte degli storici moderni che si sono interessati<br />
un po' diffusamente dell'abbazia, vale a dire il Moroni, De Persiis, Longòria,<br />
Fusciardi, Cassoni, De Benedetti, accettano dopo aver fornito<br />
anche dei motivi per loro molto validi, l'anno 1005 come data iniziale<br />
della vita religiosa a Casamari.<br />
Il 1005 è diventato dunque l'anno ufficiale oltre che per gli storici<br />
anche per tutti gli autori di articoli su Enciclopedie 72, Riviste e su<br />
Guide storico-artistiche più o meno informate.<br />
Chi invece decisamente scarta questa data per sostenere quella<br />
del 1036 è il Baronio 73, seguito fedelmente dal Rondinini 7\ dallo<br />
Jacobilli 75, dal Giraud 76, dal Mabillon 77 e in epoca più recente dallo<br />
Scaccia-Scarafoni 78.<br />
Il Rondinini, per presentare i primordi dell'abbazia, trascrive<br />
ad verbum dal Baronio: «Anno ab incarnatione Domini nostri Jesu<br />
Christi millesimo tricesimo sexto indictione quarta ... » 79.<br />
Lo stesso Rondinini fa notare in Addenda et Corrigenda so, che<br />
nel testo della Cronaca risulta il 1005.<br />
Il Giraud riferisce che fu durante il governo dell'abate Giovanni<br />
di San Domenico che i preti di Veroli<br />
« se résolurent de se consacrer au service du Seigneur... et<br />
d'embrasser la vie religieuse selon le genre de vie qui se prattiquait<br />
au monastère de Saint Dominique, ce qu'ils exécutèrent<br />
l'an 1036 » 81.<br />
72 Per esempio l'Enciclopedia Italiana (Treccani) dice addirittura che Casamari fu fondata<br />
nel 1095 da quattro preti veronesi! Volume IX, 280.<br />
73 BARONIO, I, 105.<br />
74 RONDININI, 4.<br />
75 Cfr nota 60 del presente capitolo.<br />
76 GIRAUD, 1-4.<br />
77 MABILLON, Annales, IV, 381.<br />
78 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 8-9.<br />
79 RONDININI, 4.<br />
so Ibidem, 167.<br />
81 GIRAUD, 9.<br />
- 20-
Lo Scaccia-Scarafoni difende decisamente il 1036 in base ad<br />
alcuni documenti riguardanti Casamari che si trovano nell'archivio della<br />
Cattedrale di Veroli 82.<br />
Il Baronio è stato il primo e il più autorevole storico a dubitare della<br />
data di fondazione di Casamari fornita dalla Cronaca del Cartario 83.<br />
Negli Annales Ecclesiastici all'anno 1030, per narrare le vicende<br />
delle origini di Casamari, egli trascrive il testo della Cronaca, ma corregge<br />
in margine l'anno 1005 col 1036.<br />
Non sappiamo su quali documenti si sia basato il Baronio per<br />
osare di correggere la Cronaca. È certo che, oltre ad essere dotato di<br />
acuto spirito critico, egli dovette avere degli elementi di giudizio che<br />
a noi sfuggono. Egli poté attingere direttamente dal Cartario, che gli fu<br />
prestato dal Cardinal Bonelli, nipote di Pio V e Commendatario di Casamari<br />
84. E forse è dipeso dall'autorità del Baronio la correzione fatta<br />
in margine alla data nella copia manoscritta della Cronaca che è nell'archivio<br />
di Casamari. Osserviamo però che all'anno 1005 del testo è<br />
stato preferito il 1035: non il 1036, perché sia il 1005 che il 1035<br />
hanno la medesima indizione, e ciò avrebbe potuto far pensare ad un<br />
eventuale errore dell'amanuense.<br />
Quale potrebbe essere stato il motivo per l'autore della Cronaca<br />
a spostare di un trentennio la data di Fondazione di Casamari? La spiegazione<br />
più probabile è la seguente: decaduto il monastero di San Domenico<br />
dalla primitiva osservanza e affiliato nel 1222,come vedremo,<br />
per disposizione di Onorio III, a Casamari, sorse naturalmente nei cronisti<br />
cistercensi il desiderio di assegnare a Casamari, divenuta Casa<br />
Madre, una data di nascita anteriore a quella del monastero annesso.<br />
Fu perciò spostato l'anno della fondazione di un trentennio per arrivare<br />
al 1005, poiché San Domenico fu fondato nel 1011.<br />
Un tentativo di conferma della tesi del Baronio deriva da un articolo<br />
dello Scaccia-Scarafoni basato su tre documenti del secolo XI trovati<br />
nell'archivio della Cattedrale di Veroli che riguardano Casamari,<br />
sempre sfuggiti agli altri storici dell'abbazia 85.<br />
Tali documenti, pur essendo modesti atti di donazione o di com-<br />
82 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 8.<br />
83 Facciamo rilevare che il Baronio era originario proprio della regione ove sorgevano<br />
i monasteri di San Domenico e di Casamari. Era nato infatti a Sora ed era stato educato<br />
nella prima gioventù a Veroli.<br />
84 RONDININI,40.<br />
85 SCACCIA-SCARAFONI, Primordio Lo stesso autore nella pubblicazione postuma Le carte<br />
dell'archivio capitolare della Cattedra di Veroli, Roma 1960 corregge alcune date dei<br />
tre documenti riportati, 59, 64, 86.<br />
-21-
pra-vendita, rappresentano in questa incertezza di dati sui primordi di<br />
Casamari, un notevole contributo per far luce sulle poche vaghe notizie<br />
che si hanno per i primi decenni di vita dell'abbazia.<br />
IL PRIMO DOCUMENTO è un atto di donazione che risale all' anno<br />
1066 86 fatto da un tal Laidoljus religiosus di Bauco (Boville Ernica)<br />
al monastero di Casamari che era retto dall'abate Orso. L'oggetto della<br />
donazione è costituito dalla chiesa di Santo Stefano, situata nella zona<br />
chiamata Pacciano. Di questo documento conservato in originale, l'Archivio<br />
Cattedrale offre anche una copia dell'anno 1222 esemplata dal<br />
notaio Petrus Scriba, ave però la chiesa di Santo Stefano oggetto del<br />
dono, è detta de Raiano invece che Pacciano, adottando una denominazione<br />
più tarda, divenuta in seguito anche la più comune 87.<br />
IL SECONDO DOCUMENTO esaminato dallo Scaccia-Scarafoni, dell'anno<br />
1069, è un atto di integrazione e di conferma della donazione precedente<br />
88. In forza di questo atto un tal Oderisio 89, filius de Landa et<br />
Allescenda, sempre di Bauco, dona all'abate Orso di Casamari e ai suoi<br />
successori, la chiesa medesima di Santo Stefano Protomartire.<br />
IL TERZO DOCUMENTO è un atto di compra-vendita eseguito nel<br />
1085 dall'abate Orso consentiente cuncta caterva monachorum. Egli<br />
vende a un tal Mainarda e a sua figlia Bella, verolani, due vigne poste<br />
in territorio uerulano in fundum qui appellatur Forano 90.<br />
Nel documento l'abate Orso dichiara che riceve denarios quattuordecim<br />
che occorrono pro opus ipsius monasterii.<br />
L'abate Orso ricordato nei documenti è il terzo nella successione<br />
degli abati benedettini. Succeduto a Giovanni, che a sua volta aveva<br />
preso il posto di Benedetto, Orso è, secondo la Cronaca del Cartario,<br />
uno dei sacerdoti verolani che fondarono l'abbazia.<br />
Quando il primo atto di donazione veniva stipulato nel 1066 egli<br />
86 La data 1066 è quella corretta nel volume Carte dove l'autore nota che sul dorso<br />
della pergamena c'è scritta la data del 1063 evidentemente errata, perché non corrisponde<br />
all'anno di Pontificato di Alessandro II (1061-1073); dr anche dello stesso autore Primordi,<br />
5 e 17.<br />
87 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, 61 e Primordi, 5.<br />
88 Facciamo rilevare che lo SCACCIA-SCARAFONI in Primordt, 18 data il presente<br />
documento all0n, mentre in Carte, 64 è datato al 1069.<br />
89 Questo stesso Oderisio pochi anni dopo e cioè nel 1080 fece dono a Montecassino<br />
di alcune chiese esistenti in Bauco, cfr LIBERATI,96-97.<br />
90 SCACCIA-SCARAFONI, in Primordi, 6 e Carte 86. Si osserva la divergenza di date:<br />
nella prima opera si parla del 1086, nella seconda invece del 1085, dodicesimo anno di<br />
pontificato di Gregorio VII.<br />
- 22-
doveva essere da poco eletto abate poiché da un altro documento risulta<br />
che 1'8 agosto 1063 era ancora abate Giovanni 91,<br />
Tutti e tre i documenti riportati dallo Scaccia-Scarafoni costituiscono<br />
un primo passo per la cronologia degli abati benedettini di Casamari,<br />
Ma il terzo documento ci sembra acquistare forza maggiore per<br />
scartare in maniera definitiva l'opinione del Moroni, del De Persiis e<br />
degli altri storici che hanno preferito come data di fondazione di Casamari<br />
il 1005,<br />
Dal terzo documento si rileva infatti che nel 1085 l'abbazia di Casamari<br />
era ancora retta dall'abate Orso. Ora, ammesso che Orso sia<br />
stato tra i fondatori di Casamari e che sia stato sacerdote, come la<br />
Cronaca del Cartario espressamente dice, bisogna ammettere che nel<br />
1085, anzi nel 1088, anno della sua dimissione, egli era ultra centenario.<br />
Se infatti Orso, quando con gli altri presbiteri di Veroli fondò<br />
Casamari, evesse avuto solo 25 anni di età, nel 1088 avrebbe avuto 108<br />
anni, età veramente straordinaria che l'autore della Cronaca del Cartario<br />
non avrebbe certo mancato di notare esplicitamente, tanto più che detto<br />
Orso, dopo le sue dimissioni, continuò a vivere, e il suo successore,<br />
aggiunge la Cronaca stessa, lo trattò amorevolmente per tutto il tempo<br />
che egli visse: bumanissime tractavit quandiu vixit 92.<br />
Dopo queste considerazioni crediamo di poter precisare ancora<br />
meglio la data di fondazione di Casamari con un contributo personale.<br />
Il primo documento che riguarda Casamari, allo stato attuale delle ricerche,<br />
è del sette gennaio 1038 e nessuno storico lo ha conosciuto eccetto<br />
il Mottironi come si rileva dal volume Le carte di San Erasmo di<br />
Veroli (937-1199)93. Nel documento in questione è abate di Casamari<br />
Giovanni. Questi, come afferma la Cronaca del Cartario: «vixit in<br />
Abbatia annos [ere quadraginta 94, L'ultimo documento di Giovanni che<br />
attualmente possediamo è dell'otto agosto 1063 9 \ mentre il primo documento<br />
del successore di Giovanni, Orso, è del venti gennaio 1066 96 .<br />
Prendendo come data verosimile della morte di Giovanni il 1065 e riducendo<br />
a 35 anni (i [ere quadraginta) si giungerebbe al 1030.<br />
Sappiamo però, da altra fonte 97, che i presbiteri di Veroli ricevettero<br />
l'abito e la regola benedettina dal secondo successore di San Do-<br />
91MOTTIRONI, doc. 35, 55-56 e doc. 11 del secondo volume.<br />
92 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
93MOTTIRONI, doc. 11, 19-21 e doc. 3 del secondo volume.<br />
94 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
95 MOTTIRONI, doc. 30, 55-56 e doc. 11 del secondo volume.<br />
96 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, doc. 47, 59-61 e doc. 12 del secondo volume.<br />
97 Vedi il testo relativo alla nota 68 del presente capitolo.<br />
- 23-
menico di Sora, l'abate Giovanni, che iniziò a governare l'abbazia di<br />
San Domenico di Sora nel 1033, dopo la morte del Santo. In più<br />
sappiamo che Giovanni di Casamari fu il secondo abate benedettino<br />
dell'abbazia; il primo era stato Benedetto che resse l'abbazia per alcuni<br />
anni: Post vero annos aliquos transiens ad vitam eremiticam, come ci<br />
conferma la Cronaca del Cartario 98. Perciò se il 1036 fosse l'anno di<br />
fondazione di Casamari,' dovremmo inserire tra il 1036 e l'otto gennaio<br />
1038 gli annos aliquos del governo di Benedetto e gli eventuali<br />
primi tempi dell'abate Giovanni. Ci sembra voler stringere i tempi solo<br />
per tenerci legati alla correzione del Baronio, che per di più non suffraga<br />
la posizione con documenti espliciti. Noi più convenientemente riteniamo<br />
di dover anticipare di alcuni anni la posizione del Baronia e degli<br />
altri storici.<br />
Ammesso che il documento del sette gennaio 1038 non coincida<br />
con l'elezione di Giovanni, ma che egli almeno da un anno fosse abate<br />
di Casamari e dando una durata di tre o quattro anni al governo di<br />
Benedetto, giungiamo al 1033-1034. Infatti la Cronaca del Cartario<br />
elencando le attività di Benedetto parla di acquisti di terre, di nuove<br />
vocazione, di nuovi vigneti, di trascrizione di libri, di lavorazione di paramenti<br />
ecclesiastici, di costruzioni 99. Tutte queste attività ci lasciano<br />
supparre che gli annos aliquos siano presumibilmente tre-quattro o forse<br />
qualcosa di più.<br />
Il termine a quo non può essere anteriore al 1033, data di elezione<br />
di Giovanni ad abate di San Domenico di Sora 100; il termine ad<br />
quem, secondo la nostra ricostruzione, non dovrebbe superare il 1034.<br />
Perciò avanziamo ora il nostro punto di vista, allettante se si<br />
vuole, ma che ha come punto di partenza l'atto di vendita del sette<br />
gennaio 1038, e cioè che Casamari, secondo noi, sia diventata benedettina<br />
probabilmente entro il 1033 o al massimo nel 1034, vale a dire<br />
due o tre anni dopo la morte di San Domenico di Sora. Allora la frase:<br />
Vae nobis... 101 della Cronaca del Cartario non è solo una espressione<br />
per vivificare una narrazione, ma un profondo e decisivo esame di coscienza<br />
da parte dei boni meriti clerici 102 di Veroli, insoddisfatti perché<br />
non conducevamo vitam neque canonicam neque monasticam 103, all'indomani<br />
della scomparsa del taumaturgo e riformatore del monachesimo<br />
98 Crono Cart., doc. 1 dci secondo volume.<br />
99 Ibidem.<br />
100 F. CARAFFA, San Domenico di Sora, in Bibliotbeca Sanctorum, vol. IV, Roma<br />
1964, 738.<br />
101 Vedi il testo relativo alla nota 41 del presente capitolo.<br />
102 Ibidem.<br />
103 Ibidem.<br />
- 24-
Domenico di Sora. Infatti generalmente le qualità e gli esempi stimolanti<br />
di una persona si apprezzano maggiormente proprio quando viene a<br />
mancare.<br />
Certamente questa nostra posizione ha un valore relativo, e siamo<br />
noi i primi ad ammetterlo. Ma d'altra parte, alla luce delle ricerche<br />
attuali, appare l'unica soluzione. Infatti abbiamo scartato definitivamente<br />
il 1005 e molto probabilmente il 1036. Resta tuttavia aperta<br />
la via ad ulteriori precisazioni ma sempre tra il 1033 e prima del 1036,<br />
se le ricerche porteranno a nuovi e più espliciti documenti.<br />
La costruzione primitiva<br />
Ciò che abbiamo detto fino ad ora non esaurisce la questione relativa<br />
alla fondazione di Casamari. Infatti abbiamo asserito, secondo la<br />
nostra opinione, che Casamari è diventata benedettina probabilmente<br />
entro il 1033 o al massimo nel 1034. Ma la Cronaca del Cartario e<br />
l'Ughelli asseriscono che i presbiteri di Veroli e gli altri religiosi<br />
prima di riceve l'abito e la regola benedettina da Giovanni, abate del<br />
monastero di San Domenico di Sora, iniziarono una sistemazione di<br />
locali indispensabili per la vita cenobitica:<br />
... ibigue laborare coeperunt ... et non post multum guatuor<br />
ex ipsis ... euntes ad venerabilem virum Ioannem, Abbatem Sancti<br />
Dorninici, susceperunt ab eo abiturn sanctae religionis » 104.<br />
E come già a Montecassino 105 anche qui si edifica una chiesa sui<br />
ruderi di un tempio pagano:<br />
« ubi dicitur templum fuisse Martis, ... Ecclesiam in honorem<br />
SS. Ioannis et Pauli condiderunt » 106.<br />
Secondo lo Schmitz, era un'abitudine diffusa tra i monaci benedettini<br />
dell'Italia centro-meridionale quella di servirsi di materiale<br />
preesistente. Parlando della Chiesa di San Vincenzo al Volturno, eretta<br />
nelle linee della basilica romana di San Clemen te egli afferma:<br />
« Ce type en guelque sorte imposé aux moines par la tentation<br />
de mettre à profit les riches matériaux antiques tout prèts<br />
parmi les ruines éparses dans la terre de Labour et la Campanie<br />
» 107. •<br />
104 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
105 SCHMITZ, I, 19.<br />
106 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
107 SCHMITZ, II, 225.<br />
- 25-
La costruzione iniziale della chiesa e del monastero è confermata<br />
anche da un'altra cronaca simile a quella del Cartario, riportata dall'Ughelli,<br />
di cui non conosciamo l'origine. Essa inizia:<br />
« Anno Domini 1005 indictione quinta, quidam boni meriti<br />
clerici verulani, propriis semptibus Ecclesiam in honorem SS. Ioannis<br />
et Pauli et monasterium in territorio verulano in loco qui dicitur<br />
Casamarii, ubi antiqua diruta moenia a priscis Marti dicata<br />
invisebantur, ad id Episcopo consentiente, construxerunt » 108.<br />
Del tempio di Marte che è nominato nelle due Cronache non risulta<br />
traccia alcuna, né dai resti archeologici né dalle iscrizioni che ci<br />
sono pervenute. Anzi è opinione di qualche studioso, come il Giannetti,<br />
che l'unico tempio che esistesse a Cereate fosse dedicato a Serapide:<br />
da due frammenti: SERAPI SACRUMe PRIMITIUS SERAPIS D., = Sacro<br />
a Serapide e Lucio Primizia Serapide donò 109.<br />
Di queste primitive costruzioni non è rimasto nulla perché già<br />
l'abate Giovanni, il secondo della serie benedettina, le farà ampliare<br />
e rinnovare completamente.<br />
Il primo oratorio ricavato dalle rovine dell'antico tempio e dagli<br />
altri ruderi fu, secondo la cronaca citata dall'Ughelli, la prima opera<br />
compiuta dai presbiteri di Veroli, propriis sumptibus, prima/di indossare<br />
canonicamente l'abito benedettino 110.<br />
Da quanto detto la nostra ipotesi sulla data di fondazione di Casamari<br />
è la seguente: probabilmente durante il 1031, dopo la morte di<br />
San Domenico di Sora, il primo nucleo di religiosi (preti e laici) col<br />
consenso del proprio vescovo abbandonarono Veroli e per un certo<br />
tempo attesero alla costruzione di locali indispensabili e quindi nel<br />
1033 o 1034 ricevettero l'abito e la regola benedettina dall'abate Giovanni<br />
di San Domenico di Sora.<br />
A questo punto è spontaneo chiedersi quale sia stata la causa che<br />
ha spinto il De Persiis, il Moroni e gli altri a difendere con tanta insistenza<br />
il 1005.<br />
Due ci sembrano i motivi plausibili. Il primo è da ricercarsi nella<br />
questione eremitica. Infatti se si osserva bene, i sostenitori del 1005<br />
sono gli stessi che hanno ammesso per Casamari un periodo di vita<br />
eremitica. Tale periodo sarebbe durato, secondo loro, circa trent'anni,<br />
dal 1005 al 1036. Quando appunto gli eremiti sarebbero andati dall'aba-<br />
108 UGHE LLI , I, 1389.<br />
109 GIANNETTI, 21-22.<br />
110 UGHELLI, I, 1389 e doc. 2 del secondo volume.<br />
- 26-
te Giovanni di San Domenico per essere ammessi all'ordine benedettino.<br />
Non sappiamo quale sia stato il motivo che abbia avuto maggiore<br />
influenza sull'altro: se la questione eremitica a far stabilire la data al<br />
1005 o quest'ultima a fare immaginare trenta anni di silenzio per potersi<br />
collegare con gli altri avvenimenti della Cronaca rifugiandosi nel<br />
passo della Cronaca stessa « ...et non post multum » 111.<br />
I! secondo motivo che deve aver costretto il De Persiis ad insistere<br />
per l'anno 1005 è stata l'esistenza di un documento del Cartario,<br />
ritenuto comunemente del 1033 112: «Né ci mancherebbe etiandio un<br />
documento in confermazione del nostro pensiero. Imperocché ai 20 di<br />
settembre (se errore non v'è) un nobile verolano Landuino, mosso all'odore<br />
delle virtù che già tuttintorno spandevano quei fervorosi, avvegnacché<br />
non per anco monaci regolari, donava al loro prevosto Azo<br />
alcune terre e case nel luogo detto Corneto. Segno che i solitari erano<br />
già nel fondo di Casamari, ma aspettavano tuttavia la piena costituzione<br />
monacale » 113.<br />
Premettiamo che il documento merita un'ampia discussione che<br />
faremo nelle pagine seguenti. Per ora rileviamo solo che è sufficiente<br />
leggere il testo del documento per dire che il De Persiis l'ha esaminato<br />
troppo superficialmente. Infatti il documento è un atto di donazione fatto<br />
all'abate Giovanni e non al prevosto Azo come il De Persiis asserisce.<br />
Dal contesto poi non risulta che i destinatari fossero dei solitari in attesa<br />
di una piena costituzione monacale: si parla invece di comunità<br />
costituita con un abate a capo.<br />
Ci sorprende poi che lo stesso De Persiis in seguito, parlando<br />
degli acquisti dell'abate Giovanni riporta lo stesso documento in questi<br />
termini: «Un nobile cittadino di Veroli Landuino, col suo fratello<br />
Roterio, figlio di Roffredo, nell'anno 1033 (meglio 1043) ai venti di settembre<br />
dona »<br />
«in monasterium Sancti johannis et Pauli, quod positum<br />
est in fundo Casaemarii, et johanni abati, Agisoque praeposito,<br />
suisque successoribus domum sancti Angeli cum omnibus ad eam<br />
pertinentibus » 114.<br />
È questa una ulteriore costatazione della superficialità del De Persiis.<br />
Purtroppo quanti storici si sono basati con eccessiva fiducia su di<br />
111 Vedi il testo relativo alla nota 104 del presente capitolo.<br />
112 Doc. IV del secondo volume.<br />
113 DE Psssns, 40.<br />
114 Ibidem, 142.<br />
- 27-
lui! Con simile leggerezza sono nati e si potrebbe dire codificati i maggiori<br />
errori sulle origini di Casamari, vale a dire la data di fondazione,<br />
l'eremitismo e il millenarismo.<br />
Il cosiddetto documento del 1033<br />
Quel che finora abbiamo detto esclude definitivamente la data<br />
del 1005 come inizio della vita eremitica a Casamari e probabilmente<br />
la correzione operata dal Baronio del 1036. Ma abbiamo un documento<br />
l1S ritenuto comunemente del 1033 che, se tale data fosse esatta,<br />
escluderebbe, oltre la data stabilita dal Baronio 116, anche la nostra<br />
opinione.<br />
Il documento, riportato nel secondo volume 117, è un atto di<br />
donazione fatto all'abate Giovanni di Casamari e alla sua comunità,<br />
di una chiesa situata nel territorio di Monte Corneto, non lontano<br />
dall'abbazia. Dal tenore del documento si capisce che a Casamari vi<br />
era già una comunità organizzata e un abate.<br />
Già il De Persiis stesso dubitava non dell'autenticità ma della<br />
data del documento. Il Cassoni invece, che non vuoI toccare il 1033,<br />
deve ricorrere, per salvare il 1036 come data di inizio della vita<br />
benedettina a Casamari, a curiosi artifizi ed invenzioni: introduce<br />
un abate di nome Giovanni pre-benedettino, poi l'abate Benedetto primo<br />
della serie benedettina e quindi di nuovo Giovanni. È questo un<br />
procedere strano e sembra anche contrario a qualunque senso di logica<br />
e di fedeltà ai dati forniti dai documenti 118. Naturalmente il 1033 non<br />
figura esplicitamente nel corpo del documento. Esso è datato al venti<br />
settembre dell'anno primo del pontificato di Benedetto IX, indizione<br />
prima. Dalla Cronaca del Cartario risulta che il primo abate di Casamari<br />
fu Benedetto, eletto quando a San Domenico di Sora era abate Giovanni<br />
(1033-1044):<br />
«Et non post ultum quatuor ex ipsis... euntes ad venerabilem<br />
virum ]oannem, abbatem. S. Dominici, susceperunt ab eo<br />
abitum Sanctae religionis. Indeque ad locum iamdictum redeuntes<br />
abbatem sibi unum de suis elegerunt, fratrem Benedictum religiosum<br />
virum » 119.<br />
115 Cari. Cas., doc. 4 del secondo volume.<br />
116 BARONIO, I, 105.<br />
117 Cfr nota 115.<br />
118 CASSONI, Arcbicenobio, 302·305.<br />
119 Doc. 1 del secondo volume.<br />
- 28
Sappiamo ancora che Benedetto governò l'abbazia per alcuni<br />
anni. Ci troviamo di fronte alla difficoltà di inserire tra il 1033 e<br />
il 1034 annos aliquos di Benedetto e i primi tempi del governo di<br />
Giovanni di Casamari. Situazione peggiore di quella di voler inserire i<br />
medesimi avvenimenti tra il 103'6 e il 1038 precedentemente esaminata.<br />
Queste considerazioni non permettono dunque di accettare il 1033<br />
come data di compilazione del documento. Un attento esame alle indicazioni<br />
offerte dallo stesso documento e alla cronologia di Benedetto IX<br />
ci hanno indotto a scegliere il 20 settembre 1048 come data più attendibile<br />
dell'atto di donazione in questione.<br />
Parliamo prima di Benedetto IX. La cronologia di questo papa è<br />
complessa, per cui sentiamo la necessità di esaminare le varie fasi<br />
per avere una sufficiente chiarezza intorno alla data scelta da noi.<br />
Benedetto IX fu eletto e consacrato nel gennaio 1034. Tale data<br />
non è unanime tra gli storici.<br />
I! Lortz assegna come primo anno di pontificato di Benedetto IX<br />
il 1032 120 , e. gli assegna complessivamente due periodi di pontificato<br />
(1032-1045) e (1047-1048).<br />
I! Bihlmeyer invece accenna a tre periodi di pontificato per<br />
Benedetto IX: (1032-1044), (1046), 1048) 121.<br />
I!Ridder nelle tavole cronologiche assegna tre periodi di pontificato<br />
a Benedetto IX: (1032-1044), (1045), (1047-1048) 122.<br />
I! Cappelli gli assegna un solo periodo di pontificato dal gennaio<br />
1034 al primo maggio 1044 e aggiunge che mori a Grottaferrata nel<br />
1046 123.<br />
Secondo il Cappelli il primo anno di pontificato di Benedetto IX<br />
è il 1034, indizione seconda. Per gli altri autori riportati il primo anno<br />
di pontificato è il 1032, indizione decimaquinta. Quindi quale sarebbe<br />
il primo anno e la prima indizione a cui si riferisce il testo del<br />
nostro documento?<br />
Seguiamo ancora le vicende di questo papa. Nel 1044, a causa<br />
della sua condotta indegna scoppiò a Roma una rivoluzione e al suo<br />
posto fu eletto papa il vescovo di Sabina Giovanni che prese il nome di<br />
Silvestro III (1045). Dopo appena sette settimane, l'ex-Benedetto IX<br />
costrinse Silvestro III ad abdicare e riprese la tiara: è questa la seconda<br />
volta che Benedetto fu papa. Ben presto però si sentirono le<br />
120 J. LoRTZ, Storia della Chiesa, Alba 1966, I, 264.<br />
121 K. BIHLMEYER-H. TUECHLE, Storia della Chiesa, Brescia 1956, II, 85·86, 159.<br />
122 B. RIDDER, Manuale di Storia Ecclesiastica, Alba 1958, 664.<br />
123 A. CAPPELLI, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1969,<br />
251-252.<br />
- 29-
ostilità dei romani e Benedetto IX dovette cedere nuovamente la dignità<br />
pontificia. In quel periodo le elezioni pontificie erano abbastanza<br />
frequenti e ogni volta Benedetto IX (Teofilatto dei Conti di Tuscolo)<br />
si adoperava per riprendere la tiara.<br />
Dopo Damaso II che regnò solamente 23 giorni, dal 17 luglio al<br />
9 agosto del 1048, Benedetto IX per la terza volta sedette sul trono<br />
pontificio, restandovi fino al febbraio del 1049, quando, deposto ulteriormente<br />
, fu eletto papa Leone IX.<br />
Quindi solamente se consideriamo il 1048 come data di inizio<br />
del terzo pontificato di Benedetto IX le cose diventano chiare e corrispondono<br />
perfettamente alle indicazioni dell'atto di donazione.<br />
Infatti il 1048 coincide con la prima indizione espressa nell'atto<br />
e il 20 settembre realmente Benedetto IX si trovava nel primo anno<br />
del suo terzo pontificato.<br />
Crediamo che questa sia l'unica spiegazione sufficiente per non<br />
sconvolgere tutta la cronologia degli inizi di Casamari, che del resto<br />
a nostra avviso, non può essere mutata, in quanto alcuni riferimenti<br />
già esposti 124 sono strettamente vincolanti.<br />
La complessa cronologia derivante dai tre periodi di Pontificato<br />
di papa Benedetto IX non riguarda naturalmente solo il nostro documento,<br />
ma crea situazioni analoghe in diversi altri casi 125.<br />
Anche lo Scaccia-Scarafoni 126 nel riportare un contratto stipulato<br />
anno Deo propicius pontificatus domni Benedecti sumu prontifice ... nono<br />
pape pone ambedue le date: 1033 e 1048.<br />
124 Cfr la questione della data di fondazione dell'abbazia in questo stesso capitolo.<br />
125 Cfr voce Benedetto IX, in Enciclopedia Cattolica.<br />
126 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, 41.<br />
- 30-
Capitolo Secondo INIZIO DELLA VITA BENEDETTINA<br />
A CASAMARI E SUO SVILUPPO<br />
. Dopo la costruzione della Chiesa i quattro presbiteri, i cui nomi<br />
la Cronaca del Cartario accuratamente riporta - Benedictus, Johannes,<br />
Ursus, Azo - « euntes ad uenerabilem virum [obannem, Abbatem Sancti<br />
Dominici, susceperunt ab ea habitum Sanctae Religionis » l.<br />
Era morto ormai il taumaturgo Domenico che probabilmente<br />
aveva acceso in loro il desiderio di vita monastica:<br />
«Obiit autem vir sanctum undecimo kalendas februarias,<br />
anno ab Incarnatione Domini millesimo tricesimo primo humatumque<br />
est cadaver eius in monasterio quod nunc eiusdem cognominatur<br />
vocabulo, sito in Campania in vicina Soranae civitate» 2.<br />
Cosi Alberico Cassinese, seguito fedelmente anche dal Chronicon<br />
Cassinese 3.<br />
Successe a Domenico il monaco Benedetto che resse il monastero<br />
fino al 1033.<br />
I presbiteri -verolani sono accolti a San Domenico dal terzo<br />
abate del monastero di nome Giovanni che molti storici 4 erroneamente<br />
chiamano Beverando. L'errore è partito dalla Vita di San Domenico<br />
scritta dallo Jacobilli. Egli per primo dà a Giovanni l'appellativo di<br />
BEVERENDUS, riportando forse un errore di qualche amanuense che<br />
ha trascritto male l'appellativo Reuerendus.<br />
L'errore fu notato anche dagli Acta Sanctorum Bollandistarum: nel<br />
prologo alla Vita Sancti Dominici scritta da Alberico Cassinese si dice:<br />
[obannes Reverendus monachus e si aggiunge in nota:<br />
«Hic est Johannes cuius infra aliquoties mentio fit, quem<br />
J acobillus cognomento Beverendus appellat qui nempre Reverendus,<br />
monachus a quopiam scriptus, amanuensis, aut anagnostae<br />
imperitia Beverendus fortasse factus » 5.<br />
1 Cron Cart., doc 1 del secondo volume.<br />
2 LENTINI, 77.<br />
3 CHRONICON CASSINESE, PL 173.<br />
4 MORONI, DE PERSIIS, CASSONI, FUSCIARDI, DE BENEDETTI.<br />
5 Acta Sanctorum Bollandistarum, Januarii 11,442 sg.<br />
- 31-
Purtroppo quasi tutti gli storici 6 di Casamari riportano l'errore,<br />
