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Leggi - I Cistercensi

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NOTIZIE<br />

CISTERCENSI<br />

1-2<br />

GENNAIO - APRILE<br />

1972<br />

ANNO QUINTO<br />

Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV


NOTIZIE CISTERCENSI<br />

Periodico bimestrale di vita cistercense<br />

SOMMARIO<br />

P. GOFFREDO VITI, Storia dell'Abbazia di Casamari<br />

P. BENEDETTO FORNARI, Parte Prima, Casamari Benedettina<br />

Capitolo primo:<br />

Fondazione dell' Abbazia<br />

Capitolo secondo:<br />

Inizio della vita benedettina a Casamari e suo sviluppo<br />

Florilegio Cistercense .<br />

P. PLACIDO CAPUTO, I <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova nell'opera<br />

di bonifica dell'Agro Pontino 1795-1809<br />

P. ILDEBRANDODI FULVIO, Modalità Gregoriana .<br />

P. MALACHIA FALLETTI, A proposito della musica Beat<br />

P. VITTORIO ZANNI, Quaranta giorni in Etiopia .<br />

I Monaci e lo studio della Sacra Scrittura .<br />

J. DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(dodicesima puntata)<br />

Direttore e Redattore<br />

Don Filippo Agostini O. Cist.<br />

Monastero Cistercense<br />

Certosa del Galluzzo - ~0124 Firenze<br />

Tel. 289.226<br />

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Abbonamento annuo: Italia L. 3.000<br />

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GOFFREDO VITI O. CISTo<br />

Storia dell'Abbazia di Casamari<br />

DALLE ORIGINI AI NOSTRI GIORNI<br />

Parte Prima<br />

Casamari Benedettina<br />

(secolo XI - XII)<br />

di<br />

BENEDETTO FORNARI O. CISTo<br />

Capitolo Primo FONDAZIONE DELL'ABBAZIA<br />

Il luogo ed il nome<br />

I primi religiosi che diedero ongme all'abbazia partirono dalla<br />

città di Veroli e, allontanatisi di circa sette chilometri dal centro abitato,<br />

giunsero a ridosso di una collina tutta sassi e sterpi, situata all'estremo<br />

lembo orientale del territorio cittadino. Questi pionieri decisero di stabilirsi<br />

in quel luogo perché sembrò loro aver trovato il necessario per<br />

una immediata sistemazione: la solitudine, l'acqua del fiume Amaseno<br />

e numerosi ruderi di antiche costruzioni. Quel luogo incolto ed abbandonato<br />

era chiamato fin dall'Alto Medioevo Casamari, in ricordo del<br />

console romano Caio Mario che, secondo il parere di molti storici, vi<br />

ebbe i natali nel 156 a. C. Il nome di Casamari, come appare dai documenti,<br />

presenta almeno venti lezioni differenti 1 che potrebbero mutarne<br />

sostanzialmente l'etimologia. Tutte queste varianti derivano probabilmente<br />

da trascrizioni imperfette di amanuensi posteriori. Nonostante<br />

i dubbi insinuati dalle varianti, l'etimologia di Casamari, per quasi<br />

tutti gli storici è CASA MARII, cioè villa, residenza o patria di Caio<br />

Mario.<br />

l Le principali sono: Casamarium, Caservarium, Castermarium, Caseniarium, Combri<br />

Mari, Cajamara, Casamaro, Gallìs Cazemarre: Cfr ]ANUASCHEK, 58.<br />

-1-


Solo il D'Onofrio dissente dalla mentalità comune. Infatti egli<br />

in una recente pubblicazione 2 escogita una originale ma ardita etimologia:<br />

«Come resistere alla tentazione di spiegare CASAMARI nient' altro<br />

che con una CASA MARII} Casa di Mario? Ma a dispetto di una così<br />

allettante spiegazione} sarei dell'avviso che etimologicamente i due vocaboli<br />

non abbiano niente in comune. Forse ci troviamo di fronte ad un<br />

toponimo pre-romano, di origine osca (l'estremo confine nord degli Osci<br />

arrivava infatti da queste parti): in Varrone c'è tramandato il termine<br />

osco casnar (al genitivo: casnaris) col significato di « vecchio »; mentre<br />

in Quintiliano} ... col significato di «cacciatore» si trova ancora casnar<br />

che altri invece leggono casamo. È difficile arrivare ad una conclusione<br />

certa; a me sembrerebbe comunque assai probabile che CASAMARI sia<br />

proprio un nome di luogo di origine osca, oscillante tra il casnar ed il<br />

casamo » 3.<br />

L'ipotesi avanzata dal D'Onofrio non ci convince perché, dai reperti<br />

archeologici, non risulta alcun vocabolo che possa indirizzare la<br />

nostra attenzione verso un villaggio chiamato casnar o casamo.<br />

I numerosi ruderi che si presentarono agli occhi dei primi religiosi<br />

erano chiaramente di epoca romana. Ancora oggi se ne possono<br />

ammirare alcuni davanti all'abbazia:<br />

Un acquedotto a grandi arcate che fino al secolo scorso, secondo<br />

la testimonianza del De Persiis \ forniva d'acqua il monastero.<br />

Il ponte sull'Amaseno è stato efficiente fino all'ultimo conflitto<br />

quando fu fatto saltare dai tedeschi in ritirata. Poiché sono questi i resti<br />

più importanti preferiamo riportare la descrizione fatta dal Cassoni<br />

nel 1918:<br />

« Il più importante e visibile residuo romano ... è certamente il ponte<br />

e l'acquedotto gettato sul fiumicello Amaseno, un cento passi in<br />

distanza dall'ingresso principale della badia. Il muro dell'acquedotto è<br />

di una spessezza di più di novanta centimetri, e va sempre più rialzandosi<br />

a misura dell'avvallarsi della collina; trapassa il ponte, s'interna e<br />

si continua nella collina opposta dentro la clausura monastica, ove<br />

si abbassa di nuovo. La sua lunghezza oggi misurabile, sorpassa i cento-<br />

2 D'ONOFRIO CESARE, PIETRANGELI CARLO, Le Abbazie del Lazio, Roma 1969.<br />

3 Ibidem, 245-246.<br />

4DE PERSIIS, 2: «L'acquedotto e il ponte sono opere romane; l'uno e l'altro ci restano<br />

ancora dopo tante e si svariate ingiurie del tempo e degli uomini. Il primo però più<br />

danneggiato che non il secondo; ma compie tuttora il suo uffizio. Ristaurato circa la metà<br />

del secolo scorso, ridonò alla Badia il commodo dell'acqua viva ».<br />

2-


Arcate dell'antico acquedotto.<br />

venti metri; si apre in sei arcate di circa cinque metri di corda ciascuna,<br />

delle quali tre soltanto sono oggi aperte; due per il passaggio della via<br />

provinciale, ed una vicino all'arco del ponte. Due altre minori aperture<br />

erano ancora visibili nell'interno del recinto monastico un venti anni<br />

addietro, molto più simili a larghe porte, anziché ad archi.<br />

Il ponte è di una solidità e floridezza meravigliosa: le due faccie<br />

dei muraglioni, settentrionale e meridionale, sopra cui esso riposa,<br />

sono costruite di grandi pietre calcaree rettangolari, che fan concorrenza<br />

coi massi delle mura dette pelasgiche. La luce dell'unico arco è di<br />

circa sei metri: un grande deposito di terra e di pietre accumulate sotto<br />

e intorno al ponte dalla impetuosità del torrente, impedisce di misurare<br />

la vera profondità di esso, che non va ora a più di quattro metri, e di<br />

contemplare la sua severa bellezza. La intiera volta e tutto il rimanente<br />

del ponte, è in massi quadrati pienamente affacciati e diligentemente<br />

commessi, che non vi si scorge la menoma lesione dopo tanti secoli,<br />

e si appoggia sopra un cordone assai risentito della medesima pietra;<br />

il ripieno è giunto quasi a toccare questi cordoni» 5.<br />

Un'altra interessante testimonianza è costituita da un tratto<br />

5 CASSONI, Cereate, 32.<br />

-3-


Il ponte sull'Amaseno. Ruderi dell'arco inferiore.<br />

di strada a larghe selci, venuta alla luce durante la recente sistemazione<br />

dei giardini davanti all'attuale ristorante Abbazia. Questa strada si<br />

allaccia ad una piazza pavimentata anch'essa a grandi lastre di pietra che<br />

attualmente si trova sotto il pavimento della sala parrocchiale, visibile<br />

attraverso una botola. All'estremità della piazza, nascosta, si erge una<br />

colonna, lasciata in loco che si può ammirare a destra dell'ingresso all'abbazia.<br />

A questi monumenti più grandiosi fa seguito una serie di reperti<br />

archeologici che ci permettono di identificare questa località con iI<br />

villaggio romano di CEREATE, forse perché dedicato alla dea Cerere.<br />

In un secondo tempo, probabilmente dopo le gesta di Caio Mario, vi<br />

fu aggiunto il titolo onorifico di MARIANAEo MARIANORUM.La storicità<br />

di un Cereate Mariano è affermata da diversi autori latini tra cui: Strabone<br />

6, Plinio 7 e Plutarco 8. Tra gli storici più vicini a noi ricordiamo solo<br />

lo Schmidt 9, il Mommsen lO e il Liibker 11, che in qualche modo si sono<br />

6 STRABONE, Geographicon Pempton, Lib, V, cap. 3, lO.<br />

7 PLINIO, Historia mundi, Lib. III, cap. 9, 11.<br />

8 PLUTARCO, De uiris illustribus, Vita Marii.<br />

9 SCHMIDT, 41.<br />

lO MOMMSEN T., Corpus Inscriptionum Latinarum (C.I.L.), vol. I, IX, X.<br />

11 LUBKER F., Lessico ragionato della Antichità Classica, trad. MURERO c., Ro-<br />

-4-


interessati di Cereate, e che sono unanimi nell'ammettere che l'abbazia<br />

di Casamari sorge sulle rovine dell'antico villaggio romano di Cereate<br />

Mariano. Il parere degli storici è stato confermato abbondantemente dai<br />

numerosi frammenti epigrafici, oggetti fittili, monete di epoca romana rinvenuti<br />

periodicamente nei pressi di Casamari e che attualmente si possono<br />

ammirare nel museo dell'abbazia.<br />

Citiamo qui solo due epigrafi che ci sembrano le più adatte per<br />

confermare l'esistenza di Cereate Mariano sul luogo ove sorge l'abbazia.<br />

La prima, scoperta a Casamari nel 1780 e successivamente trasferita<br />

ad Arpino, presenta l'elenco delle magistrature e degli ordini sacerdotali<br />

ricoperti da Caio Mario:<br />

C. MARIO C. F.<br />

COSVII. PRo TRIB. PL.<br />

Q. AUG. TR. MIL.<br />

C(aio) MARIO, C(ai) F(ilio) / CO(n)S(uli) VII, PR(aetori), TRIB(uno)<br />

PL(ebis) / Q(uestori), AUG(uri), TR(ibuno) MIL(itari) 12:<br />

A Caio Mario figlio di Caio, sette volte console, pretore, tribano della<br />

plebe, questore, augure, tribano militare.<br />

La seconda, ritrovata a Casamari nel 1834 durante uno scavo davanti<br />

all'antica residenza abbaziale e attualmente nel museo dell'abbazia,<br />

è un cippo in pietra di cm. 110 X 43 X 40. I caratteri sono rozzi ed irregolari.<br />

Presenta un fiore a quattro petali nei lati destro e sinistro, e<br />

uno a otto petali nel lato posteriore 13. L'iscrizione è dedicata ad un benemerito<br />

del villaggio:<br />

FELICI VICTORIO<br />

V E<br />

PATRONO<br />

PRO MERITIS<br />

ORDa CEREATINORUM<br />

MARIANORUM<br />

A Felice Vittorio, personaggio egregio, patrono. Per; meriti, l'ordine dei<br />

Cereatini Mariani (donò).<br />

ma 1898.<br />

12 MOMMSEN, CI.L., voI. X, 5782; CASSONI, Cereate, 72; DEL PROPOSTO-FoRNARI, 8.<br />

13 MOMMSEN, CI.L., vol. X, 5781; CASSONI, Cereate, 72, 3; GIANNETTI, 31-34;<br />

DEL PROPOSTO-FoRNARI, 8.<br />

-5-


Tratto di via romana.<br />

Uno studio scientifico, anche se breve, su Cereate è stato fatto<br />

nel 1851 dal Garrucci e pubblicato nel Bollettino dell'Istituto di corrispondenza<br />

archeologica 14.<br />

A proposito di questo lavoro cosi si esprimono due studiosi su<br />

Casamari: il De Persiis e il Cassoni: «Parlare di Casamari dopo che<br />

fu pubblicato questo scritto dell'insigne archeologo e non farne tesoro<br />

sarebbe voler ripudiare la gran luce che esso spande sopra i luoghi<br />

ove è posta la Badia e sopra la storia » 15.<br />

Il Cassoni nel 1918 fa il punto della situazione nell'Avvertenza<br />

al suo studio su Cereate e afferma: « ... Cercammo, quindi, di esso (di<br />

Cereate) con l'intelletto d'amore negli storici antichi e moderni, frugammo<br />

nelle vetuste memorie del monastero, negli autori di relazioni<br />

e di storie ancora inedite quanto poteva riuscire utile per la sua (di<br />

Cereate) ricostruzione primitiva. Lo trovammo, in verità, onorevolmente<br />

ricotdato in parecchi classici autori ed anche in quasi tutti i più accreditati<br />

Dizionari moderni di Geografia e Storia antica; ma, in generale<br />

tutte le notizie fornite da costoro erano slegate, assai scarse ed incerte.<br />

14 GARRUCCI, I Cereatini.<br />

15 DE PERSIIS, 4, in nota.<br />

-6-


Monumento a Felici Victorio (Museo dell'abbazia).<br />

-7-


Un solo lavoro esiste che parla direttamente e con qualche ampiezza del<br />

Cereate, ed è quello dell'illustre archeologo P. Raffaele Garrucci: I Cereatini<br />

Mariani scoperti nel luogo ove ora è Casamari, pubblicato nel<br />

Bollettino di corrispondenza archeologica per l'anno 1851-1852, con<br />

altra breve ripresa del medesimo autore sullo stesso soggetto, uscita nel<br />

periodico La Civiltà Cattolica nel 1882, Serie II, voI. IX, pago 723 » 16.<br />

Il Garrucci quindi ebbe l'onore di essere il primo ad interessarsi<br />

a fondo per l'identificazione tra Cereate Mariano e Casamari.<br />

10 studio più minuzioso però è proprio quello del Cassoni 17 che<br />

esamina con cura la frammentaria letteratura precedente, coordinando<br />

un prezioso materiale per la storicità di Cereate, l'ubicazione, la topografia,<br />

le vicende e il patrimonio archeologico. Per quanto riguarda il<br />

patrimonio archeologico egli elenca 53 frammenti di iscrizioni 18, 23 residui<br />

architettonici 19, 9 oggetti di bronzo 20, 18 oggetti fittili 21 e 84<br />

monete dal IV secolo a. C. fino al IV secolo d. C. 22.<br />

L'opera del Cassoni, eccellente sotto molti punti di vista presenta<br />

tuttavia delle lacune. In tutti questi elenchi l'autore offre una scrupolosa<br />

descrizione esterna dei documenti precisandone, nella massima parte<br />

dei casi, l'esatto luogo di ritrovamento, ma non decifra le iscrizioni<br />

epigrafiche<br />

colare.<br />

e monetarie e non le inquadra nel contesto storico parti-<br />

Il Giannetti con il volume Cereate Marianae ha rimediato recentemente<br />

a questa lacuna solo per la parte epigrafica. Sarebbe augurabile<br />

una rielaborazione e un completamento storico-archeologico non solo<br />

su Cereate ma anche sulle altre terre limitrofe tanto ricche di patrimonio<br />

storico-archeologico romano, ma anche tanto dimenticate!<br />

Dall'epoca romana facciamo un salto di circa otto secoli per<br />

giungere agli inizi del secolo XI quando questa zona riaffiora nella<br />

storia presentandosi con un nuovo nome: Casamari, come afferma la<br />

Cronaca del Cartario parlando dei primi religiosi: « ... venerunt ad [undum,<br />

qui dicitur Casemarii, territorio<br />

d'fi . 23<br />

e t eta... » .<br />

oerulano, uidentesque ibi antiqua<br />

È legittimo porsi a questo punto un primo interrogativo: perché<br />

16 CASSONI, Cereate, 4.<br />

17 CASSONI, Cereate.<br />

18 Ibidem, 71-87.<br />

19 Ibidem, 87-92.<br />

20 Ibidem, 94.<br />

21 Ibidem, 94-96. La numerazione giunge fino a 29, ma dal numero 12 passa al 24,<br />

22 Ibidem, 96-102.<br />

23 Cron. Cart., cfr doc. 1 del secondo volume.<br />

-8-


questo nucleo di preti e laici abbandonarono la città per rifugiarsi tra<br />

quei ruderi?<br />

I veri motivi che determinarono la fondazione dell'abbazia:<br />

Millenarismo ed eremitismo?<br />

Tutti gli storici che in qualche modo si sono interessati di Casamari<br />

hanno esposto sommariamente gli avvenimenti riguardanti le<br />

origini, accettando alcuni dati del De Persiis 24 che, a nostro avviso,<br />

non corrispondono del tutto alla realtà storica. Le cause che determinarono<br />

la fondazione di Casamari per alcuni furono il terrore millenaristico<br />

unito ad una forma di vita eremitica, almeno per un trentennio,<br />

per altri invece fu o solo il millenarismo o solo l'eremitismo.<br />

Poiché queste cause non ci convincono ci permettiamo di esaminare<br />

a ritroso i testi storici che si sono interessati del caso, allo scopo di<br />

.<br />

fare più luce sui veri motivi<br />

saman.<br />

che determinarono la fondazione di Ca-<br />

Lo Scaccia-Scarafoni nel 1951 affermava: «Sui primi del sec. XI<br />

alcuni sacerdoti verolani e propriamente Benedetto, Giovanni Orso e<br />

Azzone adiunctis quibusdam laicis fidelibus eiusdem loci, come dice<br />

la più antica cronaca della Badia, spinti dal terrore di una prossima<br />

fine del mondo che le leggende chiliaste avevano largamente diffuse<br />

anche nelle nostre contrade, abbandonata la città... si ritirarono a<br />

far vita di penitenza fra i silenti ruderi di quella che era stata la patria<br />

di Caio Mario: l'antico Cereate ... » 25.<br />

In nota l'autore conferma la validità della sua posizione basandosi<br />

su certe espressioni di documenti locali: «numerose sono le donazioni<br />

di beni fatte, con palese allusione al giudizio finale, in favore di chiese<br />

e di monasteri contenute nelle pergamene del secolo X e XI dell'archivio<br />

capitolare della cattedrale di Veroli, che possono essere collegate<br />

alla credenza del millenarismo; ma sopra tutte è da ricordare una donazione<br />

collettiva di alcuni abitanti del vicino castello di Monte<br />

San Giovanni (perg. 26, anno 1028) nella quale è fatto palese cenno alla<br />

doppia resurrezione che era uno dei presupposti della leggenda chiliasta ...<br />

In tale atto di donazione è espressa, per chi receda dalla concessione fat-<br />

24 DE PERSIlS, 39-40.<br />

25 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 1.<br />

9-


ta, la minaccia: non babeat partem in prima resurrectione set cum<br />

[uda ... sit pars illius in stagnum ignis ardentis 26.<br />

A noi questa prova non sembra convincente. Non è assolutamente<br />

necessario ricorrere alla minaccia di un documento del 1028per convalidare<br />

il chiliasmo e di conseguenza provare la causa della fondazione<br />

di Casamari! Infatti apparteneva allo schema generale dei documenti<br />

pubblici e privati inserire nel contesto la cosidetta sanzione 27 che<br />

comminava una pena spirituale o temporale ai trasgressori della disposizione<br />

di un documento e prometteva un premio agli osservanti.<br />

Il De Benedetti, nei suoi manoscritti, parlando delle origini dell'abbazia<br />

asserisce: «All'aprirsi del mille la comune preoccupazione<br />

della salvezza eterna, in cui si era trasformata l'attesa millenaristica del<br />

regno di Cristo ... aveva deciso alcuni chierici della città di Veroli ad abbandonare<br />

le loro case per iniziare nella solitudine una vita di penitenza<br />

»28. Il De Benedetti oltre il millenarismo ammette pure un<br />

periodo trentennale di vita eremitica. «Il cambiamento dalla vita<br />

eremitica in cenobitica dovette quindi essere determinato da un fattore<br />

estrinseco dalla volontà degli stessi chierici» 29.<br />

Il Fusciardi: «Le origini della Badia si riannodano alla falsa persuasione<br />

del regno millenario di Cristo, entrata nel cuore di molti sul<br />

finire del X secolo » 30.<br />

Il Cassoni parla solo di vita eremitica: «I Pii solitari verolani ritiratisi<br />

a Casamari ... » 31<br />

Il De Benedetti e il Fusciardi dipendono probabilmente dal De Persiis<br />

o dalle prime espressioni della Cronaca del Cartario 32 accettate<br />

troppo frettolosamente. Il De Persiis tuttavia non è il responsabile di<br />

tutto. Infatti nell'Avvertenza del suo studio su Casamari afferma di essersi<br />

servito del Rondinini, del Giraud, del Moroni e di alcuni fascicoli<br />

manoscritti di Colombano Longòria 33, ma non poté servirsi del Cartario:<br />

« Inutilmente cercai del celebre Cbartarium Casamariense o codice ma-<br />

26 Ibidem, nota 1.<br />

27 P. RABIKAUSKAS, Diplomatica Generalis, Praeletionum lineamenta, Romae 1967,<br />

27 e 31.<br />

28 DE BENEDETTI, Casamari, ms. Parte Prima, capitolo primo: Origini e vita benedettina,<br />

1.<br />

29 Ibidem, 3.<br />

30 FUSCIARDI, Guida, 1.<br />

31 CASSONI, Silloge, 4; ID., Crono/assi, 7-8.<br />

32 Crono Cart., Doc. 1 del secondo volume.<br />

33 DE PERSIIS, VI.<br />

-10-


noscritto »34. Trattando delle cause della fondazione di Casamari esprime:<br />

«Era sul terminare il secolo decimo, e la falsa persuasione del<br />

regno millenario di Cristo, entrata nell'animo d'innumerevoli cristiani,<br />

tanto gli angustiava e percuoteva, che affine di apparecchiarsi all'universale<br />

finimondo non vi era nuovo ingegno di penitenza, che assai volentieri<br />

non avessero adoperato a salute. Di qui la sterminata moltitudine<br />

di coloro, che, abbandonati gli agi della vita, fuggite le città, ne andavano<br />

al deserto, dove tanto più utile riputavano il vivere, quanto più<br />

ruvido, solitario e salvatico lo avessero incontrato. Cento e mille esempi<br />

di splendida santità, di carità ferventissima e di altre nobili virtù ripetono<br />

la loro origine da cosiffatto movimento di spiriti, che allora dappertutto<br />

invadeva; e cento e mille asili e domicili di santa vita e di scienza<br />

allora ci nacquero fondati siccome furono per la medesima salutare<br />

perturbazione di animi. La Badia di Casamari trae la sua origine da cotesto<br />

sentimento pauroso bensì, ma al tempo stesso profondamente<br />

cristiano. Un quattro o cinque sacerdoti della vicina città di Veroli, tocchi<br />

ancor essi e scossi al pensiero della penitenza, se n'escono abbandonando<br />

ogni cosa, e vanno nel luogo ove un tempo furono i Cerea tini<br />

Mariani e stettero in piedi i palagi di Caio Mario. Ruderi informi e<br />

più che salvatica campagna rimanevano al tempo che i nostri penitenti<br />

vennero a cercare colà il luogo della nuova abitazione» 35.<br />

Il De Persiis dipende quindi chiaramente dal Giraud per quanto<br />

riguarda il timore del giudizio universale. Infatti è proprio il monaco<br />

di Casamari che nel suo Abrégé introduce nella storiografia per le origini<br />

di Casamari i timori del giudizio universale:<br />

« Plusieurs eclesiastiques de la ville de Veroli touchez au<br />

fond due coeur par la consicleration du jugement universel et cles<br />

peines de 1'enfer, et du peril où ils se trouvaient au milieu du<br />

monde comme aussi de la sainte vie cles religieux de Saint Dominique,<br />

se resolurent de se consacrer au service du Seigneur<br />

pour toutte leur vie afin de se rendre favorable en ce iour terrible<br />

où il viendra juger les vivants et les morts - et cl'embraser la vie<br />

religieuse selon le genre de vie qui se practiquait au monastère de<br />

S. Dominique » 36.<br />

Il Giraud che scrisse la sua opera inedita nel 1722 cita spesso il<br />

Rondinini, di poco anteriore a lui 37. Il Rondinini non accenna affatto<br />

34 Ibidem.<br />

35 Ibidem, 39.<br />

36 GIRAUD, 4.<br />

37 L'opera de Rondinini è de 1707.<br />

Il -


aUa questione del giudizio universale e al terrore delle pene dell'inferno,<br />

ma si limita a trascrivere dal Baronio le prime frasi delle Cronaca<br />

del Cartario:<br />

« Anno ab incarnatione domini nostri Jesu Christi millesimo<br />

trigesimo sexto, indictione quarta erant in civitate Verulana<br />

quidam boni meriti clerici, qui servantes praecepta dominica ...<br />

venerunt ad fundum qui dicitur Casaemarii ... » 38.<br />

Infine per il supposto periodo eremitico a Casamari il De Persiis si<br />

basa sul Moroni. Questi afferma che i sacerdoti verolani « mossi dal divino<br />