lievemente modificato, dello Jacobilli. Da essi Giovanni viene sempre<br />
chiamato con l'appellativo di Beverando.<br />
Il solo a non lasciarsi influenzare dallo Jacobilli è stato Luigi Tosti,<br />
autore anch'egli di una vita di San Domenico, basata su quella di<br />
Alberico Cassinese. Egli infatti dice che Domenico « tolto a compagno<br />
Giovanni, soprannominato Reverendo, che sapeva essere molto inanzi<br />
nelle cose di Dio, fuggì la consuetudine degli uomini. .. » 7.<br />
Dall'abate Giovanni Reverendo dunque i presbiteri Casamariensi<br />
ricevettero l'abito e la Regola di San Benedetto. Tornati a Casamari<br />
prepararono ed istruirono gli altri confratelli per ricevere l'abito ed<br />
abbracciare la Regola.<br />
II primo abate di Casamari: Benedetto<br />
La comunità si riunì per eleggere il proprio abate e scelsero<br />
Fratem Benedictum religiosum virum vale a dire uno dei presbiteri<br />
che, secondo la Cronaca, fu tra i fondatori dell'abbazia.<br />
Il cronista nota m poche parole l'impegno di Benedetto nella<br />
sua nuova mansione: in quantum ualuit, Iaea eidem et [ratribus deservitit<br />
8.<br />
Benedetto iniziò il suo abbaziato dando una certa autonomia<br />
alla prima comunità acquistando dei terreni nei dintorni dell'abbazia<br />
che furono coltivati a vigneti acquisitis terris, plantatis uineis.<br />
Probabilmente il cronista ci fornisce queste notizie traendole da<br />
qualche atto di donazione dei terreni o di vigne fatto già alla nascente<br />
comunità, purtroppo oggi smarriti. Si accenna pure alle attività letterarie<br />
e liturgiche proprie dei benedettini scriptis libris, [actis paramentis<br />
ecclesiasticis e alla costruzione - di modeste proporzioni forse - di<br />
un piccolo cenobio constructis mansionibus secundum tempus et posse<br />
suum 9.<br />
Tutto questo fervore di attività varie, se da un lato riuscì a stabilire<br />
e sviluppare sempre meglio la nuova fondazione, dall'altro dovette<br />
sembrare poco consona al desiderio di contemplazione, di solitudine<br />
e di raccoglimento di Benedetto. Egli infatti attuando una consue-<br />
6 RONDININI, MORONI, DE Psasns, CAPERNA, DE BENEDETTI.<br />
7 TOSTI, 24-25.<br />
8 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
9 Ibidem.<br />
- 32-
tudine già ammessa dalla Regola bendettiana lO scelse un genere di vita<br />
più austero, dopo aver rinunziato alla carica di abate, abbatiam relinquens<br />
11, andò a vivere da eremita per tutto il resto della sua vita<br />
Transiens ad eremiticam vitam ... in montibus et marinis insulis multa<br />
sustinuit 12.<br />
Erano allora noti come luoghi di eremitaggio le isole tirreniche<br />
del gruppo ponziano, Sennona, Palmaria e San Martino, isole che nei<br />
secoli seguenti divennero così frequentate dai solitari e dai penitenti<br />
che la Santa Sede li prese direttamente sotto la sua giurisdizione, inviandovi<br />
di tanto in tanto dei Visitatori Apostolici 13.<br />
Ivi dunque si diresse Benedetto passando poi ad abitare in luoghi<br />
di montagna non specificati dalla Cronaca. Egli sostenne rigide penitenze<br />
ed austerità, finché passando al territorio di Fondi si ritirò nella<br />
località di S. Magno, dove sorgeva la Chiesa di Sant'Andrea. Qui<br />
egli chiuse i suoi giorni in fama di santità.<br />
La Cronaca accenna anche a grazie e miracoli operati da Dio per<br />
sua intercessione: In quo meritis obtinentibus eius operatus est Christus<br />
quaedam miracula ad laudem et gloriam nominis Sui 14.<br />
L'abate Giovanni I<br />
Benedetto, prima di lasciare il monastero, si era eletto, d'accordo<br />
con la comunità, il successore nella persona di Giovanni che in timore<br />
et amore Dei semper cum supradicto Patre Benedicto in monasteriale<br />
ordine' conoersatus est 15.<br />
La Cronaca non precisa la data dell'inizio del suo abbaziato limitandosi<br />
a dichiarare che egli prese le redini del monastero ai tempi di<br />
Papa Benedetto IX 16.<br />
Ammesso che l'introduzione della vita benedettina a Casamari avvenne<br />
alcuni anni dopo la morte di San Domenico di Sora, intorno al<br />
lO Cfr REGULA SANCTIBENEDICTI,cap. I: De generibus monacborum.<br />
11 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
12 Ibidem.<br />
13 Ecco come ad esempio Gregorio IX (1227-1241) ordinava nel 1234 al Priore del<br />
Monastero di Fossanova riguardo agli eremiti di queste isole: «Cum Pontiana, Senona,<br />
Palmaria et Sancti Martini insulae, descriptioni vestrae, per apostolicam demandamus<br />
quatenus eremitis idem Domino famulantibus, ut quae ad biennium, vice nostra officium<br />
visitationis impendas, ita quod nulli propter hoc praeiudicium generatur. Datum Signae<br />
XVI Kal. Aug. a. VIII Pont. nostri» Cfr MANRIQUE,t. IV, a. 1234, cap. VII, 2.<br />
14 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
15 Ibidem.<br />
16 Cfr nel capitolo primo i testi relativi alle note 120-123.<br />
- 33-
1033 o 1034 e che il governo di Benedetto fu di tre o quattro anni, si<br />
può ritenere che Giovanni iniziasse il suo ufficio verso il 1036-1037.<br />
È certo che il 7 gennaio 1038 egli era già abate di Casamari 17.<br />
Tra le prime attività dell'abate Giovanni I, bisogna ricordare la ricostruzione<br />
quasi totale della chiesa che era stata edificata qualche anno<br />
prima, in linee semplici e modeste proporzioni dall'abate Benedetto.<br />
Primum quidem ampliavit ecclesiam quae parua erat in latitudine<br />
et longitudine 18. A questo punto la descrizione della nuova chiesa<br />
fornita dalla Cronaca del Cartario, ci ricorda quella, ben più ampia,<br />
fatta dal Chronicon Cassinese 19 della Basilica di Desiderio. Questo ci<br />
condurrà a dei risultati inaspettati.<br />
La nuova chiesa ebbe un ricco soffitto a cassettoni dipinto a vari<br />
colori, finestre con vetrate policrome, un coro intarsiato con oro e legni<br />
diversi, due croci maestose anche esse scolpite e decorate; ed un alto<br />
campanile, fornito di otto campane seueras et optimas 20.<br />
Nell'interno fece erigere tre nuovi altari dedicati rispettivamente<br />
a San Benedetto quello in fondo all'abside, alla Madonna e a San Pietro<br />
quelli nelle absdiole laterali 21. Per la consacrazione di questi altari<br />
furono invitati i vescovi della Campania.",<br />
La chiesa dovette conservare l'altare dei primo oratorio, come<br />
si può dedurre dalla particolare espressione della Cronaca del Cartario:<br />
in qua sine minori altare tria altaria statuit. L'altare è chiamato minori<br />
evidentemente perché, in segno di rispetto, fu lasciato intatto nelle modeste<br />
proporzioni originali.<br />
A conferma di queste notizie così dettagliate della chiesa romanica<br />
sono stati rinvenuti alcuni elementi architettonici che saranno<br />
esaminati a parte.<br />
La Cronaca indugiando quasi con piacere a darci tutti questi particolari<br />
della nuova chiesa, pare voglia farci capire non solo il progresso<br />
spirituale della comunità, ma altresì il suo sviluppo economico che<br />
permetteva già delle costruzioni di così imponente mole.<br />
Terminata la chiesa l'abate Giovanni rivolse la sua attività agli<br />
altri bisogni della casa: edificò locali ed officine per i monaci, secondo<br />
17 Abbiamo un documento in MOTTIRONI, doc. Il, 19-21 riportato come doc. 3 del<br />
secondo volume.<br />
18 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
19 Cfr UmONICON CASSINESE, PL., 173, 749.<br />
20 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
21 Cfr il grafico della chiesa benedettina.<br />
22 L'antica Campania corrisponde attualmente anche al Basso Lazio con i centri principali<br />
di Veroli, Frosinone, Sora e Arpino ... È interessante il paragone della consacrazione<br />
di questa chiesa con quella, solennissima, della chiesa di Desiderio.<br />
- 34-
lo spirito della Regola e fece costruire tre mulini, due davanti al monastero<br />
e il terzo sulle sponde del fiume Amaseno: [ecit acquimola duo<br />
ante ipsum monasterium, et alia in flumine 23.<br />
Intanto l'economia si consolidava acquisivit casas, terras, uineas,<br />
servos et ancillas 24.<br />
È chiaro che non fu alcun mercato di schiavi. Questi servos et<br />
ancillas erano i coloni che non essendo liberi ma dipendenti « vivevano<br />
ed abitavano sulla terra loro affidata e passavano quindi con essa di<br />
padrone in padrone » 2S.<br />
Sistemata l'economia i monaci si dedicarono all'istruzione religiosa<br />
e all'assistenza spirituale degli abitanti, Per questo ben dieci chiese<br />
e cappelle furono donate o acquistate dall'abate Giovanni perché i monaci<br />
ne avessero cura 26.<br />
Dalla sola numerazione delle chiese possiamo costatare quanto<br />
già fosse fiorente la nuova comunità. Tali chiese sono situate nei territori<br />
di Veroli, Monte San Giovanni Campano, Anagni, Sora e perfino<br />
nella Marsica. Ma sorsero ben presto liti e controversie con le autorità<br />
episcopali e laiche a causa delle ingerenze monastiche nei territori diocesani.<br />
Già nel 1049 Giovanni dovette far ricorso alla Santa Sede per<br />
delle questioni riguardanti la chiesa di San Nicola de Cappellis. Leone IX<br />
intervenne e ordinò al vescovo della Marsica di restituire ai monaci la<br />
chiesa cum pertinentiis suis 27.<br />
Verso il 1060 Giovanni ottenne dal Pontefice Nicolò II privilegi di<br />
esenzioni e di immunità, detti praecepta libertatis e mise in oltre tutti i<br />
membri e le cose dell'abbazia sotto la diretta giurisdizione pontificia 28.<br />
L'infaticabile attività esplicata in tanti anni di governo circondò<br />
l'abate Giovanni di sì alta stima che il clero e il popolo della città di<br />
Veroli, alla morte del loro voscovo Placido, verso il 1065, lo richiesero<br />
23 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
24 Ibidem.<br />
2S<br />
26<br />
DE BENEDETTI, Vita economica, 1.<br />
Cfr il capitolo sulle chiese dipendenti. Vedremo comunque che l'acquisto di qualche<br />
chiesa non fu operato da Giovanni ma dai suoi successori.<br />
27 Cfr DE BENEDETTI,Regesti, 331. L'esistenza di questo documento è ricordata nel<br />
Diploma di Gregorio IX del 4 giugno 1236 Ba quae iudicio, Reg. Vat., Lib. XVIII, epist.<br />
III; cfr anche AUVRAY, t. II, 406, n. 3185; POTTHAST,n. 10180; UGHELLI,t. I, 908;<br />
KEHR, IP, Latium, 168.<br />
28 «Petiit a Venerabili Domino Nicolao II praecepta libertatis monasterio quod et<br />
accepit, quod et factum multum monasterio praefuit et ab eodem tempore in romanae<br />
cura ecclesiae susceptus » in Crono Cart., doc. 1 del secondo volume. Il fatto è ricordato<br />
dal RONDININI,92; DE PERSIIS, 69; DE BENEDETTI,Regesti, 331;<br />
do volume.<br />
doc. 8 del secon-<br />
- 35-
all'unanimità a proprio vescovo, ottenendone la conferma e la consacrazione<br />
da papa Alessandro II 29.<br />
La Cronaca fa di lui un bell'elogio:<br />
«cum fama bonitatis eius longe lateque sonaret meruit ut<br />
ardens lucerna super candelabrum poni. Denique defuncto Placido<br />
Episcopo clerus et populus hunc et sibi in pastorem elegerunt et<br />
abstracto de monasterio Episcopus in eadem civitate ab Alexandro<br />
Papa est consecratus » 30.<br />
Giovanni rimase nell'ufficio episcopale soltanto per dieci mesi.<br />
Alla sua morte fu sepolto a Veroli nella chiesa vescoviIe di Sant' Andrea<br />
apostolo.<br />
Nella serie dei vescovi di Veroli l'UgheIli non registra l'abate Giovanni.<br />
Il motivo è da ricercarsi nel fatto che Giovanni fu vescovo solo<br />
per dieci mesi, quindi non deve aver lasciato molte opere alla memoria<br />
dei posteri; ma la causa principale dipende dal fatto che l'UgheIli non<br />
conosceva la Cronaca del Cartario che è il solo documento a darci<br />
questa notizia. L'Ughelli infatti per i primordi dell'abbazia si è servito<br />
della antiqua cbronica uerulana a cui abbiamo già accennato 31.<br />
Esame di alcuni elementi architettonici<br />
La notizia sul rifacimento quasi totale della chiesa a Casamari,<br />
nel secolo XI, per opera dell'abate Giovanni I è riportata esclusivamente<br />
dalla Cronaca del Cartario. Dell'abate Giovanni in essa si dice:<br />
« Primum quidem ampliauit Ecclesiam, quae parua erat in latitudine et<br />
longitudine », come è stato riferito 32.<br />
Abbiamo anche accennato nell'introduzione che la Cronaca si sofferma<br />
a lungo a descrivere forma e bellezza della nuova costruzione.<br />
« ...quam depingere fecit cum tabulatu quod superfecerat<br />
pulchris et variis coloribus: in qua sine altari minori 33 tria altaria<br />
statuit quae et dedicare fecit a vicinis Campanis Episcopis ... fecit<br />
in eadem Ecclesia fenestras vitreas pulchris coloribus pictas; ...<br />
fecit super altare Sanctorum Joannis et Pauli ciborium Aegybicum<br />
(sic) et ambonein cypresseum » 34.<br />
29 DE BENEDETTI, Al servizio, 14; ID., Regesti, 332.<br />
30 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
31 UGHELLI, t. I, 1389; doc. 2 del secondo volume.<br />
32 Cfr il testo relativo alla nota 18 di questo secondo capitolo.<br />
33 Qui si intende senz'altro l'altare consacrato ai SS. Giovanni e Paolo che, per un<br />
senso di sacro rispetto, fu lasciato nelle stesse proporzioni primitive, nel posto privilegiato<br />
della chiesa.<br />
34 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
- 36-
• •<br />
• •<br />
• •<br />
• •<br />
Tav. 1<br />
'.'<br />
....<br />
1. Altare dedicato ai 5S.<br />
Giovanni e Paolo.<br />
2. Altare di S. Benedetto.<br />
3. Altare della B.V.M .<br />
4. Altare di S. Pietro.<br />
Ricostruzione della Chiesa di Casamari dell'abate Giovanni I (sec. XI).<br />
- 37-
Non abbiamo purtroppo altri documenti scritti che confermino<br />
quest'opera. Né si può tentare di ampliare molto tali conoscenze dai<br />
ruderi: infatti la costruzione benedettina fu radicalmente trasformata<br />
all'inizio del secolo XIII dal nuovo spirito costruttivo dei <strong>Cistercensi</strong><br />
e forse anche dalle nuove esigenze monastiche.<br />
Fortunatamente sono state rinvenute delle colonne, alcune delle<br />
quali sormontate da enormi capitelli che tuttora possiamo ammirare<br />
lungo il viale che conduce alla casa abbaziale.<br />
Alcune di queste colonne sono romane: evidentemente si tratta<br />
dei ruderi che i primi benedettini utilizzarono per la costruzione della<br />
chiesa. I capitelli invece risalgono al più tardi al secolo XI ed anch'essi<br />
facevano parte della chiesa benedettina dell'abate Giovanni. Essi appartengono<br />
a quel tipo di capitelli geometrici, designati comunemente<br />
col nome di cubici perché risultanti appunto da un cubo a cui sono<br />
stati smussati gli angoli mediante una larga ugnatura per ottenere la<br />
necessaria strombatura 35.<br />
Questi capitelli sono di notevole dimensioni, alti circa cm. 80,<br />
larghi all'altezza dell'abaco cm. 75 e all'epistilio cm. 60, non presentano<br />
ornamenti. Rozzamente scolpiti e privi di abbellimento essi erano probabilmente<br />
ricoperti di stucco e forse anche decorati a colori come spesso<br />
accadeva prima della fine del secolo XI 36.<br />
Capitelli di simile fattezza sia nelle proporzioni che nella forma<br />
un po' schiacciata si notano in molte chiese romaniche.<br />
Il Rivoira ne riproduce esemplari appartenenti alla chiesa di San Satiro<br />
a Milano 37 dell'anno 976, alla cripta di San Miniato a Monte<br />
dell'anno 1013 38 e San Flaviano a Montefiascone 39.<br />
Ma possiamo cogliere numerosi altri esempi anche altrove come<br />
nella chiesa di San Giusto a Trieste (secolo XI) e in Abruzzo nella Loggetta<br />
del chiostro di Santa Maria in Acri della fine del secolo XI 40.<br />
I sei capitelli superstiti di Casamari sorretti da robuste colonne ci<br />
autorizzano ad avere una visione almeno sommaria della chiesa primitiva.<br />
Essa doveva presentarsi a pianta basilicale romana. La navata<br />
centrale sorretta dalle colonne e i rispettivi capitelli da noi esaminati,<br />
era divisa dalle laterali per mezzo di quattro .arcate per lato, come risulta<br />
dal grafico che abbi-amo tentato di tracciare (vedi tav. 1).<br />
35 Cfr voce Capitello in Enciclopedia Italiana, vol. VIII, 857.<br />
36 L. BREHIER, Le chiese Romaniche, Roma 1908, 18.<br />
37 RIvOlRA, 203 sg.<br />
38 Ibidem, 252.<br />
39 Ibidem, 265.<br />
40 I. C. GAVINI, Storia dell'architettura in Abruzzo, voI. I, 66-67, figure 79-80.<br />
38 -
La descrizione così particolareggiata fornitaci dalla Cronaca del<br />
Cartario, i reperti archeologici, per quanto scarsi e il nostro grafico ci<br />
fanno pensare alla chiesa di Montecassino dell'XI secolo fatta costruire<br />
dall'abate Desiderio e consacrata nel 1071 da Alessandro II alla presenza<br />
del Card. Pier Damiani e Ildebrando, di molti vescovi e principi<br />
normanni dell'Italia Meridionale e longobardi, quali Riccardo di Capua,<br />
Landolfo di Benevento e Gisulfo di Salerno 41. La descrizione accuratissima<br />
che ne fa Leone Ostiense 42 ci permette di immaginare la sua<br />
straordinaria bellezza e giustifica l'affermazione categorica del Bertaux:<br />
« A cette époque, il n'y avait dans tout l'Occident rien qui put lui étre<br />
comparé »43.<br />
Presto la basilica cassinese, il cui piano era quello delle prime basiliche<br />
cristiane, divenne il modello a cui si ispirarono i costruttori del<br />
Basso Lazio, della Campania e degli Abruzzi 44. .<br />
La più nota tra queste chiese è senz'altro Sant'Angelo in Pormis<br />
che fu donata nel 1072 all'abate Desiderio dal principe di Capua Riccardo<br />
1. Essa sorgeva sulle pendici del Monte Tifata dove fin dal VI secolo<br />
.esisteva un tempio pagano consacrato a Diana Tifatina.<br />
Questa chiesa fu fatta ricostruire da Desiderio (105.8-1087) il<br />
quale probabilmente poté anche usare materiale e parti di costruzione<br />
dell'edificio precedente. Per analogia con la chiesa abbaziale di Montecassino<br />
essa ebbe una pianta basilicale a tre navate, separate da colonne<br />
antiche, tre absidi, copertura lignea e piana 45.<br />
Altri splendidi esempi dell'epoca sono San Liberatore alla Maiella,<br />
San Pietro presso Bussi, Sant' Agata dei Goti 46 e Santa Maria la Libera 47<br />
di Aquino la cui pianta, eseguita dallo Jadecola 48 (vedi tav. 2) appare<br />
molto simile a quella da noi tracciata per la chiesa di Casamari dell'abate<br />
Giovanni I 49.<br />
Probabilmente anche la chiesa di Casamari ebbe come modello la<br />
basilica di Montecassino so. Comparando infatti la descrizione che la<br />
Cronaca del Cartario fa della chiesa benedettina di Casamari con quella<br />
41 L. HERTLING, Storia della Chiesa, Roma 1967, 234; LECCISOTTI, 54 sg. e 184-185.<br />
42 UmONICON CASSlNESE, PL, 173, 749.<br />
43 BERTAUX, 162.<br />
44 LECCISOTTI, 185.<br />
45 M. M. PASTORE, Lezioni di Storia dell'arte, voI. II, 214-215.<br />
46 SCHMITZ, I, 256.<br />
47 C. JADECOLA, La Libera di Aquino, Roma 1969.<br />
48 Ibidem, 54.<br />
49 Vedi le due piante nelle pagine seguenti.<br />
50 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 14-15.<br />
- 39-
più ampia 51 del Chronicon Cassinese circa la basilica di Desiderio rileviamo<br />
affinità anche in alcuni particolari. La Cronaca del Cartario afferma<br />
che l'abate Giovanni I « depingere fecit Ecclesiam cum tabulatu quod<br />
superius [acerat pulcbris et variis coloribus »52. Il Chronicon Cassinese,<br />
asserisce che la basilica di Montecassino « Supposito trabibus laquaearii<br />
coloribus figurisque diversis mirabiliter insignito» S3.<br />
La descrizione del duplice altare a Casamari - l'altare di San Benedetto<br />
in fondo all'abside, l'altare maggiore coperto da un ciborio<br />
dedicato ai SS. Giovanni e Paolo più avanzato nella navata centrale -<br />
concorda perfettamente con quella di Montecassino dove sul fondo dell'abside<br />
si elevava l'altare di San Giovanni Battista, mentre all'incrocio<br />
delle due navate si trovava quello dedicato a San Benedetto e Santa Scolastica<br />
54.<br />
Le due grandi croci di legno di Casamari - fecit duas cruces ligneas<br />
maximas pulchris coloribus »55 - dovevano essere disposte quasi<br />
a formare una iconostasi, dinanzi all'altare maggiore. A Montecassino,<br />
secondo Leone Ostiense 56, si elevavano davanti all'altare maggiore<br />
due grandi croci di argento recanti l'immagine del Redentore, infisse<br />
su piedistalli di marmo e collocate fra le colonne dell'iconostasi.<br />
« Fecit et duas cruces magnas argenteas librarum triginta<br />
per singulas quarum imagines caelatura mirifica prominerent<br />
easque sub praedicta trabe inter columnas hinc inde super marmoreos<br />
stipites statuit » 57.<br />
Come a Montecassino infine troviamo anche a Casamari due altari,<br />
forse collocati nelle absidiole laterali dedicate alla Madonna e a S. Pietro.<br />
Dopo questo parallelismo tra la chiesa di Casamari di Giovanni I<br />
e quella di Montecassino di Desiderio ci sembra opportuno fare una<br />
osservazione di carattere cronologico. La costruzione della chiesa ro-<br />
51 Montecassino rappresentava in questo periodo come la culla del Rinascimento artistico<br />
in Italia. Si pensi che si inviavano persino dei monaci ad educarsi a Costantinopoli<br />
presso gli orefici dello studio imperiale. «L'abate Desiderio fa impartire nel suo monastero<br />
ai giovani religiosi un insegnamento tecnico dai mosaisti greci che aveva fatto venire da<br />
Costantinopoli. Cosi l'Italia meridionale poté ben presto trovare nella venerabile abbazia<br />
maestri e modelli ». Cfr BERLlÈRE, Monastico, 126.<br />
« Con Desiderio l'abbazia toccò i fastigi della sua maggiore grandezza, non solo per<br />
le arti e per le lettere che egli fece fiorire e che tramandarono all'età moderna il sapere<br />
antico, per le artistiche opere che costruì ... ma soprattutto per la potenza che esercitò nel<br />
secolo» Cfr L. FABIANI, La terra di San Benedetto, voll. 2, Montecassino 1968, 84 del<br />
voI. I.<br />
52 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
53 Cbronicon Cassinese, PL, 173, 749.<br />
54 Ibidem.<br />
5S Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
S6 Cbronicon Cassinese, PL, 173, 749.<br />
57 Ibidem.<br />
- 40-
Tav.2 - Pianta della parte antica del tempio «La Libera» di Aquino (Jadecola).<br />
-41-
manica è attribuita dalla Cronaca del Cartario all'abate Giovanni che<br />
ha governato l'abbazia certamente dal sette gennaio 1038 all'otto agosto<br />
1063, secondo i dati offerti dai documenti fino ad ora conosciuti 58.<br />
La basilica di Montecassino di Desiderio fu iniziata verso il 1066 e portata<br />
a termine nel 1071. Da queste date tiriamo una duplice conclusione:<br />
o la chiesa di Casamari fu costruita dai successori di Giovanni - il<br />
che è poco probabile - sul modello di Montecassino, oppure l'autore<br />
della Cronaca del Cartario ha immaginato una descrizione di una chiesa<br />
tipica dell'XI secolo - per noi più probabile - attribuendone i caratteri<br />
a quella fatta edificare da Giovanni L<br />
Il monastero benedettino<br />
Un successore di Giovanni I, l'abate Agostino, il quarto della<br />
serie benedettina, curò invece la costruzione di un nuovo monastero:<br />
«Construixit autem a fundamentis domum magnam et amplam,<br />
caenacula pro dormitorio fratrum et altera domum iuxta<br />
eam ad naturae necessitatern. Fecit claustrum monachis pulchrum<br />
et amplum » 59.<br />
Attualmente non abbiamo tracce del monastero fatto costruire<br />
dall'abate Agostino. Ma fino a qualche ventennio fa il De Benedetti 60<br />
in base ad alcuni resti di muri, ora ricoperti nella parte nord dell'attuale<br />
chiesa, tentava di ricostruire nelle linee essenziali la pianta del<br />
monastero in questo modo:<br />
- + 2.<br />
t •<br />
• • • •<br />
•<br />
5 3<br />
•<br />
• • • • •<br />
'1 4<br />
1. Chiesa<br />
2. Dormitori<br />
3. Servizio<br />
4. Foresteria<br />
5. Chiostro<br />
S8 Cfr. doc. 3 del secondo volume.<br />
59 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
60 DE BENEDETTI, Casamari, ms. parte sesta Casamari monumento nazionale, 15-17.<br />
- 42-
Ancora il De Benedetti: «L'abate Agostino dunque vedendo che<br />
la sua comunità religiosa si sviluppava ed accresceva sempre più, tanto<br />
da diventare Padre di oltre quaranta monaci, costruì dalle fondamenta<br />
due lunghi ed ampi bracci di fabbricati. Uno per essere adibito come<br />
dormitorio dei monaci, l'altro per le esigenze monastiche: cucina, dispensa,<br />
forno, refettorio, magazzini, ecc.<br />
Evidentemente ilIato adibito per dormitorio doveva essere attaccato<br />
ad angolo retto alla chiesa come si vede in tutte le piante dei monasteri<br />
benedettini. Ciò per dare comodità ai monaci di poter scendere direttamente<br />
in chiesa, specie nelle ore notturne, secondo la Regola monastica<br />
e l'uso tradizionale. La Cronaca continuando ad elencare le<br />
opere di Agostino, ricorda anche la costruzione di una casa all'entrata<br />
del monastero per ricevere gli ospiti e di un chiostro ampio e decoroso.<br />
Sommando tutte queste fabbriche si può congetturare una certa<br />
pianta completa di tutto l'edificio monastico, costruito a quadrato per<br />
ricavarne il chiostro. Il quadrato era formato:<br />
1. dalla chiesa, posta a sinistra dell'entrata del monastero;<br />
2. dal braccio del dormitorio sviluppato in senso rettangolare a nord<br />
e attaccato alla chiesa dal lato destro;<br />
3. dal braccio dei locali di quotidiana sussistenza attaccato pure ad<br />
angolo con il dormitorio e sviluppato a parallelo con la chiesa;<br />
4. dalla foresteria che costituiva l'ultimo braccio e chiudeva il quadrato<br />
» 61 (vedi grafico).<br />
È questo il piano tradizionale dei monasteri benedettini. Tale piano<br />
secondo lo Schmitz<br />
« consiste essentielment dans trois ailes d'habitation fermées<br />
per une quartième aile qui n'est autre qu'un neuf latérale de<br />
l'eglise abbatiale ... Cette constance dans le plan des monastères<br />
prouve assurément ces avantages pratiques ... notamment en ce<br />
qui concerne l'hospitalité, le soin des malades et l'affluence des<br />
pélerins » 62.<br />
Pannelli di pietra degli altari laterali<br />
Oltre ai capitelli e alle colonne che ci hanno permesso di avanzare<br />
una sommaria ricostruzione della chiesa benedettina, abbiamo ancora dei<br />
bassorilievi con stupendi disegni floreali che fungono ora da paliotti<br />
dei due altari laterali più prossimi al coro attuale.<br />
61 Ibidem, 16.<br />
62 SCHMITZ, I, 218.<br />
- 43-
Questi bassorilievi sono stati presentati da Ermenegildo Scaccia-<br />
Scarafoni 63 come i plutei del pulpito della chiesa benedettina fatta costruire<br />
da Giovanni I, basandosi su una inedita descrizione dell'abbazia<br />
di Casamari del 1634.A riguardo del pulpito vi si legge: «Nel medesimo<br />
lato, quasi nel mezzo della chiesa, attaccato ad un pilastro d'arco sta il<br />
pulpito di pietra bianca, lavorato, e disotto un credenzino o repositorio<br />
dei libri di cui si servivano i monaci in tempo che il coro stava dietro<br />
detto pulpito, che serviva per recitarvi le lettioni, et altre orazioni come<br />
costumavano anticamente» 64.<br />
A questa descrizione fa eco quella settecentesca del Rondinini:<br />
« Prope quartum arcum eiusdem navis mediae... fere in medio<br />
totius ecclesiae ambitu excitatus est suggestus concionatorius lapideus<br />
antiquae sed nobilis in primis et elegantis structurae, sub<br />
quo bina iacent conditoria concamerata, ubi antiquis temporibus<br />
sacri Jibri custodiebantur, quod pro veteri ecclesiae more e suggestu<br />
recitari opertebat » 65.<br />
Le due descrizioni parlano ambedue di pulpito in pietra finemente<br />
lavorato.<br />
Il pulpito si trovava quasi nel mezzo della chiesa e - dato che<br />
il coro occupava la navata centrale, secondo l'uso monastico medievale<br />
- serviva come ambone per le lezioni dell'ufficio divino. Ma sappiamo<br />
che i <strong>Cistercensi</strong> non costruivano pulpiti in pietra nelle loro chiese:<br />
basti osservare le chiese di Fossanova o San Galgano. Quindi è da<br />
presumere che i <strong>Cistercensi</strong> credettero opportuno non rinunziare a quel<br />
pulpito. romanico che essi ritennero un capolavoro. Tuttavia il Pulpito<br />
fu rimosso nel settecento, quando, sostituiti i Trappisti ai <strong>Cistercensi</strong><br />
si iniziarono lavori di restauro nell'abbazia.<br />
Sorgono tuttavia alcune difficoltà. La prima è costituita dalla notizia<br />
riportata dalla Cronaca del Cartario che asserisce che il pulpito<br />
fatto costruire da Giovanni I per la chiesa romanica era di legno<br />
cypresseum 66 e non di pietra. Si può rispondere che il pulpito di pietra<br />
potrebbe essere stato aggiunto dagli abati successori di Giovanni I<br />
come Orso o Agostino, dei quali risulta l'impegno ad ingrandire ed<br />
abbellire sempre più il monastero.<br />
La seconda difficoltà vien fatta dal De Persiis che afferma che i<br />
pannelli formavano non il pulpito ma l'altare maggiore originale della<br />
63 SCACCIA-SCARAFONI, Descrizione, 6.<br />
64 Ibidem.<br />
65 RONDININI, 92-93.<br />
66 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />
- 44-
chiesa cistercense. Parlando dell'altare laterale dedicato a San Benedetto<br />
e a San Bernardo situato a sinistra dell'ingresso all'attuale<br />
sacrestia nella struttura contemporanea al De Persiis egli così si esprime:<br />
«Non dobbiamo tacere che questo altare, avvegnaché ora trasformato<br />
come gli altri, anticamente era di pietra, non soltanto scalpellata,<br />
ma ornata altresì di fregi e rabeschi a rilievo, quasi della forma del<br />
sott'arco della porta maggiore. Un buon laico Fra Pacomio, avendo<br />
dovuto riparare alquanto questo altare, poté col lume di una candela<br />
sottoposto all'apertura che si era formata tra I'incrostazione di marmo<br />
e l'antico parapetto dell'altare, scorgere il lavoro e la forma di esso.<br />
Oggi ogni apertura è chiusa. Noi ci dilettiamo di pensare che questo<br />
altare qui collocato, sotto le immagini dei santi Benedetto e Bernardo,<br />
fosse quello che una volta occupava il posto dell'altare maggiore prima<br />
che il nuovo, così ricco di marmi, ne lo avessero rimosso. Imperocché è<br />
da sapere che l'altare maggiore prima che la nuova e grande tribuna<br />
marmorea fosse eretta, non si trovava dove è oggi, ma sì in mezzo del<br />
coro» 67.<br />
A questa affermazione rispondiamo riportando la descrizione dell'altare<br />
maggiore fatta dal Rondinini, prima che venisse rimosso per far<br />
posto al dissonante ciborio barocco che ora sormonta il nuovo altare<br />
collocato nel mezzo della crociera: «Ara tota lapidea et satis ampla<br />
quaternis parois columnis lapideis a parte anteriori et totidem a parte<br />
posteriori sustinetur »68. Quindi dalla forma descritta l'altare originale<br />
della chiesa cistercense era costituito da una semplice mensa di pietra<br />
sostenuta da colonnine.<br />
Il disegno dei plu tei inoltre non ci sembra possa appartenere<br />
ad epoca e a gusto cistercense. È più di gusto romanico: questo ci<br />
sembra di poter asserire confrontando altri pannelli del secolo XI<br />
come quelli della cattedrale di Otranto 69 o come l'ambone e le transenne<br />
del coro della Pieve di Trebbio 70 e i fregi dei capitelli della Pieve di<br />
San Cesareo 71.<br />
Una chiara somiglianza di stile ci sembra ravvisare nei disegni<br />
dei rari capitelli romanici che ci sono pervenuti dell'antico monastero<br />
di Montecassino del tempo di Desiderio e che ora formano il chiostrino<br />
di Sant'Anna.<br />
67 DE PERSIIS, 15-16.<br />
68 RONDININI, 92.<br />
69 G. GIANFREDA, La Cattedrale di Otranto, Casamari 1966, figure 48-49.<br />
70 R. SALVINI, Il Duomo di Modena e il Romanico nel Modenese, Modena 1966,<br />
figure 9-13.<br />
7l Ibidem, figure 237-238.<br />
- 45-
Questa nostra conclusione escluderebbe l'opinione dell'Enlart,<br />
ripresa poi dal Rotondi n, secondo cui i pannelli apparterrebbero ai due<br />
altari cistercensi situati all'estremità del transetto.<br />
Gli altari, sul finire dell'800 era ricoperti<br />
«de cages en bois du dix-septième ou dix-huitième siècle<br />
sous les quelles, lors d'une reparation, on a pu voir les autels de<br />
pierre. La face antérieure de l'un est ornée d'une sculpture de<br />
croix et de fenillages analogue à celle du tympan du grand portail;<br />
sur l'autre courent des rinceaux de pampre » 73.<br />
72 ROTONDI, 31.<br />
73 ENLART, Origines, 45, nota 1.<br />
46
1. La morte di San Malachia<br />
Florilegio Cistercense<br />
I suoi compagni di viaggio lo assistevano e gli facevano coraggio<br />
assicurandolo che non c'era motivo per dubitare della guarigione; ed<br />
infatti non si era visto apparire alcun sintomo che potesse preludere ad<br />
una morte imminente. Ma egli disse: È necessario che entro l'anno<br />
Malachia abbandoni il suo corpo. Ed aggiunse: Ecco, si avvvicina il giorno,<br />
e voi lo conoscete bene, nel quale ho sempre desiderato di morire.<br />
So in chi ho posto la mia fede, e ne sono persuaso (Cfr TIM. 1. 12).<br />
Il mio desiderio è stato già soddisfatto in parte: non mancherà di essere<br />
soddisfatto per intero. Colui che nella sua misericordia mi ha guidato<br />
al luogo che avevo scelto, mi concederà anche di non oltrepassare<br />
la data che aveva stabilito l. Quanto al mio corpo, qui è la mia pace;<br />
all'anima provvederà il Signore che salva coloro che sperano in lui.<br />
Quanta speranza mi inonda in questo giorno, in cui i vivi aiutano i defunti<br />
con tante opere buone.<br />
Quando pronunziò queste frasi, il giorno della Commemorazione<br />
dei Fedeli Defunti non era lontano. Chiese che gli fosse amministrato<br />
l'Olio degli Infermi. Ma quando seppe che la comunità si stava riunendo<br />
per procedere solennemente al rito sacramentale, non tollerò che<br />
tutti si scomodassero per salire fino alla sua stanza, e scese loro incontro:<br />
alloggiava infatti al piano superiore. Si lasciò ungere, sunse il Viatico,<br />
si raccomandò alle preghiere dei confratelli, li raccomandò tutti a Dio;<br />
e tornò a letto.<br />
Da solo ne era disceso, da solo tornò nella sua stanza; e diceva<br />
che la morte era alla porta. Chi avrebbe potuto pensare .che quest'uomo<br />
stava per momire? Solo lui, e Dio! Il volto non tradiva pallore né sofferenze;<br />
la fronte non manifestava rughe, gli occhi non erano infossati,<br />
né le narici assottigliate, né le labbra contratte. La grazia del suo corpo,<br />
lo splendore del suo volto non scomparvero neppure con la morte.<br />
Quale fu in vita, tale continuò ad apparire dopo la morte: sembrava<br />
che vivesse ancora.<br />
SAN BERNARDO, Vita di San Malachia, XXXI, 71.<br />
S. Bernardi Opera, voI. III, 1963, 375.<br />
I In un precedente capitolo della «Vita di Malachia» San Bernardo racconta che il<br />
santo vescovo, invitato a dire dove avrebbe desiderato morire, rispose: A Chiaravalle, nel<br />
giorno della solenne commemorazione di tutti i fedeli defunti. Se era un desiderio, commenta<br />
San Bernardo, fu soddisfatto; se era una profezia) non sgarrò neppure una virgola.<br />
(Vita di Malachia, XXX, 67).<br />
- 47-
2. Alla soglia della contemplazione<br />
Fratelli, ve ne supplico, sforziamoci di essere sempre vigilanti,<br />
perché questo è il tempo della lotta ... Restiamo saldi ai posti di difesa,<br />
aggrappandoci con tutte le nostre forze alla roccia incrollabile che è<br />
Cristo, secondo questa parole della Scrittura: Ha fatto stare i miei<br />
piedi sulla roccia, ha reso fermi i miei passi (SALMO 39, 3). Una volta<br />
stabiliti su questo fondamento, possiamo fermarci a contemplare: e<br />
vedremo quello che egli ci dice, e sapremo come comportarci quando<br />
egli ci rimprovera.<br />
Ecco dunque, carissimi, qual è il primo grado della contemplazione:<br />
considerare incessantemente quello che vuole il Signore, quello che gli<br />
piace, quello che gli è gradito. E poiché noi tutti lo offendiamo spesso<br />
e la nostra mancanza di semplicità è un insulto alla rettitudine della<br />
sua volontà, umiliamoci sotto la mano potente dell'Altissimo; non indugiamo<br />
ad esporre tutta la nostra miseria davanti ai suoi occhi misericordiosi,<br />
dicendo: Guariscimi, Signore, e sarò guarito; saluami e sarò salvo<br />
(GER. 17, 14); e ancora: Pietà di me, Signore; guarisci la mia anima,<br />
perché ho peccato contro di te (SALMO 40, 5).<br />
Quando con questi pensieri l'occhio del cuore si è purificato, noi<br />
non viviamo più in noi stessi nell'amarezza del rimorso, ma viviamo<br />
nello Spirito di Dio colmi della sua gioia. Allora noi non chiediamo più<br />
quale sia la volontà di Dio su di noi, ma la cerchiamo per se stessa.<br />
E poiché Dio vuole la vita, non possiamo avere più alcun dubbio: conformarci<br />
alla sua volontà è davvero per noi la cosa più utile e più giusta.<br />
Se vogliamo quindi conservare la vita, cerchiamo di non allontanarci<br />
dalla volontà di Dio.<br />
E quando ci saremo inoltrati nel cammino dell'ascesi sotto la guida<br />
dello Spirito che vede la profondità dell'abisso di Dio, fermiamoci a<br />
pensare alla dolcezza e alla bontà del Signore; chiediamo col profeta<br />
di vedere la sua volontà e di entrare non nel nostro cuore ma nel suo<br />
tempio (Cfr SALMO26, 4). E col profeta ripetiamo: In me la mia anima<br />
è triste, per questo mi ricorderò di te (SALMO 41, 7).<br />
In questi due atteggiamenti si esprime tutto il nostro cammino<br />
spirituale: quando pensiamo a noi stessi ci turbiamo e ci rattristiamo<br />
quasi disperando della nostra salvezza; quando pensiamo a Dio ci sentiamo<br />
confortati, perché la gioia dello Spirito Santo è anche la nostra<br />
gioia. Restando in noi stessi, viviamo nel timore della condizione servile;<br />
incontrando Dio, riceviamo la speranza e la carità.<br />
SAN BERNARDO<br />
Sermone 5 de diversis, 4-5; PL 183, 556<br />
- 48-
3. La sublime esaltazione di Maria<br />
Saulo che spirava minacce e strage contro i discepoli del Signore<br />
fino a perseguitare il Signore stesso, fu oggetto di una tale misericordia<br />
che giunse a gloriarsi nella speranza della gloria dei figli di Dio e fu<br />
rapito fino al terzo cielo. Non ci si deve perciò stupire se la santa Madre<br />
di Dio sia stata assunta in cielo anche col corpo ed esaltata al di sopra<br />
dei cori angelici.<br />
Se c'è gioia in cielo tra gli Angeli per un solo peccatore che fa<br />
penitenza, chi potrà dire la lode gioiosa e bellissima che Maria Santissima<br />
fa salire verso Dio Ella che non ha mai peccato né proferito<br />
inganno? Se coloro che un tempo furono tenebre e poi luce nel Signore,<br />
rifulgeranno come sole nel regno del Padre loro, chi saprà descrivere la<br />
gloria eterna di Maria che venne in questo mondo come un sole, e dalla<br />
quale è nata la luce che illumina ogni uomo?<br />
Il Signore ha detto: Se qualcuno mi vuol servire, mi segua: e là<br />
dove sono io sarà il mio servo (Grov. 12, 26): dove pensiamo allora<br />
che sia Maria sua Madre, che l'ha servito con tanta delicatezza e con<br />
tanta costanza? Lei che l'ha accompagnato e gli è stata sottomessa fino<br />
alla morte? Nessuno si meravigli se ora Ella segue l'Agnello ovunque<br />
vada.<br />
4. Prendiamo la croce con Cristo<br />
ELREDO DI RIEVAULX<br />
Sermone 25 per l'Assunzione della Madonna;<br />
Ed. Talbot, Roma 1952, 162<br />
Oggi celebriamo la festa di Sant'Andrea. Egli, quando giunse al<br />
luogo dove la croce l'attendeva, fu reso forte nel Signore e pronunciò<br />
parole ardenti in virtù dello Spirito Santo che, sotto forma di lingue<br />
di fuoco, aveva ricevuto con gli altri apostoli ... Erano parole sgorgate<br />
dalla sua ricchezza interiore: la carità che gli ardeva nel cuore si manifestava<br />
nella voce come attraverso scintille abbaglianti: O croce a<br />
lungo attesa e ora finalmente offerta al mio ardente desiderio! Vengo<br />
a te nella pace e nella letizia: riceuimi anche tu con gioia, perché sono<br />
il discepolo di colui che tu portasti ...<br />
Come si spiega, in un uomo, questa gioia straordinaria, questa<br />
letizia inaudita. Come si spiega tanta costanza in una creatura così<br />
fragile? Come può un uomo essere così docile allo Spirito, così ardente<br />
di carità, così pieno di fortezza? Non pensiamo che tanto coraggio An-<br />
- 49-
drea lo trovasse in se stesso. Era il dono perfetto che discende dal<br />
Padre delle luci, da colui che solo compie opere meravigliose. Era lo<br />
Spirito Santo che veniva in aiuto alla sua debolezza, che diffondeva<br />
nel suo cuore una carità forte come la morte, anzi più forte della morte.<br />
Fossimo anche noi partecipi di questo Spirito! Ma noi non lo possediamo<br />
abbastanza: ecco perché la penitenza ci costa fatica, ecco perché<br />
l'afflizione del corpo e l'astinenza ci pesano, ecco perché durante<br />
le veglie non sappiamo resistere al sonno e alla noia. Se lo Spirito<br />
fosse presente, verrebbe certo in aiuto alla nostra debolezza. Quanto<br />
ha fatto per Sant'Andrea di fronte alla croce e alla morte, lo Spirito lo<br />
farebbe anche per noi: e il nostro sforzo, la nostra penitenza non solo<br />
non sarebbero penosi, ma diventerebbero addirittura cose desiderabili<br />
e piacevoli. Il mio Spirito, dice il Signore, è più dolce del miele (ECCLE.<br />
24, 27 Volgata); la morte più amara non potrebbe vincere questa dolcezza...<br />
Cerchiamo questo Spirito, fratelli; o se l'abbiamo già, impegnamoci<br />
per possederlo più pienamente. Chi infatti non ha lo Spirito di<br />
Cristo, non appartiene a Cristo (ROM. 8, 9). Noi non abbiamo ricevuto<br />
lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, perché conosciamo<br />
i doni che Dio ci ha dati (I CORo2, 12) ...<br />
Prendiamo la nostra croce con Sant'Andrea, prendiamola insieme<br />
con il Signore nostro Salvatore. La gioia profonda di Aridrea veniva<br />
proprio da questo: egli non moriva solo per Lui, ma anche con Lui; la<br />
morte simile alla morte di Cristo, lo faceva un solo essere con Cristo; e<br />
così, dopo aver sofferto con Lui, avrebbe regnato con Lui nella gloria.<br />
Disponiamoci anche noi ad essere crocefissi con Cristo; ascoltiamo<br />
il suo invito con tutta l'attenzione di cui siamo capaci: Se qualcuno<br />
uuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi<br />
segua (Le. 9, 23 )... La croce è il luogo della nostra salvezza se ci lasciamo<br />
coraggiosamente inchiodare su di essa. Il linguaggio della Croce,<br />
dice l'Apostolo, è follia per quelli che si perdono, ma per noi e per<br />
coloro che sono sulla via della salvezza, esso è 'potenza di Dio (I. CORo<br />
1, 18).<br />
SAN BERNARDO<br />
Secondo sermone per la festa di Sant'Andrea, PL 183, 509-512<br />
5. Il primato della carità<br />
Perché, fratelli, non siamo attenti nel cercare le occasioni di salvezza<br />
gli uni per gli altri? Perché non ci aiutiamo a vicenda quando ci<br />
- 50-
sembra necessario? A questo ci esorta l'Apostolo: Portate i pesi gli uni<br />
degli altri, e così adempirete la legge di Cristo (GAL. 6, 2). Ed altrove:<br />
Sopportate vi a vicenda nella carità (EF. 4, 2). Questa è, di sicuro, la<br />
legge di Cristo.<br />
Quando nel mio fratello scopro qualcosa di incorreggibile, qualche<br />
infermità fisica o morale, perché non lo sopporto pazientemente?<br />
perché non lo consolo volentieri? I loro figli, dice la Scrittura, saranno<br />
portati in braccio e consolati sulle ginocchia (Is. 66, 12). Mi manca<br />
forse la carità che tutto soffre, che è paziente nel sopportare e benigna<br />
nell'amare? (Cfr I CORo13, 7).<br />
Questa è la legge di Cristo. Egli ha veramente preso su di sé<br />
le nostre sofferenze nella sua Passione, e nella sua compassione ha portato<br />
i nostri peccati (Is. 53, 4), amando quelli che portava e portando<br />
quelli che amava. Chi invece si mostra aggressivo verso un fratello che<br />
è nel bisogno, chi insidia la sua debolezza, si sottomette alla legge del<br />
demonio e la compie.<br />
Compatiamoci a vicenda, amiamo i nostri fratelli, supportiamone<br />
le debolezze e perseguitiamone i vizi... Ogni genere di vita, qualunque<br />
siano le sue osservanze o le sue consuetudini, è più accetto a Dio se segue<br />
meglio la carità di Dio, se ricerca più sinceramente l'amore del prossimo.<br />
È in ragione della carità che tutto deve essere fatto o non fatto,<br />
cambiato o non cambiato. È la carità il principio dal quale e il fine<br />
verso il quale tutto deve essere diretto. Non c'è nulla di colpevole in<br />
ciò che vien fatto a vantaggio e secondo lo spirito della carità.<br />
Si degni di accordarcelo Colui al quale non possiamo piacere senza<br />
la carità e privi della quale nulla possiamo, Lui che vive e regna, Dio,<br />
nei secoli dei secoli. Amen.<br />
ISACCODELLASTELLA(1)<br />
Sermone 31, PL 194, 1792-1793<br />
6. La scoperta di Cristo<br />
La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (COL. 3, 3). La scoperta<br />
di noi stessi in Dio, e di Dio in noi, attraverso una carità che<br />
in Dio trova, con noi stessi, anche tutti gli altri uomini, proprio per<br />
questo è la scoperta non di noi stessi ma del Cristo. È prima di tutto la<br />
presa di coscienza che non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive<br />
in me (GAL. 2, 20), ed è, in secondo luogo, la penetrazione di quel tremendo<br />
mistero che San Paolo delinea audacemente - e oscuramente<br />
-51-
- nelle sue grandi epistole: il mistero della ricapitolazione, del convergere<br />
di tutto nel Cristo. È il vedere il mondo - il suo principio e<br />
la sua fine - nel Cristo: veder scaturire tutte le cose da Dio nel<br />
Logos che si incarna e scende fin nelle ultime profondità della Sua<br />
creazione e riconduce tutto a sé per poi restituire tutto al Padre alla<br />
fine del tempo. Trovare noi stessi allora, vuoI dire non solo trovare la<br />
nostra anima così povera, limitata, insicura; ma trovare la- potenza di<br />
Dio che ha risuscitato Cristo dai morti e ci ha coedificati in Lui per divenire<br />
abitazione di Dio nello Spirito (EF. 2, 22).<br />
Questa scoperta di Cristo non è affatto autentica se si limita ad<br />
essere una fuga da noi stessi. Non deve essere un'evasione, ma un cammino<br />
verso la pienezza. Non riuscirò mai a scoprire Dio in me e me<br />
stesso in Lui se non ho il coraggio di guardarmi in faccia cosi come<br />
sono esattamente, con tutti i miei limiti e di accettare gli altri così come<br />
sono, con i loro limiti. La risposta religiosa non è religiosa se non è<br />
pienamente reale. L'evasione è la risposta della superstizione.<br />
Se la si guarda in modo intuitivo, questa questione della salvezza<br />
è una cosa semplicissima: ma quando la si analizza, si trasforma in un<br />
groviglio di paradossi. Diventiamo noi, solo morendo a noi stessi.<br />
Guadagnamo solo quello a cui rinunciamo, e se rinunciamo a tutto guadagnarno<br />
tutto. Non possiamo trovare noi stessi dentro di noi, ma solo<br />
negli altri, eppure prima di poter andare verso gli altri dobbiamo<br />
trovare noi stessi. Se vogliamo veramente prender coscienza di chi siamo,<br />
dobbiamo dimenticare noi stessi. Amare gli altri è il modo migliore<br />
di amare noi stessi, eppure non possiamo amare gli altri se non amiamo<br />
noi stessi, poiché è scritto Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt.<br />
19, 19). Ma se noi ci amiamo in modo sbagliato, diventiamo incapaci<br />
di amare chiunque altro. Quando noi non ci amiamo rettamente, in realtà<br />
ci odiamo; e se odiamo noi stessi, finiremo inevitabilmente per odiare<br />
gli altri. È vero tuttavia che in un certo senso dobbiamo odiare gli altri<br />
e lasciarli, se vogliamo trovare Dio. Gesù ha detto Se qualcuno viene a<br />
me e non odia suo padre e sua madre ... e la sua vita stessa, non può essere<br />
mio discepolo (Le. 14, 26).<br />
Quanto al nostro trovare Dio, è certo che non potremmo neppure<br />
cercarlo se non lo avessimo già trovato, e non potremmo trovarlo se<br />
Lui non ci avesse già trovato.<br />
THoMAs MERToN (2)<br />
Nessun Uomo è un'isola, Ed. Ital. Garzanti, IV Ediz., 13-15<br />
- 52-
I <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova<br />
nell'opera di bonifica dell'Agro Pontino<br />
1795-1809<br />
Il progetto<br />
Il presente studio è stato condotto alla luce<br />
di documenti raccolti nel « Carteggio» dal titolo.<br />
«Fossanoua: Piano di irrigazione ».<br />
Il Carteggio, un tempo conservato nell'archivio<br />
di Fossanoua, fu messo in salvo dai monaci e portato<br />
a Casamari, in seguito alla soppressione, decretata<br />
da Napoleone I (7 maggio 1809).<br />
(N. d. R.)<br />
Nel 1795, per volontà di Pio VI, l'abbazia di Fossanova, passava<br />
sotto la filiazione di Casamari l.<br />
Durante l'arco di tempo che va da quell'anno fino alla soprressione<br />
di Napoleone 2~ i monaci cistercensi di Fossanova avviarono interessanti<br />
lavori idrici, i quali, anche se necessariamente limitati, si<br />
inquadrano nel vasto piano di bonifica dell'Agro Pontino.<br />
Dal carteggio 3 intorno alle opere irrigue promosse dai monaci<br />
di Fossanova, risulta che una delle principali preoccupazioni dei <strong>Cistercensi</strong><br />
venuti da Casamari, fu quella di assicurare l'irrigazione razionale<br />
secondo i sistemi suggeriti dalla tecnica del tempo, ad una considerevole<br />
estensione di terreno.<br />
Furono elaborati due progetti: uno rimonta al 1796 \ l'altro al<br />
1807 s.<br />
Il primo prevedeva la derivazione dal fiume Amaseno di un corso<br />
di acqua che attraversando tutto il terreno compreso nella clausura,<br />
avrebbe irrigato una vasta zona coltivata a ortaggi, medicai ecc. e<br />
1 M. CASSONI, La Badia di Fossanoua presso Piperno, in Rio. Storica Benedettina,<br />
fase. XX (1910) e XXI (1911), pago 24 e ss. - G. PACCASASSI,Monografia del Monumento<br />
Nazionale di Fossanova presso Piperno, Fermo, 1882, pago 25 e ss. - Archivio di Casamari,<br />
Breve di Pio VI, « Cum sicut nuper accepimus », dato Romae apud S. Petrum sub Annulo<br />
Piscatoris die 23 julii 1795, in Cartulario: «Fossanoua, filiale di Casamari », pergamena<br />
originale.<br />
2 M. CASSONI,La Badia di Fossanoua, pago 35.<br />
3 Archivio di Casamari: Carteggio: Fossanova: Piano di irrigazione, la raccolta di<br />
questi documenti contiene 112 pagine, della quale ci siamo usati in questo studio.<br />
4 Ibidem, Relazione, perizia e mappa del Passega, pagg. 23-27.<br />
5 Ibidem, Mappa di L. Gallone, pago 83.<br />
- 53-
infine si sarebbe gettato di nuovo nel fiume. Il secondo progetto, come<br />
vedremo, sviluppava questo piano di irrigazione estendendolo anche<br />
ai terreni situati fuori del muro di cinta della clausura.<br />
Interessamento personale di Pio VI<br />
Il progetto dei monaci di Fossanova non poteva non interessare il<br />
pontefice Pio VI che fin dal 1777 aveva iniziato l'opera .di bonifica dell'Agro<br />
Pontino, nulla risparmiando per la sua buona riuscita.<br />
Il 18 agosto 1795, il papa veniva informato del piano di irrigazione<br />
dall'Abate D. Romualdo Pirelli il quale faceva presente che da<br />
tempo immemorabile esistevano sul posto opere idrauliche, come testimoniavano<br />
i ruderi di un'antica mola e alcuni canali sotterranei 6.<br />
Quattro giorni dopo Pio VI scriveva al perito Gaetano Astolfi dicendo:<br />
« ... Ci piacerebbe che s'eseguisse (il lavoro di irrigazione) perché<br />
risultarebbe (sic) in gran bene di quei religiosi, ma sempre con<br />
l'avvertenza di non recare alcun pregiudizio alla nostra bonificazione» 7.<br />
In un'altra lettera, diretta all'Abate Pirelli 8, il papa comunica di<br />
aver dato precise disposizioni allo stesso idrostatico Astolfi, con l'incarico<br />
di fare una perizia per introdurre sui terreni del monastero « ... o<br />
in tutto o in parte l'acqua del vicino fiume per inaffiare l'ortaglia ... ».<br />
Il 18 novembre successivo l'Astolfi presentava uno schizzo o « Bozzo<br />
dimostrativo» e una relazione dettagliata con la quale dimostrava<br />
che era possibile introdurre una sufficiente quantità di acqua per irrigare<br />
i terreni intorno all'abbazia anche durante la maggiore siccità dell'estate.<br />
E aggiungeva: « ... questo senza alcun pregiudizio del buon regolamento<br />
dell'acqua, e dell'Amaseno, e della Bonificazione Pontina » 9.<br />
Il giudizio espresso dal perito Astolfi costituiva una garanzia poiché<br />
l'impianto idrico di Fossanova non poteva prescindere dal piano integrale<br />
della bonifica dell'Agro.<br />
Due mesi dopo, il papa affida l'esecuzione di una nuova perizia al<br />
noto Luigi Passega, « Idrostatico della R.C.A. in Ferrara» IO. Difatti il<br />
Pontefice scrive al Pirelli informandolo che: « ... dovendo in breve por-<br />
6 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, minuta di una lettera<br />
diretta a Pio VI, pagg. 16-18.<br />
7 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI all'Astolfi, dato da S. Maria Magg. il 22 agosto<br />
1795, pago 5.<br />
8 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli, dato da S. Maria Magg. il 22 agosto<br />
1795, pagg. 1-3.<br />
9 Ibidem, Relazione e Mappa di G. Astolfi, pagg. 9-14.<br />
10 Ibidem, Relazione e Mappa di Luigi Passega, pagg. 23-27. M. CASSONI,La Badia<br />
di Fossanova ecc., pago 30.<br />
- 54-
tarsi alle Paludi il perito Passega, chiamato da Ferrara, per decidere,<br />
della controversia che verte fra gl'Idrostatici Rappini e Vici, sull'incanalamento<br />
del fiume Teppia, potrà visitare ancora gli orti ed il fiume<br />
che costeggia Fossanova, e sul ragguaglio della spesa, ch'Egli accennava,<br />
risolvere se debba crearsi un debito equivalente» Il.<br />
Ultimata la nuova perizia dei lavori 12 dal Passega, il Card. Carandini<br />
la presenta al papa che l'approva.<br />
Intanto il Pirelli ha fretta di iniziare i lavori, e il papa informato<br />
dell'urgenza, scrive all'Abate: «Ci vien detto, ch'Ella abbia premura<br />
d'intraprendere il lavoro sollecitamente e per effettuarlo essere disposto<br />
alla creazione di un debito. Noi per abbreviarle il giro della<br />
Congregazione dei Vescovi e Regolari, per ottenere la licenza, gliela dare-<br />
, d' . 13<br />
mo a mttura ... » .<br />
Sappiamo dalla storia che papa Braschi si interessava molto a questo<br />
genere di lavori. Perciò, non contento dello scambio di idee per via<br />
epistolare, il vecchio pontefice, nonostante i rigori della stagione, spontaneamente<br />
si offre per un incontro con l'abate di Casamari in Terracina,<br />
allo scopo di discu tere a voce circa la realizzazione del progetto: «Noi<br />
saressimo in disposizione di partire di qui il giorno 28 del corrente,<br />
per essere la sera in Terracina, ma se in questi giorni non si riscalda<br />
l'aria alquanto di più, non ci sentiamo di portarci colà per stare accanto<br />
al fuoco, come abbiamo fatto tutti questi giorni» 14.<br />
L'incontro, difatti, avvenne. L'abate Pirelli prospettò al papa la<br />
maniera di attuare il progetto di irrigazione in tutti i suoi particolari.<br />
Pio VI appena tornato a Roma, « per direttissima », firma un Rescritto<br />
15 con il quale l'abate Pirelli veniva autorizzato a contrarre un<br />
debito di tre mila scudi con l'intento di iniziare l'impianto idrico e per<br />
altri lavori di prima necessità.<br />
Il piano idrico dei lavori<br />
In merito al piano di irrigazione dei terreni situati nella clausura<br />
SI conservano due perizie fatte eseguire da Pio VI 16. La prima del-<br />
11 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli, pagg. 19-21.<br />
12 Ibidem, Relazione e Mappa di L. Passega, pagg. 23-27.<br />
13 Arch. di Casamari, Carteggio: Fossanoua: Piano di irrigazione, Lettera autografa<br />
di Pio VI al PireIli, pago 28.<br />
14 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli pago 28.<br />
15 Ibidem, Supplica del Pirelli con in calce il Rescritto « Signatum manu SS.mi »,<br />
pagg. 31-33.<br />
16 Ibidem. Due lettere di Pio VI: la prima diretta all'Astolfi il 22 agosto 1795; l'altra<br />
al Pirelli, il 30 gennaio 1796, pago 5 e 19.<br />
- 55
_J. . ..Eu~ ch~ ;z;ntU1.eaL di--Jf'7t-"cL~ CIt~~~.vdtCa.; il'r"u:'<br />
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l'ing. Gaeano Astolfi 17, la seconda dell'ing. idrostatico Luigi Passega<br />
18, che tanta parte ebbe insieme all'ing. Gaetano Rappini, direttore<br />
generale, nelle opere della bonifica pontina.<br />
Prima di mettere in esecuzione il progetto, i monaci provvidero<br />
ad allargare la clausura con mura più solide, sicché il terreno, compreso<br />
nella nuova cinta, da sei rubbia fu portato a venti 19.<br />
Le due perizie differiscono di poco tra loro e in pratica, nelle linee<br />
essenziali si equivalgono. Noi, nel descrivere il piano idrico dei lavori,<br />
useremo sia l'una che l'altra per farne una esposizione più chiara<br />
e preCIsa.<br />
Dai rilievi dei due ingegneri fu accertata la possibilità di poter<br />
sottrarre una certa quantità di acqua dal fiume Amaseno allo scopo di<br />
irrigare i terreni siri nel comprensorio della nuova clausura.<br />
Ma quello che maggiormente importava era, che tale possibilità<br />
persistesse anche durante l'estate quando la siccità è maggiore. Difatti<br />
si constatò che in questa stagione l'Amaseno trovandosi «in stato di<br />
magrezza» e pur avendo il pelo dell'acqua di « quattro palmi» più in<br />
basso rispetto al livello del terreno, veniva stimato dai periti di una<br />
« ... profondità poco considerabile, che con facilità si puoI (sic) far<br />
risalire mediante l'uso di qualche semplice macchina ... ».<br />
Giustamente faceva osservare il Passega, nell'esecuzione del progetto,<br />
bisognava tener presente « ... lo stato infimo del fiume », il che<br />
avveniva appunto nella stagione estiva, « quando i vegetali han più bisogno<br />
di essere irrigati ». Perciò i due ingegneri trovavano indispensabile<br />
che al punto della derivazione dell'acqua, e cioè sulla sponda destra<br />
dell'Amaseno, nel luogo detto «Maraone », si costruisse un « chiavichetto<br />
» immissario per ottenere il regolare deflusso delle acque verso<br />
il terreno da irrigare.<br />
La presa d'acqua fu prevista nel luogo più vantaggioso e precisamente<br />
nella parte superiore alla chiusa di una mola antica di cui rimanevano<br />
gli avanzi.<br />
Inoltre, verso il centro del terreno fu progettata una vasca « ad uso<br />
d'arte ... con intonacatura a stagno ». Il fondo della vasca doveva essere<br />
situato a un livello più basso del piano campagna, in modo che il fosso<br />
derivatoio, dall'immissario alla vasca, avesse una caduta totale di « on-<br />
17 Ibidem, Perizia e mappa per l'irrigazione della clausura di Fossanova, eseguita da<br />
G. Astolfi il 18 novembre 1795, pagg. 9-14<br />
18 Ibidem, Profilo e mappa dimostrativa dei terreni adiacenti al monastero di Fossanova,<br />
di L. Passega, pagg. 23-27.<br />
19 M. CASSONI, La Badia di Fossanoua, pago 30.<br />
- 57-
cie quattro, e tre minuti ». Infine fu prevista la « costruzione di una<br />
tromba da sollevar l'acqua della vasca per innaffiare gli erbaggi ».<br />