Spirito a menar vita veramente ecclesiastica ed eremitica si ritirarono<br />

nel vicino luogo di Casa-Mario» 39. Da quale fonte attinge il<br />

Moroni? Pur citando il Rondinini ed il Baronio egli confida molto nelle<br />

informazioni avute dagli stessi monaci: «Tanto si ritiene a Casamari<br />

e tanto afferma l'Ughelli » 40.<br />

È quindi soprattutto una fonte orale e l'Ughelli da solo non può<br />

dare tutte le garanzie.<br />

Il viaggio a ritroso ci ha portato ad individuare il tempo in cui si<br />

è iniziato a vedere nel millenarismo e nelI'eremitismo le cause della<br />

fondazione di Casamari.<br />

Dai testi citati si può dedurre che il Giraud, pur parlando del<br />

giudizio universale e delle pene dell'inferno, non si è pronunziato sui<br />

timori millenaristici.<br />

Il De Persiis dunque è stato il primo ad attribuire motivi millenaristici<br />

alla fondazione di Casamari e a diffondere la tradizione orale<br />

del Moroni, corroborata dall'autorità dell'Ughelli, circa il periodo eremitico<br />

pre-benedettino a Casamari. Il De Persiis potrebbe essere stato<br />

indotto a convalidare la sua posizione da alcune espressioni della Cronaca<br />

del Cartario:<br />

« ...erant in Cicitate Verulana quidam boni meriti clerici qui<br />

servantes dominica praecepta divinaque iudicia meditantes, dicentes:<br />

Vae nobis, qui nomine clericatus habentes officium, vitam<br />

neque canonicam, neque monasticam ducirnus, quid de nobis<br />

erit, quid in extremo dicturi sumus examine? Ad cuius auxilium<br />

confugiemus? Faciamus nobis arnicos de mammona iniquitatis,<br />

ut cum ab hac vita migraverimus, recipiant nos in aeterna tabernacula<br />

» 41.<br />

38 RONDININI, 4.<br />

39 MORONI, t. XCIV, 95.<br />

40 Ibidem.<br />

41 BARONlO, T. I, a. 1030, 105; RONDINlNI, 4-5; per il testo completo cfr doc. 1 del<br />

secondo volume.<br />

- 12-


Non ci sembra dover affrontare una lunga discussione per scartare<br />

definitivamente il timore dell'imminente fine del mondo come movente<br />

fondamentale per i preti verolani, data appunto l'arbitraria interpretazione<br />

del De Persiis. È vero che il testo su riportato parla del giudizio<br />

finale quid in extremo dicturi sumus examine, ma più che l'universale<br />

finimondo del De Persiis 42 è da rilevare un profondo sentimento di<br />

perfezione dei boni meriti eterici di fronte alla realtà della morte, del<br />

giudizio di Dio e alla preoccupazione di non aver saputo profittare del<br />

tempo utile perché, sebbene chierici, si sentivano insoddisfatti della propria<br />

vita vitam neque canonicam, neque monasticam ducimus. Inoltre<br />

da tutto il contesto della Cronaca del Cartario 43 il Vae nobis... sembrerebbe<br />

dettato più da un afflato spirituale dell'autore della Cronaca che<br />

a distanza di almeno due secoli vuol vivificare una narrazione, che non<br />

da una fedeltà strettamente storica.<br />

Il leggendario millenarismo poteva maggiormente trarre in inganno<br />

i meno provveduti se Casamari fosse stata fondata nel 999. L'articolo<br />

dell'Olgiati Mille e non più mille 44 anche se breve è sufficiente per dimostrare<br />

che la leggenda millenaristica ha fatto il suo ingresso nella<br />

mentalità popolare alla fine del secolo XVI, cioè seicento anni dopo il<br />

putatum eventum. Il sentimento escatologico della parusia è stato sempre<br />

presente fin dai primi tempi del cristianesimo ed è sempre affiorato<br />

attraverso i secoli, ma nessuno ha mai attribuito ad un simile sentimento<br />

una portata universale e tragica come vorrebbe il millenarismo.<br />

L'Olgiati riporta prove convincenti di molti studiosi che sfatarono definitivamente<br />

la leggenda, come il Rosière, il Von Eicken, il Roy, il Dorval,<br />

lo Schoolmeesters. Inoltre il belga Godefroid Kurth con un esame accuratissimo<br />

di documenti ha dimostrato l'assoluta falsità della leggenda:<br />

« Se durante il secolo X si fosse attesa la fine del mondo per l'anno mille<br />

i cronisti del tempo non avrebbero mancato di indicarlo: ora né quelli<br />

che hanno scritto prima di tale data pronunciano una parola sullo spavento<br />

col quale la si sarebbe aspettata, né quelli che hanno scritto dopo<br />

dicono una parola dei trasporti di gioia coi quali si sarebbe salutato il<br />

primo sole del 1001...». Ma c'è di più. « Tutti i documenti che ci restano<br />

del secolo X ci mostrano una società che attende alle sue occupazioni<br />

quotidiane in una tranquilla sicurezza come in ogni altro<br />

tempo» 45.<br />

42 DE PERSIIS, 39.<br />

43 Cfr nota 41 di questo capitolo.<br />

44 OLGIATI, in Vita e Pensiero, 34 (1951), 310-314.<br />

45 Ibidem, 314.<br />

-13-


E Jean Guiraud aggiunge: «Dal 970 all'anno 1000 abbiamo 150<br />

Bolle di Papi spedite durante il trentennio: nessuna fà allusione, neppure<br />

nella forma più vaga alla fine prossima del mondo. Dal 990 al 1000<br />

si sono tenuti venti concili: nessuno parla della data fatale; al contrario<br />

tutti legiferano per gli anni che seguiranno il mille ... Il Concilio di<br />

Roma del 998 infligge al Re Roberto una penitenza di sette anni, per<br />

conseguenza fino al 1005. Ecco in qual modo la Chiesa annunciava la<br />

fine del mondo » 46.<br />

Anche nelle relazioni delle catastrofi avvenute verso la fine del<br />

secolo X, si registrano dai cronisti dell'epoca pesti, carestie, grandi incendi,<br />

inondazioni, terremoti, persino l'ecclisse totale del sole; mai però<br />

simili disgrazie vennero additate come preludio dell'ultimo giorno<br />

dell'umanità 47.<br />

Per l'altra supposizione del periodo eremitico pre-benedettino, il<br />

Moroni che ne fu il maggiore assertore scrisse: «Passati circa trent'anni<br />

(dal 1005) si unirono ai primitivi altri sacerdoti e laici verolani, per<br />

imitarli nel tenore di vita solitaria e penitente, i quali formatisi in Congregazione,<br />

coll'annuenza del vescovo di Veroli, d'unanime consenso si<br />

diedero a vita claustrale approvata dalla chiesa. Questa risoluzione effettuarono<br />

col recarsi nel celebre e florido monastero di San Domenico<br />

di Sora nel 1036 ... a ricevere l'abito nero monastico con la Regola del<br />

Patriarca San Benedetto» 48.<br />

Questo periodo trentennale di vita eremitica a Casamari ci sembra<br />

una invenzione del Moroni, poiché per quanto finora si sia ricercato in<br />

proposito, da nessun documento possiamo dedurre una simile organizzazione<br />

iniziale 49. Casamari non era assolutamente un luogo adatto per<br />

condurre vita eremitica, essendo situata lungo la via Latina o un diverticolo<br />

di essa - quasi l'attuale tracciato della via Mària - che univa<br />

Frosinone e quindi Roma con Arpino, Sora e la valle del Comino so.<br />

Infine sappiamo dalla Cronaca del Cartario che il primo abate di<br />

Casamari Benedetto, desideroso di vita eremitica transiens ad vita eremiticam<br />

(e non rediens ad vitam eremiticam) se ne andò prima nella<br />

regione di Fondi e quindi nelle isole Ponziane, non travando nella regione<br />

di Casamari, posti adatti alla vita eremitica SI.<br />

46 Ibidem.<br />

47 Ibidem.<br />

48 MORONI, T. XCIV, 95 sgg.<br />

49 In seguito, sempre in questo primo capitolo, torneremo di nuovo ad interessarci<br />

dela questione parlando della data di fondazione dell'abbazia.<br />

soGIANNETTI, 42-46.<br />

51 Per il testo completo in questione cfr il doc. 1 del secondo volume.<br />

-14-


• VEROLi<br />

Topografia di Casemari dalla «Civiltà Cattolica» 1891<br />

-15-


Escluse dunque come cause della fondazione di Casamari il millenarismo<br />

e l'eremitismo, esaminiamo dal contesto storico, quale altra<br />

causa abbia potuto influire per la fondazione di Casamari.<br />

Riforma monastica nel secolo X e XI<br />

Nel periodo in cui nasceva l'abbazia di Casamari, era in atto a<br />

Roma e nel Lazio una grande riforma del monachesimo, che partiva da<br />

Cluny. L'iniziativa aveva avuto le sue origini circa un secolo avanti 52<br />

con il secondo abate di Cluny: S. Oddone (880-942) 53.<br />

« La réforrne tentée par Saint Odon pans le duché de Rome,<br />

serà reprise après sa mort par son di sciple , le franc Baudouin,<br />

abbé de Saint Paul, de l'Aventin et du Mont-Cassin; puis par<br />

saint Mayeul et Odilon de Cluny ... Dans le mèrne duché de Rome<br />

de nuovelles abbayes se fondent. L'une des Egures les plus attachantes<br />

de ce mouvement monastique au Xl" siècle, est celle de<br />

saint Dominique de Foligno, qui, venu en Campanie, fonde Sain-<br />

Barthélemy de Trisulti, vers 1006, puis le monastère de Sora ... »54.<br />

Un biografo di S. Domenico, Luigi Tosti ci presenta ancor più diffusamente<br />

la figura del santo inserendola a ragione in questo movimento<br />

di riforma.<br />

«Molti, stimolati dall'esempio di Domenico, gittatasi dietro ogni<br />

cosa mondana si ponevano monaci sotto la disciplina di lui a seguire il<br />

Signore. E da questo bene che operava Iddio per lo suo mezzo prese<br />

argomento il santo uomo, che il Signore il chiamasse a propagare la<br />

vita monastica e a rivendicarla per nuovo vigore di disciplina, dalla<br />

quale erano caduti non solo i monaci, ma tutti i ministri della Chiesa.<br />

Perciò correndo questo secolo X santo Oddone rilevava in Francia con<br />

la famosa Congregazione di Cluny la disciplina dei monaci, Aligerno a<br />

Montecassino: e fra tanti altri che recano le antiche storie riformatori<br />

e propagatori della vita monastica, va per fermo noverato San Dome-<br />

• 5S<br />

ruco....<br />

Nato a Foligno nel 951 Domenico trascorse la sua giovinezza nella<br />

regione umbra. Diresse quindi la sua attività in Abruzzo e nel Lazio 56,<br />

52 PENCO, I, 190-193.<br />

53 J. HOURLlER, Oddone, in Bibliotheca Sanctorum , voI. IX, Roma 1967, 1101-1104.<br />

54 SCHMITZ, I, 166.<br />

55 TOSTI, 22-24.<br />

56 F. CARAFFA, Domenico di Sora, in Bibliotheca Sanctorum, voI. IV, Roma 1964,<br />

737-739.<br />

-16-


dove fu ben presto noto a tutti per la sua santità e il suo zelo di propagatore<br />

della riforma monastica.<br />

«Coepit igitur ... orbi declarari Dominicus, et non jam servus<br />

Dei, non jam homo iustus et timoratus dumtaxat, sed vere<br />

sanctus; vere amicus Dei, vere vita, signis atque doctrina antiquorum<br />

sanctorurn, ad omnibus imitator haberi »57.<br />

Questo è l'elogio che ne fa Alberico Cassinese. Nel 1006 San Domenico<br />

fonda il monastero di San Bartolomeo di Trisulti. «Post haec<br />

in Campaniam, ad locum qui Trisaltus dicitur, construxit in deserto<br />

monasterium iuxta fontem limpidissimum ... » 58.<br />

Dopo Trisulti San Domenico fonda anche altri monasteri in Abruzzo<br />

e quello che poi prenderà il suo nome, presso Sora.<br />

Questa sua infaticabile attività era a tutti nota. Molti sono i miracoli<br />

ascritti al Santo da Alberico Cassinese. Uno di questi miracoli ci<br />

interessa in modo particolare, perché legato alla storia di Casamari.<br />

Si tratta della guarigione di un bimbo nella città di Veroli.<br />

«Per eos dies puer quidam Berolensis (Veroli) mutus et<br />

claudus ad virum Dei delatus est, cuius cum linguam pedesque<br />

tetigisset, et gressum pedes et lingua loquelam hora eadem divinitus<br />

receperunt » 59.<br />

Il miracolo citato dimostra che San Domenico doveva essere noto<br />

a tutti i verolani e in modo particolare, diremmo, al clero della città.<br />

Ma anche se il miracolo non fosse autentico, nessuno oserebbe mettere<br />

in dubbio la fama di San Domenico in detta città. Veroli dista da Trisulti<br />

non più di dieci chilometri.<br />

Quindi i quattro preti verolani che « adiunctis quibusdam fidelibus<br />

laicis » fondano Casamari in questo periodo di rinnovamento spirituale,<br />

da nessun altro potevano aver l'avvio che dall'esempio del grande abate<br />

benedettino, allora all'apice della popolarità.<br />

Questa realtà, che per noi ha costituito una ricerca faticosa, era<br />

del resto molto chiara ad alcuni tra gli storici già menzionati. Per esempio<br />

lo Jacobilli inizia cosi il capitolo X della vita di San Domenico:<br />

«Vita del monastero di Casa-Mario, eretto dai discepoli di San Domenico<br />

... Alcuni sacerdoti e laici di Veroli, città nella campagna di<br />

Roma, mossi dalla fama della gran perfezione delli monaci, e discepoli<br />

57 LENTINI, 75.<br />

58 Ibidem.<br />

59 Ibidem, 76.<br />

-17-


di San Domenico che vivevano nel monastero fuori di Sora, pregarono<br />

con grand'istanza Giovanni Beuerendo, abbate di esso, e discepolo<br />

intrinseco di esso San Domenico, che volesse edificare un monastero<br />

del suo ordine monastico, tre miglia distanti a essa città di Veroli, e<br />

sette da Sora, in un luogo del territorio di Veroli, denominato Casa Mari,<br />

già detto Casa di Mario ... onde mosso dai loro prieghi nell'anno 1036,<br />

solamente cinque anni dopo la morte di San Domenico, dell'elemosine<br />

di essi verulani le eresse nell'assegnato sito ad honore dei SS. Martiri<br />

Giovanni e Paolo » 60.<br />

Gli storici da cui Jacobilli attinge le notizie, oltre il Baronio sono il<br />

Manrique 61 e il Clavelli 62.<br />

Lo stesso Giraud, che pur ha sviato molti, riportando molte notizie<br />

inesatte, quanto all'origine benedettina e non eremitica di Casamari<br />

non ha dubbi.<br />

« Ces bons ecclésiastiques ayant gagné plusieurs autres de<br />

leurs concitoyens s'en allèrent chercher un lieu pOU! habiter;<br />

étant venus dans un fond appelé Casèmar, il commencèrent à<br />

y habiter. Mais, comme il fallait établir un genre de vie commun<br />

a tous, selon leurs dessein ils résolurent d'embrasser celui qui<br />

était en viguer au rnonastère de Saint Dominique » 63.<br />

Come si vede dunque, sia dalla Cronaca del Cartario sia dal Giraud,<br />

non c'è intervallo notevole fra l'arrivo dei presbiteri verolani e il loro<br />

ingresso tra la famiglia benedettina.<br />

Cosi pure, semplicemente, avevano asserito il Baronio 64, il Rondinini<br />

65 e il Mabillon 66.<br />

I Presbiteri verolani dunque furono evidentemente influenzati da<br />

San Domenico o addirittura da lui guidati o fatti guidare.<br />

Il Moroni riporta una fugage notizia alla quale egli stesso sembra<br />

non attribuire alcuna importanza, ma che sarebbe decisiva ai fini della<br />

nostra ricerca se ne conoscessimo la fonte. Egli, narrando l'episodio del<br />

riconoscimento ufficiale di Casamari da parte dell'abate Giovanni Beverando<br />

67 secondo successore di San Domenico, cosi si esprime: «L'abate<br />

Giovanni approvò tutto e dichiarò primo Priore-Abate del nuovo mo-<br />

60 JACOBILLI, 44.<br />

61 MANRlQUE, III, 396.<br />

62 CUVELLI, 225.<br />

63 GlRAUD, 4.<br />

64 BARONIO, I, 105.<br />

6S RONDININl, 4.<br />

66 MABILLON, Annales, IV, 346.<br />

67 Questo appellativo sarà esaminato nel secondo capitolo.<br />

-18-


nastero che dovevasi edificare in Casarnari, Benedetto I, nobile verolano,<br />

che era il più vecchio dei quattro sacerdoti fondatori (« tale alcuno<br />

disse anche il Venerabile Giovanni Beverando ») 68. Quindi, se in<br />

qualche documento autentico si potesse trovare il nome di Giovanni tra<br />

i fondatori, non ci sarebbero più dubbi: il discepolo di San Domenico<br />

avrebbe guidato i presbiteri nelle questioni di carattere pratico - scelta<br />

del luogo, organizzazione del lavoro, prime costruzioni -. Peccato che<br />

il Moroni non dica chi sia quel alcuno.<br />

Comunque non si può negare che, pur così vaga, la notizia del<br />

Moroni, dopo quanto abbiamo detto, acquista un particolare valore.<br />

Anche il Giraud asserisce che sia stato un discepolo di San Domenico<br />

a fondare Casamari:<br />

« Pour parler de la fondation de Casèmar d'une manière plus<br />

claire, il est néeessaire de dire quelque ehose du monastère de<br />

Saint Dominique et du grand Saint qui l'a fondé, eelui de Casèmar<br />

ayant été fondé par un de ses disciples » 69.<br />

Inoltre Veroli aveva avuto una lunga' tradizione benedettina:<br />

il monastero di San Erasmo, tra le mura cittadine, era stato fondato<br />

dallo stesso San Benedetto 70 ed aveva avuto un grande sviluppo, attestato<br />

dai numerosi possedimenti nei dintorni 71.<br />

Dimostrato dunque che Casamari ebbe origini cenobitiche, perché<br />

sorto in un periodo di riforma cenobitica del Basso Lazio, dobbiamo<br />

porci una domanda: quali furono i motivi che spinsero gli storici o i<br />

monaci a creare un errore che apparentemente non aggiunge nessuna<br />

gloria alla già famosa Abbazia?<br />

Il motivo, a nostro avviso è da ricercarsi nella questione della<br />

data che sarà subito esaminata. Il Moroni, il De Persiis e tutti gli altri<br />

storici posteriori sono stati costretti ad ammettere un periodo eremitico<br />

di circa 30 anni perché hanno accettato come data di fondazione di<br />

Casamari l'anno 1005. Siccome i documenti e gli avvenimenti più antichi<br />

per Casamari si aggirano tra il lO32 e 1040, questi storici si sono<br />

trovati quasi obbligati ad escogitare qualcosa che giustificasse un così<br />

lungo periodo di assoluto silenzio. Ed è nato cosi dalla fantasia di questi<br />

storici il trentennale periodo di nascondimento e di silenzio.<br />

68 MORONI, voI. XCIV, 97.<br />

69 GIRAUD, 1.<br />

70 CAPERNA, 7.<br />

71 Cfr il volume del MOTTIRONI.<br />

19 -


La questione della data di fondazione dell'abbazia<br />

Come si sarà rilevato abbiamo volutamente sorvolato sulla data<br />

della fondazione di Casamari, perché è un problema discusso e merita<br />

una particolare attenzione.<br />

La maggior parte degli storici moderni che si sono interessati<br />

un po' diffusamente dell'abbazia, vale a dire il Moroni, De Persiis, Longòria,<br />

Fusciardi, Cassoni, De Benedetti, accettano dopo aver fornito<br />

anche dei motivi per loro molto validi, l'anno 1005 come data iniziale<br />

della vita religiosa a Casamari.<br />

Il 1005 è diventato dunque l'anno ufficiale oltre che per gli storici<br />

anche per tutti gli autori di articoli su Enciclopedie 72, Riviste e su<br />

Guide storico-artistiche più o meno informate.<br />

Chi invece decisamente scarta questa data per sostenere quella<br />

del 1036 è il Baronio 73, seguito fedelmente dal Rondinini 7\ dallo<br />

Jacobilli 75, dal Giraud 76, dal Mabillon 77 e in epoca più recente dallo<br />

Scaccia-Scarafoni 78.<br />

Il Rondinini, per presentare i primordi dell'abbazia, trascrive<br />

ad verbum dal Baronio: «Anno ab incarnatione Domini nostri Jesu<br />

Christi millesimo tricesimo sexto indictione quarta ... » 79.<br />

Lo stesso Rondinini fa notare in Addenda et Corrigenda so, che<br />

nel testo della Cronaca risulta il 1005.<br />

Il Giraud riferisce che fu durante il governo dell'abate Giovanni<br />

di San Domenico che i preti di Veroli<br />

« se résolurent de se consacrer au service du Seigneur... et<br />

d'embrasser la vie religieuse selon le genre de vie qui se prattiquait<br />

au monastère de Saint Dominique, ce qu'ils exécutèrent<br />

l'an 1036 » 81.<br />

72 Per esempio l'Enciclopedia Italiana (Treccani) dice addirittura che Casamari fu fondata<br />

nel 1095 da quattro preti veronesi! Volume IX, 280.<br />

73 BARONIO, I, 105.<br />

74 RONDININI, 4.<br />

75 Cfr nota 60 del presente capitolo.<br />

76 GIRAUD, 1-4.<br />

77 MABILLON, Annales, IV, 381.<br />

78 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 8-9.<br />

79 RONDININI, 4.<br />

so Ibidem, 167.<br />

81 GIRAUD, 9.<br />

- 20-


Lo Scaccia-Scarafoni difende decisamente il 1036 in base ad<br />

alcuni documenti riguardanti Casamari che si trovano nell'archivio della<br />

Cattedrale di Veroli 82.<br />

Il Baronio è stato il primo e il più autorevole storico a dubitare della<br />

data di fondazione di Casamari fornita dalla Cronaca del Cartario 83.<br />

Negli Annales Ecclesiastici all'anno 1030, per narrare le vicende<br />

delle origini di Casamari, egli trascrive il testo della Cronaca, ma corregge<br />

in margine l'anno 1005 col 1036.<br />

Non sappiamo su quali documenti si sia basato il Baronio per<br />

osare di correggere la Cronaca. È certo che, oltre ad essere dotato di<br />

acuto spirito critico, egli dovette avere degli elementi di giudizio che<br />

a noi sfuggono. Egli poté attingere direttamente dal Cartario, che gli fu<br />

prestato dal Cardinal Bonelli, nipote di Pio V e Commendatario di Casamari<br />

84. E forse è dipeso dall'autorità del Baronio la correzione fatta<br />

in margine alla data nella copia manoscritta della Cronaca che è nell'archivio<br />

di Casamari. Osserviamo però che all'anno 1005 del testo è<br />

stato preferito il 1035: non il 1036, perché sia il 1005 che il 1035<br />

hanno la medesima indizione, e ciò avrebbe potuto far pensare ad un<br />

eventuale errore dell'amanuense.<br />

Quale potrebbe essere stato il motivo per l'autore della Cronaca<br />

a spostare di un trentennio la data di Fondazione di Casamari? La spiegazione<br />

più probabile è la seguente: decaduto il monastero di San Domenico<br />

dalla primitiva osservanza e affiliato nel 1222,come vedremo,<br />

per disposizione di Onorio III, a Casamari, sorse naturalmente nei cronisti<br />

cistercensi il desiderio di assegnare a Casamari, divenuta Casa<br />

Madre, una data di nascita anteriore a quella del monastero annesso.<br />

Fu perciò spostato l'anno della fondazione di un trentennio per arrivare<br />

al 1005, poiché San Domenico fu fondato nel 1011.<br />

Un tentativo di conferma della tesi del Baronio deriva da un articolo<br />

dello Scaccia-Scarafoni basato su tre documenti del secolo XI trovati<br />

nell'archivio della Cattedrale di Veroli che riguardano Casamari,<br />

sempre sfuggiti agli altri storici dell'abbazia 85.<br />

Tali documenti, pur essendo modesti atti di donazione o di com-<br />

82 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 8.<br />

83 Facciamo rilevare che il Baronio era originario proprio della regione ove sorgevano<br />

i monasteri di San Domenico e di Casamari. Era nato infatti a Sora ed era stato educato<br />

nella prima gioventù a Veroli.<br />

84 RONDININI,40.<br />

85 SCACCIA-SCARAFONI, Primordio Lo stesso autore nella pubblicazione postuma Le carte<br />

dell'archivio capitolare della Cattedra di Veroli, Roma 1960 corregge alcune date dei<br />

tre documenti riportati, 59, 64, 86.<br />

-21-


pra-vendita, rappresentano in questa incertezza di dati sui primordi di<br />

Casamari, un notevole contributo per far luce sulle poche vaghe notizie<br />

che si hanno per i primi decenni di vita dell'abbazia.<br />

IL PRIMO DOCUMENTO è un atto di donazione che risale all' anno<br />

1066 86 fatto da un tal Laidoljus religiosus di Bauco (Boville Ernica)<br />

al monastero di Casamari che era retto dall'abate Orso. L'oggetto della<br />

donazione è costituito dalla chiesa di Santo Stefano, situata nella zona<br />

chiamata Pacciano. Di questo documento conservato in originale, l'Archivio<br />

Cattedrale offre anche una copia dell'anno 1222 esemplata dal<br />

notaio Petrus Scriba, ave però la chiesa di Santo Stefano oggetto del<br />

dono, è detta de Raiano invece che Pacciano, adottando una denominazione<br />

più tarda, divenuta in seguito anche la più comune 87.<br />

IL SECONDO DOCUMENTO esaminato dallo Scaccia-Scarafoni, dell'anno<br />

1069, è un atto di integrazione e di conferma della donazione precedente<br />

88. In forza di questo atto un tal Oderisio 89, filius de Landa et<br />

Allescenda, sempre di Bauco, dona all'abate Orso di Casamari e ai suoi<br />

successori, la chiesa medesima di Santo Stefano Protomartire.<br />

IL TERZO DOCUMENTO è un atto di compra-vendita eseguito nel<br />

1085 dall'abate Orso consentiente cuncta caterva monachorum. Egli<br />

vende a un tal Mainarda e a sua figlia Bella, verolani, due vigne poste<br />

in territorio uerulano in fundum qui appellatur Forano 90.<br />

Nel documento l'abate Orso dichiara che riceve denarios quattuordecim<br />

che occorrono pro opus ipsius monasterii.<br />

L'abate Orso ricordato nei documenti è il terzo nella successione<br />

degli abati benedettini. Succeduto a Giovanni, che a sua volta aveva<br />

preso il posto di Benedetto, Orso è, secondo la Cronaca del Cartario,<br />

uno dei sacerdoti verolani che fondarono l'abbazia.<br />

Quando il primo atto di donazione veniva stipulato nel 1066 egli<br />

86 La data 1066 è quella corretta nel volume Carte dove l'autore nota che sul dorso<br />

della pergamena c'è scritta la data del 1063 evidentemente errata, perché non corrisponde<br />

all'anno di Pontificato di Alessandro II (1061-1073); dr anche dello stesso autore Primordi,<br />

5 e 17.<br />

87 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, 61 e Primordi, 5.<br />

88 Facciamo rilevare che lo SCACCIA-SCARAFONI in Primordt, 18 data il presente<br />

documento all0n, mentre in Carte, 64 è datato al 1069.<br />

89 Questo stesso Oderisio pochi anni dopo e cioè nel 1080 fece dono a Montecassino<br />

di alcune chiese esistenti in Bauco, cfr LIBERATI,96-97.<br />

90 SCACCIA-SCARAFONI, in Primordi, 6 e Carte 86. Si osserva la divergenza di date:<br />

nella prima opera si parla del 1086, nella seconda invece del 1085, dodicesimo anno di<br />

pontificato di Gregorio VII.<br />

- 22-


doveva essere da poco eletto abate poiché da un altro documento risulta<br />

che 1'8 agosto 1063 era ancora abate Giovanni 91,<br />

Tutti e tre i documenti riportati dallo Scaccia-Scarafoni costituiscono<br />

un primo passo per la cronologia degli abati benedettini di Casamari,<br />

Ma il terzo documento ci sembra acquistare forza maggiore per<br />

scartare in maniera definitiva l'opinione del Moroni, del De Persiis e<br />

degli altri storici che hanno preferito come data di fondazione di Casamari<br />

il 1005,<br />

Dal terzo documento si rileva infatti che nel 1085 l'abbazia di Casamari<br />

era ancora retta dall'abate Orso. Ora, ammesso che Orso sia<br />

stato tra i fondatori di Casamari e che sia stato sacerdote, come la<br />

Cronaca del Cartario espressamente dice, bisogna ammettere che nel<br />

1085, anzi nel 1088, anno della sua dimissione, egli era ultra centenario.<br />

Se infatti Orso, quando con gli altri presbiteri di Veroli fondò<br />

Casamari, evesse avuto solo 25 anni di età, nel 1088 avrebbe avuto 108<br />

anni, età veramente straordinaria che l'autore della Cronaca del Cartario<br />

non avrebbe certo mancato di notare esplicitamente, tanto più che detto<br />

Orso, dopo le sue dimissioni, continuò a vivere, e il suo successore,<br />

aggiunge la Cronaca stessa, lo trattò amorevolmente per tutto il tempo<br />

che egli visse: bumanissime tractavit quandiu vixit 92.<br />

Dopo queste considerazioni crediamo di poter precisare ancora<br />

meglio la data di fondazione di Casamari con un contributo personale.<br />

Il primo documento che riguarda Casamari, allo stato attuale delle ricerche,<br />

è del sette gennaio 1038 e nessuno storico lo ha conosciuto eccetto<br />

il Mottironi come si rileva dal volume Le carte di San Erasmo di<br />

Veroli (937-1199)93. Nel documento in questione è abate di Casamari<br />

Giovanni. Questi, come afferma la Cronaca del Cartario: «vixit in<br />

Abbatia annos [ere quadraginta 94, L'ultimo documento di Giovanni che<br />

attualmente possediamo è dell'otto agosto 1063 9 \ mentre il primo documento<br />

del successore di Giovanni, Orso, è del venti gennaio 1066 96 .<br />

Prendendo come data verosimile della morte di Giovanni il 1065 e riducendo<br />

a 35 anni (i [ere quadraginta) si giungerebbe al 1030.<br />

Sappiamo però, da altra fonte 97, che i presbiteri di Veroli ricevettero<br />

l'abito e la regola benedettina dal secondo successore di San Do-<br />

91MOTTIRONI, doc. 35, 55-56 e doc. 11 del secondo volume.<br />

92 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

93MOTTIRONI, doc. 11, 19-21 e doc. 3 del secondo volume.<br />

94 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

95 MOTTIRONI, doc. 30, 55-56 e doc. 11 del secondo volume.<br />

96 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, doc. 47, 59-61 e doc. 12 del secondo volume.<br />