Il fosso derivatoio dell'acqua dell'Amaseno doveva imboccare un<br />
antico acquedotto sottorraneo, in muratura, che passava sotto gli edifici<br />
dell'abbazia 20. Le spese previste per «l'espurgo di questo vecchio<br />
condotto» erano abbastanza forti, ma sarebbero state compensate, dice<br />
il Passega, dal vantaggio di avere acqua abbondante nel monastero per<br />
lavanderia e per altri usi domestici 21.<br />
Dal monastero, l'acqua, attraverso una fossa già esistente, ma da<br />
rimettere in efficienza, doveva gettarsi di nuovo nell'Amaseno.<br />
Da un esame attento delle due perizie risulta con evidenza che i<br />
<strong>Cistercensi</strong> di Fossanova intesero ripristinare l'antico piano idrico, risalente<br />
molto presumibilmente al sec. XIII. Lo testimoniano i ruderi<br />
della mola a grano sull'Amaseno, le condotte in muratura, sottostanti al<br />
monastero e le altre opere idriche in superficie: tutti elementi adoperati,<br />
come abbiamo visto, nell'attuazione del nuovo piano di irrigazione.<br />
Sviluppo del piano di irrigazione<br />
L'idea di estendere la rete idrica anche fuori della clausura, al di<br />
là della via consolare, incontrò l'opposizione di molti.<br />
I monaci progettarono di trasformare un vasto appezzamento di terreno,<br />
in risaia, e portare l'acqua « ... ad intendimento di inaffiare (sic)<br />
de' prati, granturchetti (sic) ed altri usi dell'agricoltura, aumentando<br />
così la loro industria» 22. Secondo le previsioni dell'ing. Lorenzo Gal-<br />
20 C. ENLART, Origines Françaises de l'arcbitecture gotbique en ltalie, Paris 1894,<br />
pagg. 26 e 29.<br />
21. Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, che contiene la perizia<br />
dell'ing. Passega (pag. 26) dalla quale riportiamo per intero la nota della spesa complessiva<br />
prevista per i lavori idrici in Fossanova: «La spesa dell'opera sarà di circa scudi<br />
712.8-', fatta da me calcolare dall'espertissimo sig. Gaetano Astolfi, che era meco nella pre-<br />
sente visita; spesa che risulta dalle seguenti operazioni:<br />
Per il chiavichetto immissario. . . . .<br />
Per lo scavo del fosso derivatorio longo canne .<br />
Per la vasca longa e larga palmi 38 .<br />
Per l'espurgo del vecchio sotterraneo .<br />
sco<br />
»<br />
»<br />
»<br />
54.48<br />
352.50<br />
155.85<br />
150.00<br />
Che sommano come sopra sco 712.83<br />
Ciò è quanto in ubbidienza dei Sovrani comandi posso riferire, Roma 18 aprile 1796.<br />
22 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, copia della lettera<br />
del 6 febbraio 1808 dell'ing. G. Astolfi a Mons. A. Lante, Tesoriere Generale di N.S.,<br />
pago 99.<br />
- 58-
lione l'irrigazione si doveva estendere su di un terreno di circa 60 rubbia<br />
23.<br />
Dal punto di vista tecnico, ciò era possibile « ... essendosi con la livellazione<br />
veduto che l'acqua facilmente vi andrebbe ... e non farebbe<br />
pregiudizio a chicchessia, anzi potrebbe fare un'utile (sic) per i terreni<br />
inferiori » 24.<br />
Nella stessa dichiarazione si faceva notare anche che durante l'inverno<br />
le saracinesche sarebbero rimaste chiuse, mentre nelle stagioni in<br />
cui l'acqua fosse necessaria « ... si farebbe cadere nel fosso de' Lorenzi,<br />
o in quello del Pero ... dove bramano i Pipernesi d'averne per comodo<br />
de' loro bestiami. Ne avrebbero così vantaggio anche i possessori de'<br />
terreni inferiori, e niuno avrebbe ragione di dolersene » 25.<br />
Il disegno dei monaci dovette sembrare molto ardito a coloro cui<br />
stava a cuore il prosciugamento dell'Agro Pontino. È vero che non c'era<br />
da preoccuparsi, poiché i <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova avevano predisposto<br />
lo sviluppo della rete idrica, come vedremo subito, in maniera tale che<br />
la bonifica non doveva risentirne affatto. Ma il timore che qualche cosa<br />
potesse rovinare l'opera della stessa bonifica, ancora incompleta e<br />
precaria, ingigantiva ogni pericolo che potesse minacciare quelle terre,<br />
redente dalla palude palmo per palmo.<br />
Comunque iI nuovo piano di irrigazione ideato dai monaci sollevò<br />
forti opposizioni da parte di qualche ingegnere idrostatico, dei Privernati<br />
e della S. Congregazione delle Acque.<br />
Dai documenti si rileva che i monaci cominciarono i lavori senza<br />
chiedere l'autorizzazione agli organi competenti.<br />
Il 23 gennaio 1807, quello stesso ingegnere, Gaetano Astolfi, che<br />
per ordine di Pio VI, aveva progettato il primo piano di irrigazione, da<br />
Terracina scrive una lettera al Priore di Fossanova intimandogli la so-<br />
23 Ibidem, Mappa o tipo dimostrativo de' Beni di Fossanova e di Piperno in un con<br />
l'andamento delle loro acque ecc., di Lorenzo Gallione, in data 6 settembre 1807, pago 83.<br />
24 Ibidem, Dichiarazione con la quale il sig. Pasquale Zaccaleoni di Piperno dà il suo<br />
consenso ad ampliare il piano di irrigazione ai monaci fossanovensi, pagg. 84-86. Per far<br />
conoscere gli usi contrattuali del tempo, è interessante riportare qui le condizioni con le<br />
quali lo Zaccaleoni dava il suo assenso: « ... come uno dei cittadini di Piperno, possidente<br />
terreni tra li due fossi Lorenzi e Sandalara presto il mio pieno consenso... ma con l'espressa<br />
condizione, che se tale innovazione si conoscerà in ogni tempo apportare minimo danno...<br />
ad ogni richiesta, anche di un solo cittadino debba togliersi difatto tale novità e<br />
riporre tutto nel pristino stato, oltre la preventiva emenda de' danni causati e mostrando<br />
i RR. monaci di Fossanova qualche renitenza in ciò adempire, debbano soggiacere alla pena<br />
giornaliera di scudi cinque, monete da applicarsi in beneficio de' fossi di detta contrada ...<br />
Dovendosi poi sostenere qualche litigo civile su di ciò per l'indicata renitenza, debba ogni<br />
qualunque spesa di Procuratore, ed altro sì giudiziale che stragiudiziale andare a conto di<br />
detti RR. monaci; come anche resta a carico de' medesimi il mantenere sempre puliti gli<br />
alvei delli detti due fossi Lorenzi e Sandalara sino allo sbocco del nuovo Uffente... ».<br />
25 Ibidem, Dichiarazione del sig. P. Zaccaleoni, pagg. 84-85.<br />
- 59-
spensione dei lavori in corso 26. E ne dà la ragione: « ... puole produrre<br />
delle conseguenze litigiose, e anzi seguiranno necessariamente se non si<br />
desiste ». Inoltre aggiunge: «Sono informato che in occasione di quest'ultima<br />
piena sia accaduto qualche sconcerto e so ancora che dai<br />
RR. PP. è stato in qualche maniera provveduto ».<br />
Perciò, per evitare altri pericoli, dà ordine di « .,. chiudere l'apertura<br />
praticata nel muro del recinto, e rimettere l'acqua deviata nell'Amaseno,<br />
dentro la clausura medesima ... ». Infine esige che venga riparata<br />
la via consolare Priverno-Terracina che fu tagliata per il passaggio<br />
delle acque.<br />
Ma la cosa non si fermò qui. Nel giugno dello stesso anno i Privernati<br />
presentano ricorso alla S. Congregazione delle Acque, contro i <strong>Cistercensi</strong><br />
di Fossanova. Ecco il testo dell'istanza 27:<br />
Em.mi e Rev.mi Si.ri,<br />
Li pubblici rappresentanti della città di Piperno espongono, come<br />
i RR. monaci di Fossanova, affittuari della Commenda, si sono fatto lecito<br />
di raccogliere l'acqua nel fiume Amaseno nella contrada detta il Maraone,<br />
e mediante un fosso l'hanno condotta, e riducono a bagnare un quarto<br />
di terreno, che vogliono ridurre a risiera, e questo bagnato, le acque<br />
si vanno a scaricare sopra il quarto detto il Camponuovo di pertinenza di<br />
detta Comunità, che oggi ritrovasi dato in affitto, per cui tutti li possidenti<br />
di detta contrada per una tale innovazione ed insopportabile servitù<br />
perdono il prodotto dei loro terreni sì in erba che in seminato,<br />
oltre di che detti monaci non hanno avuto difficoltà per tal condottura<br />
di acqua rompere la pubblica strada, che conduce a Terracina ricoprendola<br />
poi per essere carrozzabile, stanti dunque li enunciati pregiudizi<br />
ed insopportabile servitù gli oratori ricorrono alla giustizia dell'Em.ze<br />
V. Rev.me, acciò vogliano degnarsi prendervi un pronto riparo, ed obbligare<br />
li monaci suddetti a ridurre tutto in pristino.<br />
Alla S. Congregazione dell'Acqua<br />
Per li Pubblici Rappresentanti della Comunità di Piperno<br />
Nonostante i ricorsi e le proteste, i monaci di Fossanova continuarono<br />
a coltivare la risaia e a irrigare i prati, proponendo ai vicini un modello<br />
esemplare di coltivazione intensiva.<br />
Ormai la coltivazione del riso era in fase avanzata e l'ing. Astolf<br />
26 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanova: Piano di irrigazione, lettera originale<br />
dell'Astolfi al Priore di Fossanova, pagg. 66-67.<br />
27 Ibidem, Copia del ricorso dei Privernati alla S. Congr. delle Acque, pago 71.<br />
- 60-
si limita a suggerire al Tesoriere Generale, Mons. Alessandro Lante, di<br />
ordinare ai <strong>Cistercensi</strong> «lo spurgo e l'arginamento» delle fosse, specialmente<br />
vicino alla «scaturigine de' Lorenzi» per il deflusso delle<br />
acque, « ... e ciò eseguirlo entro il mese di settembre, dopo cioè raccolto<br />
il riso, con espressa proibizione ai presenti e futuri... a fare altre<br />
innovazioni » 28.<br />
Stando così le cose, i monaci si decidono a presentare una istanza al<br />
Tesoriere Generale per ottenere l'autorizzazione a proseguire i lavori.<br />
Tra l'altro fanno presente che lo sviluppo e l'esecuzione del progetto<br />
fu ritardato per « mancanza del denaro e del tempo per le vicende<br />
sopraggiunte» 29, assicurano che tutto si stà facendo « ... in regola e senza<br />
pregiudizio d'alcuno ... », sotto la direzione di persone perite, in modo<br />
che « ... possano insieme aversi con la migliorazione della coltura di<br />
molti terreni il vantaggio del monastero e di altri e l'indennità di chicchessia<br />
» 30.<br />
Il Tesoriere Generale non aderisce alla richiesta dei <strong>Cistercensi</strong> di<br />
Fossanova poiché i Privernati già avevano fatto ricorso. Inoltre non<br />
approva « ... che i monaci edifichino una solida chiavica con saracinesca<br />
al punto di deviazione... ». Afferma infine che « sarà sempre illeso il diritto<br />
della Reverenda Carnera e della Comunità di Piperno di pretendere<br />
la riduzione in pristinum, se con l'esperienza si conoscesse questa deviazione<br />
di acqua essere in qualche modo pregiudizievole o alla Bonificazione<br />
Pontina, o al territorio di Piperno » 31.<br />
Finalmente, l'anno seguente, l'ing. Astolfi, che fu il primo ad opporsi<br />
all'ampliamento della rete irrigua, convinto che dal punto di vista<br />
della bonifica, il nuovo progetto non avrebbe recato danno, non solo<br />
cambia idea, ma addirittura se ne fa promotore.<br />
In una lettera 32 al Tesoriere, l'Astolfi dice: « ... qualora l'uso dell'acqua<br />
richiesta dalli suddetti si restringesse alli soli mesi d'estate, e<br />
fosse diretto lo scolo d'essa per la fossa de' Lorenzi, dico, che gli in-<br />
. teressati di detta fossa ne risentirebbero utile anziché danno per l'abbeveraggio<br />
de' loro bestiami in tempo di siccità, in cui eglino assolutamente<br />
ne mancano... Infine trattandosi d'una innovazione contro della<br />
quale gli interessati Pipernesi hanno già avanzato ricorso all'E. V. sembra<br />
perciò necessario sentire il loro parere ... ».<br />
28 Arcb. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, copia della lettera<br />
del 2 giugno 1807 di G. Astolfi al Tesoriere Gen., pago 74.<br />
29 Si accenna alla soppressione di Fossanova avvenuta nel 1798-99.<br />
30 Ibidem, Copia della supplica dei monaci di Fossanova a Mons. A. Lante, pago 97.<br />
31 Ibidem, Copia della lettera di A. Lante all'Astolfi (17 giugno 1807), pago 72.<br />
32 Ibidem, Copia della lettera 6 febbraio 1808) dell'Astolfi al Lante, pagg. 99-100.<br />
-61-
Il Tesoriere, conformandosi ai suggerimenti del perito, il 17 febbraio<br />
1808, scrive al Consiglio della Comunità di Piperno affinché<br />
esprima, con voto, il suo parere. Nel maggio dello stesso anno vengono<br />
convocati i Consiglieri. Prende la parola il « Seniore » Giovanni Batt.<br />
Colaboni, il quale « ... arringando, è di sentimento che non si debba<br />
accordare quanto si richiede dar monaci di Fossanova, essendo di pregiudizio<br />
al nostro campo. Onde chi approva un tale arringo ponga la<br />
palla bianca, e chi no, la nera. Corse il bussolo, raccolte le palle e quelle<br />
pubblicamente numerate sono state trovate: palle bianche, numero otto,<br />
e nere ventisette » 33.<br />
Subito dopo, lo stesso Segretario del Consiglio comunica a Fossanova<br />
il risultato della votazione con queste parole 34: «Qui compiegata<br />
le rimetto copia autentica della risoluzione bestiale tenuta da questo<br />
Consiglio sull'istanza vantaggiosa propostagli di far passare l'acqua in<br />
tempo d'estate dentro i terreni di codesto monastero ... Dall'insulso arringo<br />
del Colaboni, siccome in esso non assegna alcuna ragione del pregiudizio<br />
che asserisce recare, l'indicata acqua, al campo di Piperno,<br />
credevo che non venisse atteso, e perché li Consiglieri, a mio parere,<br />
sono tante talpe ed operano a capriccio, e senza alcuna riflessione, rigattarono<br />
(sic) una tal istanza, che alcuni poi di questi, del rustico ceto,<br />
da me illuminati, se ne sono pentiti... » 3S.<br />
Come si concluse questa vertenza? Lo vedremo al termine di questo<br />
studio.<br />
I monaci e la bonifica dell'Agro Pontino<br />
Le iniziative dei <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova, senza dubbio, erano<br />
facilitate dalla vicinanza del fiume Amaseno e dalla stessa bonifica,<br />
voluta da Pio VI e condotta sotto la direzione di valenti idrostatici del<br />
tempo, come Gaetano Rappini, Direttore Generale, il Boldrini e lo<br />
Zanotti.<br />
33 Arcb. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, Copia autentica della<br />
delibera consiliare, 29 maggio 1808, del Pubblico Notaio Luigi Martellucci, pagg. 102-103.<br />
34 Ibidem, Lettera autografa di L. Martellucci all'Abate Pirelli del 29 maggio 1808,<br />
pago 101.<br />
35 N.B. Come il lettore può personalmente constatare, i consiglieri del Comune di<br />
Priverno caddero in un equivoco materiale. Infatti, «le palle bianche» approvano l'arringo<br />
del Calaboni contro Fossanova, e queste furono solamente otto. Mentre chi era favorevole<br />
all'Abbazia doveva mettere nel bussolo le «palle nere », e queste furono addirittura<br />
ventisette.<br />
Tuttavia dal contesto e da quanto scrive il Segretario Martellucci, risulta chiaro che<br />
i votanti avevano inteso, con le «palle nere », di bocciare il progetto dei monaci.<br />
- 62-
In quell'epoca, il fiume Amaseno, proveniente dal cuore del massiccio<br />
Lepino, era ostacolato nel suo regolare deflusso al mare, dalla piccolissima<br />
pendenza del terreno, dall'impedimento di cordoni di dune<br />
lungo il mare, e anche dall'intensità dei processi di alluvionamento e<br />
dalla vegetazione acquatica.<br />
Tali difficoltà, di carattere naturale, causavano l'impaludamento di<br />
vastissime zone.<br />
Per riparare ai danni delle inondazioni i lavori erano lasciati alla<br />
iniziativa privata che oltre a non risolvere il grosso problema in maniera<br />
adeguata, spesso questi lavori erano volti al vantaggio delle proprie terre<br />
con discapito di quelle degli altri confinanti. Di qui, liti interminabili,<br />
portate anche nei tribunali 36.<br />
Qualche volta si pretese addossare l'onere della manutenzione del<br />
fiume all'Abbazia di Fossanova: «Con lettera del sig.re Lodovico Fidanza,<br />
Commissario di Piperno ... viene intimato il monastero di Fossanova...<br />
a fare lo spurgo del fiume Amaseno» 37.<br />
D'altra parte, i monaci, per salvare il loro patrimonio terriero dalle<br />
alluvioni che si succedevano anche diverse volte durante l'anno, erano<br />
costretti ad affrontare ingenti spese.<br />
Ecco quanto riferisce l'ing. Gaetano Astolfi in una perizia fatta in<br />
occasione delle solite controversie per la questione dell'Amaseno: «Il<br />
tratto del fiume, che resta a fronte dei beni dell'Abbadia di Fossanova,<br />
tanto dalla parte di Piperno che da quella di Sonnino; stante l'aver avuto<br />
occasione di vedere ogni anno le rotte, scolmature e corrosioni accadute<br />
in detti argini... esservi occorsa una ragguagliata annuale somma<br />
di scudi cinque cento cinquanta ... » 38.<br />
Le spese di riparazione per la « rottura degli argini» furono sostenute<br />
dai monaci cistercensi di Casamari fin dal loro arrivo a Fossanova<br />
nel 1795. Per convincersi basterà consultare il Caterggio 39 dal titolo:<br />
«Fossanova: Piano di irrigazione », conservato nell'archivio di Casamar!.<br />
Per ovviare a questa situazione e agli inconvenienti dell'iniziativa<br />
privata, il Governo Pontificio decise di allargare l'alveo del fiume<br />
Amaseno.<br />
36 Arch. di Casamari, Epistolario del P. Giuseppe Sanjelice, agente di Casamari e<br />
Fossanova, in Roma, Lettera al Pirelli del 4 dicembre 1805, pago 25.<br />
37 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanova: Piano di irrigazione, Doc. circa lo spurgo<br />
del fiume Amaseno, pago 50.<br />
38 Ibidem, Stima delle spese per riparazione degli argini eseguita dall'ing. Astolfi,<br />
pagg. 55-56.<br />
39 Questo Carteggio costituisce la fonte quasi esclusiva di questo studio.<br />
- 63-
A quest'opera furono interessati, naturalmente, anche i <strong>Cistercensi</strong><br />
di Fossanova i quali apportarono un fattivo contributo nell'esecuzione<br />
dei lavori. Innanzitutto facciamo osservare che, per diversi anni, pagarono<br />
le tasse imposte dal «Tesoriere Generale di Nostro Signore, per<br />
l'allargamento del fiume Amaseno» 40.<br />
Con l'istituzione della «Cassa per l'Amaseno» 41, finanziata da<br />
tutti i proprietari interessati, non esclusi i monaci fossanovensi, i lavori<br />
furono eseguiti in varie riprese, ma l'ultimo lotto, prima della soppressione<br />
dell'abbazia da parte di Napoleone, fu quello deciso da Pio VII<br />
nel 1805. La notizia del decreto papale veniva comunicata all'abate di<br />
Casamari dal Card. A. Roverella in questi termini: « ... Il Santo Padre<br />
ha approvato il dilatamento del fiume Amaseno sino al punto del Maraone,<br />
superiore a codesta Badia; ha approvato inoltre che il mantenimento<br />
e riparazioni che occorrer anno dal primo giugno in poi si facciano<br />
a 'spese della Cassa dell'Amaseno e non più dai particolari possessori<br />
» 42.<br />
In base ad una stima 43 fatta dal perito Astolfì, risulta, alla data<br />
del 3 ottobre 1807 che per l'allargamento del fiume, la somma stanziata<br />
dalla « Cassa per l'Amaseno» ascendeva a circa 30 mila scudi.<br />
I molteplici lavori eseguiti e i vantaggi che ne derivarono, compensarono<br />
largamente l'enorme somma stanziata.<br />
. Lo afferma lo stesso abate Pirelli in una «Memoria» 44, dove tra<br />
l'altro dice: «Lo slargamento del nume Amaseno diretto a vantaggio di<br />
tutti i terreni adiacenti, che finora han sofferto nocumento dalle sue<br />
inondazioni, mentre reca ai possessori di detti terreni un aggravio 'straordinario<br />
di molte tasse ... ne risentono già il vantaggio di essere stati<br />
scaricati dal peso di rifare i loro argini rispettivi ne' casi di rotture<br />
40 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, Tasse pagate dal monastero<br />
di Fossanova per l'allargamento del fiume Amaseno:<br />
14 agosto 1804, se. 49.50.2, pago 42.<br />
18 mar. 1805,» 74.25.3, » 53.<br />
4 giugno 1805,» 49.50.2, » 57.<br />
lO ottobre 1806,» 49.50.2, » 64.<br />
2 giugno 1807,» 49.50.2, » 69.<br />
lO novembre 1807, » 49.50.2, » 95.<br />
4 luglio 1808,» 61.88.0, » 111.<br />
Totale se. 383.64.3<br />
42 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, lettera del Card. Roverella<br />
al Pirelli del 22 giugno 1805, pago 59.<br />
43 Ibidem, Ristretto delle somme impiegate... per l'Amaseno, del perito G. Astolfi,<br />
pago 94.<br />
44 Ibidem, Memoria del Pirelli, senza data, pago 78.<br />
- 64-
solite ad avvenire nell'inverno. Lo slargamento già inoltrato rende più<br />
facile il corso alle acque e minore il pericolo delle rotture ... ».<br />
D. Romualdo Pirelli, abate di Casamari e Fossanova, con incrollabile<br />
tenacia, seppe trasfondere nei monaci, suoi collaboratori, il coraggio<br />
e la costanza per la rinascita di quella celebre abbazia.<br />
Quando nell'aprile del 1796 il famoso ing. idrostatico Luigi Passega,<br />
per ordine di Pio VI, faceva i 'rilievi a Fossanova per introdurre<br />
l'acqua dell'Amaseno nei campi da irrigare, l'abate Pirelli era presente<br />
sul posto 45.<br />
I documenti che vanno dal 1795 alla soppressione definitiva di<br />
Fossanova, dimostrano che quell'abate giammai desistette dal proposito<br />
di strappare alla palude le terre della Badia.<br />
Infatti quando un enfiteuta, sfiduciato perché ai suoi lavori non<br />
corrispondevano quel minimo di compenso, abbandona un appezzamento<br />
di terreno acquitrinoso e soggetto alle inondazioni, consegnandolo alla<br />
Reverenda Camera Apostolica, l'Abate Pirelli non si fa sfuggire l'occasione<br />
per ottenerlo. Il campo era piuttosto vicino al monastero, situato<br />
alla sinistra della strada Appia in confine delle « miglia 51 ». Il Pirelli<br />
scrive immediatamente al papa, esprimendo la fiducia di bonificare quel<br />
terreno, poiché, diceva: « ... col tempo e spesa non picciola, può ridursi<br />
a qualche utilità» 46.<br />
Verso il 1.807, la sistemazione del tratto del fiume che costeggia il<br />
patrimonio fondiario di Fossanova, era terminata. I terreni erano al sicuro<br />
dalle inondazioni e già se ne vedevano i benefici effetti. Ma quando<br />
i monaci cominciarono a raccogliere i frutti della loro terra, dissodata<br />
e bonificata con tanta pazienza, Napoleone Bonaparte sopprime l'abbazia<br />
che in seguito non fu più abitata dai <strong>Cistercensi</strong> 47.<br />
P. PLACIDO CAPUTO, O. CISTo<br />
45 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, Perizia dell'ing.<br />
L. Passega, pag, 25.<br />
46 Ibidem, Minuta della supplica al papa, pago 40.<br />
47 Ibidem, Memoria su una controversia con il Card. Commendatario, pagg. 47-48.<br />
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Premessa<br />
Modalità Gregoriana<br />
La modalità gregoriana è il mezzo con cui il melografo esprime<br />
la sua anima di artista. Essa ci aiuta a comprendere la struttura del<br />
pezzo, il segreto della sua fabbricazione ed esecuzione.<br />
L'artista, prima di comporre, si domanda innanzi tutto la funzione<br />
della sua composizione; poi considera attentamente il testo e la<br />
circostanza liturgica. L'introito del Natale, per esempio, sarà modalmente<br />
e tonalmente diverso dall'introito di Pasqua. Un canto di supplica<br />
avrà una struttura intrinsecamente diversa da un canto di lode.<br />
Così, degli otto modo gregoriani, ciascuno risulta differente per<br />
l'estensione, l'ordine dei toni e semitoni, l'aspetto autentico o plagale.<br />
Tutto ciò contribuisce a dare ad ogni modo, una sua propria tinta,<br />
un carattere estetico proprio, capace di produrre particolari sentimenti<br />
da cui nasce una grande ricchezza di delicate sfumature che l'esecutore<br />
deve sottilmente intuire entrando così nella mente del compositore.<br />
Criteri del movimento gregoriano<br />
Il testo è composto di parole che hanno una vita propria, grazie<br />
agli accenti e al movimento ritmico. Il ritmo delle melodie viene regolato<br />
dai vari neumi e dal movimento crescente e decrescente della linea melodico-verbale.<br />
Oltre ai particolari sviluppi di ogni modo, non bisogna trascurare<br />
altri criteri che potrebbero intralciare l'opera del direttore e del coro.<br />
Si consideri il luogo dell'esecuzione. Questa circostanza esterna<br />
deve essere ben calcolata per ragioni acustiche. Un luogo ampio, oppure<br />
una navata sorda che rimbombi e faccia echi, esige una certa lentezza<br />
di movimento per evitare l'espandersi immediato e confuso delle<br />
onde che giungerebbero all'orecchio con un fragore di tuono; al contrario,<br />
un luogo più modesto esigerebbe un movimento più celere.<br />
Ci sono poi i cantori. Essi eseguiranno il canto in modo più o<br />
meno maestoso, a seconda della dignità dell'assemblea, della disposizione<br />
più o meno felice del coro, della loro competenza e così via. Ciò premesso,<br />
entriamo nell'atmosfera di ciascun modo.<br />
- 66-
Carattere dei Modi<br />
Il primo Modo ha una espressione di dignità, tranquillità, g101a.<br />
Molto adatto a tradurre i testi che esprimono una preghiera, un intenso<br />
raccoglimento.<br />
Il secondo Modo possiede un'atmosfera meno chiassosa; assai dolce,<br />
calma, umile. Tutto ciò è dovuto all'ambito ristretto e alla dominante<br />
vicina alla tonica. Si presta bene per la meditazione tranquilla,<br />
sommessa, senza ricerca di affetti. È adatto a tutte le sfumature di<br />
sentimento.<br />
Il terzo Modo, grazie anche alla presenza del si naturale, ci dà l'impressione<br />
di un intenso sentimento che il testo orienta e interpreta sia<br />
nell'ordine del dolore che in quello del giubilo, lode, entusiasmo, tenerezza.<br />
È il modo delle forti emozioni di pena e di gioia. La commozione,<br />
spesso, è toccante, sana.<br />
Il quarto Modo crea un'atmosfera di gravità, semplicità, riserva.<br />
La cadenza modale mi, fa sentire nel pezzo l'impressione di non finito,<br />
d'attrazione verso altra cosa, di desiderio insoddisfatto. Questo modo,<br />
il più interiore e spirituale, privo di gioia umana ed esteriore, è chiamato<br />
il modo della contemplazione.<br />
Il quinto Modo è molto difficile a caratterizzarsi. Presenta un tono<br />
franco, slanciato, atto a tradurre riconoscenza, ammirazione. Molto è<br />
dovuto alla presenza del si naturale, alla dominante elevata e allo sviluppo<br />
di melodie che spesso arrivano al mi e al fa acuto. La presenza del<br />
bemolle, sovente, introduce un senso di tristezza, confessione, tenerezza.<br />
Il sesto Modo non ha l'entusiasmo né lo slancio del quinto, perché<br />
l'ambito è più ristretto e la dominante meno elevata. Modo positivo;<br />
tutto è chiaro, ingenuo, netto, solido. Tale modo esprime bene la<br />
fermezza della fede e le promesse di Dio agli uomini.<br />
Il settimo Modo è brillante e forte, con la tonica sol, la terza maggiore<br />
e la dominante alla quinta. Traduce bene le emozioni intense di<br />
gioia e di giubilo. È il modo giubilante per eccellenza. Lo stesso modo<br />
traduce una supplica pressante, una profonda angoscia.<br />
All'ottavo Modo manca l'ambito del settimo, ma in compenso<br />
scende fino al re e al do grave. Esprime dignità, solennità, virilità. È il<br />
modo dei grandi spettacoli liturgici, della liturgia esterna in opposizione<br />
alla meditazione e contemplazione interiori e tranquille del secondo<br />
e quarto modo. Esso traduce con dignità impressionante le sofferenze<br />
del Cristo, sempre forte e padrone di sé nell'agonia e nella morte.<br />
- 67-
Conclusione<br />
Una volta compenetrati delle formule melodiche dei modi, subito<br />
mutiamo atteggiamento, essendo stati trasportati in una zona superiore<br />
alla nostra personale e limitata fantasia. Allora acquistiamo una libertà<br />
e sicurezza assoluta. Mentre le cose ordinarie ci sfuggono, l'atmosfera<br />
del divino ci avvolge.<br />
La nostra attenzione si rifugia in parole che poc'anzi parevano<br />
di scarsa importanza. Ne deriva cosi una pace profonda: è la sicurezza<br />
del giusto che non teme più alcuna macchinazione diabolica, è la sicurezza<br />
della Chiesa che è a lato di Dio, è il canto che spesso ferì<br />
il cuore di tanti persecutori e Ii fermò alla soglia della sacra assemblea.<br />
BIBLIOGRAFIA<br />
ECCHER C., Cbironomià gregoriana, Roma 1952.<br />
P. ILDEBRANDO DI FULVIO O. CISTo<br />
FERRETTI P., Estetica gregoriana (voI. I), Pontificio Istituto di musica sacra, Roma 1934.<br />
- 68-
A proposito della musica Beat<br />
Caro Padre Ildebrando,<br />
ho letto il tuo ultimo scritto apparso su Notizie <strong>Cistercensi</strong> dal<br />
titolo «Musica beat» e sono andato a rileggere anche l'altro, pubblicato<br />
nel primo numero della medesima annata: «La Messa dei giovani<br />
». Questo tema della musica sacra e della conseguente musica<br />
liturgica è un argomento troppo importante per lasciarlo morire cosi.<br />
Non voglio certamente aprire una polemica su questo argomento, ma<br />
esprimere chiaramente quanto penso circa la musica sacra moderna.<br />
Non si può certo negare che tu abbia ragione quando nei tuoi scritti<br />
te la prendi con i testi brutti e sciatti e le musiche cacofoniche che<br />
nulla hanno a che fare con la vera musica, tanto più se questa è « sacra»<br />
per definizione. Ma da questo ad estendere in modo generale<br />
alla musica beat, folk, pop ... un giudizio negativo non mi sembra giusto.<br />
Musica brutta che non concilia affatto la preghiera ce n'è sempre<br />
stata e non è una particolarità della musica moderna (ti ricordi che<br />
San Giovanni Bosco, celebrante, si addormentò durante una messa del<br />
Card. Cagliero, pur così tradizionale, e una musica che fa dormire sarà<br />
una buona ninna nanna ma non certo una buona musica sacra!). Può<br />
darsi che oggi ce ne sia di più, ma questo potrebbe attribuirsi al fatto<br />
che ci si trova in un momento di transizione in cui si sta cercando senza<br />