97 Vedi il testo relativo alla nota 68 del presente capitolo.<br />

- 23-


menico di Sora, l'abate Giovanni, che iniziò a governare l'abbazia di<br />

San Domenico di Sora nel 1033, dopo la morte del Santo. In più<br />

sappiamo che Giovanni di Casamari fu il secondo abate benedettino<br />

dell'abbazia; il primo era stato Benedetto che resse l'abbazia per alcuni<br />

anni: Post vero annos aliquos transiens ad vitam eremiticam, come ci<br />

conferma la Cronaca del Cartario 98. Perciò se il 1036 fosse l'anno di<br />

fondazione di Casamari,' dovremmo inserire tra il 1036 e l'otto gennaio<br />

1038 gli annos aliquos del governo di Benedetto e gli eventuali<br />

primi tempi dell'abate Giovanni. Ci sembra voler stringere i tempi solo<br />

per tenerci legati alla correzione del Baronio, che per di più non suffraga<br />

la posizione con documenti espliciti. Noi più convenientemente riteniamo<br />

di dover anticipare di alcuni anni la posizione del Baronia e degli<br />

altri storici.<br />

Ammesso che il documento del sette gennaio 1038 non coincida<br />

con l'elezione di Giovanni, ma che egli almeno da un anno fosse abate<br />

di Casamari e dando una durata di tre o quattro anni al governo di<br />

Benedetto, giungiamo al 1033-1034. Infatti la Cronaca del Cartario<br />

elencando le attività di Benedetto parla di acquisti di terre, di nuove<br />

vocazione, di nuovi vigneti, di trascrizione di libri, di lavorazione di paramenti<br />

ecclesiastici, di costruzioni 99. Tutte queste attività ci lasciano<br />

supparre che gli annos aliquos siano presumibilmente tre-quattro o forse<br />

qualcosa di più.<br />

Il termine a quo non può essere anteriore al 1033, data di elezione<br />

di Giovanni ad abate di San Domenico di Sora 100; il termine ad<br />

quem, secondo la nostra ricostruzione, non dovrebbe superare il 1034.<br />

Perciò avanziamo ora il nostro punto di vista, allettante se si<br />

vuole, ma che ha come punto di partenza l'atto di vendita del sette<br />

gennaio 1038, e cioè che Casamari, secondo noi, sia diventata benedettina<br />

probabilmente entro il 1033 o al massimo nel 1034, vale a dire<br />

due o tre anni dopo la morte di San Domenico di Sora. Allora la frase:<br />

Vae nobis... 101 della Cronaca del Cartario non è solo una espressione<br />

per vivificare una narrazione, ma un profondo e decisivo esame di coscienza<br />

da parte dei boni meriti clerici 102 di Veroli, insoddisfatti perché<br />

non conducevamo vitam neque canonicam neque monasticam 103, all'indomani<br />

della scomparsa del taumaturgo e riformatore del monachesimo<br />

98 Crono Cart., doc. 1 dci secondo volume.<br />

99 Ibidem.<br />

100 F. CARAFFA, San Domenico di Sora, in Bibliotbeca Sanctorum, vol. IV, Roma<br />

1964, 738.<br />

101 Vedi il testo relativo alla nota 41 del presente capitolo.<br />

102 Ibidem.<br />

103 Ibidem.<br />

- 24-


Domenico di Sora. Infatti generalmente le qualità e gli esempi stimolanti<br />

di una persona si apprezzano maggiormente proprio quando viene a<br />

mancare.<br />

Certamente questa nostra posizione ha un valore relativo, e siamo<br />

noi i primi ad ammetterlo. Ma d'altra parte, alla luce delle ricerche<br />

attuali, appare l'unica soluzione. Infatti abbiamo scartato definitivamente<br />

il 1005 e molto probabilmente il 1036. Resta tuttavia aperta<br />

la via ad ulteriori precisazioni ma sempre tra il 1033 e prima del 1036,<br />

se le ricerche porteranno a nuovi e più espliciti documenti.<br />

La costruzione primitiva<br />

Ciò che abbiamo detto fino ad ora non esaurisce la questione relativa<br />

alla fondazione di Casamari. Infatti abbiamo asserito, secondo la<br />

nostra opinione, che Casamari è diventata benedettina probabilmente<br />

entro il 1033 o al massimo nel 1034. Ma la Cronaca del Cartario e<br />

l'Ughelli asseriscono che i presbiteri di Veroli e gli altri religiosi<br />

prima di riceve l'abito e la regola benedettina da Giovanni, abate del<br />

monastero di San Domenico di Sora, iniziarono una sistemazione di<br />

locali indispensabili per la vita cenobitica:<br />

... ibigue laborare coeperunt ... et non post multum guatuor<br />

ex ipsis ... euntes ad venerabilem virum Ioannem, Abbatem Sancti<br />

Dorninici, susceperunt ab eo abiturn sanctae religionis » 104.<br />

E come già a Montecassino 105 anche qui si edifica una chiesa sui<br />

ruderi di un tempio pagano:<br />

« ubi dicitur templum fuisse Martis, ... Ecclesiam in honorem<br />

SS. Ioannis et Pauli condiderunt » 106.<br />

Secondo lo Schmitz, era un'abitudine diffusa tra i monaci benedettini<br />

dell'Italia centro-meridionale quella di servirsi di materiale<br />

preesistente. Parlando della Chiesa di San Vincenzo al Volturno, eretta<br />

nelle linee della basilica romana di San Clemen te egli afferma:<br />

« Ce type en guelque sorte imposé aux moines par la tentation<br />

de mettre à profit les riches matériaux antiques tout prèts<br />

parmi les ruines éparses dans la terre de Labour et la Campanie<br />

» 107. •<br />

104 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

105 SCHMITZ, I, 19.<br />

106 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

107 SCHMITZ, II, 225.<br />

- 25-


La costruzione iniziale della chiesa e del monastero è confermata<br />

anche da un'altra cronaca simile a quella del Cartario, riportata dall'Ughelli,<br />

di cui non conosciamo l'origine. Essa inizia:<br />

« Anno Domini 1005 indictione quinta, quidam boni meriti<br />

clerici verulani, propriis semptibus Ecclesiam in honorem SS. Ioannis<br />

et Pauli et monasterium in territorio verulano in loco qui dicitur<br />

Casamarii, ubi antiqua diruta moenia a priscis Marti dicata<br />

invisebantur, ad id Episcopo consentiente, construxerunt » 108.<br />

Del tempio di Marte che è nominato nelle due Cronache non risulta<br />

traccia alcuna, né dai resti archeologici né dalle iscrizioni che ci<br />

sono pervenute. Anzi è opinione di qualche studioso, come il Giannetti,<br />

che l'unico tempio che esistesse a Cereate fosse dedicato a Serapide:<br />

da due frammenti: SERAPI SACRUMe PRIMITIUS SERAPIS D., = Sacro<br />

a Serapide e Lucio Primizia Serapide donò 109.<br />

Di queste primitive costruzioni non è rimasto nulla perché già<br />

l'abate Giovanni, il secondo della serie benedettina, le farà ampliare<br />

e rinnovare completamente.<br />

Il primo oratorio ricavato dalle rovine dell'antico tempio e dagli<br />

altri ruderi fu, secondo la cronaca citata dall'Ughelli, la prima opera<br />

compiuta dai presbiteri di Veroli, propriis sumptibus, prima/di indossare<br />

canonicamente l'abito benedettino 110.<br />

Da quanto detto la nostra ipotesi sulla data di fondazione di Casamari<br />

è la seguente: probabilmente durante il 1031, dopo la morte di<br />

San Domenico di Sora, il primo nucleo di religiosi (preti e laici) col<br />

consenso del proprio vescovo abbandonarono Veroli e per un certo<br />

tempo attesero alla costruzione di locali indispensabili e quindi nel<br />

1033 o 1034 ricevettero l'abito e la regola benedettina dall'abate Giovanni<br />

di San Domenico di Sora.<br />

A questo punto è spontaneo chiedersi quale sia stata la causa che<br />

ha spinto il De Persiis, il Moroni e gli altri a difendere con tanta insistenza<br />

il 1005.<br />

Due ci sembrano i motivi plausibili. Il primo è da ricercarsi nella<br />

questione eremitica. Infatti se si osserva bene, i sostenitori del 1005<br />

sono gli stessi che hanno ammesso per Casamari un periodo di vita<br />

eremitica. Tale periodo sarebbe durato, secondo loro, circa trent'anni,<br />

dal 1005 al 1036. Quando appunto gli eremiti sarebbero andati dall'aba-<br />

108 UGHE LLI , I, 1389.<br />

109 GIANNETTI, 21-22.<br />

110 UGHELLI, I, 1389 e doc. 2 del secondo volume.<br />

- 26-


te Giovanni di San Domenico per essere ammessi all'ordine benedettino.<br />

Non sappiamo quale sia stato il motivo che abbia avuto maggiore<br />

influenza sull'altro: se la questione eremitica a far stabilire la data al<br />

1005 o quest'ultima a fare immaginare trenta anni di silenzio per potersi<br />

collegare con gli altri avvenimenti della Cronaca rifugiandosi nel<br />

passo della Cronaca stessa « ...et non post multum » 111.<br />

I! secondo motivo che deve aver costretto il De Persiis ad insistere<br />

per l'anno 1005 è stata l'esistenza di un documento del Cartario,<br />

ritenuto comunemente del 1033 112: «Né ci mancherebbe etiandio un<br />

documento in confermazione del nostro pensiero. Imperocché ai 20 di<br />

settembre (se errore non v'è) un nobile verolano Landuino, mosso all'odore<br />

delle virtù che già tuttintorno spandevano quei fervorosi, avvegnacché<br />

non per anco monaci regolari, donava al loro prevosto Azo<br />

alcune terre e case nel luogo detto Corneto. Segno che i solitari erano<br />

già nel fondo di Casamari, ma aspettavano tuttavia la piena costituzione<br />

monacale » 113.<br />

Premettiamo che il documento merita un'ampia discussione che<br />

faremo nelle pagine seguenti. Per ora rileviamo solo che è sufficiente<br />

leggere il testo del documento per dire che il De Persiis l'ha esaminato<br />

troppo superficialmente. Infatti il documento è un atto di donazione fatto<br />

all'abate Giovanni e non al prevosto Azo come il De Persiis asserisce.<br />

Dal contesto poi non risulta che i destinatari fossero dei solitari in attesa<br />

di una piena costituzione monacale: si parla invece di comunità<br />

costituita con un abate a capo.<br />

Ci sorprende poi che lo stesso De Persiis in seguito, parlando<br />

degli acquisti dell'abate Giovanni riporta lo stesso documento in questi<br />

termini: «Un nobile cittadino di Veroli Landuino, col suo fratello<br />

Roterio, figlio di Roffredo, nell'anno 1033 (meglio 1043) ai venti di settembre<br />

dona »<br />

«in monasterium Sancti johannis et Pauli, quod positum<br />

est in fundo Casaemarii, et johanni abati, Agisoque praeposito,<br />

suisque successoribus domum sancti Angeli cum omnibus ad eam<br />

pertinentibus » 114.<br />

È questa una ulteriore costatazione della superficialità del De Persiis.<br />

Purtroppo quanti storici si sono basati con eccessiva fiducia su di<br />

111 Vedi il testo relativo alla nota 104 del presente capitolo.<br />

112 Doc. IV del secondo volume.<br />

113 DE Psssns, 40.<br />

114 Ibidem, 142.<br />

- 27-


lui! Con simile leggerezza sono nati e si potrebbe dire codificati i maggiori<br />

errori sulle origini di Casamari, vale a dire la data di fondazione,<br />

l'eremitismo e il millenarismo.<br />

Il cosiddetto documento del 1033<br />

Quel che finora abbiamo detto esclude definitivamente la data<br />

del 1005 come inizio della vita eremitica a Casamari e probabilmente<br />

la correzione operata dal Baronio del 1036. Ma abbiamo un documento<br />

l1S ritenuto comunemente del 1033 che, se tale data fosse esatta,<br />

escluderebbe, oltre la data stabilita dal Baronio 116, anche la nostra<br />

opinione.<br />

Il documento, riportato nel secondo volume 117, è un atto di<br />

donazione fatto all'abate Giovanni di Casamari e alla sua comunità,<br />

di una chiesa situata nel territorio di Monte Corneto, non lontano<br />

dall'abbazia. Dal tenore del documento si capisce che a Casamari vi<br />

era già una comunità organizzata e un abate.<br />

Già il De Persiis stesso dubitava non dell'autenticità ma della<br />

data del documento. Il Cassoni invece, che non vuoI toccare il 1033,<br />

deve ricorrere, per salvare il 1036 come data di inizio della vita<br />

benedettina a Casamari, a curiosi artifizi ed invenzioni: introduce<br />

un abate di nome Giovanni pre-benedettino, poi l'abate Benedetto primo<br />

della serie benedettina e quindi di nuovo Giovanni. È questo un<br />

procedere strano e sembra anche contrario a qualunque senso di logica<br />

e di fedeltà ai dati forniti dai documenti 118. Naturalmente il 1033 non<br />

figura esplicitamente nel corpo del documento. Esso è datato al venti<br />

settembre dell'anno primo del pontificato di Benedetto IX, indizione<br />

prima. Dalla Cronaca del Cartario risulta che il primo abate di Casamari<br />

fu Benedetto, eletto quando a San Domenico di Sora era abate Giovanni<br />

(1033-1044):<br />

«Et non post ultum quatuor ex ipsis... euntes ad venerabilem<br />

virum ]oannem, abbatem. S. Dominici, susceperunt ab eo<br />

abitum Sanctae religionis. Indeque ad locum iamdictum redeuntes<br />

abbatem sibi unum de suis elegerunt, fratrem Benedictum religiosum<br />

virum » 119.<br />

115 Cari. Cas., doc. 4 del secondo volume.<br />

116 BARONIO, I, 105.<br />

117 Cfr nota 115.<br />

118 CASSONI, Arcbicenobio, 302·305.<br />

119 Doc. 1 del secondo volume.<br />

- 28


Sappiamo ancora che Benedetto governò l'abbazia per alcuni<br />

anni. Ci troviamo di fronte alla difficoltà di inserire tra il 1033 e<br />

il 1034 annos aliquos di Benedetto e i primi tempi del governo di<br />

Giovanni di Casamari. Situazione peggiore di quella di voler inserire i<br />

medesimi avvenimenti tra il 103'6 e il 1038 precedentemente esaminata.<br />

Queste considerazioni non permettono dunque di accettare il 1033<br />

come data di compilazione del documento. Un attento esame alle indicazioni<br />

offerte dallo stesso documento e alla cronologia di Benedetto IX<br />

ci hanno indotto a scegliere il 20 settembre 1048 come data più attendibile<br />

dell'atto di donazione in questione.<br />

Parliamo prima di Benedetto IX. La cronologia di questo papa è<br />

complessa, per cui sentiamo la necessità di esaminare le varie fasi<br />

per avere una sufficiente chiarezza intorno alla data scelta da noi.<br />

Benedetto IX fu eletto e consacrato nel gennaio 1034. Tale data<br />

non è unanime tra gli storici.<br />

I! Lortz assegna come primo anno di pontificato di Benedetto IX<br />

il 1032 120 , e. gli assegna complessivamente due periodi di pontificato<br />

(1032-1045) e (1047-1048).<br />

I! Bihlmeyer invece accenna a tre periodi di pontificato per<br />

Benedetto IX: (1032-1044), (1046), 1048) 121.<br />

I!Ridder nelle tavole cronologiche assegna tre periodi di pontificato<br />

a Benedetto IX: (1032-1044), (1045), (1047-1048) 122.<br />

I! Cappelli gli assegna un solo periodo di pontificato dal gennaio<br />

1034 al primo maggio 1044 e aggiunge che mori a Grottaferrata nel<br />

1046 123.<br />

Secondo il Cappelli il primo anno di pontificato di Benedetto IX<br />

è il 1034, indizione seconda. Per gli altri autori riportati il primo anno<br />

di pontificato è il 1032, indizione decimaquinta. Quindi quale sarebbe<br />

il primo anno e la prima indizione a cui si riferisce il testo del<br />

nostro documento?<br />

Seguiamo ancora le vicende di questo papa. Nel 1044, a causa<br />

della sua condotta indegna scoppiò a Roma una rivoluzione e al suo<br />

posto fu eletto papa il vescovo di Sabina Giovanni che prese il nome di<br />

Silvestro III (1045). Dopo appena sette settimane, l'ex-Benedetto IX<br />

costrinse Silvestro III ad abdicare e riprese la tiara: è questa la seconda<br />

volta che Benedetto fu papa. Ben presto però si sentirono le<br />

120 J. LoRTZ, Storia della Chiesa, Alba 1966, I, 264.<br />

121 K. BIHLMEYER-H. TUECHLE, Storia della Chiesa, Brescia 1956, II, 85·86, 159.<br />

122 B. RIDDER, Manuale di Storia Ecclesiastica, Alba 1958, 664.<br />

123 A. CAPPELLI, Cronologia, Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1969,<br />

251-252.<br />

- 29-


ostilità dei romani e Benedetto IX dovette cedere nuovamente la dignità<br />

pontificia. In quel periodo le elezioni pontificie erano abbastanza<br />

frequenti e ogni volta Benedetto IX (Teofilatto dei Conti di Tuscolo)<br />

si adoperava per riprendere la tiara.<br />

Dopo Damaso II che regnò solamente 23 giorni, dal 17 luglio al<br />

9 agosto del 1048, Benedetto IX per la terza volta sedette sul trono<br />

pontificio, restandovi fino al febbraio del 1049, quando, deposto ulteriormente<br />

, fu eletto papa Leone IX.<br />

Quindi solamente se consideriamo il 1048 come data di inizio<br />

del terzo pontificato di Benedetto IX le cose diventano chiare e corrispondono<br />

perfettamente alle indicazioni dell'atto di donazione.<br />

Infatti il 1048 coincide con la prima indizione espressa nell'atto<br />

e il 20 settembre realmente Benedetto IX si trovava nel primo anno<br />

del suo terzo pontificato.<br />

Crediamo che questa sia l'unica spiegazione sufficiente per non<br />

sconvolgere tutta la cronologia degli inizi di Casamari, che del resto<br />

a nostra avviso, non può essere mutata, in quanto alcuni riferimenti<br />

già esposti 124 sono strettamente vincolanti.<br />

La complessa cronologia derivante dai tre periodi di Pontificato<br />

di papa Benedetto IX non riguarda naturalmente solo il nostro documento,<br />

ma crea situazioni analoghe in diversi altri casi 125.<br />

Anche lo Scaccia-Scarafoni 126 nel riportare un contratto stipulato<br />

anno Deo propicius pontificatus domni Benedecti sumu prontifice ... nono<br />

pape pone ambedue le date: 1033 e 1048.<br />

124 Cfr la questione della data di fondazione dell'abbazia in questo stesso capitolo.<br />

125 Cfr voce Benedetto IX, in Enciclopedia Cattolica.<br />

126 SCACCIA-SCARAFONI, Carte, 41.<br />

- 30-


Capitolo Secondo INIZIO DELLA VITA BENEDETTINA<br />

A CASAMARI E SUO SVILUPPO<br />

. Dopo la costruzione della Chiesa i quattro presbiteri, i cui nomi<br />

la Cronaca del Cartario accuratamente riporta - Benedictus, Johannes,<br />

Ursus, Azo - « euntes ad uenerabilem virum [obannem, Abbatem Sancti<br />

Dominici, susceperunt ab ea habitum Sanctae Religionis » l.<br />

Era morto ormai il taumaturgo Domenico che probabilmente<br />

aveva acceso in loro il desiderio di vita monastica:<br />

«Obiit autem vir sanctum undecimo kalendas februarias,<br />

anno ab Incarnatione Domini millesimo tricesimo primo humatumque<br />

est cadaver eius in monasterio quod nunc eiusdem cognominatur<br />

vocabulo, sito in Campania in vicina Soranae civitate» 2.<br />

Cosi Alberico Cassinese, seguito fedelmente anche dal Chronicon<br />

Cassinese 3.<br />

Successe a Domenico il monaco Benedetto che resse il monastero<br />

fino al 1033.<br />

I presbiteri -verolani sono accolti a San Domenico dal terzo<br />

abate del monastero di nome Giovanni che molti storici 4 erroneamente<br />

chiamano Beverando. L'errore è partito dalla Vita di San Domenico<br />

scritta dallo Jacobilli. Egli per primo dà a Giovanni l'appellativo di<br />

BEVERENDUS, riportando forse un errore di qualche amanuense che<br />

ha trascritto male l'appellativo Reuerendus.<br />

L'errore fu notato anche dagli Acta Sanctorum Bollandistarum: nel<br />

prologo alla Vita Sancti Dominici scritta da Alberico Cassinese si dice:<br />

[obannes Reverendus monachus e si aggiunge in nota:<br />

«Hic est Johannes cuius infra aliquoties mentio fit, quem<br />

J acobillus cognomento Beverendus appellat qui nempre Reverendus,<br />

monachus a quopiam scriptus, amanuensis, aut anagnostae<br />

imperitia Beverendus fortasse factus » 5.<br />

1 Cron Cart., doc 1 del secondo volume.<br />

2 LENTINI, 77.<br />

3 CHRONICON CASSINESE, PL 173.<br />

4 MORONI, DE PERSIIS, CASSONI, FUSCIARDI, DE BENEDETTI.<br />

5 Acta Sanctorum Bollandistarum, Januarii 11,442 sg.<br />

- 31-


Purtroppo quasi tutti gli storici 6 di Casamari riportano l'errore,<br />

lievemente modificato, dello Jacobilli. Da essi Giovanni viene sempre<br />

chiamato con l'appellativo di Beverando.<br />

Il solo a non lasciarsi influenzare dallo Jacobilli è stato Luigi Tosti,<br />

autore anch'egli di una vita di San Domenico, basata su quella di<br />

Alberico Cassinese. Egli infatti dice che Domenico « tolto a compagno<br />

Giovanni, soprannominato Reverendo, che sapeva essere molto inanzi<br />

nelle cose di Dio, fuggì la consuetudine degli uomini. .. » 7.<br />

Dall'abate Giovanni Reverendo dunque i presbiteri Casamariensi<br />

ricevettero l'abito e la Regola di San Benedetto. Tornati a Casamari<br />

prepararono ed istruirono gli altri confratelli per ricevere l'abito ed<br />

abbracciare la Regola.<br />

II primo abate di Casamari: Benedetto<br />

La comunità si riunì per eleggere il proprio abate e scelsero<br />

Fratem Benedictum religiosum virum vale a dire uno dei presbiteri<br />

che, secondo la Cronaca, fu tra i fondatori dell'abbazia.<br />

Il cronista nota m poche parole l'impegno di Benedetto nella<br />

sua nuova mansione: in quantum ualuit, Iaea eidem et [ratribus deservitit<br />

8.<br />

Benedetto iniziò il suo abbaziato dando una certa autonomia<br />

alla prima comunità acquistando dei terreni nei dintorni dell'abbazia<br />

che furono coltivati a vigneti acquisitis terris, plantatis uineis.<br />

Probabilmente il cronista ci fornisce queste notizie traendole da<br />

qualche atto di donazione dei terreni o di vigne fatto già alla nascente<br />

comunità, purtroppo oggi smarriti. Si accenna pure alle attività letterarie<br />

e liturgiche proprie dei benedettini scriptis libris, [actis paramentis<br />

ecclesiasticis e alla costruzione - di modeste proporzioni forse - di<br />

un piccolo cenobio constructis mansionibus secundum tempus et posse<br />

suum 9.<br />

Tutto questo fervore di attività varie, se da un lato riuscì a stabilire<br />

e sviluppare sempre meglio la nuova fondazione, dall'altro dovette<br />

sembrare poco consona al desiderio di contemplazione, di solitudine<br />

e di raccoglimento di Benedetto. Egli infatti attuando una consue-<br />

6 RONDININI, MORONI, DE Psasns, CAPERNA, DE BENEDETTI.<br />

7 TOSTI, 24-25.<br />

8 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

9 Ibidem.<br />

- 32-


tudine già ammessa dalla Regola bendettiana lO scelse un genere di vita<br />

più austero, dopo aver rinunziato alla carica di abate, abbatiam relinquens<br />

11, andò a vivere da eremita per tutto il resto della sua vita<br />

Transiens ad eremiticam vitam ... in montibus et marinis insulis multa<br />

sustinuit 12.<br />

Erano allora noti come luoghi di eremitaggio le isole tirreniche<br />

del gruppo ponziano, Sennona, Palmaria e San Martino, isole che nei<br />

secoli seguenti divennero così frequentate dai solitari e dai penitenti<br />

che la Santa Sede li prese direttamente sotto la sua giurisdizione, inviandovi<br />

di tanto in tanto dei Visitatori Apostolici 13.<br />

Ivi dunque si diresse Benedetto passando poi ad abitare in luoghi<br />

di montagna non specificati dalla Cronaca. Egli sostenne rigide penitenze<br />

ed austerità, finché passando al territorio di Fondi si ritirò nella<br />

località di S. Magno, dove sorgeva la Chiesa di Sant'Andrea. Qui<br />

egli chiuse i suoi giorni in fama di santità.<br />

La Cronaca accenna anche a grazie e miracoli operati da Dio per<br />

sua intercessione: In quo meritis obtinentibus eius operatus est Christus<br />

quaedam miracula ad laudem et gloriam nominis Sui 14.<br />

L'abate Giovanni I<br />

Benedetto, prima di lasciare il monastero, si era eletto, d'accordo<br />

con la comunità, il successore nella persona di Giovanni che in timore<br />

et amore Dei semper cum supradicto Patre Benedicto in monasteriale<br />

ordine' conoersatus est 15.<br />

La Cronaca non precisa la data dell'inizio del suo abbaziato limitandosi<br />

a dichiarare che egli prese le redini del monastero ai tempi di<br />

Papa Benedetto IX 16.<br />

Ammesso che l'introduzione della vita benedettina a Casamari avvenne<br />

alcuni anni dopo la morte di San Domenico di Sora, intorno al<br />

lO Cfr REGULA SANCTIBENEDICTI,cap. I: De generibus monacborum.<br />

11 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

12 Ibidem.<br />

13 Ecco come ad esempio Gregorio IX (1227-1241) ordinava nel 1234 al Priore del<br />

Monastero di Fossanova riguardo agli eremiti di queste isole: «Cum Pontiana, Senona,<br />

Palmaria et Sancti Martini insulae, descriptioni vestrae, per apostolicam demandamus<br />

quatenus eremitis idem Domino famulantibus, ut quae ad biennium, vice nostra officium<br />

visitationis impendas, ita quod nulli propter hoc praeiudicium generatur. Datum Signae<br />

XVI Kal. Aug. a. VIII Pont. nostri» Cfr MANRIQUE,t. IV, a. 1234, cap. VII, 2.<br />