avere ancora trovato una forma precisa di musica sacra. Riguardo ai<br />
testi dei canti, invece, credo ci sia una ripresa, e se si possono trovare<br />
dei pezzi che «non fanno onore né al contenuto sacro né alla forma<br />
della lingua italiana, risultando in certi casi così sciatti, più a forma di<br />
slogan che di preghiera» 1, non si può dire che nel passato non si abbiano<br />
avute e in maniera anche più massiccia tali sciatterie.<br />
Avrei desiderato nei tuoi articoli, oltre alle affermazioni, delle<br />
esemplificazioni comprovanti gli asserti. Perché non sia tu a ritorcere<br />
a me questo rimprovero vorrei riprendere la questione da capo e con<br />
esempi giungere ad una maggior comprensione di questa dibattuta questione<br />
della musica sacra moderna.<br />
La musica sacra<br />
Che cosa è la musica sacra? Per evitare contestazioni riprenderò<br />
alla lettera la definizione e le precisazioni date dall'Istruzione Musicam<br />
l Paolo VI, «Osservatore Romano », 16 aprile 1971.<br />
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Sacram del 1967. Nel numero 4 si legge: «a) Musica sacra è quella che,<br />
composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà<br />
di forme; b) sotto la denominazione di musica sacra si comprende in<br />
questo documento il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna,<br />
la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi<br />
nella liturgia e il canto popolare sacro liturgico e religioso» 2.<br />
E nel n. 9 si aggiunge: «La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche<br />
nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito<br />
della celebrazione liturgica e alla natura delle singole parti, e non impedisca<br />
una giusta partecipazione dei fedeli».<br />
A questo punto è necessario fare un passo indietro e chiederci<br />
semplicemente che cosa sia la musica, senza aggettivi.<br />
La musica è una delle forme di espressione dei sentimenti dell'uomo,<br />
un modo di estrinsecare le componenti delle varie dimensioni<br />
dell'uomo, tra le quali vi è quella religiosa o del sacro. E come l'uomo<br />
esprime qualsiasi emozione o sentimento con la musica, può e deve<br />
esprimere nello stesso modo anche la sua dimensione religiosa. « Non si<br />
tratta più di delimitare e rispettare un ambito sacro nel mondano, si<br />
tratta di appropriarsene, penetrarlo e lasciarsi penetrare da esso, con<br />
disponibilità ed apertura, rimuovendo ogni brama di esclusività» 3.<br />
Ora ogni sentimento, ogni moto dell'animo: amore, odio, ira,<br />
benevolenza ..., ogni azione: preghiera, dichiarazione d'amore, supplica,<br />
invettiva hanno una loro forma particolare di espressione, sia nella<br />
forma letteraria che nell'espressione musicale. Come non si può esprimere<br />
nello stesso modo uno stato di odio e di amore, ma ogni singolo<br />
stato d'animo ha bisogno di un vocabolario, di un frasario, di forme<br />
sintattiche e stilistiche diverse, lo stesso, e in grado maggiore ancora,<br />
lo si deve dire della misuica. È qualche cosa di immanente che si estrinseca<br />
nella forma espressiva adatta in modo spontaneo: «L'arte che<br />
mira ad esprimere emozioni è nemica, per principio, della forma.<br />
2 Riguardo agli strumenti ammessi o meno nella liturgia l'Istruzione dice al n. 62:<br />
«Altri strumenti (oltre l'organo), poi, possono essere ammessi nel culto divino a giudizio<br />
e con il consenso dell'Autorità ecclesiastica territoriale competente, purché siano adatti<br />
all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del luogo sacro e favoriscano<br />
veramente l'edificazione dei fedeli ». Al n. 63: « Nel permettere l'uso degli strumenti musicali<br />
e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell'indole e tradizione dei singoli popoli.<br />
Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio comune, si adattano solo alla musica<br />
profa.n~, siano completamente estromessi da ogni azione liturgica e dai pii e sacri<br />
esercrzi ».<br />
3 D. SCHNEBEL, Musica Sacra ohne Tabus, in «Nelos » Zeitscbriit [ùr meue Musik,<br />
XXXV (1968), n. 10; trad. G. STEFANI, in Rivista Musicale Italiana, VI (1971) pago 1021.<br />
-70 -
Il modello tradizionale va stretto all'artista, come un abito comprato<br />
fatto» 4.<br />
Per questo dice lo Schnebel: «La musica sacra non ha bisogno<br />
di prescrizioni quanto ai mezzi da usare e neppure deve lasciarsi proibire<br />
l'uso di una qualsiasi tecnica compositiva. Essa può affidarsi senza angoscia<br />
alla spinta della musica, senza paura delle avventure» (O. c.,<br />
p. 1024).<br />
Non necessariamente però la musica sacrà può e deve essere al<br />
sommo della scala artistica. 10 riconosce anche l'Istruzione sulla musica<br />
sacra quando mette sotto questo denominatore comune: il gregoriano,<br />
la polifonia e il canto popolare religioso, che sono tipi diversi di musica<br />
sacra di valore diseguale. Dal punto di vista della sacralità saranno da<br />
considerarsi più valide non le forme artisticamente più elevate, ma<br />
quelle che più intensamente e immediatamente sono espressione della<br />
dimensione sacra.<br />
« La Costituzione conciliare - fa notare P. Marsili - pur tutta<br />
tesa ad una liturgia cantata quanto più possibile, non difende irrevocabilmente<br />
nessuna forma artistica a svantaggio delle altre. Se le forme<br />
nuove che si vanno istaurando non sono né tanto né poco - a giudizio<br />
dei musicisti di Chiesa - accettabili da un punto di vista artistico,<br />
la Costituzione non le difende nel campo dell'arte e le sopporta in attesa<br />
che diventino frutti più maturi. Ma se esse sono tali da permettere una<br />
partecipazione alla liturgia attiva, e spiritualmente adatte, nel pensiero<br />
della Costituzione sono ancora qualcosa di meglio di quella musica che<br />
artisticamente è un capolavoro e rappresenta una conquista, ma resta<br />
nell'antico solco di una liturgia che, spiritualmente è « piena di vuoto »5,<br />
Nello stesso tempo il Papa Paolo VI autorevolmente affermava:<br />
« Bisogna rendersi conto che una nuova pedagogia è nata dal Concilio:<br />
è la sua grande novità, e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli<br />
e poi sostenitori della scuola di preghiera che sta per cominciare.<br />
Può darsi che le riforme tocchino abitudini care e fors'anche rispettabili;<br />
può darsi che le riforme esigano qualche sforzo sulle prime non gradito.<br />
Ma dobbiamo essere docili ed avere fiducia: il piano religioso e spirituale<br />
che si è aperto davanti dalla nuova Costituzione liturgica è stupendo<br />
per profondità e autenticità di dottrina, per razionalità di logica<br />
4 HH. STUCKENSCHMIDT, LA musica del XX secolo, Ed. Saggiatore, Mondadori,<br />
1969, p. 30.<br />
5 D. MARSILI OSB, Tradizione preziosa ed esigenze nuove, Note sul Congresso Musicale<br />
di Assisi, in Rivista liturgica, 1965, n. 4, p. 501.<br />
-71-
cristiana, per ricchezza di elementi culturali e artistici, per rispondere ai<br />
bisogni e all'indole dell'uomo moderno. È ancora l'autorità della Chiesa<br />
che cosi ci insegna e cosi avalla la bontà della riforma» 6.<br />
Musica sacra di ieri e di oggi<br />
La domanda che sorge ora necessariamente è: la musica moderna<br />
è veramente una espressione della dimensione religiosa dell'uomo o non<br />
piuttosto, come citi tu: «una irrisione stolta e blasfema, fatta con suoni,<br />
rumori, sibili e urli orgiastici, di parole sacre che, nella maggior parte<br />
sono parola di Dio» per cui « si stenterebbe a credere che tale musica<br />
abbia potuto varcare le sacre soglie, quale mezzo di espressione religiosa<br />
e, peggio, di preghiera» 7; musica che «invece di favorire la buona<br />
educazione della gioventù, ne scuote il sistema nervoso, spinge all'isterismo<br />
e alla violenza, deprime lo spirito, esalta le passioni »8 poiché « l'importanza,<br />
la smania, e più spesso l'ignoranza hanno creato quelle Messe<br />
beat, o Messe ye-ye, o Messe a creatività spontanea, che hanno snaturato<br />
a poco a poco la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi, nelle<br />
musiche e nei canti »? 9.<br />
Per dare una risposta che non sia dettata da preconcetti, bisognerà<br />
considerare gli esempi pratici che confermano o negano le varie tesi.<br />
E gli esempi dovranno riguardare i testi e musica sacra tradizionale, te-.<br />
sti e musica sacra moderna folk e pop.<br />
T esti e musiche tradizionali<br />
Si presuppone spesso che nella musica sacra tradizionale le cose<br />
andavano bene. Il sublime gregoriano ha estasiato e spinto a pregare<br />
milioni di persone, aiutando infinite anime nella elevazione dell'anima<br />
a Dio, i grandi compositori di musica poli fonica sacra hanno raggiunto<br />
culmini ben difficilmente superabili: Palestrina, Perosi e centinaia di<br />
altri musicisti hanno scritto i loro nomi nella storia della musica. I grandi<br />
autori di musiche per organo ci hanno lasciato delle sonate, fughe, passacaglie<br />
che elevano l'anima « in alto sulle ali della preghiera nel mondo<br />
di Dio» 10.<br />
6 L'OSSERVATORE ROMANO, Per il Congresso musicale di Assisi, 14 gennaio 1965.<br />
7 I.Dr FULVIO, Musica Beat, in Not. Cist., IV (1971), p. 275.<br />
8 Ibidem.<br />
9 1. Dr FULVIO, La Messa dei giovani, in Not. Cist., IV (1971), 72.<br />
10 Ibidem.<br />
-72 -
Nessuno può negare a queste espressioni musicali il più alto valore<br />
artistico. Sono però altrettanto perfette sempre anche nel campo del<br />
sacro, del pio, del devoto, del buono, del santo?<br />
Prendiamo il gregoriano che pure a ragione è definito la musica<br />
sacra per eccellenza per l'immediatezza e la purezza con cui raggiunge la<br />
sfera del santo e dello spirito. Se consideriamo la forma melodica dei<br />
prefazi feriali, di alcune antifone, di alcune messe e in genere delle<br />
composizioni più antiche si deve dire che difficilmente si può avere<br />
musica più intimamente legata allo spirito, nella più limpida semplicità,<br />
che viene gustata in ogni tempo, oggi non meno di ieri (pensa al regista<br />
ateo Pier Paolo Pasolini che prende il motivo del Kyrie per il suo film<br />
« Il Vangelo secondo Matteo »). Ma anche la musica gregoriana ha avuto<br />
i suoi torti non come arte, sempre sublime ma come preghiera, come<br />
quando coll'arricchimento di forme melismatiche che accarezzano l'orecchio<br />
per la loro duttilità, varietà e ricchezza, ha soffocato la parola di Dio<br />
che doveva rivestire, facendo dimenticare il testo che invece doveva essere<br />
fortemente presente all'anima arante.<br />
Di Bach, il grande compositore di musica per organo, è stato scritto<br />
che « provocava talvolta un rumore spaventoso e, in base alla misura<br />
di allora nessun compositore del suo tempo ha scritto niente di più selvaggio<br />
e sconvolgente» 11. « L'ebbrezza musicale che è in pezzi come il<br />
"Sederunt Principes" di Pero tino doveva portare nel culto una sovreccitazione,<br />
quasi un erotismo sonoro. Più tardi le alchimie dell'Ars<br />
Nova contrabbandavano nella misuca liturgica testi profani e melodie<br />
mondane. Anche l'impiego degli strumenti ebbe agli inizi risonanze profane,<br />
associati com'erano alle musiche dei girovaghi da cui provenivano.<br />
Ancora più lontano dal sacro portarono le tecniche madrigalesche e l'arte<br />
espressiva della monodia. Per la verità ciò che era scandalo in principio<br />
diventò presto convinzione e finalmente, senz'altro, norma, cosicché<br />
la conclusione sacra venne a nascondere il principio dissacrante» 12.<br />
Questo va detto non per sminuire il valore e la grandezza della<br />
musica sacra che i secoli ci hanno tramandato, ma soltanto per evitare<br />
di farne un mito intoccabile, e ridurla nelle sue reali proporzioni.<br />
Se poi andiamo al canto popolare, che secondo la tradizione è parte<br />
della musica sacra, allora la veneranda tradizione non fa una figura eccelsa,<br />
sia che si considerino i testi, sia che si guardi alle melodie.<br />
Moltissimi testi sono privi di vigore umano, e sono amorfi sotto<br />
11 D. SCHNEBEL, Musica sacra..., 1022.<br />
12 Ibidem, 1021.<br />
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un profilo teologico. Sono testi che tutti ricordiamo per aver cantato infinite<br />
volte:<br />
Col riso dei cieli<br />
favella alla mente<br />
la tua sorridente<br />
virginea beltà<br />
E all'aure più miti<br />
del mese dei fiori<br />
favella nei cuori<br />
materna bontà;<br />
in cui le parole, le figure retoriche, il senso del brano stesso sono così<br />
sdolcinati da mostrarsi subito come parto di un romanticismo deteriore.<br />
E la musica che riveste queste parole serve solo, se possibile a renderle<br />
più dolciastre.<br />
Lo stesso si può dire dell'altre canzoncine alla Madonna:<br />
o del cielo gran Regina<br />
madre sei del bell'amor;<br />
la bontade tua divina<br />
chi non ama non ha cuor.<br />
Tu sei madre, tu sei sposa<br />
tu sei figlia del Signor,<br />
tu sei quella bianca rosa<br />
che innamora ogni cuor.<br />
E:<br />
o Madre al mite effluvio<br />
dei boschi imbalsamati,<br />
risuona nel tuo tempio<br />
l'eco degli inni amati.<br />
Nel nome tuo dolcissimo<br />
l'umano sdegno tace<br />
Regina della pace<br />
Regina dell'amor.<br />
Se per desio non sazio<br />
l'odio si fa più vivo<br />
porgi colomba candida<br />
il ramoscel d'ulivo.<br />
-74 -
nelle quali se i versi non sono molto più elevati, per contrappeso si ha<br />
melodia meno valida ancora.<br />
E chi non ricorda le orribili parole e la musica non superiore di:<br />
Quelle figlie, quelle spose,<br />
che son tanto tormentate,<br />
o Gesù voi che l'amate,<br />
consolatele per pietà,<br />
in cui non si sa bene chi siano quelle figlie e quelle spose che Gesù<br />
dovrebbero consolare, né da che cosa le deve consolare. E che dire delle<br />
strofette della novena di Natale:<br />
o quelle della novena dell'Immacolata:<br />
Le nostre preci accogli,<br />
Riparator divino,<br />
Caro Gesù Bambino, abbi di noi pietà;<br />
Immacolata, Madre d'amor,<br />
dolce rifugio al peccator,<br />
del paradiso porta sei tu,<br />
là ci vedremo col tuo Gesù,<br />
dove raramente si va oltre la pia invocazione, senza nerbo di pensiero<br />
o di dottrina teologica, con conclusione piuttosto banale imposta più dal<br />
ritmo e dalla rima che da una intima e sentita convinzione.<br />
E chi non ricorda le canzoncine delle Missioni, che dovevano perpetuare<br />
nei fedeli i sentimenti e i propositi suscitati dalla predicazione<br />
sacra, e lo facevano con parole come:<br />
Le mode mai più,<br />
chi segue la moda non segue Gesù;<br />
E balli mai più,<br />
chi va a ballare calpesta Gesù.<br />
Certo anche nelle canzoncine popolari tradizionali ce ne sono di<br />
valide dal punto di vista del testo e della melodia. Ma il voler canonizzare<br />
in blocco tutta la produzione tradizionale, significherebbe voler<br />
chiudere occhi e orecchie.<br />
75 -
Testi e musiche moderne<br />
Per contro, affermare che la produzione folk e pop, la musica<br />
abbia «snaturato la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi,<br />
nelle musiche e nei canti» è dire una cosa esagerata e quindi falsa.<br />
Potrà anche non essere una produzione eccelsa da un punto di vista<br />
dell'arte musicale, ma spessissimo è dignitosamente espressiva dei testi<br />
che, sono quasi sempre di gran lunga superiori ai testi delle canzoncine<br />
tradizionali, sia sin tatticamente che stilisticamente e per il contenuto spirituale<br />
e teologico.<br />
Un compositore moderno di musica classica ad un intervistatore<br />
che gli chiedeva: «Che cosa ne pensa di certe messe celebrate col commento<br />
della cosidetta musica pop, con chitarre elettriche, tamburi, batteria,<br />
ecc.? » rispose: «Certamente non è la musica che scriverei io, ma<br />
Cristo è venuto per tutti, anche per i cattivi musicisti» 13.<br />
Non che la musica moderna sia sempre esemplare e sempre possa<br />
essere considerata preghiera e quindi musica sacra. Essa è in fase di ricerca,<br />
di assestamento; e in questa condizione sono inevitabili gli errori.<br />
Però negare valore alla totalità di un movimento così vasto, così spirituale<br />
e sconvolgente come quello della musica moderna e modernissima,<br />
significa rinnegare l'evidenza.<br />
Per passare anche qui alle esemplificazioni, non consideriamo i<br />
testi scritturistici o quelli liturgici approvati dalla competente autorità<br />
religiosa, ma solo quelli di elaborazione personale e le musiche che li<br />
vivificano.<br />
Ecco una prima composizione: è una meditazione sul « rimetti a<br />
noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»:<br />
Perdoniamo ai prepotenti<br />
ai bugiardi, ai violenti,<br />
perdoniamo chi ci umilia,<br />
chi ci sfrutta e ci deruba.<br />
Perdoniamo chi 'ci odia,<br />
perdoniamo chi ci invidia,<br />
tutto il male che ci fanno<br />
li distrugge e non lo sanno.<br />
La musica di questo brano sottolinea il tono dimesso della meditazione<br />
sul tema del perdono. Si vuole perdonare ed amare, e lo si<br />
13 L. PINZAUTI, A colloquio con Mescsiaen, in Rivista Musicale Italiana, (1971), 1031.<br />
-76 -
canta con pacatezza non disgiunta da una certa forza, che fa sentire<br />
come il perdonare chi d tratta in quel modo non è cosa facile, ma richiede<br />
un grave sforzo alla natura.<br />
Un canto per la preghiera della sera dice:<br />
Ho lottato tanto in questo giorno,<br />
ho sofferto tanto in questo giorno,<br />
ne ho sentite tante, ne ha vedute tante<br />
in questo giorno.<br />
La musica pesante che si appoggia come spossata sul quel ' tanto',<br />
produce veramente in noi quel clima in cui spesso ci troviamo nelle<br />
ore di sconforto. Ma ad un tratto il movimento si fa leggero, si crea<br />
un altro clima ben diverso dal primo: un clima di serenità, di gioia<br />
di riposo:<br />
Ma ora voglio addormentarmi<br />
tra le tue braccia, o Signore,<br />
sicuro che domani sarà un giorno migliore.<br />
È terminata la Messa e l'assemblea si scioglie. Non lo fa con un<br />
respiro di sollievo, quasi esclamando: finalmente è finita. Si sente invece<br />
la gioia di aver trascorso con Cristo e i fratelli un momento di comunione,<br />
e con la certezza che quella Messa non è finita, ma la portiamo<br />
con noi fuori della Chiesa con il Cristo che abbiamo mangiato e la sua<br />
parola che abbiamo ascoltato. Nella melodia due sono i sentimenti sottolineati<br />
con estrema chiarezza: gioia incrollabile e fede ferma in<br />
quello che si è fatto:<br />
La Messa è finita, ma Cristo rimane con noi,<br />
con noi nella vita. La Messa è finita.<br />
La Parola che abbiamo ascoltata è con noi;<br />
La gloria che abbiamo cantato è con noi;<br />
Il pane che abbiamo mangiato è con noi.<br />
La Messa è finita, ma Cristo rimane con noi.<br />
Non mancano le composizioni in onore della Madonna. In una di<br />
queste dopo che un solista ha recitato il brano che narra come Gesù<br />
-77 -
sulla Croce abbia consegnato Maria a Giovanni e Giovanni a Maria,<br />
continua:<br />
Sei tu la madre,<br />
che Gesù ci ha dato,<br />
una madre per la sua Chiesa,<br />
una madre per il popolo suo,<br />
poi con grande slancio espresso in modo suggestivvo dalla musica:<br />
Vieni, Maria, la nostra casa è tua;<br />
Vieni, vieni, la nostra casa è tua.<br />
per terminare poi con espressioni di gioiosa fiducia nella sua materna<br />
protezione, lei la madre di Gesù, madre nostra o intermediaria per<br />
noi presso Dio:<br />
Noi non saremo mai abbandonati,<br />
perché abbiamo te la madre nostra,<br />
perché abbiamo te che preghi per noi.<br />
Un'alta composizione esprime l'atto di umilità della creatura dinnanzi<br />
a Dio e la sua offerta totale a lui. La musica delicatissima nella<br />
prima parte, prende un tono di dolore che sottolinea bene il senso<br />
della propria nullità se ci stacchiamo, come troppo spesso accade da Dio:<br />
lo non sono degno di ciò che fai per me,<br />
tu che ami tanto, uno come me.<br />
lo non ho nulla da donare a te,<br />
ma se tu lo vuoi, prendi me.<br />
Sono come la polvere spazzata dal vento,<br />
sono come la fiamma che il fiato disperde<br />
sono come la canna sbattuta dall'uragano,<br />
se tu Signore non sei con me.<br />
Lo spazio limitato non mi permette di continuare questa esemplificazione<br />
che mostra come la musica anche la più moderna e non tradizionale,<br />
né nei suoi testi, né nelle sue melodie sia da considerarsi solo<br />
solo come un impoverimento nel canto della musica sacra.<br />
-78 -
Il «J esus Movement»<br />
La musica è sacra se è espressione autentica della dimensione religiosa<br />
dell'uomo, del suo bisogno di Dio, del suo amore per il Cristo,<br />
la Vergine, i Santi.<br />
Voglio per questo terminare questa mia già troppo lunga lettera,<br />
con un brevissimo accenno a quel movimento che è carismatico e spirituale<br />
del [esus Movement, che tanta parte dà all'espressione musicale<br />
nell'ambito del sacro.<br />
Leggo in un rapporto di questo Movimento, ch è sorto nel Nuovo<br />
Mondo, e sta guadagnando la vecchia e disincantata Europa: «Quando<br />
si scava nel rinnovamento spirituale che scuote la cultura giovanile nel<br />
nostro paese (Stati Uniti) nel [esus Movement con la sua evangelizzazione,<br />
i suoi rock-festivals per Gesù, i suoi studi biblici e la sua nuova<br />
musica religiosa trasmessa da tutte le stazioni ((pop ", è come quando<br />
un aereo entra in una zona di tempesta. Ci si sente rivoltati sottosopra,<br />
sbalzati in su e in giù, costretti a cercare continuamente un punto di<br />
riferimento. Ci si sente straziati dalla forza con cui penetra in noi e non<br />
si capisce come mai ci si senta alternativamente innalzati e inabissati» 14.<br />
In questo Movimento « Gesù non è soltanto uno slogan o un tema<br />
prediletto nelle parate di successo. Gesù è vivo e presente. È lo spirito<br />
che lo ha fatto penetrare nel Movimento in tutti i settori della vita<br />
americana » 15.<br />
Di questo Movimento esiste pure un rapporto fatto all'episcopato<br />
americano dal Vescovo di Lansing nel Michigan, monsignor Alexander<br />
Laleski. In esso si afferma: «Nella Chiesa cattolica la reazione a questo<br />
Movimento sembra una reazione di prudenza e di disagio... Si deve<br />
ammettere che teologicamente il Movimento ha la sua legittima ragione<br />
di esistenza. Ha solide basi bibliche. Sarebbe difficile impedire l'opera<br />
dello Spirito che si è manifestato in modo così abbondante nella Chiesa<br />
primitiva ».<br />
Conclusione<br />
Ed eccomi giunto alla fine. La conclusione a cui dobbiamo giungere<br />
è espressa in modo esatto dalla citazione del Milles che poni alla<br />
fine del tuo ultimo articolo: «A tenerci vivi sono gli uomini di fede,<br />
14 Cfr IDOC 3 (1972), 18, [esus People Report circa il [esus Movement.<br />
15 Ibidem.<br />
- 79-
gli uomini Iungimiranti. Essi sono come i germi vitali nell'eterno processo<br />
dell'avvenire. Largo, dunque a coloro che danno la vita ».<br />
La vita, che è creazione, novità continua, tensione in avanti nella<br />
creazione del futuro, senza rinnegamento del passato, ma anche senza<br />
sterile ripiegamento su di esso.<br />
La vita progredisce e se non vogliamo fossilizzarci rendendoci sale<br />
insipido e inutile, dobbiamo insenrci nel suo flusso vitale.<br />
Sempre tuo<br />
P. MALACHIA FALLETTI, O. CISTo<br />
- 80-
Quaranta giorni in Etiopia<br />
14 novembre - 20 dicembre 1971<br />
14 novembre 1971 - Sono trascorse meno di cinque ore da quando<br />
ci siamo levati in volo sul cielo di Roma: È ancora notte fonda.<br />
Attraverso gli oblò scorgiamo a terra alcune luci che muovono velocemente<br />
contro di noi: è la città di Asmara. L'aereo vira lentamente e<br />
si posa con dolcezza sulla pista dell'aeroporto: il nostro battesimo dell'aria<br />
è avvenuto senza emozioni. Peccato! - dice qualcuno - speravo<br />
tanto in un dirottamento!<br />
L'aria nebbiosa del novembre romano ha lasciato il posto, qui,<br />
ad un'atmosfera limpida e fresca. Mentre vengono espletate le pratiche<br />
doganali di rito, all'esterno dell'aeroporto si è riunita una piccola folla<br />
in attesa. Notiamo alcune tonache bianco-nere: ci salutiamo attraverso le<br />
ampie vetrate. È questo il nostro primo contatto con i cistercensi<br />
d'Etiopia. Ma vediamo anche altri amici: hanno fatto una levataccia<br />
per venire a darci il bene arrivati.<br />
In monastero i nostri confratelli ci accolgono con grande calore.<br />
Nella vasta sala a pianterreno ci sono tutti, più di cinquanta persone,<br />
·i monaci nelle loro bianche cocolle, i seminaristi in candide tarcisiane<br />
listate di rosso. I posti di riguardo sono riservati a noi, ospiti che veniamo<br />
di là dei cieli. E cominciano i canti di saluto, accompagnati dal<br />
ritmo dei tamburi e dal frinire dei sistri.<br />
Poche parole di saluto da parte del P. Priore. Poche parole di risposta<br />
da parte dell'Abate Preside. E andiamo a prender posssesso<br />
delle nostre stanze per un po' di toletta.<br />
Avrei bisogno di dormire perché in aereo non ho chiuso occhio.<br />
Ma preferisco farmi accompagnare sul terrazzo del monastero. La luce<br />
del mattino dilaga sovrana. Voglio vedere subito l'Africa, il mio sogno<br />
di sempre.<br />
Ma Asmara è troppo europea. L'Africa verrà nei prossimi giorni.<br />
16 novembre 1971 - Il vero volto dell'Africa, in tutta la sua crudezza,<br />
comincia a venirci incontro oggi, quando a bordo della nostra<br />
auto lungo novanta chilometri di tornanti, scendendo da Asmara a<br />
Cheren, vediamo i primi volti tristi di bambini e bambine di sette, otto,<br />
dieci anni, che custodiscono greggi di pecore e mandrie di bestiame:<br />
mandrie e greggi rischiano ogni giorno la morte per fame sulle riarse<br />
-81-
petraie eritree; bambine e bambini tacitano momento dopo momento il<br />
loro stomaco affondando le manine sudice in un più sudicio cencio<br />
che custodisce un pugnetto di orzo abbrustolito, misero viatico della<br />
intera giornata.<br />
Mentre l'auto abborda uno dei tornanti più stretti, faccio un rapido<br />
conto mentale: se ogni bimbo italiano sacrificasse dieci lire al giorno<br />
potremmo dare a tutti i bambini etiopici duecento grammi di pane quotidiano.<br />
Una nuova luce brillerebbe in tanti occhi spenti.<br />
A Cheren ci accolgono battendo le mani e con ampi sorrisi di<br />
gioia i nostri confratelli e i trentatre seminaristi schierati in bel ordine<br />
lungo i viali del parco che è un tripudio di fiori e di vegetazione lussureggiante.<br />
Il nuovissimo seminario che si sviluppa su una lunghezza di circa<br />
cinquanta metri, troneggia su tutta la cittadina alto come un grattacielo.<br />
Un edificio così monumentale ci sembra stridere un po' violentemente<br />
con le dimesse dimore che gli stanno accovacciate attorno,<br />
specialmente oggi che si cerca di cancellare ogni traccia di trionfalismo.<br />
Manifestiamo discretamente le nostre perplessità ad un confratello<br />
di colore. Tutt'altro! - ci risponde - Gli abitanti di Cheren<br />
sono orgogliosi di quest'opera che torna ad onore della loro città. Anche<br />
il prestigio della nostra famiglia religiosa è cresciuto. E quando c'è prestigio<br />
è più facile far presa sul loro animo.<br />
Beati loro! La contestazione è ancora di là da venire.<br />
L'anno scorso, ci raccontano, un vecchietto del posto fu invitato<br />
a visitare l'interno del seminario. Dopo aver salito l'ampio scalone che<br />
dal piano soprelevato conduce ai due luminosi corridoi superiori, chiese<br />
timidamente di vedere l'oro, l'oro e le pietre preziose che assieme a<br />
tanti altri tesori i bianchi adoperano per ornare le loro case. E quando<br />
gli fu detto che né gli europei né gli americani nascondono oro nelle<br />
loro abitazioni, rimase deluso e anche un po' scettico.<br />
Un'altra persona fu sorpresa ad ammirare estatica il luccichio dei<br />
granelli di sabbia sulla facciata di un palazzo: credeva che con la calce<br />
fosse impastata anche polvere di oro.<br />
17 novembre 1971 - Ieri a tavola ci lamentammo bonariamente<br />
perché finora non abbiamo visto che le solite vivande, cucinate più o<br />
meno male secondo lo stile di tutti i nostri monasteri. Roba vostra vogliamo<br />
- dicemmo - roba d'Africa.<br />
Oggi ci hanno accontentato. Troviamo in tavola una specie di<br />
-82 -
polenta, fatta con farine finissime di cereali diversi, e abbondantemente<br />
condita. lo sono particolarmente goloso di tutti i purés e di tutte le<br />
polente. Mi guardano negli occhi, se ne accorgono, ma mi consigliano<br />
di assaggiarne un pochino sulla punta della forchetta. Rimango fortemente<br />
deluso.<br />
A tavola con noi c'è un padre non ancora anziano, rettore del seminario.<br />
Quando era in Italia, studente di liceo alla Certosa di Firenze,<br />
mi disse un giorno: In Italia c'è dell'insalata buonissima; peccato che<br />
abbiate il cattivo gusto di sciuparla con l'olio e con l'aceto. Ora, vorrei<br />
io domandargli perché essi guastano la loro bellissima polenta, mescolandole<br />
una certa specie di burro che blocca lo stomaco. Si tratta dello<br />
stesso burro che le donne usano per ungersi i capelli.<br />
Assaggiamo anche la 'ndjerà, il pane locale. A vederla, sembra<br />
trippa. Solo che la 'ndjerà è più scura e si strappa con le mani. Trippa<br />
e 'ndjerà sono ugualmente sottili, ugualmente soffici, ugualmente bucherellate<br />
come un favo d'api. La 'ndjerà si ottiene da farina lievitata per<br />