14 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

15 Ibidem.<br />

16 Cfr nel capitolo primo i testi relativi alle note 120-123.<br />

- 33-


1033 o 1034 e che il governo di Benedetto fu di tre o quattro anni, si<br />

può ritenere che Giovanni iniziasse il suo ufficio verso il 1036-1037.<br />

È certo che il 7 gennaio 1038 egli era già abate di Casamari 17.<br />

Tra le prime attività dell'abate Giovanni I, bisogna ricordare la ricostruzione<br />

quasi totale della chiesa che era stata edificata qualche anno<br />

prima, in linee semplici e modeste proporzioni dall'abate Benedetto.<br />

Primum quidem ampliavit ecclesiam quae parua erat in latitudine<br />

et longitudine 18. A questo punto la descrizione della nuova chiesa<br />

fornita dalla Cronaca del Cartario, ci ricorda quella, ben più ampia,<br />

fatta dal Chronicon Cassinese 19 della Basilica di Desiderio. Questo ci<br />

condurrà a dei risultati inaspettati.<br />

La nuova chiesa ebbe un ricco soffitto a cassettoni dipinto a vari<br />

colori, finestre con vetrate policrome, un coro intarsiato con oro e legni<br />

diversi, due croci maestose anche esse scolpite e decorate; ed un alto<br />

campanile, fornito di otto campane seueras et optimas 20.<br />

Nell'interno fece erigere tre nuovi altari dedicati rispettivamente<br />

a San Benedetto quello in fondo all'abside, alla Madonna e a San Pietro<br />

quelli nelle absdiole laterali 21. Per la consacrazione di questi altari<br />

furono invitati i vescovi della Campania.",<br />

La chiesa dovette conservare l'altare dei primo oratorio, come<br />

si può dedurre dalla particolare espressione della Cronaca del Cartario:<br />

in qua sine minori altare tria altaria statuit. L'altare è chiamato minori<br />

evidentemente perché, in segno di rispetto, fu lasciato intatto nelle modeste<br />

proporzioni originali.<br />

A conferma di queste notizie così dettagliate della chiesa romanica<br />

sono stati rinvenuti alcuni elementi architettonici che saranno<br />

esaminati a parte.<br />

La Cronaca indugiando quasi con piacere a darci tutti questi particolari<br />

della nuova chiesa, pare voglia farci capire non solo il progresso<br />

spirituale della comunità, ma altresì il suo sviluppo economico che<br />

permetteva già delle costruzioni di così imponente mole.<br />

Terminata la chiesa l'abate Giovanni rivolse la sua attività agli<br />

altri bisogni della casa: edificò locali ed officine per i monaci, secondo<br />

17 Abbiamo un documento in MOTTIRONI, doc. Il, 19-21 riportato come doc. 3 del<br />

secondo volume.<br />

18 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

19 Cfr UmONICON CASSINESE, PL., 173, 749.<br />

20 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

21 Cfr il grafico della chiesa benedettina.<br />

22 L'antica Campania corrisponde attualmente anche al Basso Lazio con i centri principali<br />

di Veroli, Frosinone, Sora e Arpino ... È interessante il paragone della consacrazione<br />

di questa chiesa con quella, solennissima, della chiesa di Desiderio.<br />

- 34-


lo spirito della Regola e fece costruire tre mulini, due davanti al monastero<br />

e il terzo sulle sponde del fiume Amaseno: [ecit acquimola duo<br />

ante ipsum monasterium, et alia in flumine 23.<br />

Intanto l'economia si consolidava acquisivit casas, terras, uineas,<br />

servos et ancillas 24.<br />

È chiaro che non fu alcun mercato di schiavi. Questi servos et<br />

ancillas erano i coloni che non essendo liberi ma dipendenti « vivevano<br />

ed abitavano sulla terra loro affidata e passavano quindi con essa di<br />

padrone in padrone » 2S.<br />

Sistemata l'economia i monaci si dedicarono all'istruzione religiosa<br />

e all'assistenza spirituale degli abitanti, Per questo ben dieci chiese<br />

e cappelle furono donate o acquistate dall'abate Giovanni perché i monaci<br />

ne avessero cura 26.<br />

Dalla sola numerazione delle chiese possiamo costatare quanto<br />

già fosse fiorente la nuova comunità. Tali chiese sono situate nei territori<br />

di Veroli, Monte San Giovanni Campano, Anagni, Sora e perfino<br />

nella Marsica. Ma sorsero ben presto liti e controversie con le autorità<br />

episcopali e laiche a causa delle ingerenze monastiche nei territori diocesani.<br />

Già nel 1049 Giovanni dovette far ricorso alla Santa Sede per<br />

delle questioni riguardanti la chiesa di San Nicola de Cappellis. Leone IX<br />

intervenne e ordinò al vescovo della Marsica di restituire ai monaci la<br />

chiesa cum pertinentiis suis 27.<br />

Verso il 1060 Giovanni ottenne dal Pontefice Nicolò II privilegi di<br />

esenzioni e di immunità, detti praecepta libertatis e mise in oltre tutti i<br />

membri e le cose dell'abbazia sotto la diretta giurisdizione pontificia 28.<br />

L'infaticabile attività esplicata in tanti anni di governo circondò<br />

l'abate Giovanni di sì alta stima che il clero e il popolo della città di<br />

Veroli, alla morte del loro voscovo Placido, verso il 1065, lo richiesero<br />

23 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

24 Ibidem.<br />

2S<br />

26<br />

DE BENEDETTI, Vita economica, 1.<br />

Cfr il capitolo sulle chiese dipendenti. Vedremo comunque che l'acquisto di qualche<br />

chiesa non fu operato da Giovanni ma dai suoi successori.<br />

27 Cfr DE BENEDETTI,Regesti, 331. L'esistenza di questo documento è ricordata nel<br />

Diploma di Gregorio IX del 4 giugno 1236 Ba quae iudicio, Reg. Vat., Lib. XVIII, epist.<br />

III; cfr anche AUVRAY, t. II, 406, n. 3185; POTTHAST,n. 10180; UGHELLI,t. I, 908;<br />

KEHR, IP, Latium, 168.<br />

28 «Petiit a Venerabili Domino Nicolao II praecepta libertatis monasterio quod et<br />

accepit, quod et factum multum monasterio praefuit et ab eodem tempore in romanae<br />

cura ecclesiae susceptus » in Crono Cart., doc. 1 del secondo volume. Il fatto è ricordato<br />

dal RONDININI,92; DE PERSIIS, 69; DE BENEDETTI,Regesti, 331;<br />

do volume.<br />

doc. 8 del secon-<br />

- 35-


all'unanimità a proprio vescovo, ottenendone la conferma e la consacrazione<br />

da papa Alessandro II 29.<br />

La Cronaca fa di lui un bell'elogio:<br />

«cum fama bonitatis eius longe lateque sonaret meruit ut<br />

ardens lucerna super candelabrum poni. Denique defuncto Placido<br />

Episcopo clerus et populus hunc et sibi in pastorem elegerunt et<br />

abstracto de monasterio Episcopus in eadem civitate ab Alexandro<br />

Papa est consecratus » 30.<br />

Giovanni rimase nell'ufficio episcopale soltanto per dieci mesi.<br />

Alla sua morte fu sepolto a Veroli nella chiesa vescoviIe di Sant' Andrea<br />

apostolo.<br />

Nella serie dei vescovi di Veroli l'UgheIli non registra l'abate Giovanni.<br />

Il motivo è da ricercarsi nel fatto che Giovanni fu vescovo solo<br />

per dieci mesi, quindi non deve aver lasciato molte opere alla memoria<br />

dei posteri; ma la causa principale dipende dal fatto che l'UgheIli non<br />

conosceva la Cronaca del Cartario che è il solo documento a darci<br />

questa notizia. L'Ughelli infatti per i primordi dell'abbazia si è servito<br />

della antiqua cbronica uerulana a cui abbiamo già accennato 31.<br />

Esame di alcuni elementi architettonici<br />

La notizia sul rifacimento quasi totale della chiesa a Casamari,<br />

nel secolo XI, per opera dell'abate Giovanni I è riportata esclusivamente<br />

dalla Cronaca del Cartario. Dell'abate Giovanni in essa si dice:<br />

« Primum quidem ampliauit Ecclesiam, quae parua erat in latitudine et<br />

longitudine », come è stato riferito 32.<br />

Abbiamo anche accennato nell'introduzione che la Cronaca si sofferma<br />

a lungo a descrivere forma e bellezza della nuova costruzione.<br />

« ...quam depingere fecit cum tabulatu quod superfecerat<br />

pulchris et variis coloribus: in qua sine altari minori 33 tria altaria<br />

statuit quae et dedicare fecit a vicinis Campanis Episcopis ... fecit<br />

in eadem Ecclesia fenestras vitreas pulchris coloribus pictas; ...<br />

fecit super altare Sanctorum Joannis et Pauli ciborium Aegybicum<br />

(sic) et ambonein cypresseum » 34.<br />

29 DE BENEDETTI, Al servizio, 14; ID., Regesti, 332.<br />

30 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

31 UGHELLI, t. I, 1389; doc. 2 del secondo volume.<br />

32 Cfr il testo relativo alla nota 18 di questo secondo capitolo.<br />

33 Qui si intende senz'altro l'altare consacrato ai SS. Giovanni e Paolo che, per un<br />

senso di sacro rispetto, fu lasciato nelle stesse proporzioni primitive, nel posto privilegiato<br />

della chiesa.<br />

34 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

- 36-


• •<br />

• •<br />

• •<br />

• •<br />

Tav. 1<br />

'.'<br />

....<br />

1. Altare dedicato ai 5S.<br />

Giovanni e Paolo.<br />

2. Altare di S. Benedetto.<br />

3. Altare della B.V.M .<br />

4. Altare di S. Pietro.<br />

Ricostruzione della Chiesa di Casamari dell'abate Giovanni I (sec. XI).<br />

- 37-


Non abbiamo purtroppo altri documenti scritti che confermino<br />

quest'opera. Né si può tentare di ampliare molto tali conoscenze dai<br />

ruderi: infatti la costruzione benedettina fu radicalmente trasformata<br />

all'inizio del secolo XIII dal nuovo spirito costruttivo dei <strong>Cistercensi</strong><br />

e forse anche dalle nuove esigenze monastiche.<br />

Fortunatamente sono state rinvenute delle colonne, alcune delle<br />

quali sormontate da enormi capitelli che tuttora possiamo ammirare<br />

lungo il viale che conduce alla casa abbaziale.<br />

Alcune di queste colonne sono romane: evidentemente si tratta<br />

dei ruderi che i primi benedettini utilizzarono per la costruzione della<br />

chiesa. I capitelli invece risalgono al più tardi al secolo XI ed anch'essi<br />

facevano parte della chiesa benedettina dell'abate Giovanni. Essi appartengono<br />

a quel tipo di capitelli geometrici, designati comunemente<br />

col nome di cubici perché risultanti appunto da un cubo a cui sono<br />

stati smussati gli angoli mediante una larga ugnatura per ottenere la<br />

necessaria strombatura 35.<br />

Questi capitelli sono di notevole dimensioni, alti circa cm. 80,<br />

larghi all'altezza dell'abaco cm. 75 e all'epistilio cm. 60, non presentano<br />

ornamenti. Rozzamente scolpiti e privi di abbellimento essi erano probabilmente<br />

ricoperti di stucco e forse anche decorati a colori come spesso<br />

accadeva prima della fine del secolo XI 36.<br />

Capitelli di simile fattezza sia nelle proporzioni che nella forma<br />

un po' schiacciata si notano in molte chiese romaniche.<br />

Il Rivoira ne riproduce esemplari appartenenti alla chiesa di San Satiro<br />

a Milano 37 dell'anno 976, alla cripta di San Miniato a Monte<br />

dell'anno 1013 38 e San Flaviano a Montefiascone 39.<br />

Ma possiamo cogliere numerosi altri esempi anche altrove come<br />

nella chiesa di San Giusto a Trieste (secolo XI) e in Abruzzo nella Loggetta<br />

del chiostro di Santa Maria in Acri della fine del secolo XI 40.<br />

I sei capitelli superstiti di Casamari sorretti da robuste colonne ci<br />

autorizzano ad avere una visione almeno sommaria della chiesa primitiva.<br />

Essa doveva presentarsi a pianta basilicale romana. La navata<br />

centrale sorretta dalle colonne e i rispettivi capitelli da noi esaminati,<br />

era divisa dalle laterali per mezzo di quattro .arcate per lato, come risulta<br />

dal grafico che abbi-amo tentato di tracciare (vedi tav. 1).<br />

35 Cfr voce Capitello in Enciclopedia Italiana, vol. VIII, 857.<br />

36 L. BREHIER, Le chiese Romaniche, Roma 1908, 18.<br />

37 RIvOlRA, 203 sg.<br />

38 Ibidem, 252.<br />

39 Ibidem, 265.<br />

40 I. C. GAVINI, Storia dell'architettura in Abruzzo, voI. I, 66-67, figure 79-80.<br />

38 -


La descrizione così particolareggiata fornitaci dalla Cronaca del<br />

Cartario, i reperti archeologici, per quanto scarsi e il nostro grafico ci<br />

fanno pensare alla chiesa di Montecassino dell'XI secolo fatta costruire<br />

dall'abate Desiderio e consacrata nel 1071 da Alessandro II alla presenza<br />

del Card. Pier Damiani e Ildebrando, di molti vescovi e principi<br />

normanni dell'Italia Meridionale e longobardi, quali Riccardo di Capua,<br />

Landolfo di Benevento e Gisulfo di Salerno 41. La descrizione accuratissima<br />

che ne fa Leone Ostiense 42 ci permette di immaginare la sua<br />

straordinaria bellezza e giustifica l'affermazione categorica del Bertaux:<br />

« A cette époque, il n'y avait dans tout l'Occident rien qui put lui étre<br />

comparé »43.<br />

Presto la basilica cassinese, il cui piano era quello delle prime basiliche<br />

cristiane, divenne il modello a cui si ispirarono i costruttori del<br />

Basso Lazio, della Campania e degli Abruzzi 44. .<br />

La più nota tra queste chiese è senz'altro Sant'Angelo in Pormis<br />

che fu donata nel 1072 all'abate Desiderio dal principe di Capua Riccardo<br />

1. Essa sorgeva sulle pendici del Monte Tifata dove fin dal VI secolo<br />

.esisteva un tempio pagano consacrato a Diana Tifatina.<br />

Questa chiesa fu fatta ricostruire da Desiderio (105.8-1087) il<br />

quale probabilmente poté anche usare materiale e parti di costruzione<br />

dell'edificio precedente. Per analogia con la chiesa abbaziale di Montecassino<br />

essa ebbe una pianta basilicale a tre navate, separate da colonne<br />

antiche, tre absidi, copertura lignea e piana 45.<br />

Altri splendidi esempi dell'epoca sono San Liberatore alla Maiella,<br />

San Pietro presso Bussi, Sant' Agata dei Goti 46 e Santa Maria la Libera 47<br />

di Aquino la cui pianta, eseguita dallo Jadecola 48 (vedi tav. 2) appare<br />

molto simile a quella da noi tracciata per la chiesa di Casamari dell'abate<br />

Giovanni I 49.<br />

Probabilmente anche la chiesa di Casamari ebbe come modello la<br />

basilica di Montecassino so. Comparando infatti la descrizione che la<br />

Cronaca del Cartario fa della chiesa benedettina di Casamari con quella<br />

41 L. HERTLING, Storia della Chiesa, Roma 1967, 234; LECCISOTTI, 54 sg. e 184-185.<br />

42 UmONICON CASSlNESE, PL, 173, 749.<br />

43 BERTAUX, 162.<br />

44 LECCISOTTI, 185.<br />

45 M. M. PASTORE, Lezioni di Storia dell'arte, voI. II, 214-215.<br />

46 SCHMITZ, I, 256.<br />

47 C. JADECOLA, La Libera di Aquino, Roma 1969.<br />

48 Ibidem, 54.<br />

49 Vedi le due piante nelle pagine seguenti.<br />

50 SCACCIA-SCARAFONI, Primordi, 14-15.<br />

- 39-


più ampia 51 del Chronicon Cassinese circa la basilica di Desiderio rileviamo<br />

affinità anche in alcuni particolari. La Cronaca del Cartario afferma<br />

che l'abate Giovanni I « depingere fecit Ecclesiam cum tabulatu quod<br />

superius [acerat pulcbris et variis coloribus »52. Il Chronicon Cassinese,<br />

asserisce che la basilica di Montecassino « Supposito trabibus laquaearii<br />

coloribus figurisque diversis mirabiliter insignito» S3.<br />

La descrizione del duplice altare a Casamari - l'altare di San Benedetto<br />

in fondo all'abside, l'altare maggiore coperto da un ciborio<br />

dedicato ai SS. Giovanni e Paolo più avanzato nella navata centrale -<br />

concorda perfettamente con quella di Montecassino dove sul fondo dell'abside<br />

si elevava l'altare di San Giovanni Battista, mentre all'incrocio<br />

delle due navate si trovava quello dedicato a San Benedetto e Santa Scolastica<br />

54.<br />

Le due grandi croci di legno di Casamari - fecit duas cruces ligneas<br />

maximas pulchris coloribus »55 - dovevano essere disposte quasi<br />

a formare una iconostasi, dinanzi all'altare maggiore. A Montecassino,<br />

secondo Leone Ostiense 56, si elevavano davanti all'altare maggiore<br />

due grandi croci di argento recanti l'immagine del Redentore, infisse<br />

su piedistalli di marmo e collocate fra le colonne dell'iconostasi.<br />

« Fecit et duas cruces magnas argenteas librarum triginta<br />

per singulas quarum imagines caelatura mirifica prominerent<br />

easque sub praedicta trabe inter columnas hinc inde super marmoreos<br />

stipites statuit » 57.<br />

Come a Montecassino infine troviamo anche a Casamari due altari,<br />

forse collocati nelle absidiole laterali dedicate alla Madonna e a S. Pietro.<br />

Dopo questo parallelismo tra la chiesa di Casamari di Giovanni I<br />

e quella di Montecassino di Desiderio ci sembra opportuno fare una<br />

osservazione di carattere cronologico. La costruzione della chiesa ro-<br />

51 Montecassino rappresentava in questo periodo come la culla del Rinascimento artistico<br />

in Italia. Si pensi che si inviavano persino dei monaci ad educarsi a Costantinopoli<br />

presso gli orefici dello studio imperiale. «L'abate Desiderio fa impartire nel suo monastero<br />

ai giovani religiosi un insegnamento tecnico dai mosaisti greci che aveva fatto venire da<br />

Costantinopoli. Cosi l'Italia meridionale poté ben presto trovare nella venerabile abbazia<br />

maestri e modelli ». Cfr BERLlÈRE, Monastico, 126.<br />

« Con Desiderio l'abbazia toccò i fastigi della sua maggiore grandezza, non solo per<br />

le arti e per le lettere che egli fece fiorire e che tramandarono all'età moderna il sapere<br />

antico, per le artistiche opere che costruì ... ma soprattutto per la potenza che esercitò nel<br />

secolo» Cfr L. FABIANI, La terra di San Benedetto, voll. 2, Montecassino 1968, 84 del<br />

voI. I.<br />

52 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

53 Cbronicon Cassinese, PL, 173, 749.<br />

54 Ibidem.<br />

5S Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

S6 Cbronicon Cassinese, PL, 173, 749.<br />

57 Ibidem.<br />

- 40-


Tav.2 - Pianta della parte antica del tempio «La Libera» di Aquino (Jadecola).<br />

-41-


manica è attribuita dalla Cronaca del Cartario all'abate Giovanni che<br />

ha governato l'abbazia certamente dal sette gennaio 1038 all'otto agosto<br />

1063, secondo i dati offerti dai documenti fino ad ora conosciuti 58.<br />

La basilica di Montecassino di Desiderio fu iniziata verso il 1066 e portata<br />

a termine nel 1071. Da queste date tiriamo una duplice conclusione:<br />

o la chiesa di Casamari fu costruita dai successori di Giovanni - il<br />

che è poco probabile - sul modello di Montecassino, oppure l'autore<br />

della Cronaca del Cartario ha immaginato una descrizione di una chiesa<br />

tipica dell'XI secolo - per noi più probabile - attribuendone i caratteri<br />

a quella fatta edificare da Giovanni L<br />

Il monastero benedettino<br />

Un successore di Giovanni I, l'abate Agostino, il quarto della<br />

serie benedettina, curò invece la costruzione di un nuovo monastero:<br />

«Construixit autem a fundamentis domum magnam et amplam,<br />

caenacula pro dormitorio fratrum et altera domum iuxta<br />

eam ad naturae necessitatern. Fecit claustrum monachis pulchrum<br />

et amplum » 59.<br />

Attualmente non abbiamo tracce del monastero fatto costruire<br />

dall'abate Agostino. Ma fino a qualche ventennio fa il De Benedetti 60<br />

in base ad alcuni resti di muri, ora ricoperti nella parte nord dell'attuale<br />

chiesa, tentava di ricostruire nelle linee essenziali la pianta del<br />

monastero in questo modo:<br />

- + 2.<br />

t •<br />

• • • •<br />

•<br />

5 3<br />

•<br />

• • • • •<br />

'1 4<br />

1. Chiesa<br />

2. Dormitori<br />

3. Servizio<br />

4. Foresteria<br />

5. Chiostro<br />

S8 Cfr. doc. 3 del secondo volume.<br />

59 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

60 DE BENEDETTI, Casamari, ms. parte sesta Casamari monumento nazionale, 15-17.<br />

- 42-


Ancora il De Benedetti: «L'abate Agostino dunque vedendo che<br />

la sua comunità religiosa si sviluppava ed accresceva sempre più, tanto<br />

da diventare Padre di oltre quaranta monaci, costruì dalle fondamenta<br />

due lunghi ed ampi bracci di fabbricati. Uno per essere adibito come<br />

dormitorio dei monaci, l'altro per le esigenze monastiche: cucina, dispensa,<br />

forno, refettorio, magazzini, ecc.<br />

Evidentemente ilIato adibito per dormitorio doveva essere attaccato<br />

ad angolo retto alla chiesa come si vede in tutte le piante dei monasteri<br />

benedettini. Ciò per dare comodità ai monaci di poter scendere direttamente<br />

in chiesa, specie nelle ore notturne, secondo la Regola monastica<br />

e l'uso tradizionale. La Cronaca continuando ad elencare le<br />

opere di Agostino, ricorda anche la costruzione di una casa all'entrata<br />

del monastero per ricevere gli ospiti e di un chiostro ampio e decoroso.<br />

Sommando tutte queste fabbriche si può congetturare una certa<br />

pianta completa di tutto l'edificio monastico, costruito a quadrato per<br />

ricavarne il chiostro. Il quadrato era formato:<br />

1. dalla chiesa, posta a sinistra dell'entrata del monastero;<br />

2. dal braccio del dormitorio sviluppato in senso rettangolare a nord<br />

e attaccato alla chiesa dal lato destro;<br />

3. dal braccio dei locali di quotidiana sussistenza attaccato pure ad<br />

angolo con il dormitorio e sviluppato a parallelo con la chiesa;<br />

4. dalla foresteria che costituiva l'ultimo braccio e chiudeva il quadrato<br />

» 61 (vedi grafico).<br />

È questo il piano tradizionale dei monasteri benedettini. Tale piano<br />

secondo lo Schmitz<br />

« consiste essentielment dans trois ailes d'habitation fermées<br />

per une quartième aile qui n'est autre qu'un neuf latérale de<br />

l'eglise abbatiale ... Cette constance dans le plan des monastères<br />

prouve assurément ces avantages pratiques ... notamment en ce<br />

qui concerne l'hospitalité, le soin des malades et l'affluence des<br />

pélerins » 62.<br />

Pannelli di pietra degli altari laterali<br />

Oltre ai capitelli e alle colonne che ci hanno permesso di avanzare<br />

una sommaria ricostruzione della chiesa benedettina, abbiamo ancora dei<br />

bassorilievi con stupendi disegni floreali che fungono ora da paliotti<br />

dei due altari laterali più prossimi al coro attuale.<br />

61 Ibidem, 16.<br />

62 SCHMITZ, I, 218.<br />

- 43-


Questi bassorilievi sono stati presentati da Ermenegildo Scaccia-<br />

Scarafoni 63 come i plutei del pulpito della chiesa benedettina fatta costruire<br />

da Giovanni I, basandosi su una inedita descrizione dell'abbazia<br />

di Casamari del 1634.A riguardo del pulpito vi si legge: «Nel medesimo<br />

lato, quasi nel mezzo della chiesa, attaccato ad un pilastro d'arco sta il<br />

pulpito di pietra bianca, lavorato, e disotto un credenzino o repositorio<br />

dei libri di cui si servivano i monaci in tempo che il coro stava dietro<br />

detto pulpito, che serviva per recitarvi le lettioni, et altre orazioni come<br />

costumavano anticamente» 64.<br />

A questa descrizione fa eco quella settecentesca del Rondinini:<br />

« Prope quartum arcum eiusdem navis mediae... fere in medio<br />

totius ecclesiae ambitu excitatus est suggestus concionatorius lapideus<br />

antiquae sed nobilis in primis et elegantis structurae, sub<br />

quo bina iacent conditoria concamerata, ubi antiquis temporibus<br />

sacri Jibri custodiebantur, quod pro veteri ecclesiae more e suggestu<br />

recitari opertebat » 65.<br />

Le due descrizioni parlano ambedue di pulpito in pietra finemente<br />

lavorato.<br />

Il pulpito si trovava quasi nel mezzo della chiesa e - dato che<br />

il coro occupava la navata centrale, secondo l'uso monastico medievale<br />

- serviva come ambone per le lezioni dell'ufficio divino. Ma sappiamo<br />

che i <strong>Cistercensi</strong> non costruivano pulpiti in pietra nelle loro chiese:<br />

basti osservare le chiese di Fossanova o San Galgano. Quindi è da<br />

presumere che i <strong>Cistercensi</strong> credettero opportuno non rinunziare a quel<br />

pulpito. romanico che essi ritennero un capolavoro. Tuttavia il Pulpito<br />

fu rimosso nel settecento, quando, sostituiti i Trappisti ai <strong>Cistercensi</strong><br />

si iniziarono lavori di restauro nell'abbazia.<br />

Sorgono tuttavia alcune difficoltà. La prima è costituita dalla notizia<br />

riportata dalla Cronaca del Cartario che asserisce che il pulpito<br />

fatto costruire da Giovanni I per la chiesa romanica era di legno<br />

cypresseum 66 e non di pietra. Si può rispondere che il pulpito di pietra<br />

potrebbe essere stato aggiunto dagli abati successori di Giovanni I<br />

come Orso o Agostino, dei quali risulta l'impegno ad ingrandire ed<br />

abbellire sempre più il monastero.<br />

La seconda difficoltà vien fatta dal De Persiis che afferma che i<br />

pannelli formavano non il pulpito ma l'altare maggiore originale della<br />

63 SCACCIA-SCARAFONI, Descrizione, 6.<br />

64 Ibidem.<br />

65 RONDININI, 92-93.<br />

66 Crono Cart., doc. 1 del secondo volume.<br />

- 44-


chiesa cistercense. Parlando dell'altare laterale dedicato a San Benedetto<br />

e a San Bernardo situato a sinistra dell'ingresso all'attuale<br />

sacrestia nella struttura contemporanea al De Persiis egli così si esprime:<br />

«Non dobbiamo tacere che questo altare, avvegnaché ora trasformato<br />

come gli altri, anticamente era di pietra, non soltanto scalpellata,<br />

ma ornata altresì di fregi e rabeschi a rilievo, quasi della forma del<br />

sott'arco della porta maggiore. Un buon laico Fra Pacomio, avendo<br />

dovuto riparare alquanto questo altare, poté col lume di una candela<br />

sottoposto all'apertura che si era formata tra I'incrostazione di marmo<br />

e l'antico parapetto dell'altare, scorgere il lavoro e la forma di esso.<br />

Oggi ogni apertura è chiusa. Noi ci dilettiamo di pensare che questo<br />

altare qui collocato, sotto le immagini dei santi Benedetto e Bernardo,<br />

fosse quello che una volta occupava il posto dell'altare maggiore prima<br />

che il nuovo, così ricco di marmi, ne lo avessero rimosso. Imperocché è<br />

da sapere che l'altare maggiore prima che la nuova e grande tribuna<br />

marmorea fosse eretta, non si trovava dove è oggi, ma sì in mezzo del<br />

coro» 67.<br />

A questa affermazione rispondiamo riportando la descrizione dell'altare<br />

maggiore fatta dal Rondinini, prima che venisse rimosso per far<br />

posto al dissonante ciborio barocco che ora sormonta il nuovo altare<br />

collocato nel mezzo della crociera: «Ara tota lapidea et satis ampla<br />

quaternis parois columnis lapideis a parte anteriori et totidem a parte<br />

posteriori sustinetur »68. Quindi dalla forma descritta l'altare originale<br />

della chiesa cistercense era costituito da una semplice mensa di pietra<br />

sostenuta da colonnine.<br />

Il disegno dei plu tei inoltre non ci sembra possa appartenere<br />

ad epoca e a gusto cistercense. È più di gusto romanico: questo ci<br />

sembra di poter asserire confrontando altri pannelli del secolo XI<br />

come quelli della cattedrale di Otranto 69 o come l'ambone e le transenne<br />

del coro della Pieve di Trebbio 70 e i fregi dei capitelli della Pieve di<br />

San Cesareo 71.<br />

Una chiara somiglianza di stile ci sembra ravvisare nei disegni<br />

dei rari capitelli romanici che ci sono pervenuti dell'antico monastero<br />

di Montecassino del tempo di Desiderio e che ora formano il chiostrino<br />

di Sant'Anna.<br />

67 DE PERSIIS, 15-16.<br />

68 RONDININI, 92.<br />

69 G. GIANFREDA, La Cattedrale di Otranto, Casamari 1966, figure 48-49.<br />

70 R. SALVINI, Il Duomo di Modena e il Romanico nel Modenese, Modena 1966,<br />

figure 9-13.<br />

7l Ibidem, figure 237-238.<br />

- 45-


Questa nostra conclusione escluderebbe l'opinione dell'Enlart,<br />

ripresa poi dal Rotondi n, secondo cui i pannelli apparterrebbero ai due<br />

altari cistercensi situati all'estremità del transetto.<br />

Gli altari, sul finire dell'800 era ricoperti<br />

«de cages en bois du dix-septième ou dix-huitième siècle<br />

sous les quelles, lors d'une reparation, on a pu voir les autels de<br />

pierre. La face antérieure de l'un est ornée d'une sculpture de<br />

croix et de fenillages analogue à celle du tympan du grand portail;<br />

sur l'autre courent des rinceaux de pampre » 73.<br />

72 ROTONDI, 31.<br />

73 ENLART, Origines, 45, nota 1.<br />

46


1. La morte di San Malachia<br />

Florilegio Cistercense<br />

I suoi compagni di viaggio lo assistevano e gli facevano coraggio<br />

assicurandolo che non c'era motivo per dubitare della guarigione; ed<br />

infatti non si era visto apparire alcun sintomo che potesse preludere ad<br />

una morte imminente. Ma egli disse: È necessario che entro l'anno<br />

Malachia abbandoni il suo corpo. Ed aggiunse: Ecco, si avvvicina il giorno,<br />

e voi lo conoscete bene, nel quale ho sempre desiderato di morire.<br />

So in chi ho posto la mia fede, e ne sono persuaso (Cfr TIM. 1. 12).<br />

Il mio desiderio è stato già soddisfatto in parte: non mancherà di essere<br />

soddisfatto per intero. Colui che nella sua misericordia mi ha guidato<br />

al luogo che avevo scelto, mi concederà anche di non oltrepassare<br />

la data che aveva stabilito l. Quanto al mio corpo, qui è la mia pace;<br />

all'anima provvederà il Signore che salva coloro che sperano in lui.<br />

Quanta speranza mi inonda in questo giorno, in cui i vivi aiutano i defunti<br />

con tante opere buone.<br />

Quando pronunziò queste frasi, il giorno della Commemorazione<br />

dei Fedeli Defunti non era lontano. Chiese che gli fosse amministrato<br />

l'Olio degli Infermi. Ma quando seppe che la comunità si stava riunendo<br />

per procedere solennemente al rito sacramentale, non tollerò che<br />

tutti si scomodassero per salire fino alla sua stanza, e scese loro incontro:<br />

alloggiava infatti al piano superiore. Si lasciò ungere, sunse il Viatico,<br />

si raccomandò alle preghiere dei confratelli, li raccomandò tutti a Dio;<br />

e tornò a letto.<br />

Da solo ne era disceso, da solo tornò nella sua stanza; e diceva<br />

che la morte era alla porta. Chi avrebbe potuto pensare .che quest'uomo<br />

stava per momire? Solo lui, e Dio! Il volto non tradiva pallore né sofferenze;<br />

la fronte non manifestava rughe, gli occhi non erano infossati,<br />

né le narici assottigliate, né le labbra contratte. La grazia del suo corpo,<br />

lo splendore del suo volto non scomparvero neppure con la morte.<br />

Quale fu in vita, tale continuò ad apparire dopo la morte: sembrava<br />

che vivesse ancora.<br />

SAN BERNARDO, Vita di San Malachia, XXXI, 71.<br />

S. Bernardi Opera, voI. III, 1963, 375.<br />

I In un precedente capitolo della «Vita di Malachia» San Bernardo racconta che il<br />

santo vescovo, invitato a dire dove avrebbe desiderato morire, rispose: A Chiaravalle, nel<br />

giorno della solenne commemorazione di tutti i fedeli defunti. Se era un desiderio, commenta<br />

San Bernardo, fu soddisfatto; se era una profezia) non sgarrò neppure una virgola.<br />

(Vita di Malachia, XXX, 67).<br />

- 47-


2. Alla soglia della contemplazione<br />

Fratelli, ve ne supplico, sforziamoci di essere sempre vigilanti,<br />

perché questo è il tempo della lotta ... Restiamo saldi ai posti di difesa,<br />

aggrappandoci con tutte le nostre forze alla roccia incrollabile che è<br />

Cristo, secondo questa parole della Scrittura: Ha fatto stare i miei<br />

piedi sulla roccia, ha reso fermi i miei passi (SALMO 39, 3). Una volta<br />

stabiliti su questo fondamento, possiamo fermarci a contemplare: e<br />

vedremo quello che egli ci dice, e sapremo come comportarci quando<br />

egli ci rimprovera.<br />

Ecco dunque, carissimi, qual è il primo grado della contemplazione:<br />

considerare incessantemente quello che vuole il Signore, quello che gli<br />

piace, quello che gli è gradito. E poiché noi tutti lo offendiamo spesso<br />

e la nostra mancanza di semplicità è un insulto alla rettitudine della<br />

sua volontà, umiliamoci sotto la mano potente dell'Altissimo; non indugiamo<br />

ad esporre tutta la nostra miseria davanti ai suoi occhi misericordiosi,<br />

dicendo: Guariscimi, Signore, e sarò guarito; saluami e sarò salvo<br />

(GER. 17, 14); e ancora: Pietà di me, Signore; guarisci la mia anima,<br />

perché ho peccato contro di te (SALMO 40, 5).<br />

Quando con questi pensieri l'occhio del cuore si è purificato, noi<br />

non viviamo più in noi stessi nell'amarezza del rimorso, ma viviamo<br />

nello Spirito di Dio colmi della sua gioia. Allora noi non chiediamo più<br />

quale sia la volontà di Dio su di noi, ma la cerchiamo per se stessa.<br />

E poiché Dio vuole la vita, non possiamo avere più alcun dubbio: conformarci<br />

alla sua volontà è davvero per noi la cosa più utile e più giusta.<br />

Se vogliamo quindi conservare la vita, cerchiamo di non allontanarci<br />

dalla volontà di Dio.<br />

E quando ci saremo inoltrati nel cammino dell'ascesi sotto la guida<br />

dello Spirito che vede la profondità dell'abisso di Dio, fermiamoci a<br />

pensare alla dolcezza e alla bontà del Signore; chiediamo col profeta<br />

di vedere la sua volontà e di entrare non nel nostro cuore ma nel suo<br />

tempio (Cfr SALMO26, 4). E col profeta ripetiamo: In me la mia anima<br />

è triste, per questo mi ricorderò di te (SALMO 41, 7).<br />

In questi due atteggiamenti si esprime tutto il nostro cammino<br />

spirituale: quando pensiamo a noi stessi ci turbiamo e ci rattristiamo<br />

quasi disperando della nostra salvezza; quando pensiamo a Dio ci sentiamo<br />

confortati, perché la gioia dello Spirito Santo è anche la nostra<br />

gioia. Restando in noi stessi, viviamo nel timore della condizione servile;<br />

incontrando Dio, riceviamo la speranza e la carità.<br />

SAN BERNARDO<br />

Sermone 5 de diversis, 4-5; PL 183, 556<br />

- 48-


3. La sublime esaltazione di Maria<br />

Saulo che spirava minacce e strage contro i discepoli del Signore<br />

fino a perseguitare il Signore stesso, fu oggetto di una tale misericordia<br />

che giunse a gloriarsi nella speranza della gloria dei figli di Dio e fu<br />

rapito fino al terzo cielo. Non ci si deve perciò stupire se la santa Madre<br />

di Dio sia stata assunta in cielo anche col corpo ed esaltata al di sopra<br />

dei cori angelici.<br />

Se c'è gioia in cielo tra gli Angeli per un solo peccatore che fa<br />

penitenza, chi potrà dire la lode gioiosa e bellissima che Maria Santissima<br />

fa salire verso Dio Ella che non ha mai peccato né proferito<br />

inganno? Se coloro che un tempo furono tenebre e poi luce nel Signore,<br />

rifulgeranno come sole nel regno del Padre loro, chi saprà descrivere la<br />

gloria eterna di Maria che venne in questo mondo come un sole, e dalla<br />

quale è nata la luce che illumina ogni uomo?<br />

Il Signore ha detto: Se qualcuno mi vuol servire, mi segua: e là<br />

dove sono io sarà il mio servo (Grov. 12, 26): dove pensiamo allora<br />

che sia Maria sua Madre, che l'ha servito con tanta delicatezza e con<br />

tanta costanza? Lei che l'ha accompagnato e gli è stata sottomessa fino<br />

alla morte? Nessuno si meravigli se ora Ella segue l'Agnello ovunque<br />

vada.<br />

4. Prendiamo la croce con Cristo<br />

ELREDO DI RIEVAULX<br />

Sermone 25 per l'Assunzione della Madonna;<br />

Ed. Talbot, Roma 1952, 162<br />

Oggi celebriamo la festa di Sant'Andrea. Egli, quando giunse al<br />

luogo dove la croce l'attendeva, fu reso forte nel Signore e pronunciò<br />

parole ardenti in virtù dello Spirito Santo che, sotto forma di lingue<br />

di fuoco, aveva ricevuto con gli altri apostoli ... Erano parole sgorgate<br />

dalla sua ricchezza interiore: la carità che gli ardeva nel cuore si manifestava<br />

nella voce come attraverso scintille abbaglianti: O croce a<br />

lungo attesa e ora finalmente offerta al mio ardente desiderio! Vengo<br />

a te nella pace e nella letizia: riceuimi anche tu con gioia, perché sono<br />

il discepolo di colui che tu portasti ...<br />

Come si spiega, in un uomo, questa gioia straordinaria, questa<br />

letizia inaudita. Come si spiega tanta costanza in una creatura così<br />

fragile? Come può un uomo essere così docile allo Spirito, così ardente<br />

di carità, così pieno di fortezza? Non pensiamo che tanto coraggio An-<br />

- 49-


drea lo trovasse in se stesso. Era il dono perfetto che discende dal<br />

Padre delle luci, da colui che solo compie opere meravigliose. Era lo<br />

Spirito Santo che veniva in aiuto alla sua debolezza, che diffondeva<br />

nel suo cuore una carità forte come la morte, anzi più forte della morte.<br />

Fossimo anche noi partecipi di questo Spirito! Ma noi non lo possediamo<br />

abbastanza: ecco perché la penitenza ci costa fatica, ecco perché<br />

l'afflizione del corpo e l'astinenza ci pesano, ecco perché durante<br />

le veglie non sappiamo resistere al sonno e alla noia. Se lo Spirito<br />

fosse presente, verrebbe certo in aiuto alla nostra debolezza. Quanto<br />

ha fatto per Sant'Andrea di fronte alla croce e alla morte, lo Spirito lo<br />

farebbe anche per noi: e il nostro sforzo, la nostra penitenza non solo<br />

non sarebbero penosi, ma diventerebbero addirittura cose desiderabili<br />

e piacevoli. Il mio Spirito, dice il Signore, è più dolce del miele (ECCLE.<br />

24, 27 Volgata); la morte più amara non potrebbe vincere questa dolcezza...<br />

Cerchiamo questo Spirito, fratelli; o se l'abbiamo già, impegnamoci<br />

per possederlo più pienamente. Chi infatti non ha lo Spirito di<br />

Cristo, non appartiene a Cristo (ROM. 8, 9). Noi non abbiamo ricevuto<br />

lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, perché conosciamo<br />

i doni che Dio ci ha dati (I CORo2, 12) ...<br />

Prendiamo la nostra croce con Sant'Andrea, prendiamola insieme<br />

con il Signore nostro Salvatore. La gioia profonda di Aridrea veniva<br />

proprio da questo: egli non moriva solo per Lui, ma anche con Lui; la<br />

morte simile alla morte di Cristo, lo faceva un solo essere con Cristo; e<br />

così, dopo aver sofferto con Lui, avrebbe regnato con Lui nella gloria.<br />

Disponiamoci anche noi ad essere crocefissi con Cristo; ascoltiamo<br />

il suo invito con tutta l'attenzione di cui siamo capaci: Se qualcuno<br />

uuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi<br />

segua (Le. 9, 23 )... La croce è il luogo della nostra salvezza se ci lasciamo<br />

coraggiosamente inchiodare su di essa. Il linguaggio della Croce,<br />

dice l'Apostolo, è follia per quelli che si perdono, ma per noi e per<br />

coloro che sono sulla via della salvezza, esso è 'potenza di Dio (I. CORo<br />

1, 18).<br />

SAN BERNARDO<br />

Secondo sermone per la festa di Sant'Andrea, PL 183, 509-512<br />

5. Il primato della carità<br />

Perché, fratelli, non siamo attenti nel cercare le occasioni di salvezza<br />

gli uni per gli altri? Perché non ci aiutiamo a vicenda quando ci<br />

- 50-


sembra necessario? A questo ci esorta l'Apostolo: Portate i pesi gli uni<br />

degli altri, e così adempirete la legge di Cristo (GAL. 6, 2). Ed altrove:<br />

Sopportate vi a vicenda nella carità (EF. 4, 2). Questa è, di sicuro, la<br />

legge di Cristo.<br />

Quando nel mio fratello scopro qualcosa di incorreggibile, qualche<br />

infermità fisica o morale, perché non lo sopporto pazientemente?<br />

perché non lo consolo volentieri? I loro figli, dice la Scrittura, saranno<br />

portati in braccio e consolati sulle ginocchia (Is. 66, 12). Mi manca<br />

forse la carità che tutto soffre, che è paziente nel sopportare e benigna<br />

nell'amare? (Cfr I CORo13, 7).<br />

Questa è la legge di Cristo. Egli ha veramente preso su di sé<br />

le nostre sofferenze nella sua Passione, e nella sua compassione ha portato<br />

i nostri peccati (Is. 53, 4), amando quelli che portava e portando<br />

quelli che amava. Chi invece si mostra aggressivo verso un fratello che<br />

è nel bisogno, chi insidia la sua debolezza, si sottomette alla legge del<br />

demonio e la compie.<br />

Compatiamoci a vicenda, amiamo i nostri fratelli, supportiamone<br />

le debolezze e perseguitiamone i vizi... Ogni genere di vita, qualunque<br />

siano le sue osservanze o le sue consuetudini, è più accetto a Dio se segue<br />

meglio la carità di Dio, se ricerca più sinceramente l'amore del prossimo.<br />

È in ragione della carità che tutto deve essere fatto o non fatto,<br />

cambiato o non cambiato. È la carità il principio dal quale e il fine<br />

verso il quale tutto deve essere diretto. Non c'è nulla di colpevole in<br />

ciò che vien fatto a vantaggio e secondo lo spirito della carità.<br />

Si degni di accordarcelo Colui al quale non possiamo piacere senza<br />

la carità e privi della quale nulla possiamo, Lui che vive e regna, Dio,<br />

nei secoli dei secoli. Amen.<br />

ISACCODELLASTELLA(1)<br />

Sermone 31, PL 194, 1792-1793<br />

6. La scoperta di Cristo<br />

La vostra vita è nascosta con Cristo in Dio (COL. 3, 3). La scoperta<br />

di noi stessi in Dio, e di Dio in noi, attraverso una carità che<br />

in Dio trova, con noi stessi, anche tutti gli altri uomini, proprio per<br />

questo è la scoperta non di noi stessi ma del Cristo. È prima di tutto la<br />

presa di coscienza che non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive<br />

in me (GAL. 2, 20), ed è, in secondo luogo, la penetrazione di quel tremendo<br />

mistero che San Paolo delinea audacemente - e oscuramente<br />

-51-


- nelle sue grandi epistole: il mistero della ricapitolazione, del convergere<br />

di tutto nel Cristo. È il vedere il mondo - il suo principio e<br />

la sua fine - nel Cristo: veder scaturire tutte le cose da Dio nel<br />

Logos che si incarna e scende fin nelle ultime profondità della Sua<br />

creazione e riconduce tutto a sé per poi restituire tutto al Padre alla<br />

fine del tempo. Trovare noi stessi allora, vuoI dire non solo trovare la<br />

nostra anima così povera, limitata, insicura; ma trovare la- potenza di<br />

Dio che ha risuscitato Cristo dai morti e ci ha coedificati in Lui per divenire<br />

abitazione di Dio nello Spirito (EF. 2, 22).<br />

Questa scoperta di Cristo non è affatto autentica se si limita ad<br />

essere una fuga da noi stessi. Non deve essere un'evasione, ma un cammino<br />

verso la pienezza. Non riuscirò mai a scoprire Dio in me e me<br />

stesso in Lui se non ho il coraggio di guardarmi in faccia cosi come<br />

sono esattamente, con tutti i miei limiti e di accettare gli altri così come<br />

sono, con i loro limiti. La risposta religiosa non è religiosa se non è<br />

pienamente reale. L'evasione è la risposta della superstizione.<br />

Se la si guarda in modo intuitivo, questa questione della salvezza<br />

è una cosa semplicissima: ma quando la si analizza, si trasforma in un<br />

groviglio di paradossi. Diventiamo noi, solo morendo a noi stessi.<br />

Guadagnamo solo quello a cui rinunciamo, e se rinunciamo a tutto guadagnarno<br />

tutto. Non possiamo trovare noi stessi dentro di noi, ma solo<br />

negli altri, eppure prima di poter andare verso gli altri dobbiamo<br />

trovare noi stessi. Se vogliamo veramente prender coscienza di chi siamo,<br />

dobbiamo dimenticare noi stessi. Amare gli altri è il modo migliore<br />

di amare noi stessi, eppure non possiamo amare gli altri se non amiamo<br />

noi stessi, poiché è scritto Amerai il tuo prossimo come te stesso (Mt.<br />

19, 19). Ma se noi ci amiamo in modo sbagliato, diventiamo incapaci<br />

di amare chiunque altro. Quando noi non ci amiamo rettamente, in realtà<br />

ci odiamo; e se odiamo noi stessi, finiremo inevitabilmente per odiare<br />

gli altri. È vero tuttavia che in un certo senso dobbiamo odiare gli altri<br />

e lasciarli, se vogliamo trovare Dio. Gesù ha detto Se qualcuno viene a<br />

me e non odia suo padre e sua madre ... e la sua vita stessa, non può essere<br />

mio discepolo (Le. 14, 26).<br />

Quanto al nostro trovare Dio, è certo che non potremmo neppure<br />

cercarlo se non lo avessimo già trovato, e non potremmo trovarlo se<br />

Lui non ci avesse già trovato.<br />

THoMAs MERToN (2)<br />

Nessun Uomo è un'isola, Ed. Ital. Garzanti, IV Ediz., 13-15<br />

- 52-


I <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova<br />

nell'opera di bonifica dell'Agro Pontino<br />

1795-1809<br />

Il progetto<br />

Il presente studio è stato condotto alla luce<br />

di documenti raccolti nel « Carteggio» dal titolo.<br />

«Fossanoua: Piano di irrigazione ».<br />

Il Carteggio, un tempo conservato nell'archivio<br />

di Fossanoua, fu messo in salvo dai monaci e portato<br />

a Casamari, in seguito alla soppressione, decretata<br />

da Napoleone I (7 maggio 1809).<br />

(N. d. R.)<br />

Nel 1795, per volontà di Pio VI, l'abbazia di Fossanova, passava<br />

sotto la filiazione di Casamari l.<br />

Durante l'arco di tempo che va da quell'anno fino alla soprressione<br />

di Napoleone 2~ i monaci cistercensi di Fossanova avviarono interessanti<br />

lavori idrici, i quali, anche se necessariamente limitati, si<br />

inquadrano nel vasto piano di bonifica dell'Agro Pontino.<br />

Dal carteggio 3 intorno alle opere irrigue promosse dai monaci<br />

di Fossanova, risulta che una delle principali preoccupazioni dei <strong>Cistercensi</strong><br />

venuti da Casamari, fu quella di assicurare l'irrigazione razionale<br />

secondo i sistemi suggeriti dalla tecnica del tempo, ad una considerevole<br />

estensione di terreno.<br />

Furono elaborati due progetti: uno rimonta al 1796 \ l'altro al<br />

1807 s.<br />

Il primo prevedeva la derivazione dal fiume Amaseno di un corso<br />

di acqua che attraversando tutto il terreno compreso nella clausura,<br />

avrebbe irrigato una vasta zona coltivata a ortaggi, medicai ecc. e<br />

1 M. CASSONI, La Badia di Fossanoua presso Piperno, in Rio. Storica Benedettina,<br />

fase. XX (1910) e XXI (1911), pago 24 e ss. - G. PACCASASSI,Monografia del Monumento<br />

Nazionale di Fossanova presso Piperno, Fermo, 1882, pago 25 e ss. - Archivio di Casamari,<br />

Breve di Pio VI, « Cum sicut nuper accepimus », dato Romae apud S. Petrum sub Annulo<br />

Piscatoris die 23 julii 1795, in Cartulario: «Fossanoua, filiale di Casamari », pergamena<br />

originale.<br />

2 M. CASSONI,La Badia di Fossanoua, pago 35.<br />

3 Archivio di Casamari: Carteggio: Fossanova: Piano di irrigazione, la raccolta di<br />

questi documenti contiene 112 pagine, della quale ci siamo usati in questo studio.<br />

4 Ibidem, Relazione, perizia e mappa del Passega, pagg. 23-27.<br />

5 Ibidem, Mappa di L. Gallone, pago 83.<br />

- 53-


infine si sarebbe gettato di nuovo nel fiume. Il secondo progetto, come<br />

vedremo, sviluppava questo piano di irrigazione estendendolo anche<br />

ai terreni situati fuori del muro di cinta della clausura.<br />

Interessamento personale di Pio VI<br />

Il progetto dei monaci di Fossanova non poteva non interessare il<br />

pontefice Pio VI che fin dal 1777 aveva iniziato l'opera .di bonifica dell'Agro<br />

Pontino, nulla risparmiando per la sua buona riuscita.<br />

Il 18 agosto 1795, il papa veniva informato del piano di irrigazione<br />

dall'Abate D. Romualdo Pirelli il quale faceva presente che da<br />

tempo immemorabile esistevano sul posto opere idrauliche, come testimoniavano<br />

i ruderi di un'antica mola e alcuni canali sotterranei 6.<br />

Quattro giorni dopo Pio VI scriveva al perito Gaetano Astolfi dicendo:<br />

« ... Ci piacerebbe che s'eseguisse (il lavoro di irrigazione) perché<br />

risultarebbe (sic) in gran bene di quei religiosi, ma sempre con<br />

l'avvertenza di non recare alcun pregiudizio alla nostra bonificazione» 7.<br />

In un'altra lettera, diretta all'Abate Pirelli 8, il papa comunica di<br />

aver dato precise disposizioni allo stesso idrostatico Astolfi, con l'incarico<br />

di fare una perizia per introdurre sui terreni del monastero « ... o<br />

in tutto o in parte l'acqua del vicino fiume per inaffiare l'ortaglia ... ».<br />

Il 18 novembre successivo l'Astolfi presentava uno schizzo o « Bozzo<br />

dimostrativo» e una relazione dettagliata con la quale dimostrava<br />

che era possibile introdurre una sufficiente quantità di acqua per irrigare<br />

i terreni intorno all'abbazia anche durante la maggiore siccità dell'estate.<br />

E aggiungeva: « ... questo senza alcun pregiudizio del buon regolamento<br />

dell'acqua, e dell'Amaseno, e della Bonificazione Pontina » 9.<br />

Il giudizio espresso dal perito Astolfi costituiva una garanzia poiché<br />

l'impianto idrico di Fossanova non poteva prescindere dal piano integrale<br />

della bonifica dell'Agro.<br />

Due mesi dopo, il papa affida l'esecuzione di una nuova perizia al<br />

noto Luigi Passega, « Idrostatico della R.C.A. in Ferrara» IO. Difatti il<br />

Pontefice scrive al Pirelli informandolo che: « ... dovendo in breve por-<br />

6 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, minuta di una lettera<br />

diretta a Pio VI, pagg. 16-18.<br />

7 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI all'Astolfi, dato da S. Maria Magg. il 22 agosto<br />

1795, pago 5.<br />

8 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli, dato da S. Maria Magg. il 22 agosto<br />

1795, pagg. 1-3.<br />

9 Ibidem, Relazione e Mappa di G. Astolfi, pagg. 9-14.<br />

10 Ibidem, Relazione e Mappa di Luigi Passega, pagg. 23-27. M. CASSONI,La Badia<br />

di Fossanova ecc., pago 30.<br />

- 54-


tarsi alle Paludi il perito Passega, chiamato da Ferrara, per decidere,<br />

della controversia che verte fra gl'Idrostatici Rappini e Vici, sull'incanalamento<br />

del fiume Teppia, potrà visitare ancora gli orti ed il fiume<br />

che costeggia Fossanova, e sul ragguaglio della spesa, ch'Egli accennava,<br />

risolvere se debba crearsi un debito equivalente» Il.<br />

Ultimata la nuova perizia dei lavori 12 dal Passega, il Card. Carandini<br />

la presenta al papa che l'approva.<br />

Intanto il Pirelli ha fretta di iniziare i lavori, e il papa informato<br />

dell'urgenza, scrive all'Abate: «Ci vien detto, ch'Ella abbia premura<br />

d'intraprendere il lavoro sollecitamente e per effettuarlo essere disposto<br />

alla creazione di un debito. Noi per abbreviarle il giro della<br />

Congregazione dei Vescovi e Regolari, per ottenere la licenza, gliela dare-<br />

, d' . 13<br />

mo a mttura ... » .<br />

Sappiamo dalla storia che papa Braschi si interessava molto a questo<br />

genere di lavori. Perciò, non contento dello scambio di idee per via<br />

epistolare, il vecchio pontefice, nonostante i rigori della stagione, spontaneamente<br />

si offre per un incontro con l'abate di Casamari in Terracina,<br />

allo scopo di discu tere a voce circa la realizzazione del progetto: «Noi<br />

saressimo in disposizione di partire di qui il giorno 28 del corrente,<br />

per essere la sera in Terracina, ma se in questi giorni non si riscalda<br />

l'aria alquanto di più, non ci sentiamo di portarci colà per stare accanto<br />

al fuoco, come abbiamo fatto tutti questi giorni» 14.<br />

L'incontro, difatti, avvenne. L'abate Pirelli prospettò al papa la<br />

maniera di attuare il progetto di irrigazione in tutti i suoi particolari.<br />

Pio VI appena tornato a Roma, « per direttissima », firma un Rescritto<br />

15 con il quale l'abate Pirelli veniva autorizzato a contrarre un<br />

debito di tre mila scudi con l'intento di iniziare l'impianto idrico e per<br />

altri lavori di prima necessità.<br />

Il piano idrico dei lavori<br />

In merito al piano di irrigazione dei terreni situati nella clausura<br />

SI conservano due perizie fatte eseguire da Pio VI 16. La prima del-<br />

11 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli, pagg. 19-21.<br />

12 Ibidem, Relazione e Mappa di L. Passega, pagg. 23-27.<br />

13 Arch. di Casamari, Carteggio: Fossanoua: Piano di irrigazione, Lettera autografa<br />

di Pio VI al PireIli, pago 28.<br />

14 Ibidem, Lettera autografa di Pio VI al Pirelli pago 28.<br />

15 Ibidem, Supplica del Pirelli con in calce il Rescritto « Signatum manu SS.mi »,<br />

pagg. 31-33.<br />

16 Ibidem. Due lettere di Pio VI: la prima diretta all'Astolfi il 22 agosto 1795; l'altra<br />

al Pirelli, il 30 gennaio 1796, pago 5 e 19.<br />

- 55


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l'ing. Gaeano Astolfi 17, la seconda dell'ing. idrostatico Luigi Passega<br />