tre giorni e cotta a fuoco rapido in larghe teglie di rame. Francamente,<br />
preferisco i nostri panini croccanti.<br />
Ma ci dànno anche lo dzighinì, il piatto nazionale, il cibo delle<br />
grandi feste: si tratta di abbondanti porzioni di pollo e altre carni che,<br />
mescolate a uova sode intere, danzano in una salsa quasi rossa, condita<br />
con varie spezie, ricca di berberè e di peperoncino, talmente piccante<br />
da ustionare lingua e palato. È senza dubbio, un piatto prelibato, un<br />
cibo forte, da grandi mangiatori, forse non del tutto adatto al delicato<br />
stomaco dei visi pallidi.<br />
18 novembre 1971 - Partiamo in land-rover per Barentù e per<br />
il Bassopiano Occidentale, una vasta e fertilissima zona dell'Eritrea<br />
che confina col Sudan ed è irrigata da grandi corsi d'acqua.<br />
Seguiamo la strada dei cereali, così chiamata perché è proprio dal<br />
Bassopiano Occidentale che ogni giorno partono lunghe colonne di autotreni<br />
(tutti di marca italiana) carichi di cereali, diretti ad Asmara e all'Altopiano.<br />
Le dimensioni del rimorchio sono studiate in modo che nel<br />
vaggio di ritorno il rimorchio stesso può agevolmente essere caricato sulla<br />
motrice, con evidente risparmio di gomme. Date infatti le condizioni non<br />
proprio ideali della rete stradale, l'usura delle gomme è la spesa che assilla<br />
maggiormente quanti possiedono un'auto o un camion.<br />
Per i primi cento chilometri il nostro land-rover ruzzola tranquillo<br />
sull'asfalto che ci accompagna fino ad Agordat. Poco oltre Agordat<br />
l'asfalto cede il posto ad un ampio stradone in terra battuta, poco terra<br />
- 83-
e poco battuta perché la sede stradale è coperta da uno spesso strato<br />
di ghiaia grossa e tagliente. Ad ogni sussulto temiamo di aver le gomme<br />
a terra. Arriviamo invece a Barentù verso le ore Il,00 senza incidenti<br />
di sorta. Ci rechiamo a salutare Padre Ilarino, superiore della Missione<br />
dei Padri Cappuccini. Lo troviamo nel cortile che con autorità impartisce<br />
disposizioni a destra e a manca. Stentiamo a capire se si tratta<br />
di un etiope o di un italiano. Il colore della pelle potrebbe quasi dirci<br />
che è un etiope. La sua sagoma, invece, il perfetto italiano che egli<br />
scandisce con cadenza lombarda, il modo di agire, l'abbondante sudore<br />
che gli imperla il viso largo, le sue reazioni psicologiche sono tipiche di<br />
un italiano. Ci prenotiamo per la cena e il pernottamento. Siamo pronti<br />
- ci risponde - vi accoglieremo a braccia aperte; anche ora per pranzo:<br />
prepariamo tutto in mezz'ora.<br />
Ma preferiamo proseguire subito: ci attendono cinquanta chilometri<br />
di pista appena tracciata nel folto della boscaglia. Cinquanta<br />
chilometri di pista che durano due ore e mezza. E arriviamo a Documbìa,<br />
città sede di distretto: molte capanne di stoppie, qualche casupola<br />
di legno e fango, un grande ma disusato magazzino per il tabacco, un<br />
vecchio molino gestito da un pescarese, e ai bordi dell'abitato la casabaracca<br />
di un altro italiano, titolare di una concessione agricola fiorente<br />
che egli vorrebbe cedere ai nostri confratelli di Asmara. Ma come fare?<br />
Documbìa è troppo lontana da Asmara. E poi, ci vogliono tanti soldi!<br />
Noi osserviamo, ascoltiamo, e riferiamo agli organi competenti cui spetta<br />
la decisione.<br />
19 novembre 1971 - Ieri sera, prima di andare a letto ci hanno imbottito<br />
di pastiglie di chinino, perché la zona di Barentù è tuttora fortemente<br />
malarica. Questa mattina, accanto alla Chiesa vediamo le tombe<br />
dei primi tre superiori della missione di Barentù, tre cappuccini lombardi<br />
morti di malaria intorno alla fine del secolo scorso.<br />
Penso che se il Signore pretende simili tributi per benedire le<br />
nostre fatiche apostoliche, noi siamo ancora largamente in debito con lui.<br />
La nostra concelebrazione nella chiesetta della missione è un<br />
avvenimento solenne per tutta la non numerosa comunità cattolica di<br />
Barentù. Sono presenti anche le suore italiane con il loro educandato al<br />
completo: cinquanta ragazze cunama in uniforme civettuola, che cantano<br />
melodie occidentali su parole della loro lingua; ne vien fuori un effetto<br />
stranissimo; avrei preferito tamburo e sistri. Servono all'altare tre ragazzoni<br />
dritti come fusi, tre statue d'ebano dai denti bianchissimi e dagli<br />
occhi mobili e lucenti; quando sorridono, il loro viso è un incanto.<br />
- 84-
Dopo la Messa domando loro come si chiamano: Mario, Pio, Bonaventura,<br />
mi rispondono. Sul sagrato incontriamo una ragazzetta. Padre<br />
Ilarino le domanda come si chiama. Ed ella risponde: Vuoi sapere il<br />
mio nome cristiano' o il mio nome cunama?<br />
Sono bravi questi cappuccini! Hanno insegnato l'italiano anche<br />
alla gente del paese. E sono ricchi di fantasia! I cunama, pagani, sono una<br />
popolazione buona e mite, accolgono volentieri il messaggio evangelico<br />
e ne seguono i precetti con entusiasmo. Ma sono incostanti. Per ovviare<br />
a questo difetto i missionari hanno istituito un educandato femminile<br />
affidandolo alle suore, e hanno ritenuto per sé la scuola maschile.<br />
Suore e padri provvedono alla formazione cristiana, ad una solida istruzione<br />
dei giovani, e favoriscono matrimoni tra alunni e alunne. Le famiglie<br />
che nascono cosi sono piu stabili, ed è meglio assicurata l'educazione<br />
dei figli.<br />
Consumata frettolosamente una modesta colazione, Padre Ilarino<br />
si offre per accompagnarci a vedere la grande azienda agricola che i<br />
missionari cappuccini gestiscono a Bimbilnà, quaranta chilometri da<br />
Barentù. Accettiamo con piacere.<br />
Aziende agricole modello sono numerose anche in Italia. Ma in<br />
Italia non è possibile vedere, sulla medesima pianta, fiori, frutti acerbi<br />
e frutti pronti per essere colti. Questi miracoli sono possibili solo<br />
nel Bassopiano Occidentale e in poche altre zone dell'Africa dove il<br />
clima è perennemente caldo e l'acqua di irrigazione è abbondante.<br />
A due chilometri dall'azienda i missionari hanno costruito un<br />
delizioso paesino. Le abitazioni hanno conservato la forma piramidale<br />
delle capanne di stoppie, ma sono interamente costruite in muratura e<br />
assomigliano ai famosi «trulli» di Alberobello. Padre Ilarino ci indica<br />
la macelleria, il forno, il bar, il negozio di generi diversi, ecc., il<br />
tutto gestito in proprio da indigeni cunama.<br />
In cima al poggio sorge la chiesa della missione, officiata da<br />
un giovane padre eritreo, laureatosi in filosofia qualche anno fa all'Università<br />
Gregoriana di Roma. Credevo di essere condannato ad insegnare<br />
logica per tutta la vita - ci dice - e invece, eccomi qui tra<br />
i nostri cari cunama!<br />
Davanti alla chiesa si apre un vasto piazzale, e al centro del<br />
piazzale una grande vasca di cemento e un tubo da due pollici che,<br />
alimentato dai motori dell'azienda, vomita acqua per ventiquattrore al<br />
giorno. Due ragazzette si tolgono le loro vesticciole, le lavano alla fontana,<br />
le stendono su uno steccato e rimangono lì, quasi nude, ad aspet-<br />
- 85-
tare che i loro cenci siano asciutti: senza fretta, senza il rrummo Imbarazzo.<br />
Del resto, fa tanto caldo: perché vestirsi?<br />
Montiamo in auto per tornare a Barentù. Padre Ilarino suda<br />
come la fontana della missione. Ma afferra imperterrito il volante e<br />
non cessa mai di parlare. Ci spiega tutto. Ci dice anche che una cosa è<br />
imparare il mestiere del missionario sui banchi delle università italiane<br />
e un'altra cosa è fare il missionario tra i cunama del Bassopiano<br />
Occidentale. Come si fa, per esempio - ci dice - a far capire ai<br />
cunama che non si può rubare la roba d'altri? Il giovanotto cunama deve<br />
rubare per forza, altrimenti non ha diritto ad impalmare la sua bella;<br />
e quanto più consistente è stato il suo colpo, tanto maggiore sarà la dote<br />
che egli potrà pretendere dai futuri suoceri! Poi. .. potrà anche restituire<br />
il mal tolto, magari raddoppiato. Ma prima deve rubare!<br />
Padre Ilarino blocca l'auto e ci mostra due pietre nere piantate<br />
per ritto su un muretto. Sono Adamo ed Eva - soggiunge -. I eunama<br />
sono pagani, ma hanno l'idea abbastanza precisa di un Dio spirituale,<br />
venerano Adamo ed Eva e onorano i defunti; credono quindi,<br />
almeno vagamente, che l'anima è immortale.<br />
Poco dopo mezzogiorno siamo di nuovo a Barentù. Abbiamo deciso<br />
di proseguire immediatamente per Agordat, dove possiamo mangiare<br />
qualcosa in un locale gestito da un veronese; desideriamo essere<br />
a Cheren molto prima del tramonto.<br />
Ma chi ve lo fa fare?! - dice Padre Ilarino - Scendete, pranzate<br />
con noi, e poi fate quel che volete.<br />
22 novembre 1971 - Nel primo pomeriggio si riparte da Cheren<br />
per tornare ad Asmara. I novanta chilometri che ci portano da quota<br />
1300 a quota 2400 non preoccupano granché. Ma il nostro lasciapassare<br />
scade improrogabilmente alle ore 18,00: in caso di ritardo ci vedremo<br />
costretti a passare la notte a bordo della nostra auto fino alle ore 6,00<br />
del mattino. E potrebbe capitarci anche qualcosa di peggio!. ..<br />
E poi, strada facendo, abbiamo in programma una deviazione fino<br />
a Belesà per conoscere quella che fu la prima sede dei primi monaci<br />
cistercensi in Etiopia, la casa legata alla venerata memoria del pioniere<br />
Padre Anselmo Vitali. Fu a Belesà che una notte del 1944 il grande<br />
cuore di Padre Anselmo si fermò di schianto. In quei giorni, l'avvenire<br />
delle missioni cistercensi d'Etiopia si trovò legato ad un filo tenuissimo:<br />
un nulla avrebbe potuto troncarlo. Ma in cielo, un angelo in più vegliava<br />
per realizzare quel che invano aveva perseguito in vita.<br />
Siamo ormai in vista di Belesà. Quei quattro anni fra il 1940 e il<br />
- 86-
1944, ci raccontano i nostri confratelli etiopi, furono la prova del fuoco<br />
per la nuova missione. Erano gli anni della guerra. Le comunicazioni<br />
con l'Italia erano irrimediabilmente cessate. Non si trovava neppure il<br />
vino necessario per la celebrazione della Messa. Le tonache dei monaci,<br />
confezionate con tela di lenzuola, erano tutte una toppa. Padre Anselmo<br />
aveva racimolato uno sparuto gregge di caprette, affamate non meno. dei<br />
loro padroni. Gli stessi monaci le conducevano al pascolo e le mungevano,<br />
con grave scandalo degli indigeni (in Etiopia non si mungono né<br />
capre né pecore); gli stessi monaci andavano a vendere il latte lungo<br />
la strada, prima ai soldati italiani, poi ai soldati inglesi. Che fame in<br />
que giorni - ci dice un confratello che allora era giovane seminarista -<br />
che fame! Eppure, mai abbiamo messo in discussione la nostra vocazione!<br />
Siamo a Belesà. L'auto non può salire fino in cima alla collina secca<br />
e riarsa: non c'è strada. Lungo il sentiero scabroso ci viene incontro<br />
vociando e ridendo uno sciame di ragazzette etiopi, con negli occhi tanta<br />
felicità; tra loro c'è anche una bambina bianca, anzi bionda come una<br />
spiga di grano, in pantaloncini rosso-fuoco, colle treccine lunghissime<br />
che gli scendono sulle spalle; sembra un cuor solo e un'anima sola con le<br />
sue amichette nere, e ride beata. È la figliola del pastore protestante<br />
svedese. Ci viene incontro la mamma, una giovane signora distinta, e ci<br />
invita nella graziosa villetta prefabbricata. Con alcune frasi del nostro<br />
inglese terribilmente faticato, riusciamo a dire di essere i confratelli dei<br />
missionari cattolici che risiedevano a Belesà prima dell'ultima guerra.<br />
« Non prima, corregge la signora, ma durante la guerra ». Ha ragione.<br />
Nell'uscire di casa incontriamo anche il pastore, appena tornato da<br />
Asmara. Ai piedi della collina un branco di ragazzi ci chiedono qualche<br />
spicciolo. Molti anziani, invece, ricordano con venerazione gli anni duri<br />
di Padre Anselmo. Si rimonta in auto con una grande tristezza nell'animo.<br />
Domani mattina andremo a pregare sulla tomba di Padre Anselmo,<br />
nel cimitero di Asmara.<br />
2 dicembre 1971<br />
L'Etiopia non ha bisogno di nulla, né dall'Europa né dal resto<br />
resto del mondo. Non è l'Europa che deve aiutare l'Etiopia: è invece<br />
l'Etiopia ad avere tante ricchezze naturali da poter con esse aiutare<br />
l'Europa e altre nazioni bisognose. Di una sola cosa hanno bisogno gli<br />
etiopi: che si insegni loro a lavorare.<br />
Così ci diceva Abbà Joannès mentre ci guidava attraverso le sue<br />
piantagioni di caffè nella foresta di Bonga. Ma chi è Abbà Joannès?<br />
È un prete che consacra la sua vita all'assistenza spirituale di quanti<br />
- 87
abitano la foresta vergine nei dintorni di Bonga. Il tempo libero lo<br />
dedica a promuovere la coltura del caffè, che nella zona cresce spontaneo.<br />
La sua azienda produce anche ananas, banane, agrumi, miele.<br />
Il miele! Sapete come si fa a produdo? Semplicissimo: gli indigeni<br />
scelgono un tronco dal diametro di 30-40 centimetri, ne tagliano una<br />
parte lunga circa mezzo metro, la svuotano all'interno, ne tappano con<br />
fango tutte le aperture all'infuori di uno stretto foro; si arrampicano come<br />
scoiattoli sul ramo più alto dell'albero più alto (30 metri, non di<br />
rado) e ve la appendono. Le api ne prendono possesso immediatamente<br />
e cominciano infaticabili il loro lavoro. Alla stagione opportuna il troncoalveare<br />
è pieno di miele squisito, che si consuma così, misto alla cera<br />
vergine, servendosi di uno stecchino o, meglio, delle mani, senza dimenticare,<br />
alla fine, di leccarsi voluttuosamente le dita. Così lo gustammo<br />
noi, nella capanna di Abbà Joannès; e col miele anche le arance della<br />
foresta, e le banane. E gustammo, inutile dirlo, anche il caffè della foresta,<br />
che è meno cremoso di quello dei nostri bar, ma molto più profumato.<br />
Lo si prepara in un caratteristico bricco, nel cui beccuccio si infila<br />
una specie di tappo fatto con peli della coda di bue: è un filtro<br />
eccellente. .<br />
Oh, la mia foresta! - ci diceva Abbà Joannès tra una banana e un<br />
sorso di caffè - La foresta è il mio paradiso terrestre. Che pace! Qui<br />
si capisce che cosa era la felicità di Adamo ed Eva. Qui si gusta la<br />
vera felicità! Agli uomini d'affari delle nazioni civili io prescriverei<br />
un anno di foresta ogni cinque anni di lavoro. Guarirebbero da tutti<br />
i loro mali. E il mondo diventerebbe più buono. E nel Paradiso, può<br />
Dio averci preparato qualcosa di meglio? lo desidero che il mio Paradiso<br />
sia una foresta.<br />
Partiti da Mendida ieri mattina di buonora, eravamo arrivati a<br />
Bonga a sera inoltrata dopo un viaggio di 650 chilometri attraverso<br />
steppe interminabili e aride montagne. Sapevamo che a Bonga avremmo<br />
trovato una natura del tutto diversa. Ma questa mattina, quando ci<br />
siamo levati, abbiamo goduto una festa di luce e di verde che supera<br />
ogni immaginazione. L'amore di Abbà Joannès per la foresta è ben<br />
giustificato.<br />
Siamo ospiti presso la missione dei Padri Lazzaristi olandesi.<br />
Uno di loro è stato, in patria, alunno dello studio teologico dei <strong>Cistercensi</strong><br />
di Marienkroon. Un altro ha studiato a Roma per due anni e<br />
parla un buon italiano. Appassionato di elettricità e di meccanica, ha<br />
costruito la turbina elettrica che fornisce energia sufficiente alla missione<br />
- 88-
e alla cittadina; tutto il macchinario proviene da Pistoia. Gli etiopi<br />
sono molto intelligenti - ci dice - bisogna spronarli.<br />
Un altro missionario lazzarista, il più giovane, alto e grassoccio,<br />
un vero olandese, dà lavoro, a 20 chilometri da Bonga, ad un sacco<br />
di gente in una azienda di 500 ettari coltivata esclusivamente a mais.<br />
Andiamo a trovarlo. Ci accoglie come fratelli, introducendoci nella sua<br />
casa: le pareti sono ornate da innumerevoli riproduzioni di vascelli olandesi<br />
dei tempi d'oro, quando la flotta olandese contendeva agli inglesi<br />
il primato dei mari. Nel cortile dell'azienda notiamo un basso mulino a<br />
vento con le pale in leggero movimento. Gli facciamo notare che se<br />
fosse più alto, svilupperebbe maggiore energia. Macché, macché<br />
ci risponde - quello non tira niente, serve solo a « fare Olanda ».<br />
Poi ci racconta che ieri gli hanno portato un indigeno dopo un<br />
viaggio di dodici ore nella foresta, su una barella fatta di rami intrecciati:<br />
un cinghiale ferito gli aveva azzannato una coscia producendogli<br />
una lacerazione lunga 30 centimetri. L'ho ripulito alla meglio - continua<br />
il missionario - gli ho imbottito la ferita di antibiotici, e con un<br />
ago l'ho ricucito nel miglior modo possibile. No, no - conclude - sono<br />
sicuro che non morirà.<br />
Poco prima avevamo osservato un altro missionario che sellava<br />
un muletto abissino: Vado a far visita alla mia parrocchia - ci aveva<br />
detto - arriverò nel tardo pomeriggio.<br />
6 dicembre 1971 - Questa mattina si respira aria di festa a Mendida.<br />
I seminaristi hanno indossato gli abiti belli e i sandali nuovi. Il mercato<br />
del paese, che raduna settimanalmente anche gli abitanti dei<br />
villaggi vicini, è più animato del solito. I padri della comunità sono tutti<br />
indaffarati. Al1e ore 11.00 arriva da Addis Abeba il Console d'Italia<br />
per l'inaugurazione ufficiale dell'edificio scolastico costruito dai missionari<br />
col generoso contributo di vari Enti internazionali di Assistenza.<br />
I brevi discorsi di occasione sono seguiti da una abbondante<br />
distribuzione di bibite e biscotti che fanno tutti felici, specialmente i<br />
più piccoli.<br />
Quando ormai la cerimonia volge al termine, un anziano notabile<br />
del paese chiede timidamente di parlare. P. Lukas traduce in italiano<br />
frase dopo frase. Viene rievocata tutta la storia della missione di Mendida.<br />
E poi:<br />
... eravamo abbandonati, ora Mendida fa invidia ai paesi vicini;<br />
non avevamo strade, ora abbiamo una bella strada che ci unisce a<br />
Debré Berhàn, e un'automobile dei missionari è a nostro servizio di<br />
- 89-
giorno e di notte; le nostre capanne erano misere e senza protezione,<br />
ora abbiamo imparato a costruire belle case con porte e finestre; nessun<br />
paese ha la luce elettrica, le case di Mendida hanno la luce elettrica;<br />
per macinare i cereali e comperare l'olio andavamo al mercato di altri<br />
paesi, ora gli abitanti degli altri paesi vengono al mercato di Mendida;<br />
i nostri malati morivano senza cure, ora sono curati nel dispensario<br />
della missione; il governo ha costruito una grande scuola elementare<br />
per i nostri figli, ora i missionari hanno costruito questa scuola per<br />
gli studi superiori. Tutti gli abitanti di Mendida usano la mia voce<br />
per ringraziare i missionari, e pregano Dio che li aiuti sempre.<br />
Al termine di questo discorso, così carico di incanto orientale, il<br />
Console d'Italia commenta: Ho ascoltato con commozione le parole<br />
dell'antica saggezza.<br />
Si passa quindi a visitare il nuovo edificio, che, costruito in cima<br />
a un leggero poggio non distante dalla missione, si staglia nitido contro<br />
il cielo azzurro. Oltre alle aule per la settima e per la ottava classe<br />
(corrisponden ti press' a poco alla nostra scuola media dell'obbligo) l'opera<br />
comprende vari locali sussidiari e una grande sala, modernissima (un<br />
salone come questo vorrei averlo anche io al Consolato, dice il Console<br />
ammirato), che sarà molto utile per sviluppare varie attività assistenziali.<br />
I nostri missionari vorrebbero offrire una minestra calda agli alunni<br />
della scuola governativa che, venendo da lontano, non possono tornare<br />
a casa prima di sera. Per essi è pronta anche una macchina per proiezioni<br />
cinematografiche: chi sa che festa! l.<br />
6 dicembre 1971 - Nel nostro monastero di Mendida (160 chilometri<br />
a nord di Addis Abeba) arriva un giovane italiano, sergente maggiore<br />
dell'Aviazione militare: il signor Orsini. Egli fa parte di una organizzazione<br />
che ha l'incarico di cercare le tombe dei soldati italiani; riesumarne<br />
le salme e trasportarle in Italia. Lo salutiamo; e dopo le prime<br />
battute gli domando: - Ma lei, non è mica pisano?! - No, mi nsponde,<br />
sono di Empoli. E si rimane Il a parlare come vecchi amici.<br />
8 dicembre 1971 - Oggi è la festa dell'Immacolata, una tra le feste<br />
più care di tutto l'anno liturgico. Ma nel calendario liturgico etiopico<br />
non ce n'è traccia: anzi, oggi è mercoledì, giorno di astinenza stret-<br />
l Verso la fine del gennaio 1972 i nostri confratelli ci hanno scritto dicendo che la<br />
visita del Console è stata quanto mai fruttuosa. Egli è rimasto molto soddisfatto delle<br />
varie iniziative sociali della missione di Mendida, e ne ha fatto una dettagliata relazione<br />
all'Ambasciatore d'Italia in Addis Abeba. L'Ambasciatore, a sua volta, ha voluto parlare<br />
personalmente coi nostri missionari e ha inviato a Mendida un suo funzionario per rendersi<br />
conto esattamente delle varie attività, e per coordinarle assicurando il suo aiuto<br />
concreto.<br />
- 90-
tissima. Ma qualcosa bisogna pur farlo. E si parte all'assalto del P. Superiore<br />
e del P. Economo i quali rispondono con un ni. È quanto ci<br />
basta. Si va in cucina, ci si rimbocca le maniche. Al fratello dispensiere<br />
chiediamo farina e dieci uova; poi altre dieci, poi altre cinque, poi altre<br />
tre: questa volta ce ne porta venti tutte assieme. Bravo! E si comincia<br />
a preparare le tagliatelle in onore dell'Immacolata. Orsini, l'empolese,<br />
subodora qualcosa e si affaccia in cucina. Stiamo preparando le tagliatelle,<br />
gli diciamo, e poi faremo anche un po' di cenci.<br />
- Cenci? Quali? Quelli dolci con lo zucchero?<br />
- Sì, proprio quelli, i cenci toscani.<br />
I suoi occhi si dilatano e scappa via contento come un bambino.<br />
A pranzo, Orsini i suoi cenci non li mangiò, li succhiò con devozione.<br />
E la sera scrisse alla su' mamma: - Mamma, oggi ho mangiato i cenci.<br />
8 dicembre 1971 - Domani mattina l'Abate Preside e l'Abate Procuratore<br />
tornano ad Asmara. Vogliono congedarsi dai Serninaristi cenando<br />
con loro. L'eccezionalità della circostanza muove il cuoco a preparare<br />
una ricca pastasciutta per tutti. AI termine, i serninaristi testimoniano<br />
la loro gioia improvvisando canti e danze al suono del gudefù,<br />
una specie di tamburo lungo e stretto, che alcuni di loro suonano con<br />
eccezionale bravura, e che ha il potere magico di scatenare l'animo degli<br />
etiopi grandi e piccini. Confessiamo che anche noi ci sentiamo calati<br />
in una atmosfera irreale. Alcuni ragazzetti di 13 o 14 anni sembrano<br />
invasati. Altri sono tanto compresi della loro parte da non avvertire più<br />
nulla di ciò che li circonda. Ce n'è uno, particolarmente, nero più degli<br />
altri, sottile come un'acciuga, che pare assorto, in contemplazione,<br />
fuori di sé. Molto ammirata la danza dei bileni, una caratteristica popolazione<br />
che vive in Eritrea nei dintorni di Cheren.<br />
9 dicembre 1971 - Ragioni pratiche ci hanno convinto di andare a<br />
visitare una tenuta che i nostri confratelli di Mendida hanno acquistato<br />
di recente nella regione del Balé, 550 chilometri a sud di Addis Abeba.<br />
Nel primo pomeriggio si parte da Mendida per Addis Abeba, a<br />
bordo dell'auto di Orsini. Viaggio normalissimo, se non fosse per una<br />
pecorella che, ingrullita all'improvviso, lascia il bordo della strada e<br />
viene a piantarsi gloriosamente al centro della carreggiata. L'urto fu appena<br />
percepito: si andava a passo d'uomo. Ma la storia non era così<br />
semplice: il radiatore perdeva acqua. Si prosegue con ansia e ci si ferma<br />
ripetutamente per controllare il livello del liquido. A 25 chilometri da<br />
Addis Abeba siamo quasi all'asciutto; si chiede acqua in una capanna;<br />
-91-
una graziosa bambina ci porta acqua in un barattolo di Frutta-Cirio;<br />
e poi un altro barattolo; e poi un altro ancora; le diamo alcune monetine;<br />
ci ringrazia con un bel inchino tipicamente orientale. Finalmente si<br />
arriva ad Addis Abeba. Controlliamo il radiatore: è secco.<br />
P. Angelico è un nostro confratello etiope, che ha trascorso in Italia<br />
tutti gli anni della sua formazione, dalla prima media al sacerdozio.<br />
Se non fosse per il colore della pelle, lo si direbbe italiano. Quando<br />
era con noi in Italia, era famoso tra l'altro per tre cose: perché parlava<br />
il dialetto ciociaro come un ciociaro, perché era il perno della<br />
nostra squadra di calcio, e perché con potente voce baritonale cantava<br />
« Largo al factotum della città» dal Barbiere di Rossini.<br />
P. Angelico dunque, autista veterano di tutte le strade etiopiche,<br />
ci aveva preceduti ad Addis Abeba col compito di noleggiare un landrover.<br />
Ma un land-rover risultò troppo caro, e ci si dovette accontentare<br />
di una vecchia « Nuova 600 Fiat ». Con quella formica si parti<br />
da Addis Abeba alle ore 18.00 dopo un accurato e laborioso rifornimento<br />
di benzina ed olio presso una stazione Agip-Supercorternaggiore-<br />
La-Potente- Benzina-Italiana-A-Sei-Zampe: attorno pullulavano bambini<br />
che vendevano rami verdi di ceci freschi.<br />
Dopo una tranquilla corsa nel buio su 250 chilometri di strada<br />
asfaltata, si arriva a Shashamanè verso le 22.30. Si perde del tempo<br />
per rintracciare l'Hotel Bekele Molla, segnalatoci dai nostri confratelli<br />
di Mendida. Lo troviamo con il gentile aiuto di alcuni passanti. Chiediamo<br />
cena e alloggio. Siamo accompagnati in tre stanze molto confortevoli,<br />
ognuna con servizio. Meglio di così non si poteva desiderare.<br />
Sono quasi le 23.00. Nel grande salone del ristorante siamo soli.<br />
I! cameriere è forse importunato dal nostro arrivo che gli prolunga il<br />
lavoro. Data l'ora, ci accontentiamo di bistecca, patate e formaggio.<br />
In cucina sentiamo battere le bistecche: dopo due minuti sono fumanti<br />
sul nostro tavolo. Caratteristica di tutti i locali etiopici: ti servono in<br />
un lampo, come... nei ristoranti italiani.<br />
Sono circa le 23.30 e ci avviamo alle nostre stanze attraverso i<br />
viali di un enorme giardino fiorito di buganvilles. Una Wolkswagen quasi<br />
ci prende di striscio e si arresta con un sobbalzo: là nel buio, ne vediamo<br />
scendere una enorme dentiera bianca e due occhi fiammeggianti! È Berhanè<br />
(== Luminoso), un amico di P. Angelico, tecnico specializzato della<br />
SAME Trattori di Treviglio (Bergamo), un giovanottone alla Cassius<br />
Clay. Ci racconta le sue esperienze italiane, con entusiasmo. A Roma,<br />
lasciò cadere diverse monetine in Fontana Trevi, col chiaro intendimento<br />
- 92-
di tornarvi. Ci dice di guadagnare 20 dollari al giorno (5.000 lire), stipendio<br />
favoloso per un etiope. Ma non è soddisfatto, perché gli capita<br />
di lavorare fino a diciottb ore al giorno. E poi..., ha troppe spese a suo<br />
carico: 20 ne prende e 30 ne spende. E poi, deve sposarsi! Attualmente<br />
la sua fidanzata sta studiando in Svizzera. E quando si sposeranno<br />
verranno in Italia in viaggio di nozze. Vogliono conoscere Firenze:<br />
Ah! Firenze è il nostro sogno. Firenze è bella come la mia fidanzata,<br />
la porta del cielo! Berhanè è ortodosso. Ma pare stia maturando in lui<br />
una svolta verso il cattolicesimo: questo ceIo dice P. Angelico. Lasciamo<br />
che la luce lavori da sola nella sua anima, lui che si chiama Luminoso,<br />
e che è tanto intelligente!<br />
10 dicembre 1971 - Ci si leva di buon mattino. È la prima volta<br />
che ci capita di non poter celebrare la Messa: non ci sono chiese cattoliche.<br />
Domani mattina sarà la stessa storia.<br />
E si parte: 300 chilometri ci separano dalla mèta. L'asfalto non<br />
c'è più: ha ceduto il posto ad un fondo sassoso che fa traballare la nostra<br />
«Nuova 600 ». A P. Angelico domando quante gomme di scorta si è<br />
portato appresso: - Una, mi risponde, quante vuoi che ne abbia?<br />
Segue un silenzio un po' preoccupato. Ma si procede attraverso tratti di<br />
foresta vergine, interrotti qua e là da campi abbastanza ben coltivati. A<br />
destra e a sinistra della strada, due teorie ininterrotte di ragazzi vanno a<br />
scuola coi libri in mano: percorreranno dieci chilometri ogni mattina; e<br />
altrettanti la sera per tornare a casa. Ma gli etiopi non si lasciano impressionare<br />
dalle distanze; sono emuli del loro eroe Abebé Bikilà, il<br />
trionfatore delle Olimpiadi romane del 1960. Per la nostra automobile,<br />
invece, il discorso è tutto diverso. P. Angelico ha avvertito una specie<br />
di sbandamento. Si ferma, scende: la gomma posteriore è a terra.<br />
- Niente paura, ci dice, è un giochetto di cinque minuti. Infatti!<br />
E si riparte. Per modo di dire: perché dopo cinquecento metri la gomma<br />
posteriore sinistra è di nuovo a terra.<br />
Ora sì! Abbiamo percorso cinquanta chilometri: non abbiamo visto<br />
un'automobile. Le due gomme afflosciate le poniamo al centro della<br />
carreggiata, una sull'altra, in attesa di qualche anima pietosa.<br />
E ci sediamo sui bordi della strada. Sono le 9.30: abbiamo davanti<br />
otto ore di luce. Speriamo.<br />
Tiriamo fuori i nostri breviari. Il venticello frizzante ci dà fastidio:<br />