18, che tanta parte ebbe insieme all'ing. Gaetano Rappini, direttore<br />

generale, nelle opere della bonifica pontina.<br />

Prima di mettere in esecuzione il progetto, i monaci provvidero<br />

ad allargare la clausura con mura più solide, sicché il terreno, compreso<br />

nella nuova cinta, da sei rubbia fu portato a venti 19.<br />

Le due perizie differiscono di poco tra loro e in pratica, nelle linee<br />

essenziali si equivalgono. Noi, nel descrivere il piano idrico dei lavori,<br />

useremo sia l'una che l'altra per farne una esposizione più chiara<br />

e preCIsa.<br />

Dai rilievi dei due ingegneri fu accertata la possibilità di poter<br />

sottrarre una certa quantità di acqua dal fiume Amaseno allo scopo di<br />

irrigare i terreni siri nel comprensorio della nuova clausura.<br />

Ma quello che maggiormente importava era, che tale possibilità<br />

persistesse anche durante l'estate quando la siccità è maggiore. Difatti<br />

si constatò che in questa stagione l'Amaseno trovandosi «in stato di<br />

magrezza» e pur avendo il pelo dell'acqua di « quattro palmi» più in<br />

basso rispetto al livello del terreno, veniva stimato dai periti di una<br />

« ... profondità poco considerabile, che con facilità si puoI (sic) far<br />

risalire mediante l'uso di qualche semplice macchina ... ».<br />

Giustamente faceva osservare il Passega, nell'esecuzione del progetto,<br />

bisognava tener presente « ... lo stato infimo del fiume », il che<br />

avveniva appunto nella stagione estiva, « quando i vegetali han più bisogno<br />

di essere irrigati ». Perciò i due ingegneri trovavano indispensabile<br />

che al punto della derivazione dell'acqua, e cioè sulla sponda destra<br />

dell'Amaseno, nel luogo detto «Maraone », si costruisse un « chiavichetto<br />

» immissario per ottenere il regolare deflusso delle acque verso<br />

il terreno da irrigare.<br />

La presa d'acqua fu prevista nel luogo più vantaggioso e precisamente<br />

nella parte superiore alla chiusa di una mola antica di cui rimanevano<br />

gli avanzi.<br />

Inoltre, verso il centro del terreno fu progettata una vasca « ad uso<br />

d'arte ... con intonacatura a stagno ». Il fondo della vasca doveva essere<br />

situato a un livello più basso del piano campagna, in modo che il fosso<br />

derivatoio, dall'immissario alla vasca, avesse una caduta totale di « on-<br />

17 Ibidem, Perizia e mappa per l'irrigazione della clausura di Fossanova, eseguita da<br />

G. Astolfi il 18 novembre 1795, pagg. 9-14<br />

18 Ibidem, Profilo e mappa dimostrativa dei terreni adiacenti al monastero di Fossanova,<br />

di L. Passega, pagg. 23-27.<br />

19 M. CASSONI, La Badia di Fossanoua, pago 30.<br />

- 57-


cie quattro, e tre minuti ». Infine fu prevista la « costruzione di una<br />

tromba da sollevar l'acqua della vasca per innaffiare gli erbaggi ».<br />

Il fosso derivatoio dell'acqua dell'Amaseno doveva imboccare un<br />

antico acquedotto sottorraneo, in muratura, che passava sotto gli edifici<br />

dell'abbazia 20. Le spese previste per «l'espurgo di questo vecchio<br />

condotto» erano abbastanza forti, ma sarebbero state compensate, dice<br />

il Passega, dal vantaggio di avere acqua abbondante nel monastero per<br />

lavanderia e per altri usi domestici 21.<br />

Dal monastero, l'acqua, attraverso una fossa già esistente, ma da<br />

rimettere in efficienza, doveva gettarsi di nuovo nell'Amaseno.<br />

Da un esame attento delle due perizie risulta con evidenza che i<br />

<strong>Cistercensi</strong> di Fossanova intesero ripristinare l'antico piano idrico, risalente<br />

molto presumibilmente al sec. XIII. Lo testimoniano i ruderi<br />

della mola a grano sull'Amaseno, le condotte in muratura, sottostanti al<br />

monastero e le altre opere idriche in superficie: tutti elementi adoperati,<br />

come abbiamo visto, nell'attuazione del nuovo piano di irrigazione.<br />

Sviluppo del piano di irrigazione<br />

L'idea di estendere la rete idrica anche fuori della clausura, al di<br />

là della via consolare, incontrò l'opposizione di molti.<br />

I monaci progettarono di trasformare un vasto appezzamento di terreno,<br />

in risaia, e portare l'acqua « ... ad intendimento di inaffiare (sic)<br />

de' prati, granturchetti (sic) ed altri usi dell'agricoltura, aumentando<br />

così la loro industria» 22. Secondo le previsioni dell'ing. Lorenzo Gal-<br />

20 C. ENLART, Origines Françaises de l'arcbitecture gotbique en ltalie, Paris 1894,<br />

pagg. 26 e 29.<br />

21. Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, che contiene la perizia<br />

dell'ing. Passega (pag. 26) dalla quale riportiamo per intero la nota della spesa complessiva<br />

prevista per i lavori idrici in Fossanova: «La spesa dell'opera sarà di circa scudi<br />

712.8-', fatta da me calcolare dall'espertissimo sig. Gaetano Astolfi, che era meco nella pre-<br />

sente visita; spesa che risulta dalle seguenti operazioni:<br />

Per il chiavichetto immissario. . . . .<br />

Per lo scavo del fosso derivatorio longo canne .<br />

Per la vasca longa e larga palmi 38 .<br />

Per l'espurgo del vecchio sotterraneo .<br />

sco<br />

»<br />

»<br />

»<br />

54.48<br />

352.50<br />

155.85<br />

150.00<br />

Che sommano come sopra sco 712.83<br />

Ciò è quanto in ubbidienza dei Sovrani comandi posso riferire, Roma 18 aprile 1796.<br />

22 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, copia della lettera<br />

del 6 febbraio 1808 dell'ing. G. Astolfi a Mons. A. Lante, Tesoriere Generale di N.S.,<br />

pago 99.<br />

- 58-


lione l'irrigazione si doveva estendere su di un terreno di circa 60 rubbia<br />

23.<br />

Dal punto di vista tecnico, ciò era possibile « ... essendosi con la livellazione<br />

veduto che l'acqua facilmente vi andrebbe ... e non farebbe<br />

pregiudizio a chicchessia, anzi potrebbe fare un'utile (sic) per i terreni<br />

inferiori » 24.<br />

Nella stessa dichiarazione si faceva notare anche che durante l'inverno<br />

le saracinesche sarebbero rimaste chiuse, mentre nelle stagioni in<br />

cui l'acqua fosse necessaria « ... si farebbe cadere nel fosso de' Lorenzi,<br />

o in quello del Pero ... dove bramano i Pipernesi d'averne per comodo<br />

de' loro bestiami. Ne avrebbero così vantaggio anche i possessori de'<br />

terreni inferiori, e niuno avrebbe ragione di dolersene » 25.<br />

Il disegno dei monaci dovette sembrare molto ardito a coloro cui<br />

stava a cuore il prosciugamento dell'Agro Pontino. È vero che non c'era<br />

da preoccuparsi, poiché i <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova avevano predisposto<br />

lo sviluppo della rete idrica, come vedremo subito, in maniera tale che<br />

la bonifica non doveva risentirne affatto. Ma il timore che qualche cosa<br />

potesse rovinare l'opera della stessa bonifica, ancora incompleta e<br />

precaria, ingigantiva ogni pericolo che potesse minacciare quelle terre,<br />

redente dalla palude palmo per palmo.<br />

Comunque iI nuovo piano di irrigazione ideato dai monaci sollevò<br />

forti opposizioni da parte di qualche ingegnere idrostatico, dei Privernati<br />

e della S. Congregazione delle Acque.<br />

Dai documenti si rileva che i monaci cominciarono i lavori senza<br />

chiedere l'autorizzazione agli organi competenti.<br />

Il 23 gennaio 1807, quello stesso ingegnere, Gaetano Astolfi, che<br />

per ordine di Pio VI, aveva progettato il primo piano di irrigazione, da<br />

Terracina scrive una lettera al Priore di Fossanova intimandogli la so-<br />

23 Ibidem, Mappa o tipo dimostrativo de' Beni di Fossanova e di Piperno in un con<br />

l'andamento delle loro acque ecc., di Lorenzo Gallione, in data 6 settembre 1807, pago 83.<br />

24 Ibidem, Dichiarazione con la quale il sig. Pasquale Zaccaleoni di Piperno dà il suo<br />

consenso ad ampliare il piano di irrigazione ai monaci fossanovensi, pagg. 84-86. Per far<br />

conoscere gli usi contrattuali del tempo, è interessante riportare qui le condizioni con le<br />

quali lo Zaccaleoni dava il suo assenso: « ... come uno dei cittadini di Piperno, possidente<br />

terreni tra li due fossi Lorenzi e Sandalara presto il mio pieno consenso... ma con l'espressa<br />

condizione, che se tale innovazione si conoscerà in ogni tempo apportare minimo danno...<br />

ad ogni richiesta, anche di un solo cittadino debba togliersi difatto tale novità e<br />

riporre tutto nel pristino stato, oltre la preventiva emenda de' danni causati e mostrando<br />

i RR. monaci di Fossanova qualche renitenza in ciò adempire, debbano soggiacere alla pena<br />

giornaliera di scudi cinque, monete da applicarsi in beneficio de' fossi di detta contrada ...<br />

Dovendosi poi sostenere qualche litigo civile su di ciò per l'indicata renitenza, debba ogni<br />

qualunque spesa di Procuratore, ed altro sì giudiziale che stragiudiziale andare a conto di<br />

detti RR. monaci; come anche resta a carico de' medesimi il mantenere sempre puliti gli<br />

alvei delli detti due fossi Lorenzi e Sandalara sino allo sbocco del nuovo Uffente... ».<br />

25 Ibidem, Dichiarazione del sig. P. Zaccaleoni, pagg. 84-85.<br />

- 59-


spensione dei lavori in corso 26. E ne dà la ragione: « ... puole produrre<br />

delle conseguenze litigiose, e anzi seguiranno necessariamente se non si<br />

desiste ». Inoltre aggiunge: «Sono informato che in occasione di quest'ultima<br />

piena sia accaduto qualche sconcerto e so ancora che dai<br />

RR. PP. è stato in qualche maniera provveduto ».<br />

Perciò, per evitare altri pericoli, dà ordine di « .,. chiudere l'apertura<br />

praticata nel muro del recinto, e rimettere l'acqua deviata nell'Amaseno,<br />

dentro la clausura medesima ... ». Infine esige che venga riparata<br />

la via consolare Priverno-Terracina che fu tagliata per il passaggio<br />

delle acque.<br />

Ma la cosa non si fermò qui. Nel giugno dello stesso anno i Privernati<br />

presentano ricorso alla S. Congregazione delle Acque, contro i <strong>Cistercensi</strong><br />

di Fossanova. Ecco il testo dell'istanza 27:<br />

Em.mi e Rev.mi Si.ri,<br />

Li pubblici rappresentanti della città di Piperno espongono, come<br />

i RR. monaci di Fossanova, affittuari della Commenda, si sono fatto lecito<br />

di raccogliere l'acqua nel fiume Amaseno nella contrada detta il Maraone,<br />

e mediante un fosso l'hanno condotta, e riducono a bagnare un quarto<br />

di terreno, che vogliono ridurre a risiera, e questo bagnato, le acque<br />

si vanno a scaricare sopra il quarto detto il Camponuovo di pertinenza di<br />

detta Comunità, che oggi ritrovasi dato in affitto, per cui tutti li possidenti<br />

di detta contrada per una tale innovazione ed insopportabile servitù<br />

perdono il prodotto dei loro terreni sì in erba che in seminato,<br />

oltre di che detti monaci non hanno avuto difficoltà per tal condottura<br />

di acqua rompere la pubblica strada, che conduce a Terracina ricoprendola<br />

poi per essere carrozzabile, stanti dunque li enunciati pregiudizi<br />

ed insopportabile servitù gli oratori ricorrono alla giustizia dell'Em.ze<br />

V. Rev.me, acciò vogliano degnarsi prendervi un pronto riparo, ed obbligare<br />

li monaci suddetti a ridurre tutto in pristino.<br />

Alla S. Congregazione dell'Acqua<br />

Per li Pubblici Rappresentanti della Comunità di Piperno<br />

Nonostante i ricorsi e le proteste, i monaci di Fossanova continuarono<br />

a coltivare la risaia e a irrigare i prati, proponendo ai vicini un modello<br />

esemplare di coltivazione intensiva.<br />

Ormai la coltivazione del riso era in fase avanzata e l'ing. Astolf<br />

26 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanova: Piano di irrigazione, lettera originale<br />

dell'Astolfi al Priore di Fossanova, pagg. 66-67.<br />

27 Ibidem, Copia del ricorso dei Privernati alla S. Congr. delle Acque, pago 71.<br />

- 60-


si limita a suggerire al Tesoriere Generale, Mons. Alessandro Lante, di<br />

ordinare ai <strong>Cistercensi</strong> «lo spurgo e l'arginamento» delle fosse, specialmente<br />

vicino alla «scaturigine de' Lorenzi» per il deflusso delle<br />

acque, « ... e ciò eseguirlo entro il mese di settembre, dopo cioè raccolto<br />

il riso, con espressa proibizione ai presenti e futuri... a fare altre<br />

innovazioni » 28.<br />

Stando così le cose, i monaci si decidono a presentare una istanza al<br />

Tesoriere Generale per ottenere l'autorizzazione a proseguire i lavori.<br />

Tra l'altro fanno presente che lo sviluppo e l'esecuzione del progetto<br />

fu ritardato per « mancanza del denaro e del tempo per le vicende<br />

sopraggiunte» 29, assicurano che tutto si stà facendo « ... in regola e senza<br />

pregiudizio d'alcuno ... », sotto la direzione di persone perite, in modo<br />

che « ... possano insieme aversi con la migliorazione della coltura di<br />

molti terreni il vantaggio del monastero e di altri e l'indennità di chicchessia<br />

» 30.<br />

Il Tesoriere Generale non aderisce alla richiesta dei <strong>Cistercensi</strong> di<br />

Fossanova poiché i Privernati già avevano fatto ricorso. Inoltre non<br />

approva « ... che i monaci edifichino una solida chiavica con saracinesca<br />

al punto di deviazione... ». Afferma infine che « sarà sempre illeso il diritto<br />

della Reverenda Carnera e della Comunità di Piperno di pretendere<br />

la riduzione in pristinum, se con l'esperienza si conoscesse questa deviazione<br />

di acqua essere in qualche modo pregiudizievole o alla Bonificazione<br />

Pontina, o al territorio di Piperno » 31.<br />

Finalmente, l'anno seguente, l'ing. Astolfi, che fu il primo ad opporsi<br />

all'ampliamento della rete irrigua, convinto che dal punto di vista<br />

della bonifica, il nuovo progetto non avrebbe recato danno, non solo<br />

cambia idea, ma addirittura se ne fa promotore.<br />

In una lettera 32 al Tesoriere, l'Astolfi dice: « ... qualora l'uso dell'acqua<br />

richiesta dalli suddetti si restringesse alli soli mesi d'estate, e<br />

fosse diretto lo scolo d'essa per la fossa de' Lorenzi, dico, che gli in-<br />

. teressati di detta fossa ne risentirebbero utile anziché danno per l'abbeveraggio<br />

de' loro bestiami in tempo di siccità, in cui eglino assolutamente<br />

ne mancano... Infine trattandosi d'una innovazione contro della<br />

quale gli interessati Pipernesi hanno già avanzato ricorso all'E. V. sembra<br />

perciò necessario sentire il loro parere ... ».<br />

28 Arcb. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, copia della lettera<br />

del 2 giugno 1807 di G. Astolfi al Tesoriere Gen., pago 74.<br />

29 Si accenna alla soppressione di Fossanova avvenuta nel 1798-99.<br />

30 Ibidem, Copia della supplica dei monaci di Fossanova a Mons. A. Lante, pago 97.<br />

31 Ibidem, Copia della lettera di A. Lante all'Astolfi (17 giugno 1807), pago 72.<br />

32 Ibidem, Copia della lettera 6 febbraio 1808) dell'Astolfi al Lante, pagg. 99-100.<br />

-61-


Il Tesoriere, conformandosi ai suggerimenti del perito, il 17 febbraio<br />

1808, scrive al Consiglio della Comunità di Piperno affinché<br />

esprima, con voto, il suo parere. Nel maggio dello stesso anno vengono<br />

convocati i Consiglieri. Prende la parola il « Seniore » Giovanni Batt.<br />

Colaboni, il quale « ... arringando, è di sentimento che non si debba<br />

accordare quanto si richiede dar monaci di Fossanova, essendo di pregiudizio<br />

al nostro campo. Onde chi approva un tale arringo ponga la<br />

palla bianca, e chi no, la nera. Corse il bussolo, raccolte le palle e quelle<br />

pubblicamente numerate sono state trovate: palle bianche, numero otto,<br />

e nere ventisette » 33.<br />

Subito dopo, lo stesso Segretario del Consiglio comunica a Fossanova<br />

il risultato della votazione con queste parole 34: «Qui compiegata<br />

le rimetto copia autentica della risoluzione bestiale tenuta da questo<br />

Consiglio sull'istanza vantaggiosa propostagli di far passare l'acqua in<br />

tempo d'estate dentro i terreni di codesto monastero ... Dall'insulso arringo<br />

del Colaboni, siccome in esso non assegna alcuna ragione del pregiudizio<br />

che asserisce recare, l'indicata acqua, al campo di Piperno,<br />

credevo che non venisse atteso, e perché li Consiglieri, a mio parere,<br />

sono tante talpe ed operano a capriccio, e senza alcuna riflessione, rigattarono<br />

(sic) una tal istanza, che alcuni poi di questi, del rustico ceto,<br />

da me illuminati, se ne sono pentiti... » 3S.<br />

Come si concluse questa vertenza? Lo vedremo al termine di questo<br />

studio.<br />

I monaci e la bonifica dell'Agro Pontino<br />

Le iniziative dei <strong>Cistercensi</strong> di Fossanova, senza dubbio, erano<br />

facilitate dalla vicinanza del fiume Amaseno e dalla stessa bonifica,<br />

voluta da Pio VI e condotta sotto la direzione di valenti idrostatici del<br />

tempo, come Gaetano Rappini, Direttore Generale, il Boldrini e lo<br />

Zanotti.<br />

33 Arcb. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, Copia autentica della<br />

delibera consiliare, 29 maggio 1808, del Pubblico Notaio Luigi Martellucci, pagg. 102-103.<br />

34 Ibidem, Lettera autografa di L. Martellucci all'Abate Pirelli del 29 maggio 1808,<br />

pago 101.<br />

35 N.B. Come il lettore può personalmente constatare, i consiglieri del Comune di<br />

Priverno caddero in un equivoco materiale. Infatti, «le palle bianche» approvano l'arringo<br />

del Calaboni contro Fossanova, e queste furono solamente otto. Mentre chi era favorevole<br />

all'Abbazia doveva mettere nel bussolo le «palle nere », e queste furono addirittura<br />

ventisette.<br />

Tuttavia dal contesto e da quanto scrive il Segretario Martellucci, risulta chiaro che<br />

i votanti avevano inteso, con le «palle nere », di bocciare il progetto dei monaci.<br />

- 62-


In quell'epoca, il fiume Amaseno, proveniente dal cuore del massiccio<br />

Lepino, era ostacolato nel suo regolare deflusso al mare, dalla piccolissima<br />

pendenza del terreno, dall'impedimento di cordoni di dune<br />

lungo il mare, e anche dall'intensità dei processi di alluvionamento e<br />

dalla vegetazione acquatica.<br />

Tali difficoltà, di carattere naturale, causavano l'impaludamento di<br />

vastissime zone.<br />

Per riparare ai danni delle inondazioni i lavori erano lasciati alla<br />

iniziativa privata che oltre a non risolvere il grosso problema in maniera<br />

adeguata, spesso questi lavori erano volti al vantaggio delle proprie terre<br />

con discapito di quelle degli altri confinanti. Di qui, liti interminabili,<br />

portate anche nei tribunali 36.<br />

Qualche volta si pretese addossare l'onere della manutenzione del<br />

fiume all'Abbazia di Fossanova: «Con lettera del sig.re Lodovico Fidanza,<br />

Commissario di Piperno ... viene intimato il monastero di Fossanova...<br />

a fare lo spurgo del fiume Amaseno» 37.<br />

D'altra parte, i monaci, per salvare il loro patrimonio terriero dalle<br />

alluvioni che si succedevano anche diverse volte durante l'anno, erano<br />

costretti ad affrontare ingenti spese.<br />

Ecco quanto riferisce l'ing. Gaetano Astolfi in una perizia fatta in<br />

occasione delle solite controversie per la questione dell'Amaseno: «Il<br />

tratto del fiume, che resta a fronte dei beni dell'Abbadia di Fossanova,<br />

tanto dalla parte di Piperno che da quella di Sonnino; stante l'aver avuto<br />

occasione di vedere ogni anno le rotte, scolmature e corrosioni accadute<br />

in detti argini... esservi occorsa una ragguagliata annuale somma<br />

di scudi cinque cento cinquanta ... » 38.<br />

Le spese di riparazione per la « rottura degli argini» furono sostenute<br />

dai monaci cistercensi di Casamari fin dal loro arrivo a Fossanova<br />

nel 1795. Per convincersi basterà consultare il Caterggio 39 dal titolo:<br />

«Fossanova: Piano di irrigazione », conservato nell'archivio di Casamar!.<br />

Per ovviare a questa situazione e agli inconvenienti dell'iniziativa<br />

privata, il Governo Pontificio decise di allargare l'alveo del fiume<br />

Amaseno.<br />

36 Arch. di Casamari, Epistolario del P. Giuseppe Sanjelice, agente di Casamari e<br />

Fossanova, in Roma, Lettera al Pirelli del 4 dicembre 1805, pago 25.<br />

37 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanova: Piano di irrigazione, Doc. circa lo spurgo<br />

del fiume Amaseno, pago 50.<br />

38 Ibidem, Stima delle spese per riparazione degli argini eseguita dall'ing. Astolfi,<br />

pagg. 55-56.<br />

39 Questo Carteggio costituisce la fonte quasi esclusiva di questo studio.<br />

- 63-


A quest'opera furono interessati, naturalmente, anche i <strong>Cistercensi</strong><br />

di Fossanova i quali apportarono un fattivo contributo nell'esecuzione<br />

dei lavori. Innanzitutto facciamo osservare che, per diversi anni, pagarono<br />

le tasse imposte dal «Tesoriere Generale di Nostro Signore, per<br />

l'allargamento del fiume Amaseno» 40.<br />

Con l'istituzione della «Cassa per l'Amaseno» 41, finanziata da<br />

tutti i proprietari interessati, non esclusi i monaci fossanovensi, i lavori<br />

furono eseguiti in varie riprese, ma l'ultimo lotto, prima della soppressione<br />

dell'abbazia da parte di Napoleone, fu quello deciso da Pio VII<br />

nel 1805. La notizia del decreto papale veniva comunicata all'abate di<br />

Casamari dal Card. A. Roverella in questi termini: « ... Il Santo Padre<br />

ha approvato il dilatamento del fiume Amaseno sino al punto del Maraone,<br />

superiore a codesta Badia; ha approvato inoltre che il mantenimento<br />

e riparazioni che occorrer anno dal primo giugno in poi si facciano<br />

a 'spese della Cassa dell'Amaseno e non più dai particolari possessori<br />

» 42.<br />

In base ad una stima 43 fatta dal perito Astolfì, risulta, alla data<br />

del 3 ottobre 1807 che per l'allargamento del fiume, la somma stanziata<br />

dalla « Cassa per l'Amaseno» ascendeva a circa 30 mila scudi.<br />

I molteplici lavori eseguiti e i vantaggi che ne derivarono, compensarono<br />

largamente l'enorme somma stanziata.<br />

. Lo afferma lo stesso abate Pirelli in una «Memoria» 44, dove tra<br />

l'altro dice: «Lo slargamento del nume Amaseno diretto a vantaggio di<br />

tutti i terreni adiacenti, che finora han sofferto nocumento dalle sue<br />

inondazioni, mentre reca ai possessori di detti terreni un aggravio 'straordinario<br />

di molte tasse ... ne risentono già il vantaggio di essere stati<br />

scaricati dal peso di rifare i loro argini rispettivi ne' casi di rotture<br />

40 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanooa: Piano di irrigazione, Tasse pagate dal monastero<br />

di Fossanova per l'allargamento del fiume Amaseno:<br />

14 agosto 1804, se. 49.50.2, pago 42.<br />

18 mar. 1805,» 74.25.3, » 53.<br />

4 giugno 1805,» 49.50.2, » 57.<br />

lO ottobre 1806,» 49.50.2, » 64.<br />

2 giugno 1807,» 49.50.2, » 69.<br />

lO novembre 1807, » 49.50.2, » 95.<br />

4 luglio 1808,» 61.88.0, » 111.<br />

Totale se. 383.64.3<br />

42 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, lettera del Card. Roverella<br />

al Pirelli del 22 giugno 1805, pago 59.<br />

43 Ibidem, Ristretto delle somme impiegate... per l'Amaseno, del perito G. Astolfi,<br />

pago 94.<br />

44 Ibidem, Memoria del Pirelli, senza data, pago 78.<br />

- 64-


solite ad avvenire nell'inverno. Lo slargamento già inoltrato rende più<br />

facile il corso alle acque e minore il pericolo delle rotture ... ».<br />

D. Romualdo Pirelli, abate di Casamari e Fossanova, con incrollabile<br />

tenacia, seppe trasfondere nei monaci, suoi collaboratori, il coraggio<br />

e la costanza per la rinascita di quella celebre abbazia.<br />

Quando nell'aprile del 1796 il famoso ing. idrostatico Luigi Passega,<br />

per ordine di Pio VI, faceva i 'rilievi a Fossanova per introdurre<br />

l'acqua dell'Amaseno nei campi da irrigare, l'abate Pirelli era presente<br />

sul posto 45.<br />

I documenti che vanno dal 1795 alla soppressione definitiva di<br />

Fossanova, dimostrano che quell'abate giammai desistette dal proposito<br />

di strappare alla palude le terre della Badia.<br />

Infatti quando un enfiteuta, sfiduciato perché ai suoi lavori non<br />

corrispondevano quel minimo di compenso, abbandona un appezzamento<br />

di terreno acquitrinoso e soggetto alle inondazioni, consegnandolo alla<br />

Reverenda Camera Apostolica, l'Abate Pirelli non si fa sfuggire l'occasione<br />

per ottenerlo. Il campo era piuttosto vicino al monastero, situato<br />

alla sinistra della strada Appia in confine delle « miglia 51 ». Il Pirelli<br />

scrive immediatamente al papa, esprimendo la fiducia di bonificare quel<br />

terreno, poiché, diceva: « ... col tempo e spesa non picciola, può ridursi<br />

a qualche utilità» 46.<br />

Verso il 1.807, la sistemazione del tratto del fiume che costeggia il<br />

patrimonio fondiario di Fossanova, era terminata. I terreni erano al sicuro<br />

dalle inondazioni e già se ne vedevano i benefici effetti. Ma quando<br />

i monaci cominciarono a raccogliere i frutti della loro terra, dissodata<br />

e bonificata con tanta pazienza, Napoleone Bonaparte sopprime l'abbazia<br />

che in seguito non fu più abitata dai <strong>Cistercensi</strong> 47.<br />

P. PLACIDO CAPUTO, O. CISTo<br />

45 Arch. di Casamari, Carteggio, Fossanoua: Piano di irrigazione, Perizia dell'ing.<br />

L. Passega, pag, 25.<br />

46 Ibidem, Minuta della supplica al papa, pago 40.<br />

47 Ibidem, Memoria su una controversia con il Card. Commendatario, pagg. 47-48.<br />

- 65-


Premessa<br />

Modalità Gregoriana<br />

La modalità gregoriana è il mezzo con cui il melografo esprime<br />

la sua anima di artista. Essa ci aiuta a comprendere la struttura del<br />

pezzo, il segreto della sua fabbricazione ed esecuzione.<br />

L'artista, prima di comporre, si domanda innanzi tutto la funzione<br />

della sua composizione; poi considera attentamente il testo e la<br />

circostanza liturgica. L'introito del Natale, per esempio, sarà modalmente<br />

e tonalmente diverso dall'introito di Pasqua. Un canto di supplica<br />

avrà una struttura intrinsecamente diversa da un canto di lode.<br />

Così, degli otto modo gregoriani, ciascuno risulta differente per<br />

l'estensione, l'ordine dei toni e semitoni, l'aspetto autentico o plagale.<br />

Tutto ciò contribuisce a dare ad ogni modo, una sua propria tinta,<br />

un carattere estetico proprio, capace di produrre particolari sentimenti<br />

da cui nasce una grande ricchezza di delicate sfumature che l'esecutore<br />

deve sottilmente intuire entrando così nella mente del compositore.<br />

Criteri del movimento gregoriano<br />

Il testo è composto di parole che hanno una vita propria, grazie<br />

agli accenti e al movimento ritmico. Il ritmo delle melodie viene regolato<br />

dai vari neumi e dal movimento crescente e decrescente della linea melodico-verbale.<br />

Oltre ai particolari sviluppi di ogni modo, non bisogna trascurare<br />

altri criteri che potrebbero intralciare l'opera del direttore e del coro.<br />

Si consideri il luogo dell'esecuzione. Questa circostanza esterna<br />

deve essere ben calcolata per ragioni acustiche. Un luogo ampio, oppure<br />

una navata sorda che rimbombi e faccia echi, esige una certa lentezza<br />

di movimento per evitare l'espandersi immediato e confuso delle<br />

onde che giungerebbero all'orecchio con un fragore di tuono; al contrario,<br />

un luogo più modesto esigerebbe un movimento più celere.<br />

Ci sono poi i cantori. Essi eseguiranno il canto in modo più o<br />

meno maestoso, a seconda della dignità dell'assemblea, della disposizione<br />

più o meno felice del coro, della loro competenza e così via. Ciò premesso,<br />

entriamo nell'atmosfera di ciascun modo.<br />

- 66-


Carattere dei Modi<br />

Il primo Modo ha una espressione di dignità, tranquillità, g101a.<br />

Molto adatto a tradurre i testi che esprimono una preghiera, un intenso<br />

raccoglimento.<br />

Il secondo Modo possiede un'atmosfera meno chiassosa; assai dolce,<br />

calma, umile. Tutto ciò è dovuto all'ambito ristretto e alla dominante<br />

vicina alla tonica. Si presta bene per la meditazione tranquilla,<br />

sommessa, senza ricerca di affetti. È adatto a tutte le sfumature di<br />

sentimento.<br />

Il terzo Modo, grazie anche alla presenza del si naturale, ci dà l'impressione<br />

di un intenso sentimento che il testo orienta e interpreta sia<br />

nell'ordine del dolore che in quello del giubilo, lode, entusiasmo, tenerezza.<br />

È il modo delle forti emozioni di pena e di gioia. La commozione,<br />

spesso, è toccante, sana.<br />

Il quarto Modo crea un'atmosfera di gravità, semplicità, riserva.<br />

La cadenza modale mi, fa sentire nel pezzo l'impressione di non finito,<br />

d'attrazione verso altra cosa, di desiderio insoddisfatto. Questo modo,<br />

il più interiore e spirituale, privo di gioia umana ed esteriore, è chiamato<br />

il modo della contemplazione.<br />

Il quinto Modo è molto difficile a caratterizzarsi. Presenta un tono<br />

franco, slanciato, atto a tradurre riconoscenza, ammirazione. Molto è<br />

dovuto alla presenza del si naturale, alla dominante elevata e allo sviluppo<br />

di melodie che spesso arrivano al mi e al fa acuto. La presenza del<br />

bemolle, sovente, introduce un senso di tristezza, confessione, tenerezza.<br />

Il sesto Modo non ha l'entusiasmo né lo slancio del quinto, perché<br />

l'ambito è più ristretto e la dominante meno elevata. Modo positivo;<br />

tutto è chiaro, ingenuo, netto, solido. Tale modo esprime bene la<br />

fermezza della fede e le promesse di Dio agli uomini.<br />

Il settimo Modo è brillante e forte, con la tonica sol, la terza maggiore<br />

e la dominante alla quinta. Traduce bene le emozioni intense di<br />

gioia e di giubilo. È il modo giubilante per eccellenza. Lo stesso modo<br />

traduce una supplica pressante, una profonda angoscia.<br />

All'ottavo Modo manca l'ambito del settimo, ma in compenso<br />

scende fino al re e al do grave. Esprime dignità, solennità, virilità. È il<br />

modo dei grandi spettacoli liturgici, della liturgia esterna in opposizione<br />

alla meditazione e contemplazione interiori e tranquille del secondo<br />

e quarto modo. Esso traduce con dignità impressionante le sofferenze<br />

del Cristo, sempre forte e padrone di sé nell'agonia e nella morte.<br />

- 67-


Conclusione<br />

Una volta compenetrati delle formule melodiche dei modi, subito<br />

mutiamo atteggiamento, essendo stati trasportati in una zona superiore<br />

alla nostra personale e limitata fantasia. Allora acquistiamo una libertà<br />

e sicurezza assoluta. Mentre le cose ordinarie ci sfuggono, l'atmosfera<br />

del divino ci avvolge.<br />

La nostra attenzione si rifugia in parole che poc'anzi parevano<br />

di scarsa importanza. Ne deriva cosi una pace profonda: è la sicurezza<br />

del giusto che non teme più alcuna macchinazione diabolica, è la sicurezza<br />

della Chiesa che è a lato di Dio, è il canto che spesso ferì<br />

il cuore di tanti persecutori e Ii fermò alla soglia della sacra assemblea.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ECCHER C., Cbironomià gregoriana, Roma 1952.<br />

P. ILDEBRANDO DI FULVIO O. CISTo<br />

FERRETTI P., Estetica gregoriana (voI. I), Pontificio Istituto di musica sacra, Roma 1934.<br />

- 68-


A proposito della musica Beat<br />

Caro Padre Ildebrando,<br />

ho letto il tuo ultimo scritto apparso su Notizie <strong>Cistercensi</strong> dal<br />

titolo «Musica beat» e sono andato a rileggere anche l'altro, pubblicato<br />

nel primo numero della medesima annata: «La Messa dei giovani<br />

». Questo tema della musica sacra e della conseguente musica<br />

liturgica è un argomento troppo importante per lasciarlo morire cosi.<br />

Non voglio certamente aprire una polemica su questo argomento, ma<br />

esprimere chiaramente quanto penso circa la musica sacra moderna.<br />

Non si può certo negare che tu abbia ragione quando nei tuoi scritti<br />

te la prendi con i testi brutti e sciatti e le musiche cacofoniche che<br />

nulla hanno a che fare con la vera musica, tanto più se questa è « sacra»<br />

per definizione. Ma da questo ad estendere in modo generale<br />

alla musica beat, folk, pop ... un giudizio negativo non mi sembra giusto.<br />

Musica brutta che non concilia affatto la preghiera ce n'è sempre<br />

stata e non è una particolarità della musica moderna (ti ricordi che<br />

San Giovanni Bosco, celebrante, si addormentò durante una messa del<br />

Card. Cagliero, pur così tradizionale, e una musica che fa dormire sarà<br />

una buona ninna nanna ma non certo una buona musica sacra!). Può<br />

darsi che oggi ce ne sia di più, ma questo potrebbe attribuirsi al fatto<br />

che ci si trova in un momento di transizione in cui si sta cercando senza<br />

avere ancora trovato una forma precisa di musica sacra. Riguardo ai<br />

testi dei canti, invece, credo ci sia una ripresa, e se si possono trovare<br />

dei pezzi che «non fanno onore né al contenuto sacro né alla forma<br />

della lingua italiana, risultando in certi casi così sciatti, più a forma di<br />

slogan che di preghiera» 1, non si può dire che nel passato non si abbiano<br />

avute e in maniera anche più massiccia tali sciatterie.<br />

Avrei desiderato nei tuoi articoli, oltre alle affermazioni, delle<br />

esemplificazioni comprovanti gli asserti. Perché non sia tu a ritorcere<br />

a me questo rimprovero vorrei riprendere la questione da capo e con<br />

esempi giungere ad una maggior comprensione di questa dibattuta questione<br />

della musica sacra moderna.<br />

La musica sacra<br />

Che cosa è la musica sacra? Per evitare contestazioni riprenderò<br />

alla lettera la definizione e le precisazioni date dall'Istruzione Musicam<br />

l Paolo VI, «Osservatore Romano », 16 aprile 1971.<br />

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Sacram del 1967. Nel numero 4 si legge: «a) Musica sacra è quella che,<br />

composta per la celebrazione del culto divino, è dotata di santità e bontà<br />

di forme; b) sotto la denominazione di musica sacra si comprende in<br />

questo documento il canto gregoriano, la polifonia sacra antica e moderna,<br />

la musica sacra per organo e altri strumenti legittimamente ammessi<br />

nella liturgia e il canto popolare sacro liturgico e religioso» 2.<br />

E nel n. 9 si aggiunge: «La Chiesa non esclude dalle azioni liturgiche<br />

nessun genere di musica sacra, purché corrisponda allo spirito<br />

della celebrazione liturgica e alla natura delle singole parti, e non impedisca<br />

una giusta partecipazione dei fedeli».<br />

A questo punto è necessario fare un passo indietro e chiederci<br />

semplicemente che cosa sia la musica, senza aggettivi.<br />

La musica è una delle forme di espressione dei sentimenti dell'uomo,<br />

un modo di estrinsecare le componenti delle varie dimensioni<br />

dell'uomo, tra le quali vi è quella religiosa o del sacro. E come l'uomo<br />

esprime qualsiasi emozione o sentimento con la musica, può e deve<br />

esprimere nello stesso modo anche la sua dimensione religiosa. « Non si<br />

tratta più di delimitare e rispettare un ambito sacro nel mondano, si<br />

tratta di appropriarsene, penetrarlo e lasciarsi penetrare da esso, con<br />

disponibilità ed apertura, rimuovendo ogni brama di esclusività» 3.<br />

Ora ogni sentimento, ogni moto dell'animo: amore, odio, ira,<br />

benevolenza ..., ogni azione: preghiera, dichiarazione d'amore, supplica,<br />

invettiva hanno una loro forma particolare di espressione, sia nella<br />

forma letteraria che nell'espressione musicale. Come non si può esprimere<br />

nello stesso modo uno stato di odio e di amore, ma ogni singolo<br />

stato d'animo ha bisogno di un vocabolario, di un frasario, di forme<br />

sintattiche e stilistiche diverse, lo stesso, e in grado maggiore ancora,<br />

lo si deve dire della misuica. È qualche cosa di immanente che si estrinseca<br />

nella forma espressiva adatta in modo spontaneo: «L'arte che<br />

mira ad esprimere emozioni è nemica, per principio, della forma.<br />

2 Riguardo agli strumenti ammessi o meno nella liturgia l'Istruzione dice al n. 62:<br />

«Altri strumenti (oltre l'organo), poi, possono essere ammessi nel culto divino a giudizio<br />

e con il consenso dell'Autorità ecclesiastica territoriale competente, purché siano adatti<br />

all'uso sacro o vi si possano adattare, convengano alla dignità del luogo sacro e favoriscano<br />

veramente l'edificazione dei fedeli ». Al n. 63: « Nel permettere l'uso degli strumenti musicali<br />

e nella loro utilizzazione si deve tener conto dell'indole e tradizione dei singoli popoli.<br />

Tuttavia gli strumenti che, secondo il giudizio comune, si adattano solo alla musica<br />

profa.n~, siano completamente estromessi da ogni azione liturgica e dai pii e sacri<br />

esercrzi ».<br />

3 D. SCHNEBEL, Musica Sacra ohne Tabus, in «Nelos » Zeitscbriit [ùr meue Musik,<br />

XXXV (1968), n. 10; trad. G. STEFANI, in Rivista Musicale Italiana, VI (1971) pago 1021.<br />

-70 -


Il modello tradizionale va stretto all'artista, come un abito comprato<br />

fatto» 4.<br />

Per questo dice lo Schnebel: «La musica sacra non ha bisogno<br />

di prescrizioni quanto ai mezzi da usare e neppure deve lasciarsi proibire<br />

l'uso di una qualsiasi tecnica compositiva. Essa può affidarsi senza angoscia<br />

alla spinta della musica, senza paura delle avventure» (O. c.,<br />

p. 1024).<br />

Non necessariamente però la musica sacrà può e deve essere al<br />

sommo della scala artistica. 10 riconosce anche l'Istruzione sulla musica<br />

sacra quando mette sotto questo denominatore comune: il gregoriano,<br />

la polifonia e il canto popolare religioso, che sono tipi diversi di musica<br />

sacra di valore diseguale. Dal punto di vista della sacralità saranno da<br />

considerarsi più valide non le forme artisticamente più elevate, ma<br />

quelle che più intensamente e immediatamente sono espressione della<br />

dimensione sacra.<br />

« La Costituzione conciliare - fa notare P. Marsili - pur tutta<br />

tesa ad una liturgia cantata quanto più possibile, non difende irrevocabilmente<br />

nessuna forma artistica a svantaggio delle altre. Se le forme<br />

nuove che si vanno istaurando non sono né tanto né poco - a giudizio<br />

dei musicisti di Chiesa - accettabili da un punto di vista artistico,<br />

la Costituzione non le difende nel campo dell'arte e le sopporta in attesa<br />

che diventino frutti più maturi. Ma se esse sono tali da permettere una<br />

partecipazione alla liturgia attiva, e spiritualmente adatte, nel pensiero<br />

della Costituzione sono ancora qualcosa di meglio di quella musica che<br />

artisticamente è un capolavoro e rappresenta una conquista, ma resta<br />

nell'antico solco di una liturgia che, spiritualmente è « piena di vuoto »5,<br />

Nello stesso tempo il Papa Paolo VI autorevolmente affermava:<br />

« Bisogna rendersi conto che una nuova pedagogia è nata dal Concilio:<br />

è la sua grande novità, e noi non dobbiamo esitare a farci dapprima discepoli<br />

e poi sostenitori della scuola di preghiera che sta per cominciare.<br />

Può darsi che le riforme tocchino abitudini care e fors'anche rispettabili;<br />

può darsi che le riforme esigano qualche sforzo sulle prime non gradito.<br />

Ma dobbiamo essere docili ed avere fiducia: il piano religioso e spirituale<br />

che si è aperto davanti dalla nuova Costituzione liturgica è stupendo<br />

per profondità e autenticità di dottrina, per razionalità di logica<br />

4 HH. STUCKENSCHMIDT, LA musica del XX secolo, Ed. Saggiatore, Mondadori,<br />

1969, p. 30.<br />

5 D. MARSILI OSB, Tradizione preziosa ed esigenze nuove, Note sul Congresso Musicale<br />

di Assisi, in Rivista liturgica, 1965, n. 4, p. 501.<br />

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cristiana, per ricchezza di elementi culturali e artistici, per rispondere ai<br />

bisogni e all'indole dell'uomo moderno. È ancora l'autorità della Chiesa<br />

che cosi ci insegna e cosi avalla la bontà della riforma» 6.<br />

Musica sacra di ieri e di oggi<br />

La domanda che sorge ora necessariamente è: la musica moderna<br />

è veramente una espressione della dimensione religiosa dell'uomo o non<br />

piuttosto, come citi tu: «una irrisione stolta e blasfema, fatta con suoni,<br />

rumori, sibili e urli orgiastici, di parole sacre che, nella maggior parte<br />

sono parola di Dio» per cui « si stenterebbe a credere che tale musica<br />

abbia potuto varcare le sacre soglie, quale mezzo di espressione religiosa<br />

e, peggio, di preghiera» 7; musica che «invece di favorire la buona<br />

educazione della gioventù, ne scuote il sistema nervoso, spinge all'isterismo<br />

e alla violenza, deprime lo spirito, esalta le passioni »8 poiché « l'importanza,<br />

la smania, e più spesso l'ignoranza hanno creato quelle Messe<br />

beat, o Messe ye-ye, o Messe a creatività spontanea, che hanno snaturato<br />

a poco a poco la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi, nelle<br />

musiche e nei canti »? 9.<br />

Per dare una risposta che non sia dettata da preconcetti, bisognerà<br />

considerare gli esempi pratici che confermano o negano le varie tesi.<br />

E gli esempi dovranno riguardare i testi e musica sacra tradizionale, te-.<br />

sti e musica sacra moderna folk e pop.<br />

T esti e musiche tradizionali<br />

Si presuppone spesso che nella musica sacra tradizionale le cose<br />

andavano bene. Il sublime gregoriano ha estasiato e spinto a pregare<br />

milioni di persone, aiutando infinite anime nella elevazione dell'anima<br />

a Dio, i grandi compositori di musica poli fonica sacra hanno raggiunto<br />

culmini ben difficilmente superabili: Palestrina, Perosi e centinaia di<br />

altri musicisti hanno scritto i loro nomi nella storia della musica. I grandi<br />

autori di musiche per organo ci hanno lasciato delle sonate, fughe, passacaglie<br />

che elevano l'anima « in alto sulle ali della preghiera nel mondo<br />

di Dio» 10.<br />

6 L'OSSERVATORE ROMANO, Per il Congresso musicale di Assisi, 14 gennaio 1965.<br />

7 I.Dr FULVIO, Musica Beat, in Not. Cist., IV (1971), p. 275.<br />

8 Ibidem.<br />

9 1. Dr FULVIO, La Messa dei giovani, in Not. Cist., IV (1971), 72.<br />

10 Ibidem.<br />

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Nessuno può negare a queste espressioni musicali il più alto valore<br />

artistico. Sono però altrettanto perfette sempre anche nel campo del<br />

sacro, del pio, del devoto, del buono, del santo?<br />

Prendiamo il gregoriano che pure a ragione è definito la musica<br />

sacra per eccellenza per l'immediatezza e la purezza con cui raggiunge la<br />

sfera del santo e dello spirito. Se consideriamo la forma melodica dei<br />

prefazi feriali, di alcune antifone, di alcune messe e in genere delle<br />

composizioni più antiche si deve dire che difficilmente si può avere<br />

musica più intimamente legata allo spirito, nella più limpida semplicità,<br />

che viene gustata in ogni tempo, oggi non meno di ieri (pensa al regista<br />

ateo Pier Paolo Pasolini che prende il motivo del Kyrie per il suo film<br />

« Il Vangelo secondo Matteo »). Ma anche la musica gregoriana ha avuto<br />

i suoi torti non come arte, sempre sublime ma come preghiera, come<br />

quando coll'arricchimento di forme melismatiche che accarezzano l'orecchio<br />

per la loro duttilità, varietà e ricchezza, ha soffocato la parola di Dio<br />

che doveva rivestire, facendo dimenticare il testo che invece doveva essere<br />

fortemente presente all'anima arante.<br />

Di Bach, il grande compositore di musica per organo, è stato scritto<br />

che « provocava talvolta un rumore spaventoso e, in base alla misura<br />

di allora nessun compositore del suo tempo ha scritto niente di più selvaggio<br />

e sconvolgente» 11. « L'ebbrezza musicale che è in pezzi come il<br />

"Sederunt Principes" di Pero tino doveva portare nel culto una sovreccitazione,<br />

quasi un erotismo sonoro. Più tardi le alchimie dell'Ars<br />

Nova contrabbandavano nella misuca liturgica testi profani e melodie<br />

mondane. Anche l'impiego degli strumenti ebbe agli inizi risonanze profane,<br />

associati com'erano alle musiche dei girovaghi da cui provenivano.<br />

Ancora più lontano dal sacro portarono le tecniche madrigalesche e l'arte<br />

espressiva della monodia. Per la verità ciò che era scandalo in principio<br />

diventò presto convinzione e finalmente, senz'altro, norma, cosicché<br />

la conclusione sacra venne a nascondere il principio dissacrante» 12.<br />

Questo va detto non per sminuire il valore e la grandezza della<br />

musica sacra che i secoli ci hanno tramandato, ma soltanto per evitare<br />

di farne un mito intoccabile, e ridurla nelle sue reali proporzioni.<br />

Se poi andiamo al canto popolare, che secondo la tradizione è parte<br />

della musica sacra, allora la veneranda tradizione non fa una figura eccelsa,<br />

sia che si considerino i testi, sia che si guardi alle melodie.<br />

Moltissimi testi sono privi di vigore umano, e sono amorfi sotto<br />

11 D. SCHNEBEL, Musica sacra..., 1022.<br />

12 Ibidem, 1021.<br />

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un profilo teologico. Sono testi che tutti ricordiamo per aver cantato infinite<br />

volte:<br />

Col riso dei cieli<br />

favella alla mente<br />

la tua sorridente<br />

virginea beltà<br />

E all'aure più miti<br />

del mese dei fiori<br />

favella nei cuori<br />

materna bontà;<br />

in cui le parole, le figure retoriche, il senso del brano stesso sono così<br />

sdolcinati da mostrarsi subito come parto di un romanticismo deteriore.<br />

E la musica che riveste queste parole serve solo, se possibile a renderle<br />

più dolciastre.<br />

Lo stesso si può dire dell'altre canzoncine alla Madonna:<br />

o del cielo gran Regina<br />

madre sei del bell'amor;<br />

la bontade tua divina<br />

chi non ama non ha cuor.<br />

Tu sei madre, tu sei sposa<br />

tu sei figlia del Signor,<br />

tu sei quella bianca rosa<br />

che innamora ogni cuor.<br />

E:<br />

o Madre al mite effluvio<br />

dei boschi imbalsamati,<br />

risuona nel tuo tempio<br />

l'eco degli inni amati.<br />

Nel nome tuo dolcissimo<br />

l'umano sdegno tace<br />

Regina della pace<br />

Regina dell'amor.<br />

Se per desio non sazio<br />

l'odio si fa più vivo<br />

porgi colomba candida<br />

il ramoscel d'ulivo.<br />

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nelle quali se i versi non sono molto più elevati, per contrappeso si ha<br />

melodia meno valida ancora.<br />

E chi non ricorda le orribili parole e la musica non superiore di:<br />

Quelle figlie, quelle spose,<br />

che son tanto tormentate,<br />

o Gesù voi che l'amate,<br />

consolatele per pietà,<br />

in cui non si sa bene chi siano quelle figlie e quelle spose che Gesù<br />

dovrebbero consolare, né da che cosa le deve consolare. E che dire delle<br />

strofette della novena di Natale:<br />

o quelle della novena dell'Immacolata:<br />

Le nostre preci accogli,<br />

Riparator divino,<br />

Caro Gesù Bambino, abbi di noi pietà;<br />

Immacolata, Madre d'amor,<br />

dolce rifugio al peccator,<br />

del paradiso porta sei tu,<br />

là ci vedremo col tuo Gesù,<br />

dove raramente si va oltre la pia invocazione, senza nerbo di pensiero<br />

o di dottrina teologica, con conclusione piuttosto banale imposta più dal<br />

ritmo e dalla rima che da una intima e sentita convinzione.<br />

E chi non ricorda le canzoncine delle Missioni, che dovevano perpetuare<br />

nei fedeli i sentimenti e i propositi suscitati dalla predicazione<br />

sacra, e lo facevano con parole come:<br />

Le mode mai più,<br />

chi segue la moda non segue Gesù;<br />

E balli mai più,<br />

chi va a ballare calpesta Gesù.<br />

Certo anche nelle canzoncine popolari tradizionali ce ne sono di<br />

valide dal punto di vista del testo e della melodia. Ma il voler canonizzare<br />

in blocco tutta la produzione tradizionale, significherebbe voler<br />

chiudere occhi e orecchie.<br />

75 -


Testi e musiche moderne<br />

Per contro, affermare che la produzione folk e pop, la musica<br />

abbia «snaturato la celebrazione, indebolendola nel rito, nei testi,<br />

nelle musiche e nei canti» è dire una cosa esagerata e quindi falsa.<br />

Potrà anche non essere una produzione eccelsa da un punto di vista<br />

dell'arte musicale, ma spessissimo è dignitosamente espressiva dei testi<br />

che, sono quasi sempre di gran lunga superiori ai testi delle canzoncine<br />

tradizionali, sia sin tatticamente che stilisticamente e per il contenuto spirituale<br />

e teologico.<br />

Un compositore moderno di musica classica ad un intervistatore<br />

che gli chiedeva: «Che cosa ne pensa di certe messe celebrate col commento<br />

della cosidetta musica pop, con chitarre elettriche, tamburi, batteria,<br />

ecc.? » rispose: «Certamente non è la musica che scriverei io, ma<br />

Cristo è venuto per tutti, anche per i cattivi musicisti» 13.<br />

Non che la musica moderna sia sempre esemplare e sempre possa<br />

essere considerata preghiera e quindi musica sacra. Essa è in fase di ricerca,<br />

di assestamento; e in questa condizione sono inevitabili gli errori.<br />

Però negare valore alla totalità di un movimento così vasto, così spirituale<br />

e sconvolgente come quello della musica moderna e modernissima,<br />

significa rinnegare l'evidenza.<br />

Per passare anche qui alle esemplificazioni, non consideriamo i<br />

testi scritturistici o quelli liturgici approvati dalla competente autorità<br />

religiosa, ma solo quelli di elaborazione personale e le musiche che li<br />

vivificano.<br />

Ecco una prima composizione: è una meditazione sul « rimetti a<br />

noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»:<br />

Perdoniamo ai prepotenti<br />

ai bugiardi, ai violenti,<br />

perdoniamo chi ci umilia,<br />

chi ci sfrutta e ci deruba.<br />

Perdoniamo chi 'ci odia,<br />

perdoniamo chi ci invidia,<br />

tutto il male che ci fanno<br />

li distrugge e non lo sanno.<br />

La musica di questo brano sottolinea il tono dimesso della meditazione<br />

sul tema del perdono. Si vuole perdonare ed amare, e lo si<br />

13 L. PINZAUTI, A colloquio con Mescsiaen, in Rivista Musicale Italiana, (1971), 1031.<br />

-76 -


canta con pacatezza non disgiunta da una certa forza, che fa sentire<br />

come il perdonare chi d tratta in quel modo non è cosa facile, ma richiede<br />

un grave sforzo alla natura.<br />

Un canto per la preghiera della sera dice:<br />

Ho lottato tanto in questo giorno,<br />

ho sofferto tanto in questo giorno,<br />

ne ho sentite tante, ne ha vedute tante<br />

in questo giorno.<br />

La musica pesante che si appoggia come spossata sul quel ' tanto',<br />

produce veramente in noi quel clima in cui spesso ci troviamo nelle<br />

ore di sconforto. Ma ad un tratto il movimento si fa leggero, si crea<br />

un altro clima ben diverso dal primo: un clima di serenità, di gioia<br />

di riposo:<br />

Ma ora voglio addormentarmi<br />

tra le tue braccia, o Signore,<br />

sicuro che domani sarà un giorno migliore.<br />

È terminata la Messa e l'assemblea si scioglie. Non lo fa con un<br />

respiro di sollievo, quasi esclamando: finalmente è finita. Si sente invece<br />

la gioia di aver trascorso con Cristo e i fratelli un momento di comunione,<br />

e con la certezza che quella Messa non è finita, ma la portiamo<br />

con noi fuori della Chiesa con il Cristo che abbiamo mangiato e la sua<br />

parola che abbiamo ascoltato. Nella melodia due sono i sentimenti sottolineati<br />

con estrema chiarezza: gioia incrollabile e fede ferma in<br />

quello che si è fatto:<br />

La Messa è finita, ma Cristo rimane con noi,<br />

con noi nella vita. La Messa è finita.<br />

La Parola che abbiamo ascoltata è con noi;<br />

La gloria che abbiamo cantato è con noi;<br />

Il pane che abbiamo mangiato è con noi.<br />

La Messa è finita, ma Cristo rimane con noi.<br />

Non mancano le composizioni in onore della Madonna. In una di<br />

queste dopo che un solista ha recitato il brano che narra come Gesù<br />

-77 -


sulla Croce abbia consegnato Maria a Giovanni e Giovanni a Maria,<br />

continua:<br />

Sei tu la madre,<br />

che Gesù ci ha dato,<br />

una madre per la sua Chiesa,<br />

una madre per il popolo suo,<br />

poi con grande slancio espresso in modo suggestivvo dalla musica:<br />

Vieni, Maria, la nostra casa è tua;<br />

Vieni, vieni, la nostra casa è tua.<br />

per terminare poi con espressioni di gioiosa fiducia nella sua materna<br />

protezione, lei la madre di Gesù, madre nostra o intermediaria per<br />

noi presso Dio:<br />

Noi non saremo mai abbandonati,<br />

perché abbiamo te la madre nostra,<br />

perché abbiamo te che preghi per noi.<br />

Un'alta composizione esprime l'atto di umilità della creatura dinnanzi<br />

a Dio e la sua offerta totale a lui. La musica delicatissima nella<br />

prima parte, prende un tono di dolore che sottolinea bene il senso<br />

della propria nullità se ci stacchiamo, come troppo spesso accade da Dio:<br />

lo non sono degno di ciò che fai per me,<br />

tu che ami tanto, uno come me.<br />

lo non ho nulla da donare a te,<br />

ma se tu lo vuoi, prendi me.<br />

Sono come la polvere spazzata dal vento,<br />

sono come la fiamma che il fiato disperde<br />

sono come la canna sbattuta dall'uragano,<br />

se tu Signore non sei con me.<br />

Lo spazio limitato non mi permette di continuare questa esemplificazione<br />

che mostra come la musica anche la più moderna e non tradizionale,<br />

né nei suoi testi, né nelle sue melodie sia da considerarsi solo<br />

solo come un impoverimento nel canto della musica sacra.<br />

-78 -


Il «J esus Movement»<br />

La musica è sacra se è espressione autentica della dimensione religiosa<br />

dell'uomo, del suo bisogno di Dio, del suo amore per il Cristo,<br />

la Vergine, i Santi.<br />

Voglio per questo terminare questa mia già troppo lunga lettera,<br />

con un brevissimo accenno a quel movimento che è carismatico e spirituale<br />

del [esus Movement, che tanta parte dà all'espressione musicale<br />

nell'ambito del sacro.<br />

Leggo in un rapporto di questo Movimento, ch è sorto nel Nuovo<br />

Mondo, e sta guadagnando la vecchia e disincantata Europa: «Quando<br />

si scava nel rinnovamento spirituale che scuote la cultura giovanile nel<br />

nostro paese (Stati Uniti) nel [esus Movement con la sua evangelizzazione,<br />

i suoi rock-festivals per Gesù, i suoi studi biblici e la sua nuova<br />

musica religiosa trasmessa da tutte le stazioni ((pop ", è come quando<br />

un aereo entra in una zona di tempesta. Ci si sente rivoltati sottosopra,<br />

sbalzati in su e in giù, costretti a cercare continuamente un punto di<br />

riferimento. Ci si sente straziati dalla forza con cui penetra in noi e non<br />

si capisce come mai ci si senta alternativamente innalzati e inabissati» 14.<br />