c'è un bel sole, ma fa più freddo che caldo. Cominciamo a capire<br />
perché gli indigeni abbiano sempre la testa avvolta in ampi barracani.<br />
Averne uno anche noi, ora ci farebbe comodo.<br />
- 93-
Contempliamo la pianura che si estende immensa davanti a noi:<br />
chilometri di steppa uniforme. Giù in fondo si levano alcuni tucul,<br />
le tipiche capanne di stoppie. Ci sembra vedere anche dei cavalli, anzi<br />
molti cavalli. E i cavalieri? Non si vedono. Ma sì, ci sono anche loro.<br />
E muovono a galoppo verso di noi. Ma che strani cavalieri: forse si<br />
tratta di donne. No, no! Ormai si distinguono chiaramente: sono bambini,<br />
una trentina; e con loro c'è anche il maestro; ed anche una bambina;<br />
tutti sui dieci o undici anni; vanno a scuola a cavallo; son più<br />
fortunati dei loro compagni che abbiamo già incontrato. E quale fierezza<br />
nel portamento! Sembrano guerrieri in miniatura. Simpaticissimi.<br />
Tiriamo fuori macchine fotografiche e cinepresa: notiamo qualche segno<br />
di perplessità. Ma il maestro li rassicura. E allora fanno a gara per essere<br />
inquadrati dall'obbiettivo. Quindi, ad un segno del maestro partono<br />
a razzo, fra una nuvola di polvere, dondolandosi ritmicamente sul<br />
dorso nudo dei loro focosi destrieri.<br />
Il nostro angelo (nero) venne a bordo di un enorme camion Mercedes.<br />
Quando in fondo alla salita vedemmo apparire quel punto oscuro<br />
in mezzo alla strada bianca, ci levammo in piedi. P. Angelico aguzzò gli<br />
occhi. Poi sentenziò: - È un camion militare. Niente da sperare.<br />
Che fosse un camion militare, era vero. Che non ci fosse nulla da<br />
sperare, non era vero. Se in tutta Europa mi trovate un camionista che<br />
ha perso cinque ore per aiutare un'auto in panne, son disposto a dargli<br />
un premio.<br />
L'angelo nero, che parlava un italiano quasi perfetto, ci prese a<br />
bordo e ci condusse fino a Dodolà, 20 chilometri, lungo i quali attraversammo<br />
l'Uebi Shebell tra colline aspre e nude come un teschio, erose<br />
dal sole e dal vento. Portammo con noi le due famigerate gomme. L'auto<br />
invece, la lasciammo Il, senza guardiano: - Nessuno la toccherà - ci<br />
assicurò il camionista -. Guai! Potrebbe arrabbiarsi e divorare chiunque<br />
la tocca.<br />
Fu necessario mettere a soqquadro tutta la cittadina di Dodolà<br />
(che bel nome!) per reperire le tre pezze con le quali uulcanizzare le<br />
nostre gomme. Frattanto il nostro soccorritore estrae dalla cabina<br />
del camion una grossa busta piena di panini ancora croccanti, la consegna<br />
ad un camionista di passaggio e gli raccomanda: - Porta questa<br />
roba a mia moglie e ai miei bambini; avvertili che oggi tornerò tardi.<br />
Ora è apparso un altro giovanottone, dal portamento sicuro e distinto:<br />
- lo sono Abraham Kahsai. - Piacere, rispondiamo. E lui<br />
ad insistere: - Conoscete il P. Samuele Asghedom? - Diamine se lo<br />
conosciamo: è un nostro confratello, nostro compagno di studi a Ca-<br />
- 94-
samari ed ora è Rettore del Collegio Etiopico di Roma. - Bene, continua,<br />
io sono suo nipote.<br />
Le gomme sono a posto. La polizia di città ferma un camion di passaggio<br />
e prega l'autista di prendere a bordo il P. Angelico con le due<br />
gomme, fino al punto dove abbiamo lasciato la nostra « 600 ». Strada<br />
facendo, l'autista dice a P. Angelico: - lo sono un ex-alunno della<br />
vostra scuola di Asmara. Siete voi che mi avete insegnato le frazioni e<br />
tante altre cose. E con animo grato offre pane e birra.<br />
Ma nel frattempo, anche a Dodolà si... banchetta. Tiriamo in un<br />
ristorante il nostro angelo nero e quanti ci hanno aiutato, compreso il<br />
nipote di P. Samuele. Dopo alcuni minuti) forse allarmato dall'insolito<br />
movimento, capita n anche il governatore della città, colonnello Mangascià<br />
Wolde Kidan. Mentre consuma una Fanta lo riconoscono, lo invitiamo<br />
al nostro tavolo, con noi intinge, tranquillo, 'ndjerà (pane) nel<br />
grande vassoio di legumi al berberè. Diventiamo amici. Si scattano fotografie.<br />
Ci scambiamo gli indirizzi. Egli ha un buon ricordo degli italiani,<br />
che stimavano molto i soldati etiopici e ne apprezzavano il valore;<br />
la stessa cosa non si può dire di altri. - Anche io, interviene il camionista,<br />
mi son fermato perché ho visto che eravate preti italiani. Il nostro<br />
Imperatore ha stima degli italiani. Gli altri, ci hanno rubato tutto.<br />
Sono le 14,30 quando finalmente ci si rimette in auto: - Voi andate<br />
avanti, io vi seguo pronto ad aiutarvi se ne avrete bisogno, ci<br />
dice il nostro soccorritore. E da quel momento non l'abbiamo più visto.<br />
Ci son rimaste le sue foto. Le manderemo al governatore di Dodolà con<br />
preghiera di recapitarle all'interessato.<br />
Alle 19,30 eravamo a Gorò, la nostra destinazione. Nel buio, appena<br />
attenuato dal chiarore tremulo di qualche lanterna che occhieggiava<br />
dalle abitazioni, la nostra gloriosa « 600 Fiat» fu in breve attorniata<br />
da tanti giovani e ragazzi curiosi: - Non abbiamo mai visto un'automobile<br />
così piccola e così bella, dicevano. Ed era vero. Fino allora, a<br />
Gorò erano arrivati solo camions e land-rovers, E noi avevamo dovuto<br />
guadare due torrenti. E quando fummo a destinazione, trovammo<br />
sul fondo dell'auto cinque centimetri di acqua: solo allora capimmo perché<br />
i nostri piedi si erano quasi congelati.<br />
Raccontare che una volta alle 8,00 di sera inaspettati vi presentaste<br />
in tre a casa di amici non troppo attrezzati, per chiedere cena<br />
e alloggio; e dire che quegli amici fecero i salti mortali per non dissimulare<br />
il loro imbarazzo: tutto questo può riuscire banale quanto mille<br />
altre cose. E perciò non vi racconterò nulla.<br />
- 95-
Ma come farò a non dirvi che in quella casa trovammo una silente<br />
regina, simile ad un'apis argumentosa che in mezz'ora ci preparò, sempre<br />
senza parlare, sempre con calma olimpica, e cena e letti per riposare?<br />
Solo quando le dicemmo che noi potevamo andare in albergo, solo allora<br />
udimmo chiara la sua voce: - Sì, sì, a Gorò c'è l'albergo, ma non è<br />
adatto per voi, qui starete meglio; fidatevi di me.<br />
Ospitalità sincera e corretta. E per inciso vi dico anche che<br />
quei nostri amici non sono cattolici: sono scismatici, ortodossi!<br />
Quando, spenta ormai la luce della lampada e distesi nei nostri<br />
letti, eravamo sul punto di prender sonno, nell'ampia stanza si udì,<br />
sommessa ma non troppo, la voce baritonale di P. Angelico: - Italiani,<br />
spero che oggi abbiate conosciuto almeno in parte l'anima del popolo<br />
etiopico.<br />
E con questo viatico ci addormentammo, in pace con Dio e con<br />
gli uomini: fino alle 6.00 del mattino.<br />
11 dicembre 1971 - Sapevamo che una delle note caratteristiche<br />
della santa Chiesa è la sua universalità: è proprio per questo che essa<br />
si chiama cattolica. Ne facemmo l'esperienza al termine del nostro<br />
avventuroso viaggio. Quella mattina ci tornarono spontanee nella<br />
mente e sulle labbra le parole del secondo canone della Messa: «ricordati,<br />
Signore, della tua Chiesa sparsa su tutta la terra ».<br />
I tre guardiani del fondo e le loro famiglie ci accolsero<br />
(sono loro parole) come angeli di Dio. E non cessavano di baciarci<br />
le mani e di sorriderei felici. Essi ci prospettarono, sì, la incerta<br />
situazione di quell'azienda agricola, le difficoltà tecniche cui andavano<br />
incontro, i disagi cui erano esposti; ci chiesero anche un fucile per<br />
difendersi dagli animali feroci durante la notte 2. Ma soprattutto insistettero,<br />
e queste furono le loro rivendicazioni... sindacali, per avere un<br />
sacerdote che si interessasse della loro vita spirituale e che cominciasse<br />
a spargere un po' di buon seme della parola di Dio tra i numerosi abitanti<br />
della zona). tutti musulmani per l'anagrafe, ma di animo buono e mite, e<br />
ben disposti alla predicazione del Vangelo. È lui, il capo guardiano, che<br />
la sera dopo il lavoro riunisce le famiglie per la recita del rosario e<br />
per le altre preghiere; egli insegna il catechismo; egli invita nella sua<br />
capanna i musulmani, offre loro il thè, stringe amicizie con essi, li pre-<br />
2 Un fucile sarebbe utilissimo anche per procacciarsi carne a buon mercato. Finora,<br />
in mancanza di armi, i nostri uomini hanno fatto ricorso a metodi primordiali di caccia:<br />
hanno scavato una specie di pozzo profondo circa tre metri e lo hanno sapientemente mimetizzato;<br />
in esso, nel breve volger di tempo, hanno catturato quattro gazzelle. La carne<br />
di gazzella, ci dicono, è ottima.<br />
- 96-
para all'auspicato incontro col sacerdote. Egli ci chiese con insistenza e<br />
con ansia libriccini di istruzione religiosa, rosari, crocefissi, medaglie,<br />
immagini sacre, ecc. La fede semplice e viva di quell'esiguo manipolo di<br />
figli di Dio sperduti nella giungla ci commosse profondamente: Non ho<br />
trovato tanta fede in Israele, disse una volta Gesù.<br />
In quelle due ore che trascorremmo con i nostri guardiani, credo<br />
di aver colto con esattezza la nullità di noi, uomini civili, che consumiamo<br />
la nostra vita in bagatelle di poco conto. Di fronte a quella<br />
schietta testimonianza di vita cristiana, quale giudizio possiamo dare<br />
della nostra vita di cristiani europei che ci affanniamo per raggiungere<br />
una organizzazione sempre più perfetta, mentre i nostri fratelli di laggiù<br />
mancano dell'indispensabile? Quante suore d'Italia sciupano le loro<br />
energie a spolverare i pavimenti della loro casa madre! E laggiù non<br />
ci sono pavimenti. Ci si lamenta dello scarso numero di sacerdoti. Ma<br />
quanti religiosi e sacerdoti potrebbero, senza alcun pregiudizio per il<br />
regno di Dio, abbandonare il loro posto di lavoro nelle retrovie: laggiù<br />
c'è una trincea per tutti. Chè poi, non si tratta di trincee, né reali né<br />
metaforiche, ma piuttosto di immensi campi carichi di messe matura che<br />
attende solo di essere mietuta e portata nel granaio del Padre comune.<br />
12 dicembre 1971 - Ben facemmo ieri sera a ripartire da Gorò prima<br />
del tramonto del sole: così oggi ci troviamo a dover percorrere<br />
cento chilometri in meno. Peccato che la notte in albergo non è stata<br />
delle più placide: infatti a letto con noi c'erano anche... degli insetti<br />
non meglio identificati che ci hanno dato un po' di fastidio.<br />
Alle sei in punto ci si leva, secondo il programma orario combinato<br />
la sera avanti. Una lavatina al viso, e abbandoniamo senza rimpianti<br />
le nostre stanze. Fuori è quasi buio, c'è un freddo pungente, i vetri<br />
della « 600» sono ghiacciati, il motore non parte. Il guardiano notturno<br />
ha le mani intirizzite, stenta ad aprirci il cancello. Spingiamo<br />
l'auto per tre o quattrocento metri: finalmente il motore ha un sussulto<br />
e prende a girare. Si monta in macchina e si parte.<br />
È domenica. È il terzo giorno che non celebriamo la Messa. La sostituiamo,<br />
per ora, con una breve preghiera. Se non accadono imprevisti,<br />
contiamo di raggiungere in giornata qualche stazione cattolica.<br />
La strada si inerpica in continuità. Fa freddo. Non disponiamo<br />
di un altimetro, ma pensiamo di essere intorno ai 3.500 metri di<br />
altitudine. Il Parco Montagnoso del Balé ci apre davanti uno scenario<br />
selvaggio, che la luce tersa e colorata del mattino rende più suggestivo.<br />
- 97-
A poco a poco {la strada e la nostra macchina non permettono grandi<br />
velocità) stiamo rientrando neL. mondo.<br />
A tarda mattina siamo di nuovo a Dodolà. P. Angelico rallenta,<br />
poi si ferma dinanzi al bar nel quale, quarantotto ore prima, avevamo<br />
pranzato con gli amici che ci avevano aiutato a riparare le gomme afflosciate.<br />
Scendiamo col pretesto di sorbire un thè caldo: in realtà ci<br />
si ferma con la segreta speranza di incontrare qualche viso noto. Restiamo<br />
delusi per intero: rivediamo solo l'autista del governatore;<br />
ci salutiamo a larghi gesti, con poderose strette di mano e con ampi<br />
sornsi.<br />
P. Angelico non può prestarci in questa occasione i suoi servizi<br />
di interprete. È alle prese col motorino di avviamento della « 600 »,<br />
che non vuol funzionare. Gli diciamo di non preoccuparsi perché ci<br />
sentiamo abbastanza in forze per spingere l'auto fino a che il motore<br />
non parta. Ma lui no: si sdraia una, due, tre volte nella polvere, sotto<br />
l'auto, e finalmente riesce ad identificare il filo interrotto e a ricongiungerlo.<br />
Visto?! - ci dice con la soddisfazione negli occhi. E va a bere il<br />
suo thè.<br />
Alle 11,45 ritroviamo l'asfalto, dopo seicento chilometri: ora ci<br />
sembra di volare in aereo. Superiamo Shashamané e il suo bel albergo<br />
col ricordo di Berhanè il Luminoso. Alle 12,10 entriamo nella Missione<br />
dei Padri Comboniani di Awasa. Ci viene incontro con un largo fraterno<br />
sorriso il P. Ceccarini dall'alto dei suoi trentacinque anni di vita<br />
missionaria. Che bel esempio di vita consacrata alla salvezza dei fratelli<br />
meno fortunati!<br />
Ci laviamo ad un rubinetto di acqua fresca, un rubinetto vero, come<br />
quelli che usiamo in Italia. E andiamo in Cappella a celebrare la Messa.<br />
Concelebriamo in tre, due bianchi e un nero. È una delle nostre Messe<br />
più belle: preghiamo con fervore invocando l'aiuto del Signore sulle<br />
Missioni d'Etiopia. Assistono alla Messa le Suore Comboniane della<br />
Missione: cinque nere e due bianche. Fuori della Cappella, al termine<br />
della Messa, ci attendono per salutarci. La loro gioia e il loro entusiasmo,<br />
fatto di fiducia in Dio e di abnegazione personale, ci contagiano. Ci congediamo<br />
promettendod di pregare gli uni per le altre.<br />
E andiamo a pranzo con P. Ceccarini e confratelli. A tavola si parla<br />
di tante cose, fraternamente, come se ci si conoscesse da molti anni.<br />
12 dicembre 1971 - Quella sera ad Addis Abeba avevo un mezzo<br />
diavolo per capello, perché mi era capitata una stanza d'albergo totalmente<br />
diversa da quella che desideravo. Da tre giorni sognavo di an-<br />
- 98-
negarmi sotto una doccia: calda o fredda, aveva poca importanza; ma « a<br />
fiume» la volevo.<br />
E invece! Mentre ero seduto sulla traballante sponda del Ietto,<br />
mi tornò in mente come in una pellicola la scena che avevo osservato,<br />
non visto, la mattina precedente: un bambino bellissimo come tanti e<br />
tanti altri bambini e ragazzi etiopici, teneva stretto nella sinistra un<br />
bicchiere di latta, pieno d'acqua fino a metà; vi intingeva, con precauzione,<br />
l'indice della destra e se lo passava, calmo, attorno agli occhi.<br />
Economia d'acqua, senza dubbio: spinta al massimo!<br />
Ero ancora lì quando sentii bussare alla porta. Il « maitre » veniva<br />
a domandarmi se avevo bisogno di qualcosa. - Nulla, risposi, sì, nulla:<br />
grazie.<br />
E poi lui continuò: - Come sta Padre Umberto? E Padre Timoteo?<br />
E Padre Matteo?<br />
- Bene, bene, risposi, tutti bene; anche Padre Umberto: in Italia<br />
si è ristabilito, e lavora come sempre ha lavorato nella sua vita. Ma lei,<br />
aggiunsi, come fa a conoscere questi miei confratelli?<br />
- Sono, mi disse, un ex-alunno del vostro seminario di Asmara.<br />
A questo punto ebbi netta l'impressione che in Etiopia si fosse<br />
costituita una quinta colonna di ex-alunni, col compito di spiare tutti<br />
i nostri movimenti.<br />
13 dicembre 1971 - Il nostro viaggio nel Balè è durato 96 ore,<br />
quattro giorni durante i quali a Mendida si è verificato un evento che<br />
non si era mai visto da quando Mendida è Mendida: sono venute<br />
le suore. Incredibile ma vero! Vero, perché le abbiamo viste noi,<br />
le abbiamo trovate a Mendida al nostro ritorno, piovute dal cielo.<br />
Incredibile, perché per un posto di Missione le Suore sono un dono<br />
di Dio tanto grande che sta fuori del campo delle comuni speranze.<br />
Sono tre Suore italiane, di Piacenza; appartengono all'Istituto della<br />
Divina Provvidenza per l'infanzia abbandonata, fondato dal canonico<br />
Francesco Torta cinquant'anni orsono. Il capitolo generale ha voluto<br />
celebrare la felice ricorrenza istituendo una casa in terra di missione:<br />
la scelta è caduta su Mendida. L'infanzia non abbandonata d'Etiopia -<br />
ci dice la Superiora - è più abbandonata dell'infanzia abbandonata<br />
d'Italia. Ci chiede scusa per il giochetto di parole, e si dice sicura che<br />
il loro lavoro in Africa sarà più meritorio di quello svolto finora in Italia.<br />
Che Dio le benedica e che il loro entusiasmo non abbia mai a<br />
scemare.<br />
Per ora le tre Suore si dedicano principalmente allo studio della<br />
- 99-
lingua arnarica. Ma approfitteranno di ogni buona occasione per cominciare<br />
a intessere contatti e relazioni con la popolazione. Pochi giorni<br />
dopo il loro arrivo, per la ricorrenza del Natale etiopico furono invitate<br />
a pranzo da un notabile del paese. Esitarono un po', ma poi con<br />
coraggio accolsero l'invito. Le cose procedevano non troppo male per<br />
loro, anche se si sentivano al centro della curiosità di tutti i presenti,<br />
quando ad un certo punto videro entrare Yarcbitriclino o direttore di<br />
mensa, che sulle spalle portava un quarto di bue e colla destra brandiva<br />
un coltellaccio che grondava sangue. Le tre suorine allibirono quando<br />
l'uomo cominciò a tagliar carne e a distribuirla, cruda, ai commensali.<br />
Nel suo macabro giro era già arrivato accanto a loro ..., ma per fortuna<br />
il padrone di casa con un cenno provvidenziale diede ordine di passar<br />
oltre.<br />
Da Mendida i nostri confratelli ci hanno scritto assicurandoci che,<br />
pur tra notevoli difficoltà, una ditta italiana di Addis Abeba sta già costruendo<br />
a ritmo febbrile la casa delle Suore. Il progetto prevede un<br />
vasto edificio con sale per asilo, vari laboratori per cucito, maglieria,<br />
ecc., e una piccola clinica, oltre, naturalmente, la cappella e, al piano<br />
superiore, l'abitazione delle Suore, che entro l'anno dovrebbero diventare<br />
cinque.<br />
18 dicembre 1971 - Fra quarantotto ore saremo in volo verso l'Italia.<br />
Approfittiamo di questa penultima giornata d'Africa per fare una<br />
gita turistica, che sia solamente turistica. Andiamo ad Aksum, la città<br />
santa della chiesa ortodossa etiopica: duecento chilometri lungo i quali<br />
incontriamo prima il fiume Mareb che separa l'Eritrea dall'Etiopia, e<br />
poi Adua, tristemente famosa per la sfortunata battaglia del 1896.<br />
Che i ventimila italiani possano essere stati sopraffatti dai centoventimila<br />
etiopi di Ras Mangascià, è una cosa abbastanza comprensibile. Difficile<br />
invece è capire la ragione per cui gli italiani fossero andati a infognarsi<br />
in quelle gole; difficile capire, soprattutto, come abbia fatto il povero<br />
generale Barattieri a tirar fuori da quell'inferno gli scampati<br />
all'eccidio.<br />
Errori passati. E passati, speriamo, una volta per sempre.<br />
Entriamo ad Aksum e ci fermiamo nella piazza dei famosi obelischi:<br />
ci insegue, trafelato, un pubblico funzionario, che nella destra brandisce<br />
una biro gialla e nella sinistra sventola un blocchetto di ricevute<br />
madre-figlia. E chi lo avrebbe immaginato? Per entrare ad Aksum si<br />
pagano sette dollari a testa (pari a l.750 lire). Fingendo il massimo interesse<br />
per gli obelischi, bellissimi e abbandonati, cominciamo ad ag-<br />
- 100-
geggiare attorno alle nostre macchine fotografiche, e pian pianino ci allontaniamo<br />
lasciando lo spinoso esattore alle prese con Padre Giona, il<br />
confratello etiopico che già altre volte ha risolto situazioni ben più<br />
complicate. Ma questa volta non c'è arte che valga: bisogna pagare.<br />
Padre Giona è mortificato: non tanto per i dollari di cui si è dovuto alleggerire<br />
(ma anche per questo!), quanto piuttosto perché vede banalmente<br />
incrinarsi la sua fama di uomo-che-risolve-tutto. Lo sentiamo<br />
borbottare qualcosa in lingua patria: fortuna per noi che non lo comprendiamo!<br />
Ad Aksum, un monaco ortodosso ci guida a visitare il Tesoro<br />
degli Imperatori. Esso è conservato nella chiesa Hedar Sion, ed è costituito<br />
da ricchissimi paramenti sacri e da una lunga serie di corone<br />
imperiali. Il materiale sarebbe sufficiente per allestire un grande<br />
museo. Tra i pezzi di indiscusso valore notiamo anche qualche cianfrusaglia,<br />
come una specie di corona da rosario, con le Ave Maria di plastica<br />
infilate in uno spago aqualsiasi. Allora mostro al monaco il mio rosario:<br />
egli lo prende in mano con tanto rispetto ed amore, lo gira e lo rigira,<br />
e non cessa di ammirarlo e accarezzarlo. Troppo tardi mi accorsi di aver<br />
commesso un errore: se glielo avessi regalato, lo avrei fatto felice.<br />
Spero di potergliene spedire uno, più bello del mio, raccomandandomi<br />
alle sue preghiere.<br />
E poi, andiamo a pranzo: ad Aksum c'è un bel ristorante italiano,<br />
gestito dal comm. Buschi di Domodossola, un veterano d'Africa.<br />
Verso la fine del pranzo viene a salutarci: è appena sceso dall'aereo, di<br />
ritorno da Addis Abeba. Ci tiene a salutarci, anche perché desidera notizie<br />
di Padre Umberto e di Padre Luca: - Chi non conosce Padre<br />
Umberto!? - ci dice - E Padre Luca? È un uomo di Dio, ma è anche<br />
un gran furbo! E il comm. Pietro Rocca, di Piona? Siamo fratelli, fratelli<br />
in tutto, fuorché di nascita.<br />
All'uscita del ristorante c'è ad attenderci un bel giovanotto<br />
di sedici o diciassette anni, alto, distinto, che parla l'italiano disinvoltamente.<br />
Sta a vedere, penso, che questo è un altro membro della<br />
quinta colonna! No: è Samuele Minas, l'unico cattolico che vive ad<br />
Aksum, ex-apprendista frate alla missione dei cappuccini di Seganeiti.<br />
Ci chiede qualche libro di istruzione religiosa, perché ... «ormai sto<br />
dimenticando tutto quel che avevo imparato alla missione ». Gli promettiamo<br />
di accontentarlo dall'Italia, ci scambiamo gli indirizzi, e lo<br />
salutiamo incoraggiandolo.<br />
Non c'è da stupirsi dell'isolamento spirituale in cui vive Samuele<br />
Minas. Aksum è la città santa degli ortodossi: non può essere conta-<br />
101
minata da altre fedi o altre confessioni religiose. Si racconta che<br />
non molti anni fa i musulmani, scavalcando le autorità religiose del<br />
posto, ottennero dall'Imperatore in persona il permesso di costruire<br />
una moschea ad Aksum. I lavori cominciarono presto, e furono condotti<br />
a ritmo febbrile, finché, un giorno, il vescovo ortodosso riunì i<br />
notabili della città sotto l'albero della giustizia (lo abbiamo visto anche<br />
noi, enorme: all'ombra dei suoi rami si amministra la giustizia, in seduta<br />
pubblica, nei giorni stabiliti dalle tradizioni); assunte le debite informazioni,<br />
il vescovo ordinò, seduta stante, che quello scandalo fosse<br />
demolito. E cosi fu fatto. E sino ad oggi non risulta che contro l'operato<br />
del vescovo si sia levata alcuna protesta: né da parte dei musulmani, né<br />
da parte dell'Imperatore.<br />
Lungo il viaggio di ritorno sostiamo a Mai-Lalà: qui la notte<br />
del 13 febbraio 1936, i soldati di Ras Sejun assalirono all'improvviso<br />
un cantiere stradale italiano. Gli operai, colti nel sonno, non ebbero<br />
modo di difendersi. Fu una strage. Tra le vittime cadde anche l'ing. Cesare<br />
Rocca e Lydia Maffioli, la giovane consorte che lo aveva seguito in<br />
Etiopia. Dal loro sacrificio nacque, come no re candido su uno stelo<br />
rosso, 1'Abbazia di Piana. Sul cimitero, delimitato da un muro perimetrale,<br />
domina una gran croce semi-abbattuta. Manca il cancello. Le salme<br />
furono tutte riesumate alcuni anni fa, e trasportate in Italia. L'ing.<br />
Cesare Rocca e la signora Lydia MafIioli riposano nell'aula capitolare<br />
dell' Abbazia di Piana. Sostiamo pensosi. Abbiamo negli occhi il dolore<br />
del nostro amico e benefattore comm. Pietro Rocca, fratello deIl'ing.<br />
Cesare, e della loro mamma signora Annetta Pogliani. Intanto sulla strada<br />
passa un folto gruppo di uomini che tornano dal mercato. C'è anche un<br />
anziano: - lo ricordo, ci dice e il volto gli si rabbuia di tristezza, io ricordo;<br />
era notte; tutti morti.<br />
19 dicembre 1971 - Adesso che tornate in Italia, ci dice un nostro<br />
confratello etiope, chi sa che cosa racconterete di noi e della nostra<br />
patria!<br />
Caro confratello, desideriamo saperti tranquillo! Che cosa vuoi<br />
che si racconti?<br />
Diremo che siamo tornati dall'Etiopia con un cuore grande come<br />
il mare, con una voglia immensa di fare del bene a chi di bene ha bisogno<br />
più che noi e che te, e col cruccio di non poter fare quel che<br />
vorremmo: col cruccio di sentire le nostre mani legate da un monte<br />
di difficoltà.<br />
Ricorderemo i cartelli della propaganda turistica: Etio pia tredici<br />
- 102-
mesi di sole; Etiopia, la terra di Salomone e della regina Saba. Tu non<br />
puoi misurare la simpatia che la tua terra ha suscitato nel nostro animo,<br />
caro confratello: questa terra dai contrasti sconvolgenti e dalle incalcolabili<br />
ricchezze potenziali.<br />
Diremo che l'Etiopia e il suo antichissimo nobile popolo hanno<br />
bisogno di lavoro. Se nei paesi cosiddetti civili (ma quali sono i paesi<br />
veramente civili?) il lavoro rischia di trasformarsi ogni giorno di più in<br />
un moderno mostro cui si è pronti a sacrificare tutta una serie di valori<br />
spirituali, lo stesso lavoro potrebbe invece dare tranquillità e gioia di<br />
vivere a tutta l'Etiopia.<br />
Pensa, caro confratello, al motto benedettino Ora et Labora. E tu,<br />
sei anche tu benedettino. Tu e i tuoi confratelli siete i primi monaci<br />
benedettini che mai siano vissuti nella vostra antichissima terra. Quale<br />
onore e quale responsabilità! Forse più della seconda che del primo.<br />
Ora et Labora. Con queste due parole San Benedetto salvò l'Europa,<br />
tanti secoli orsono, da una situazione forse più drammatica di quella in<br />
cui stancamente si dibatte l'Etiopia attuale.<br />
Coraggio dunque, cari confratelli etiopi, e siate tranquilli: avete<br />
tutta la nostra stima e tutto il nostro rispetto. Pregate e lavorate come<br />
fecero i nostri padri del medio evo. E i vostri monasteri saranno i vivai<br />
dai quali sboccerà il nuovo popolo della nuova Etiopia.<br />
20 dicembre 1971 - Il nostro quadrigetto ha infilato di precisione<br />
uno stretto corridoio dove la nebbia è meno densa, e si posa sulla pista<br />
di Fiumicino.<br />
Mi sembra di essere al Polo Nord. Addio, bel sole d'Africa. Mi dicono<br />
che il nostro è uno dei pochissimi aerei atterrati oggi a Roma;<br />
gli altri, date le avverse condizioni atmosferiche, sono stati convogliati<br />
su Brindisi.<br />
Il funzionario di dogana mi domanda che cosa debbo denunciare.<br />
Ma che cosa vuoI che denunci?! - gli rispondo - Vengo dall'Etiopia.<br />
E mi manda in pace.<br />
Corro alla stazione Termini. Il mio treno è in partenza. Faccio<br />
appena in tempo ad aprire uno sportello e a infilarmi dentro tra un pigia-pigia<br />
incredibile. Rimango bloccato sul pianerottolo della carrozza.<br />
Accanto a me, in posizione scomoda come me, c'è un giovane alto;<br />
ha in mano una borsa di pelle con un cartellino che attira la mia attenzione:<br />
Aethiopian Airlines. Abbiamo viaggiato sullo stesso aereo da<br />
Asmara a Roma. Eravate in quattro - mi dice - gli altri tre che fine<br />
- 103-
hanno fatto? Sono rimasti a Roma - rispondo. Ed egli continua a parlare<br />
decantando le bellezze dell'Etiopia.<br />
Guardo l'orologio. È passato un quarto d'ora. Fra venti minuti<br />
sarò a destinazione. Mi consolo. Mi reco a salutare i miei. Prima che partissi<br />
per Asmara, mio padre era preoccupatissimo: «Quando c'è bufera,<br />
gli aerei viaggiano ugualmente? ». Un giorno, parlando in famiglia,<br />
si era lasciato sfuggire una frase sintomatica: «Proprio lui dovevano<br />
mandare in Africa? ». Ora voglio rasserenarlo, e dimostrargli che sono<br />
tornato sano e salvo. E, soprattutto, felice per questa esperienza, e grato<br />
a chi me ne ha offerta l'occasione.<br />
23 dicembre 1971 - Ieri sera ad ora tarda sono tornato a Firenze.<br />
Ho ritrovato la mia Certosa, così come l'avevo salutata il 10 novembre.<br />
Sono entrato con trepidazione nella mia cella e ho acceso la luce:<br />
tutto preciso come quella mattina che partii. lo invece ho tante cose nuove<br />
dentro di me.<br />
Questa mattina mi affretto a telefonare ad Empoli. Mi risponde<br />
la voce pacata di una signora non più giovane: è la mamma dell 'Orsini<br />
incontrato a Mendida ai primi di dicembre. Le do i saluti del figlio<br />
lontano, le racconto la storia dei cenci. Sa già tutto. E mi domanda come<br />
sta il su' ragazzo. La rassicuro: ottimamente; solo si rammarica di non<br />
poter tornare in licenza per le feste natalizie; ma mi incarica di augurare<br />
buon Natale a tutti.<br />
« Grazie, grazie mille volte, caro padre. E che Dio la rimeriti ».<br />
Così, la mia avventura africana termina con le parole benedicenti<br />
di una mamma.<br />
Ti ringrazio, Signore!<br />
- 104-<br />
P. VITTORINO ZANNI, O. CISTo
I monaci e lo studio della Sacra Scrittura<br />
La samaritana è ansiosa di apprendere la dottrina. Né l'ora del<br />
giorno, né un qualunque dovere o faccenda la distoglie da questo:<br />
noi invece siamo in tutto incuranti e pigri. Chi di voi, di grazia, apre<br />
in casa sua il libro del cristiano? Chi di voi cerca di penetrare il significato<br />
della Scrittura? Certamente nessuno. Nelle case dei più troveremo<br />
dadi e cubi, ma nessun libro; o per lo meno, in casa di pochi.<br />
Anche questi pochi però, si trovano nella condizione di coloro che non<br />
ne hanno, perché li conservano legati, riposti nei loro scrigni, preoccupandosi<br />
solo della leggerezza delle pergamene o della bellezza delle<br />
lettere; ma ne trascurano la lettura. Non li acquistano infatti per ricavarne<br />
profitto, ma solo per ostentare orgogliosamente la loro ricchezza:<br />
tanto grande è il potere della vanagloria.<br />
Le Sacre Scritture ci sono state date non per averle chiuse nei<br />
libri, ma perché ce le incidiamo nel cuore. Non dico questo perché intendo<br />
proibirvi di acquistare libri; anzi, lodo molto questo desiderio.<br />
Ma vorrei che le parole contenute nei libri ed il loro significato fossero<br />
familiari ai nostri animi, vorrei che la comprensione degli scritti purificasse<br />
i nostri animi.<br />
Se nella casa ove si trova il Vangelo il diavolo non osa entrare,<br />
tanto meno il demonio o il peccato oseranno entrare nell'anima esperta<br />
dei comandamenti evangelici.<br />
Santifica dunque la tua anima, santifica il tuo corpo: abbi sempre<br />
nel cuore e sulle labbra queste cose. Se le parole turpi intorbidano<br />
l'anima e chiamano i demoni, è chiaro che per contro la lettura spirituale<br />
santifica e attira la grazia divina.<br />
Le Sacre Scritture sono altrettanti cantici: cantiamoli dunque fra<br />
noi e adoperiamo questi rimedi contro i mali dell'anima.<br />
Ripeterò sempre queste cose, e mai cesserò dal dirvele. Non è forse<br />
assurdo che gli uomini sedendo nel foro raccontano per filo e per<br />
segno i nomi, la stirpe, la città d'origine, l'abilità degli aurighi e dei<br />
ballerini, i pregi e i difetti dei cavalli, mentre i cristiani ignorano addirittura<br />
il numero dei libri sacri?<br />
Non smetterò mai di dire queste cose finché non vi vedrò cambiati.<br />
Dire queste cose, per me non è [astidioso, ma per voi è utile (FIL. 3, 1).<br />
Non prendete a male questa mia esortazione. Se essa dovesse recar molestia<br />
a qualcuno, questo qualcuno dovrei essere io, perché non sono<br />
ascoltato: non voi, che ascoltate e non obbedite mai.<br />
- 105-
Dio non voglia però che io sia sempre costretto ad accusarvi, Salvaguardandovi<br />
da questi difetti, possiate divenire degni della futura<br />
gloria, per la grazia e la bontà del Signor nostro Gesù Cristo, cui sia<br />
gloria con il Padre e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Così sia.<br />
1 Luglio<br />
ore 16.00 - Apertura.<br />
SAN GIOVANNI CRISOSTOMO<br />
Commento al Vangelo di Giovanni, XXX~I, 3<br />
PROGRAMMA DEL CONVEGNO<br />
cc Dimensione teologica del monachesimo lt.<br />
Relatore:<br />
Padre Benedetto Calati, Camaldolese.<br />
Discussione.<br />
ore 19.30 - Santa Messa.<br />
2 Luglio<br />
Concelebrata con S. Em. il Cardinale Ermenegildo<br />
Florit.<br />
ore 9.00 - cc Monachesimo e Umanesimo ».<br />
Relatore:<br />
Padre Policarpo Zakar, Cistercense.<br />
Discussione.<br />
ore 11.00 - cc Che cosa chiede l'uomo d'oggi alle comunità<br />
monastiche ».<br />
Relatore:<br />
Enzo Bianchi, della Comunità di Bose.<br />
Discussione.<br />
ore 13.30 - Chiusura del Convegno.<br />
N. B. - Gli atti del Convegno saranno pubblicati nel prossimo numero della<br />
Rivista (N. d. R.).<br />
- 106-
Iean De' La Croix Bouton O.C.S.O.<br />
STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />
(Dodicesima puntata)<br />
S. Stefano Harding e il potere secolare<br />
Dopo aver delineato la figura di Stefano Harding e averne riferito<br />
la designazione a successore di S. Alberico, l'Exordium parvum aggiunge<br />
senza indugi: «Sotto il suo governo, i fratelli d'accordo con l'abate<br />
vietarono al duca e agli altri signori di tenere la corte neI monastero,<br />
come avevano fatto fino allora ». Tutti i biografi di S. Stefano si sono<br />
compiaciuti di sottolineare l'audacia di tale decisione, audacia che sembra<br />
sfiorare l'ingratitudine quando si pensa ai benefici che il duca aveva<br />
fatto a Citeaux: in omnibus necessariis diu procuraoit et terris ac<br />
pecoris abunde subletavit iExordium parvum, cap. III). Ma, « evidentemente,<br />
Stefano volle reprimere un uso che prima o poi avrebbe introdotto<br />
nel monastero lo spirito del mondo» (D. ALEXIS,S. Etienne Harding,<br />
in Collectanea, 1 (1934), pago 87).<br />
Seguendo troppo alla lettera l'Exordium paruum, di solito si pone<br />
questa decisione all'inizio del governo di Stefano, come reazione a un<br />
uso tollerato dal suo predecessore. Cosa bisogna pensare di questo modo<br />
di considerare tale decisione e della sua portata reale - se veramente di<br />
« decisione» si può parlare? È queI che vedremo esaminando da vicino<br />
il Cartulario di Citeaux.<br />
Il duca di Borgogna e il Nuovo Monastero<br />
Abbiamo già fatto notare più volte quanto cortese il duca Eudes I<br />
fosse verso S. Roberto, ed abbiamo rilevato che non ci sono motivi per<br />
supporre che il duca nel Natale deI 1098 portasse la corte a Citeaux.<br />
Eudes I morì in Terra Santa nel 1102 e il suo corpo fu riportato in Borgogna<br />
e sepolto a Citeaux. II figlio Ugo II, soprannominato il Rosso<br />
e il Pacifico (i suoi 40 anni di regno non conobbero guerre) non aveva<br />
- 107-
ancora 20 anni quando successe a suo padre. Si rivelò subito benevolo<br />
verso i monasteri e teneva volentieri la corte nelle grandi abbazie.<br />
Lo si trova a S. Benigno di Digione nel 1102, 1107, 1112, a Molesme<br />
nel 1103, 1104, 1107, 1108, 1111, ecc.<br />
Sin dall'epoca carolingia i sovrani e i fondatori di abbazie godevano<br />
del' diritto di alloggio " vale a dire del diritto di ospitalità per loro e<br />
il seguito, che poteva comprendere cavalieri, cacciatori, falconieri, cavalli,<br />
cani, uccelli da caccia. I monasteri dovevano ospitarli e nutrirli<br />
tutti, uomini e bestie. La spesa era considerevole.<br />
Una forma mitigata di questo diritto era rappresentata dall'assetto<br />
delle corti feodali nei grandi monasteri. Tali sedute erano spesso occasione<br />
di donazioni o di concessioni di privilegi, ma restavano sempre<br />
onerose e soprattutto turbavano molto la pace del chiostro per l'atmosfera<br />
di lusso e di festa mondana in cui si svolgevano.<br />
L'Exordium parvum riferisce che il duca per molto tempo aiutò e<br />
rifornì di tutto il necessario i monaci di Citeaux, Andò nel monastero<br />
certamente in occasione della traslazione del corpo di suo padre. Vi riunì<br />
talvolta anche la corte? È possibile. Ma crediamo la cosa poco probabile.<br />
L'espressione sicut antea solebant ci sembra da riferirsi a Molesme.<br />
Citeaux non era in grado di ricevere degnamente una moltitudine così<br />
grande, poiché quelle cerimonie attiravano oltre la nobiltà dei dintorni<br />
una folla di curiosi. L'assenza di donazioni durante l'abbazia di Alberico<br />
(ad eccezione forse della decima della vigna di Meursault) conferma la<br />
nostra opinione. Citeaux non attirava. Quando Stefano fu chiamato al<br />
governo dell'abbazia, il motivo per vietare ai signori di venire nel monastero<br />
altro non era se non premunirsi per un avvenire ipotetico. Le cose<br />
però cambiarono quando Citeaux qualche anno più tardi raggiunse con<br />
una relativa agiatezza una certa notorietà. Forse il duca aveva manifestato<br />
l'intenzione di venire a Citeaux con la corte, soprattutto quando vi<br />
entrò il figlio del fedele Tesselino con parenti ed amici della più alta<br />
nobiltà feodale (non è certo che Enrico di Borgogna, fratello di Ugo II,<br />
si facesse monaco a Citeaux). Bisognava rafforzare la barriera tra Citeaux<br />
e il mondo, e soprattutto fare in modo che non si ripetesse la triste<br />
esperienza di Molesme, dove l'abbondanza aveva causato una flessione<br />
nella disciplina. E Stefano l'ottenne con due serie di misure che, nonostante<br />
l'apparenza, sono intimamente legate tra loro. Possono riassumersi<br />
con la frase di S. Benedetto a saeculis actibus se facere alienum<br />
(Reg. IV, instr. 20).<br />
L'abate fece sapere al duca il desiderio unanime dei fratelli di<br />
restare nella loro solitudine e nel loro silenzio, e il duca accondisce-<br />
- 108-
se alla richiesta. Il termine interdixerunt non deve indurci a credere a<br />
una brusca rottura tra il monastero e il duca, così benevolo verso i monaci.<br />
La risoluzione sembra sia stata presa nel 1112 o 1113. Non fu annotata<br />
tra gli I nstituta generalis capituli, i primi dei quali tramandano<br />
le decisioni più antiche del Nuovo Monastero.<br />
È significativo notare che durante l'abbaziato di Stefano il duca<br />
Ugo II non cessò mai di dar prova del suo interesse ai monaci di Citeaux,<br />
Quasi tutte le donazioni di Elisabetta di Vergy e dei «cavalieri di<br />
Vergy » furono da lui approvate. Per ringraziare Pietro il Maresciallo di<br />
Vergy, suo fratello e tutta la famiglia, di aver approvato e completato<br />
i doni di Elisabetta, il duca concesse loro il diritto di percepire due<br />
sesterzi all'anno sulle entrate di Tart. Per lo stesso motivo diede a Ugo il<br />
Bianco di Vergy un podere in località Chambolle e esentò Geraldo di<br />
Gilly dal censo di due pasti all'anno da offrirsi ai suoi ufficiali. È specificato<br />
che né il duca né i suoi successori avrebbero dovuto infastidire<br />
i monaci di Citeaux circa questi doni. Tali disposizioni vengono prese<br />
tra il 1111 e il 1112. Abbiamo accennato sopra alla concessione fatta<br />
dal duca ai monaci di S. Benigno in cambio del dono che questi avevano<br />
fatto ai <strong>Cistercensi</strong>. In caso di contestazione questi ultimi non dovevano<br />
essere disturbati. Più tardi, circa la donazione di Rinaldo di CombIanchien<br />
a Moisey, la carta precisa che dietro richiesta dei <strong>Cistercensi</strong> il<br />
duca condonò al benefattore il censo annuale di un moggio e mezzo di<br />
avena. «Ovunque, Ugo II favoriva le donazioni fatte al Nuovo Monastero<br />
e in cambio faceva concessioni ai benefattori» (E. PETIT, Hist,<br />
de ducs de Bourgogne, 1. 326). Lui stesso verso il 1119, dietro loro richiesta,<br />
donò ai <strong>Cistercensi</strong> un podere a Bully, e più tardi altri terreni<br />
presso Gergueil e Civry (1125). Prima di quest'ultima data Ugo II aveva<br />
già assistito col vescovo Giosserando di Langres alle prime donazioni di<br />
ArnuIfo Cornu di Vergy per la fondazione delle monache cistercensi di<br />
Tart, donazioni fatte nelle mani di Stefano abate di Citeaux e di Elisabetta<br />
di Verg badessa di Tart. Troviamo ancora assieme Stefano e il<br />
duca (con S. Bernardo) in molte altre circostanze (dotazione di Arernburga<br />
figlia del duca, l'affare S. Stefano di Digione ecc.).<br />
I <strong>Cistercensi</strong> e il feudalesimo<br />
La decisione di Stefano Harding e dei suoi monaci non riguardava<br />
solo il duca ma anche i signori; ciò prova che Stefano voleva assolutamente<br />
opporsi a quanto aveva caratterizzato Molesme. M. J. Laurent ha<br />
- 109-
fatto vedere in modo eccellente che « il feudalesimo regionale tratta l'abbazia<br />
di Molesme come una fondazione collettiva e, facendosi spalancare<br />
le porte, l'inizia ai suoi bisogni d'ordine morale, la associa ai suoi interessi<br />
e la fa partecipare alla sua vita intera» (Cartulario di Molesme, L<br />
113). M. Laurent ricorda ancora le prebende (di cavalieri e di dame), le<br />
oblazioni di fanciulli, l'ospitalità data quasi ininterrottamente ai signori,<br />
grandi e piccoli, della regione «i quali ritrovano, tutti, parenti ed<br />
. amici a Molesme e con la loro presenza talvolta chiassosa rompono la<br />
calma e la solitudine, prerogative di un luogo di preghiera e di raccoglimento»<br />
(ibid.). Niente di tutto questo a Citeaux. Sembra che Alberico<br />
di proposito evitasse i signori ed ogni compromesso col sistema feodale.<br />
Stefano, più largo di vedute, permise l'acquisto di terre e la costituzione<br />
di una proprietà considerevole, ma a condizione che i donatori o benefattori<br />
non rivendicassero alcun diritto sull'abbazia: non più prebende,<br />
non più oblazioni di fanciulli, non più corti feodali, non più sistemazioni<br />
di famiglie, come si trova nel Cartulario di Molesme. I <strong>Cistercensi</strong> ebbero,'<br />
sl, a far fronte a qualche contestazione, in particolare a proposito<br />
di certe donazioni a Gergueil; ma ottennero la pace con estrema facilità.<br />
In un caso (prima del 1125), per conservare la pace, diedero dieci scudi<br />
e una tunica di fustagno. Una somma irrisoria. Non si è mai visto a<br />
Citeaux ciò che avvenne a Molesme verso il 1130: una rivolta di servi.<br />
Ma i <strong>Cistercensi</strong> non restarono sempre fedeli ai saggi regolamenti dei<br />
primi Padri.<br />
I <strong>Cistercensi</strong> e la lotta delle Investiture<br />
La vittoria pacifica di Citeaux sul feudalesimo acquista maggior<br />
importanza se la si inquadra nel periodo critico in cui ha avuto luogo:<br />
il periodo della « Lotta delle Investiture» tra il Papa e l'imperatore germanico.<br />
È noto come nell'anno 1111 il papa Pasquale II preso dai soldati<br />
dell'imperatore Enrico V, spogliato delle vesti pontificali e portato nel<br />
campo germanico, fosse minacciato di terribile rappresaglie se non<br />
avesse acconsentito alle richieste imperiali. Si dice che il Pontefice,<br />
temendo qualcosa di peggio, abbeverato di sofferenze e di umiliazioni,<br />
fìnl per lasciarsi sfuggire dalle labbra queste semplici parole: Cogor pro<br />
Ecclesiae libera/ione, e il 12 aprile 1111 fece redigere un privilegium<br />
che concedeva all'imperatore l'investitura con la croce e l'anello.<br />
L'Exordium parvum fa un'allusione formale a questa « capitolazione<br />
», e con termini che denotano la più viva riprovazione: antequam<br />
- 110-
ipse papa Pascbalis in captione positus imperatoris PECCARE T (cap. X).<br />
Queste parole .senza dubbio furono scritte sotto l'impressione cocente di<br />
quel triste affare. Fortissima fu l'emozione in Italia e in Francia dove il<br />
Papa fu aspramente criticato, soprattutto nelle province di Lione e di<br />
Vienne. I vescovi Giosserando e Guido di Borgogna decisero di convocare<br />
un sinodo ad Anse per giudicare il Papa. Fortunatamente questa<br />
pericolosa iniziativa falli grazie all'intervento del celebre vescovo e canonista<br />
Ivo di Chartres il quale si rifiutò di prender parte al sinodo di<br />
Anse dov'era stato convocato e pronunziò parole piene di saggezza e di<br />
moderazione con le quali scusava il Papa « con amore filiale », D'altra<br />
parte Pasquale II si riprese subito e in una lettera al vescovo di Vienne,<br />
fece sapere che era sua formale intenzione revocare il privilegio estorto<br />
da Enrico V. Un concilio riunito in Laterano sotto la presidenza del<br />
Papa annullò infatti il privilegium (23 marzo 1112). Alcuni intransigenti<br />
ritennero che l'annullamento era insufficiente e che bisognava condannare<br />
l'investitura laica più energicamente. Un sinodo riunito a Vienne dall'arcivescovo<br />
Guido il 16 settembre 1112 dichiarò eretica l'investitura<br />
di vescovati e di abbazie conferita da un laico e chiese la scomunica<br />
per Enrico V. Pasquale II, prudente, ri rifiutò di giungere a questo<br />
estremo e si limitò a lodare lo zelo dell'arcivescovo (20 ottobre 1112).<br />
Il risentimento contro il Papa si calmò rapidamente. Un chierico francese<br />
pubblicò una Defensio Pascbalis Papae che metteva le cose a<br />
punto. Nel 1116 l'arcivescovo Guido, che s'era opposto a Pasquale II,<br />
presiedette in qualità di Legato dello stesso Papa i sinodi di Langres e di<br />
Bèze, e poi nel 1117 quello di Digione. Il Romano Pontefice, dal canto<br />
suo, tenne duro fino alla morte (21 gennaio 1118) nell'opposizione alle<br />
pretese rinnovate senza posa di Enrico V, rifiutandosi tuttavia di usare<br />
l'arma pericolosa della scomunica. E per una curiosa disposizione della<br />
Provvidenza, a chiudere felicemente la lunga Lotta delle Investiture<br />
fu proprio il vecchio arcivescovo di Vienne Guido di Borgogna, avversario<br />
irriducibile di Enrico V, divenuto papa col nome di Callisto II (Concordato<br />
di Worms, 23 settembre 1122).<br />
Ciò che va notato per la storia di Citeaux è la volontà risoluta<br />
dei <strong>Cistercensi</strong> di tener lontano dalla Chiesa ogni intervento ed influenza<br />
del potere secolare, si tratti della Chiesa universale ove la concessione<br />
strappata al povero prigioniero è da essi ritenuta non senza esagerazione<br />
un « peccato », o della sola piccola chiesa di Citeaux, il Nuovo Monastero,<br />
ove né duca né signore avrà diritto d'accesso.<br />
- 111-
L'Opera liturgica<br />
La determinazione dei <strong>Cistercensi</strong> a voler «conformare tutta la<br />
loro condotta all'integrità della Regola tanto nelle cose ecclesiastiche<br />
quanto nelle altre osservanze» doveva avere le sue ripercussioni nella<br />
liturgia. A proposito delle osservanze abbiamo notato che i <strong>Cistercensi</strong><br />
ne avevano improntato le grandi linee non soltanto alla Regola ma anche<br />
alla vita di S. Benedetto e perfino a documenti estranei all'una e<br />
all'altra, il cui spirito tuttavia collimava con quello della Regola.<br />
Qual era lo spirito della Regola rispetto al culto di Dio? Crediamo<br />
poterlo riassumere in queste poche frasi: la lode è l'opera per. eccellenza<br />
del monaco. Niente deve esserle anteposto. Ma la lode non sarà<br />
vera, vale a dire non raggiungerà il suo duplice :fine di rendere veramente<br />
a Dio la gloria che gli è dovuta e di portare l'anima gradualmente<br />
a una più intima conoscenza di Dio, se l'armonia non regna in colui<br />
che prega, ut mens nostra concordet voci nostrae. Il monaco deve salmodiare<br />
con saggezza, cioè consapevole di ciò che fa nel coro.<br />
Abbiamo visto in precedenza come i <strong>Cistercensi</strong> abbiano tagliato e<br />
rigettato tutti gli elementi avventizi che a causa del numero e della<br />
lunghezza erano recitati con noia e tiepidezza. Abbiamo anche fatto<br />
notare la premura di una perfetta esecuzione liturgica per mezzo dell'osservanza<br />
esatta delle regole di accentuazione, e la preoccupazione di<br />
non recitare niente in coro che non fosse della più rigorosa autenticità<br />
dal punto di vista del testo e della melodia.<br />
Verità e unità<br />
Quando S. Stefano promulgò la sua « enciclica» (1109) la revisione<br />
della Bibbia certamente non era ancora terminata. L'opera fu continuata<br />
e il metodo usato fu verosimilmente applicato alla revisione dei libri<br />
liturgici. Si hanno dati certi circa i lavori sull'innario e sull'antifonario,<br />
e dati generici circa il canto.<br />
Stefano redasse, come per la Bibbia, una lettera di prefazione per<br />
l'innario. Non porta alcuna data, ma è anteriore al 1115-1118. Ecco la<br />
traduzione del testo pubblicato da D. Blanchard (Rev. bénédictine, XXXI,<br />
1914-1919, pago 38; copia presso D. OTHON, Orig. cist., pago 106,<br />
nota 3), come nel ms 9 f O 144 della biblioteca di Nantes: «Inizio della<br />
lettera di Stefano, secondo abate di Citeaux, a proposito degli inni.<br />
- 112-
Fratello Stefano, secondo servo del Nuovo Monastero, ai suoi successori,<br />
salute. Rendiamo noto ai figli della Santa Chiesa che questi inni sono<br />
stati portati qui, nella nostra dimora che si chiama il Nuovo Monastero,<br />
dalla Chiesa di Milano dove sono cantati, e che furono composti<br />
dal Beato Ambrogio. Decretiamo d'accordo con i fratelli che non dovranno<br />
mai essere cantati altri inni, perché questi il nostro Padre e<br />
Maestro Benedetto ci ha prescritti nella sua Regola, e perché questa<br />
Regola abbiamo deciso di osservare col più grande zelo. Vi ordiniamo perciò,<br />
in forza dell'autorità di Dio e della nostra, di non osar mai attenuare<br />
o distruggere per leggerezza l'integrità della Santa Regola che è<br />
stata elaborata per noi con tanto sudore e che vedete praticata in questo<br />
luogo, ma di conservare piuttosto questi inni gelosamente ». Testo poco<br />
conosciuto ma sensato, scritto in un linguaggio semplice ma grandioso e<br />
perfino solenne. Vi si riconosce lo stile dell'« enciclica» sulla Bibbia.<br />
Costituisce un magnifico commento alle parole dell'Exordium parvum:<br />
amator regulae et loci, e denota un forte attaccamento alla Regola e al<br />
Nuovo Monastero.<br />
Così, al fine di salvaguardare l'integrità della Regola, i primi <strong>Cistercensi</strong><br />
non esitarono a fare il viaggio fino a Milano per prendere<br />
gli inni ambrosiani (è poco probabile che i due inviati di Alberico nel<br />
1100, Giovanni e Ilbod, avessero il tempo di fare essi stessi questa<br />
copia).<br />
S. Stefano ha pubblicato lettere di prefazione all'antifonario ed<br />
agli altri libri liturgici? Lo si ignora. Ma per quanto riguarda l'antifonario,<br />
e sempre nell'intenzione di non cantare nulla che non fosse<br />
assolutamente autentico, si sa che i <strong>Cistercensi</strong> si recarono a Metz per<br />
copiare l'antifonario di Amalario ritenuto « vero gregoriano ». Vedremo<br />
più avanti che non bisogna dare troppa importanza alle critiche della prefazione<br />
del trattato De cantu che stimmatizza questo antifonario come<br />
pieno di difetti. Quel che è vero è che qualche anno più tardi non soddisfaceva<br />
più nessuno.<br />
Il principio generatore di Citeaux, dunque, fu anche il principio generatore<br />
della liturgia cistercense: tornare il più possibile alla Regola e<br />
a tutto ciò che è veramente autentico, non per smania di arcaismo ma<br />
per ritrovare lo spirito di S. Benedetto. « Il risultato fu di un puritanesimo<br />
troppo spinto, perfino esagerato, che però fu attenuato subito, forse<br />
sotto l'influenza delle critiche che questa riforma subì» (J. CANIVEZ,Le<br />
rite cistercien, in Ephemerides liturgicae, XLIII, 1949, pago 285).<br />
Accanto a questo, un altro principio fu stabilito per la liturgia.<br />
Era indicato nell'« enciclica» e sottinteso nella prefazione all'innario<br />
- 113-
prima d'essere formulato nella Carta caritatis e rinnovato e precisato<br />
nei primi I nstituta generalis Capituli: conservare l'uniformità nei libri<br />
liturgici. Si comprende facilmente come, dopo aver tanto lavorato per<br />
ricercare i testi più autentici e fatto del Nuovo Monastero il monasterotipo,<br />
S. Stefano proibisce nel modo più formale che nessuno si allontanasse<br />
dagli usi seguiti e dai libri usati nel Nuovo Monastero: « ... affinché<br />
non si trovino discordanze nei nostri atti, e perché possiamo vivere nella<br />
stessa carità, sotto la stessa regola, secondo gli stessi costumi ».<br />
Povertà e semplicità<br />
La lode a Dio non è perfetta se lo spirito del monaco è distratto.<br />
S. Benedetto richiedeva che l'oratorio fosse quel che doveva essere: il<br />
luogo della preghiera. Nient'altro vi si doveva fare. Non ci si meraviglierà<br />
se i <strong>Cistercensi</strong> hanno voluto fare della loro chiesa ciò che potrebbe<br />
chiamarsi un «laboratorio della preghiera», dove assolutamente<br />
nulla può venire a disturbarli nell'esercizio di un'arte così delicata.<br />
Soltanto così si spiegano alcuni passi fatti da S. Stefano, riferiti nell'Exordium<br />
magnum.<br />
La chiesa cistercense, laboratorio della preghiera, sarà di conseguenza<br />
spoglia di tutto ciò che potrebbe distrarre i sensi e rallentare<br />
l'ascesa dell'anima verso Dio. Pare che questo sia il movente della seconda<br />
serie di decisioni apportate da Stefano e confratelli e destinate a<br />
bandire ogni lusso dalle cerimonie del culto e dalle chiese. «Affinché<br />
nella chiesa, dove avrebbero dovuto attendere giorno e notte al servizio di<br />
Dio, non ci fosse nulla di fastoso o di vanitoso che potesse offendere la<br />
povertà, guardiana di virtù che avevano abbracciata volontariamente,<br />
stabilirono di non avere croci né d'oro né d'argento ma soltanto di<br />
legno dipinto, né candelabri tranne uno solo di ferro; anche gli incensieri<br />
saranno di ferro o di rame, le pianete di fustagno o di lino, senza seta,<br />
né oro né argento; i camici e gli amitti saranno di lino senza ornamenti<br />
di seta o d'oro o d'argento. L'uso dei piviali, delle dalmatiche e delle tuniche<br />
sarà abolito. Il calice e il cannello saranno di argento dorato, mai<br />
di oro. Le stole e i manipoli saranno di seta, ma senza oro né argento;<br />
le tovaglie d'altare saranno di lino senza disegni e le ampolline senza<br />
oro né argento ».<br />
Sarebbe un errore vedere in queste decisioni un primo passo fuori<br />
del quadro della Regola, una prima evoluzione dello spirito primitivo<br />
di Citeaux, sotto pretesto che S. Benedetto non aveva rigettato il lusso<br />
- 114-
nelle chiese: aveva richiesto che l'oratorio fosse ciò che il nome stesso<br />
esigeva, la casa di Dio, il tempio della preghiera. Ma appunto per questo<br />
una grave obiezione poteva esser fatta. E la fecero i primi <strong>Cistercensi</strong>,<br />
e più tardi S. Bernardo. Elredo di Rielvaux la formulò in questi termini:<br />
« Ciò che v'è di luccicante e di pomposo nel culto esteriore della religione<br />
non è forse una fonte di distrazioni atta a distruggere la vita interiore<br />
e nascosta nell'anima? ».<br />
Dal punto di vista della povertà e della semplicità che conviene<br />
al monaco, si rimane sconcertati quando si legge nelle Consuetudine: de<br />
Cluny il fasto delle cerimonie nei giorni di grande festa, col presbiterio<br />
tutto rivestito di tende, gli stalli ricoperti di tappeti, tutti i monaci in<br />
camice e piviale e i ragazzi in tunica di seta che si muovevano in uno sfavillio<br />
di luci. Sarebbe stato inutile bandire dal monastero le corti dei<br />
principi col lusso che le accompagnavano, se i monaci fossero vissuti<br />
in un'atmosfera di sontuosità. E dopo tutto, il miglior sistema per tenere<br />
a distanza nobili e signori con le loro feste mondane era sopprimere<br />
nell'oratorio le grandi cerimonie e tutto ciò che avrebbe potuto attirare<br />
i grandi col destarne la curiosità. La decisione di mantenere la semplicità<br />
del culto e la povertà dell'oratorio è dunque intimamente legata alla<br />
proibizione fatta al duca e ai signori. L'una e l'altra sono il miglior commento<br />
pratico a: a saeculi actibus se [acere alienum.<br />
L'effetto fu immediato, e l'Exordium paruum poté lanciare questo<br />
grido di trionfo: in quel tempo il monastero si accrebbe in terre e in<br />
beni, e lo spirito religioso non venne meno.<br />
Sviluppi<br />
L'opera liturgica dovette esser terminata dopo la fondazione delle<br />
prime figlie di Citeaux, perché la Carta della Carità prescrive alle abbazie<br />
già fondate e da fondarsi di avere tutti i libri liturgici conformi<br />
a quelli del Nuovo Monastero: uolumus ut mores et cantus et omnes<br />
libros ad boras diurnas et nocturnas et ad missas necessarios secundum<br />
[ormam morum et librorum novi monasterii possideant, e uno dei primi<br />
Instituta generalis capituli precisa (verso il 1120): Missale, textus,<br />
epistolare, collectaneum, gradati antipbonarium, bymmarium, psalterium,<br />
lectionarium, regula, Kalendarium ubique unijormiter babeantur.<br />
Questa prima collezione purtroppo è andata perduta. Nella biblioteca<br />
di Digione si conserva un Bréuiaire, Missel et Usages de Citeaux,<br />
ms. 114(82), composto di quindici libri ad divinum officium pertinentes.<br />
- 115-
In prima pagina vi si legge una dichiarazione di cui ecco la traduzione:<br />
« In questo volume sono contenuti i libri concernenti il culto divino, che<br />
nel nostro Ordine non devono differire da un posto all'altro. Sono raggruppati<br />
in un solo volume soprattutto perché esso sia un esemplare per<br />
conservare l'uniformità e correggere le discordanze negli altri ». Questo<br />
manoscritto-tipo fu redatto tra il 1170 e il 1187, e rappresenta di conseguenza<br />
una liturgia abbastanza tardiva. Manchiamo di dati per seguire<br />
con precisione il cammino percorso. Ci fu infatti un'evoluzione.<br />
A dispetto della proibizione formulata da S. Stefano, nuovi inni furono<br />
introdotti: l'hymnarium del ms-tipo è andato perduto ma un breviario<br />
contemporaneo (Vaticano, Chigi C. V. 138) riporta 70 tra inni e divisioni<br />
d'inni. E d'altra parte l'antifonario fu l'oggetto di una revisione metodica,<br />
col consenso di S. Stefano e degli anziani di Citeaux, ex eorum<br />
assensu. Torneremo più tardi su questo argomento.<br />
La prefazione del manoscritto-tipo e quella dell'antifonario (trattato<br />
De cantu) testimoniano se non altro che i principi cari ai primi<br />
<strong>Cistercensi</strong>: la ricerca dell'autenticità e l'uniformità da conservare nei<br />
libri liturgici, furono sempre in onore nell'Ordine. Le decisioni di<br />
S. Stefano relativa alla povertà e alla semplicità nelle chiese, che bandivano<br />
dall'oratorio sculture e pitture, saranno riprese nelle collezioni di<br />
Instituta generalis capituli e in alcuni punti saranno anche aggravate:<br />
saranno proibite. le chiusure d'oro o d'agento, o semplicemente dorate<br />
per i libri liturgici, e vietate le miniature e i vetri a più colori.<br />
{Traduzione di P. IGINOVONA,O. CIST.)<br />
- 116-