In questo Movimento « Gesù non è soltanto uno slogan o un tema<br />

prediletto nelle parate di successo. Gesù è vivo e presente. È lo spirito<br />

che lo ha fatto penetrare nel Movimento in tutti i settori della vita<br />

americana » 15.<br />

Di questo Movimento esiste pure un rapporto fatto all'episcopato<br />

americano dal Vescovo di Lansing nel Michigan, monsignor Alexander<br />

Laleski. In esso si afferma: «Nella Chiesa cattolica la reazione a questo<br />

Movimento sembra una reazione di prudenza e di disagio... Si deve<br />

ammettere che teologicamente il Movimento ha la sua legittima ragione<br />

di esistenza. Ha solide basi bibliche. Sarebbe difficile impedire l'opera<br />

dello Spirito che si è manifestato in modo così abbondante nella Chiesa<br />

primitiva ».<br />

Conclusione<br />

Ed eccomi giunto alla fine. La conclusione a cui dobbiamo giungere<br />

è espressa in modo esatto dalla citazione del Milles che poni alla<br />

fine del tuo ultimo articolo: «A tenerci vivi sono gli uomini di fede,<br />

14 Cfr IDOC 3 (1972), 18, [esus People Report circa il [esus Movement.<br />

15 Ibidem.<br />

- 79-


gli uomini Iungimiranti. Essi sono come i germi vitali nell'eterno processo<br />

dell'avvenire. Largo, dunque a coloro che danno la vita ».<br />

La vita, che è creazione, novità continua, tensione in avanti nella<br />

creazione del futuro, senza rinnegamento del passato, ma anche senza<br />

sterile ripiegamento su di esso.<br />

La vita progredisce e se non vogliamo fossilizzarci rendendoci sale<br />

insipido e inutile, dobbiamo insenrci nel suo flusso vitale.<br />

Sempre tuo<br />

P. MALACHIA FALLETTI, O. CISTo<br />

- 80-


Quaranta giorni in Etiopia<br />

14 novembre - 20 dicembre 1971<br />

14 novembre 1971 - Sono trascorse meno di cinque ore da quando<br />

ci siamo levati in volo sul cielo di Roma: È ancora notte fonda.<br />

Attraverso gli oblò scorgiamo a terra alcune luci che muovono velocemente<br />

contro di noi: è la città di Asmara. L'aereo vira lentamente e<br />

si posa con dolcezza sulla pista dell'aeroporto: il nostro battesimo dell'aria<br />

è avvenuto senza emozioni. Peccato! - dice qualcuno - speravo<br />

tanto in un dirottamento!<br />

L'aria nebbiosa del novembre romano ha lasciato il posto, qui,<br />

ad un'atmosfera limpida e fresca. Mentre vengono espletate le pratiche<br />

doganali di rito, all'esterno dell'aeroporto si è riunita una piccola folla<br />

in attesa. Notiamo alcune tonache bianco-nere: ci salutiamo attraverso le<br />

ampie vetrate. È questo il nostro primo contatto con i cistercensi<br />

d'Etiopia. Ma vediamo anche altri amici: hanno fatto una levataccia<br />

per venire a darci il bene arrivati.<br />

In monastero i nostri confratelli ci accolgono con grande calore.<br />

Nella vasta sala a pianterreno ci sono tutti, più di cinquanta persone,<br />

·i monaci nelle loro bianche cocolle, i seminaristi in candide tarcisiane<br />

listate di rosso. I posti di riguardo sono riservati a noi, ospiti che veniamo<br />

di là dei cieli. E cominciano i canti di saluto, accompagnati dal<br />

ritmo dei tamburi e dal frinire dei sistri.<br />

Poche parole di saluto da parte del P. Priore. Poche parole di risposta<br />

da parte dell'Abate Preside. E andiamo a prender posssesso<br />

delle nostre stanze per un po' di toletta.<br />

Avrei bisogno di dormire perché in aereo non ho chiuso occhio.<br />

Ma preferisco farmi accompagnare sul terrazzo del monastero. La luce<br />

del mattino dilaga sovrana. Voglio vedere subito l'Africa, il mio sogno<br />

di sempre.<br />

Ma Asmara è troppo europea. L'Africa verrà nei prossimi giorni.<br />

16 novembre 1971 - Il vero volto dell'Africa, in tutta la sua crudezza,<br />

comincia a venirci incontro oggi, quando a bordo della nostra<br />

auto lungo novanta chilometri di tornanti, scendendo da Asmara a<br />

Cheren, vediamo i primi volti tristi di bambini e bambine di sette, otto,<br />

dieci anni, che custodiscono greggi di pecore e mandrie di bestiame:<br />

mandrie e greggi rischiano ogni giorno la morte per fame sulle riarse<br />

-81-


petraie eritree; bambine e bambini tacitano momento dopo momento il<br />

loro stomaco affondando le manine sudice in un più sudicio cencio<br />

che custodisce un pugnetto di orzo abbrustolito, misero viatico della<br />

intera giornata.<br />

Mentre l'auto abborda uno dei tornanti più stretti, faccio un rapido<br />

conto mentale: se ogni bimbo italiano sacrificasse dieci lire al giorno<br />

potremmo dare a tutti i bambini etiopici duecento grammi di pane quotidiano.<br />

Una nuova luce brillerebbe in tanti occhi spenti.<br />

A Cheren ci accolgono battendo le mani e con ampi sorrisi di<br />

gioia i nostri confratelli e i trentatre seminaristi schierati in bel ordine<br />

lungo i viali del parco che è un tripudio di fiori e di vegetazione lussureggiante.<br />

Il nuovissimo seminario che si sviluppa su una lunghezza di circa<br />

cinquanta metri, troneggia su tutta la cittadina alto come un grattacielo.<br />

Un edificio così monumentale ci sembra stridere un po' violentemente<br />

con le dimesse dimore che gli stanno accovacciate attorno,<br />

specialmente oggi che si cerca di cancellare ogni traccia di trionfalismo.<br />

Manifestiamo discretamente le nostre perplessità ad un confratello<br />

di colore. Tutt'altro! - ci risponde - Gli abitanti di Cheren<br />

sono orgogliosi di quest'opera che torna ad onore della loro città. Anche<br />

il prestigio della nostra famiglia religiosa è cresciuto. E quando c'è prestigio<br />

è più facile far presa sul loro animo.<br />

Beati loro! La contestazione è ancora di là da venire.<br />

L'anno scorso, ci raccontano, un vecchietto del posto fu invitato<br />

a visitare l'interno del seminario. Dopo aver salito l'ampio scalone che<br />

dal piano soprelevato conduce ai due luminosi corridoi superiori, chiese<br />

timidamente di vedere l'oro, l'oro e le pietre preziose che assieme a<br />

tanti altri tesori i bianchi adoperano per ornare le loro case. E quando<br />

gli fu detto che né gli europei né gli americani nascondono oro nelle<br />

loro abitazioni, rimase deluso e anche un po' scettico.<br />

Un'altra persona fu sorpresa ad ammirare estatica il luccichio dei<br />

granelli di sabbia sulla facciata di un palazzo: credeva che con la calce<br />

fosse impastata anche polvere di oro.<br />

17 novembre 1971 - Ieri a tavola ci lamentammo bonariamente<br />

perché finora non abbiamo visto che le solite vivande, cucinate più o<br />

meno male secondo lo stile di tutti i nostri monasteri. Roba vostra vogliamo<br />

- dicemmo - roba d'Africa.<br />

Oggi ci hanno accontentato. Troviamo in tavola una specie di<br />

-82 -


polenta, fatta con farine finissime di cereali diversi, e abbondantemente<br />

condita. lo sono particolarmente goloso di tutti i purés e di tutte le<br />

polente. Mi guardano negli occhi, se ne accorgono, ma mi consigliano<br />

di assaggiarne un pochino sulla punta della forchetta. Rimango fortemente<br />

deluso.<br />

A tavola con noi c'è un padre non ancora anziano, rettore del seminario.<br />

Quando era in Italia, studente di liceo alla Certosa di Firenze,<br />

mi disse un giorno: In Italia c'è dell'insalata buonissima; peccato che<br />

abbiate il cattivo gusto di sciuparla con l'olio e con l'aceto. Ora, vorrei<br />

io domandargli perché essi guastano la loro bellissima polenta, mescolandole<br />

una certa specie di burro che blocca lo stomaco. Si tratta dello<br />

stesso burro che le donne usano per ungersi i capelli.<br />

Assaggiamo anche la 'ndjerà, il pane locale. A vederla, sembra<br />

trippa. Solo che la 'ndjerà è più scura e si strappa con le mani. Trippa<br />

e 'ndjerà sono ugualmente sottili, ugualmente soffici, ugualmente bucherellate<br />

come un favo d'api. La 'ndjerà si ottiene da farina lievitata per<br />

tre giorni e cotta a fuoco rapido in larghe teglie di rame. Francamente,<br />

preferisco i nostri panini croccanti.<br />

Ma ci dànno anche lo dzighinì, il piatto nazionale, il cibo delle<br />

grandi feste: si tratta di abbondanti porzioni di pollo e altre carni che,<br />

mescolate a uova sode intere, danzano in una salsa quasi rossa, condita<br />

con varie spezie, ricca di berberè e di peperoncino, talmente piccante<br />

da ustionare lingua e palato. È senza dubbio, un piatto prelibato, un<br />

cibo forte, da grandi mangiatori, forse non del tutto adatto al delicato<br />

stomaco dei visi pallidi.<br />

18 novembre 1971 - Partiamo in land-rover per Barentù e per<br />

il Bassopiano Occidentale, una vasta e fertilissima zona dell'Eritrea<br />

che confina col Sudan ed è irrigata da grandi corsi d'acqua.<br />

Seguiamo la strada dei cereali, così chiamata perché è proprio dal<br />

Bassopiano Occidentale che ogni giorno partono lunghe colonne di autotreni<br />

(tutti di marca italiana) carichi di cereali, diretti ad Asmara e all'Altopiano.<br />

Le dimensioni del rimorchio sono studiate in modo che nel<br />

vaggio di ritorno il rimorchio stesso può agevolmente essere caricato sulla<br />

motrice, con evidente risparmio di gomme. Date infatti le condizioni non<br />

proprio ideali della rete stradale, l'usura delle gomme è la spesa che assilla<br />

maggiormente quanti possiedono un'auto o un camion.<br />

Per i primi cento chilometri il nostro land-rover ruzzola tranquillo<br />

sull'asfalto che ci accompagna fino ad Agordat. Poco oltre Agordat<br />

l'asfalto cede il posto ad un ampio stradone in terra battuta, poco terra<br />

- 83-


e poco battuta perché la sede stradale è coperta da uno spesso strato<br />

di ghiaia grossa e tagliente. Ad ogni sussulto temiamo di aver le gomme<br />

a terra. Arriviamo invece a Barentù verso le ore Il,00 senza incidenti<br />

di sorta. Ci rechiamo a salutare Padre Ilarino, superiore della Missione<br />

dei Padri Cappuccini. Lo troviamo nel cortile che con autorità impartisce<br />

disposizioni a destra e a manca. Stentiamo a capire se si tratta<br />

di un etiope o di un italiano. Il colore della pelle potrebbe quasi dirci<br />

che è un etiope. La sua sagoma, invece, il perfetto italiano che egli<br />

scandisce con cadenza lombarda, il modo di agire, l'abbondante sudore<br />

che gli imperla il viso largo, le sue reazioni psicologiche sono tipiche di<br />

un italiano. Ci prenotiamo per la cena e il pernottamento. Siamo pronti<br />

- ci risponde - vi accoglieremo a braccia aperte; anche ora per pranzo:<br />

prepariamo tutto in mezz'ora.<br />

Ma preferiamo proseguire subito: ci attendono cinquanta chilometri<br />

di pista appena tracciata nel folto della boscaglia. Cinquanta<br />

chilometri di pista che durano due ore e mezza. E arriviamo a Documbìa,<br />

città sede di distretto: molte capanne di stoppie, qualche casupola<br />

di legno e fango, un grande ma disusato magazzino per il tabacco, un<br />

vecchio molino gestito da un pescarese, e ai bordi dell'abitato la casabaracca<br />

di un altro italiano, titolare di una concessione agricola fiorente<br />

che egli vorrebbe cedere ai nostri confratelli di Asmara. Ma come fare?<br />

Documbìa è troppo lontana da Asmara. E poi, ci vogliono tanti soldi!<br />

Noi osserviamo, ascoltiamo, e riferiamo agli organi competenti cui spetta<br />

la decisione.<br />

19 novembre 1971 - Ieri sera, prima di andare a letto ci hanno imbottito<br />

di pastiglie di chinino, perché la zona di Barentù è tuttora fortemente<br />

malarica. Questa mattina, accanto alla Chiesa vediamo le tombe<br />

dei primi tre superiori della missione di Barentù, tre cappuccini lombardi<br />

morti di malaria intorno alla fine del secolo scorso.<br />

Penso che se il Signore pretende simili tributi per benedire le<br />

nostre fatiche apostoliche, noi siamo ancora largamente in debito con lui.<br />

La nostra concelebrazione nella chiesetta della missione è un<br />

avvenimento solenne per tutta la non numerosa comunità cattolica di<br />

Barentù. Sono presenti anche le suore italiane con il loro educandato al<br />

completo: cinquanta ragazze cunama in uniforme civettuola, che cantano<br />

melodie occidentali su parole della loro lingua; ne vien fuori un effetto<br />

stranissimo; avrei preferito tamburo e sistri. Servono all'altare tre ragazzoni<br />

dritti come fusi, tre statue d'ebano dai denti bianchissimi e dagli<br />

occhi mobili e lucenti; quando sorridono, il loro viso è un incanto.<br />

- 84-


Dopo la Messa domando loro come si chiamano: Mario, Pio, Bonaventura,<br />

mi rispondono. Sul sagrato incontriamo una ragazzetta. Padre<br />

Ilarino le domanda come si chiama. Ed ella risponde: Vuoi sapere il<br />

mio nome cristiano' o il mio nome cunama?<br />

Sono bravi questi cappuccini! Hanno insegnato l'italiano anche<br />

alla gente del paese. E sono ricchi di fantasia! I cunama, pagani, sono una<br />

popolazione buona e mite, accolgono volentieri il messaggio evangelico<br />

e ne seguono i precetti con entusiasmo. Ma sono incostanti. Per ovviare<br />

a questo difetto i missionari hanno istituito un educandato femminile<br />

affidandolo alle suore, e hanno ritenuto per sé la scuola maschile.<br />

Suore e padri provvedono alla formazione cristiana, ad una solida istruzione<br />

dei giovani, e favoriscono matrimoni tra alunni e alunne. Le famiglie<br />

che nascono cosi sono piu stabili, ed è meglio assicurata l'educazione<br />

dei figli.<br />

Consumata frettolosamente una modesta colazione, Padre Ilarino<br />

si offre per accompagnarci a vedere la grande azienda agricola che i<br />

missionari cappuccini gestiscono a Bimbilnà, quaranta chilometri da<br />

Barentù. Accettiamo con piacere.<br />

Aziende agricole modello sono numerose anche in Italia. Ma in<br />

Italia non è possibile vedere, sulla medesima pianta, fiori, frutti acerbi<br />

e frutti pronti per essere colti. Questi miracoli sono possibili solo<br />

nel Bassopiano Occidentale e in poche altre zone dell'Africa dove il<br />

clima è perennemente caldo e l'acqua di irrigazione è abbondante.<br />

A due chilometri dall'azienda i missionari hanno costruito un<br />

delizioso paesino. Le abitazioni hanno conservato la forma piramidale<br />

delle capanne di stoppie, ma sono interamente costruite in muratura e<br />

assomigliano ai famosi «trulli» di Alberobello. Padre Ilarino ci indica<br />

la macelleria, il forno, il bar, il negozio di generi diversi, ecc., il<br />

tutto gestito in proprio da indigeni cunama.<br />

In cima al poggio sorge la chiesa della missione, officiata da<br />

un giovane padre eritreo, laureatosi in filosofia qualche anno fa all'Università<br />

Gregoriana di Roma. Credevo di essere condannato ad insegnare<br />

logica per tutta la vita - ci dice - e invece, eccomi qui tra<br />

i nostri cari cunama!<br />

Davanti alla chiesa si apre un vasto piazzale, e al centro del<br />

piazzale una grande vasca di cemento e un tubo da due pollici che,<br />

alimentato dai motori dell'azienda, vomita acqua per ventiquattrore al<br />

giorno. Due ragazzette si tolgono le loro vesticciole, le lavano alla fontana,<br />

le stendono su uno steccato e rimangono lì, quasi nude, ad aspet-<br />

- 85-


tare che i loro cenci siano asciutti: senza fretta, senza il rrummo Imbarazzo.<br />

Del resto, fa tanto caldo: perché vestirsi?<br />

Montiamo in auto per tornare a Barentù. Padre Ilarino suda<br />

come la fontana della missione. Ma afferra imperterrito il volante e<br />

non cessa mai di parlare. Ci spiega tutto. Ci dice anche che una cosa è<br />

imparare il mestiere del missionario sui banchi delle università italiane<br />

e un'altra cosa è fare il missionario tra i cunama del Bassopiano<br />

Occidentale. Come si fa, per esempio - ci dice - a far capire ai<br />

cunama che non si può rubare la roba d'altri? Il giovanotto cunama deve<br />

rubare per forza, altrimenti non ha diritto ad impalmare la sua bella;<br />

e quanto più consistente è stato il suo colpo, tanto maggiore sarà la dote<br />

che egli potrà pretendere dai futuri suoceri! Poi. .. potrà anche restituire<br />

il mal tolto, magari raddoppiato. Ma prima deve rubare!<br />

Padre Ilarino blocca l'auto e ci mostra due pietre nere piantate<br />

per ritto su un muretto. Sono Adamo ed Eva - soggiunge -. I eunama<br />

sono pagani, ma hanno l'idea abbastanza precisa di un Dio spirituale,<br />

venerano Adamo ed Eva e onorano i defunti; credono quindi,<br />

almeno vagamente, che l'anima è immortale.<br />

Poco dopo mezzogiorno siamo di nuovo a Barentù. Abbiamo deciso<br />

di proseguire immediatamente per Agordat, dove possiamo mangiare<br />

qualcosa in un locale gestito da un veronese; desideriamo essere<br />

a Cheren molto prima del tramonto.<br />

Ma chi ve lo fa fare?! - dice Padre Ilarino - Scendete, pranzate<br />

con noi, e poi fate quel che volete.<br />

22 novembre 1971 - Nel primo pomeriggio si riparte da Cheren<br />

per tornare ad Asmara. I novanta chilometri che ci portano da quota<br />

1300 a quota 2400 non preoccupano granché. Ma il nostro lasciapassare<br />

scade improrogabilmente alle ore 18,00: in caso di ritardo ci vedremo<br />

costretti a passare la notte a bordo della nostra auto fino alle ore 6,00<br />

del mattino. E potrebbe capitarci anche qualcosa di peggio!. ..<br />

E poi, strada facendo, abbiamo in programma una deviazione fino<br />

a Belesà per conoscere quella che fu la prima sede dei primi monaci<br />

cistercensi in Etiopia, la casa legata alla venerata memoria del pioniere<br />

Padre Anselmo Vitali. Fu a Belesà che una notte del 1944 il grande<br />

cuore di Padre Anselmo si fermò di schianto. In quei giorni, l'avvenire<br />

delle missioni cistercensi d'Etiopia si trovò legato ad un filo tenuissimo:<br />

un nulla avrebbe potuto troncarlo. Ma in cielo, un angelo in più vegliava<br />

per realizzare quel che invano aveva perseguito in vita.<br />

Siamo ormai in vista di Belesà. Quei quattro anni fra il 1940 e il<br />

- 86-


1944, ci raccontano i nostri confratelli etiopi, furono la prova del fuoco<br />

per la nuova missione. Erano gli anni della guerra. Le comunicazioni<br />

con l'Italia erano irrimediabilmente cessate. Non si trovava neppure il<br />

vino necessario per la celebrazione della Messa. Le tonache dei monaci,<br />

confezionate con tela di lenzuola, erano tutte una toppa. Padre Anselmo<br />

aveva racimolato uno sparuto gregge di caprette, affamate non meno. dei<br />

loro padroni. Gli stessi monaci le conducevano al pascolo e le mungevano,<br />

con grave scandalo degli indigeni (in Etiopia non si mungono né<br />

capre né pecore); gli stessi monaci andavano a vendere il latte lungo<br />

la strada, prima ai soldati italiani, poi ai soldati inglesi. Che fame in<br />

que giorni - ci dice un confratello che allora era giovane seminarista -<br />

che fame! Eppure, mai abbiamo messo in discussione la nostra vocazione!<br />

Siamo a Belesà. L'auto non può salire fino in cima alla collina secca<br />

e riarsa: non c'è strada. Lungo il sentiero scabroso ci viene incontro<br />

vociando e ridendo uno sciame di ragazzette etiopi, con negli occhi tanta<br />

felicità; tra loro c'è anche una bambina bianca, anzi bionda come una<br />

spiga di grano, in pantaloncini rosso-fuoco, colle treccine lunghissime<br />

che gli scendono sulle spalle; sembra un cuor solo e un'anima sola con le<br />

sue amichette nere, e ride beata. È la figliola del pastore protestante<br />

svedese. Ci viene incontro la mamma, una giovane signora distinta, e ci<br />

invita nella graziosa villetta prefabbricata. Con alcune frasi del nostro<br />

inglese terribilmente faticato, riusciamo a dire di essere i confratelli dei<br />

missionari cattolici che risiedevano a Belesà prima dell'ultima guerra.<br />

« Non prima, corregge la signora, ma durante la guerra ». Ha ragione.<br />

Nell'uscire di casa incontriamo anche il pastore, appena tornato da<br />

Asmara. Ai piedi della collina un branco di ragazzi ci chiedono qualche<br />

spicciolo. Molti anziani, invece, ricordano con venerazione gli anni duri<br />

di Padre Anselmo. Si rimonta in auto con una grande tristezza nell'animo.<br />

Domani mattina andremo a pregare sulla tomba di Padre Anselmo,<br />

nel cimitero di Asmara.<br />

2 dicembre 1971<br />

L'Etiopia non ha bisogno di nulla, né dall'Europa né dal resto<br />

resto del mondo. Non è l'Europa che deve aiutare l'Etiopia: è invece<br />

l'Etiopia ad avere tante ricchezze naturali da poter con esse aiutare<br />

l'Europa e altre nazioni bisognose. Di una sola cosa hanno bisogno gli<br />

etiopi: che si insegni loro a lavorare.<br />

Così ci diceva Abbà Joannès mentre ci guidava attraverso le sue<br />

piantagioni di caffè nella foresta di Bonga. Ma chi è Abbà Joannès?<br />

È un prete che consacra la sua vita all'assistenza spirituale di quanti<br />

- 87


abitano la foresta vergine nei dintorni di Bonga. Il tempo libero lo<br />

dedica a promuovere la coltura del caffè, che nella zona cresce spontaneo.<br />

La sua azienda produce anche ananas, banane, agrumi, miele.<br />

Il miele! Sapete come si fa a produdo? Semplicissimo: gli indigeni<br />

scelgono un tronco dal diametro di 30-40 centimetri, ne tagliano una<br />

parte lunga circa mezzo metro, la svuotano all'interno, ne tappano con<br />

fango tutte le aperture all'infuori di uno stretto foro; si arrampicano come<br />

scoiattoli sul ramo più alto dell'albero più alto (30 metri, non di<br />

rado) e ve la appendono. Le api ne prendono possesso immediatamente<br />

e cominciano infaticabili il loro lavoro. Alla stagione opportuna il troncoalveare<br />

è pieno di miele squisito, che si consuma così, misto alla cera<br />

vergine, servendosi di uno stecchino o, meglio, delle mani, senza dimenticare,<br />

alla fine, di leccarsi voluttuosamente le dita. Così lo gustammo<br />

noi, nella capanna di Abbà Joannès; e col miele anche le arance della<br />

foresta, e le banane. E gustammo, inutile dirlo, anche il caffè della foresta,<br />

che è meno cremoso di quello dei nostri bar, ma molto più profumato.<br />

Lo si prepara in un caratteristico bricco, nel cui beccuccio si infila<br />

una specie di tappo fatto con peli della coda di bue: è un filtro<br />

eccellente. .<br />

Oh, la mia foresta! - ci diceva Abbà Joannès tra una banana e un<br />

sorso di caffè - La foresta è il mio paradiso terrestre. Che pace! Qui<br />

si capisce che cosa era la felicità di Adamo ed Eva. Qui si gusta la<br />

vera felicità! Agli uomini d'affari delle nazioni civili io prescriverei<br />

un anno di foresta ogni cinque anni di lavoro. Guarirebbero da tutti<br />

i loro mali. E il mondo diventerebbe più buono. E nel Paradiso, può<br />

Dio averci preparato qualcosa di meglio? lo desidero che il mio Paradiso<br />

sia una foresta.<br />

Partiti da Mendida ieri mattina di buonora, eravamo arrivati a<br />

Bonga a sera inoltrata dopo un viaggio di 650 chilometri attraverso<br />

steppe interminabili e aride montagne. Sapevamo che a Bonga avremmo<br />

trovato una natura del tutto diversa. Ma questa mattina, quando ci<br />

siamo levati, abbiamo goduto una festa di luce e di verde che supera<br />

ogni immaginazione. L'amore di Abbà Joannès per la foresta è ben<br />

giustificato.<br />

Siamo ospiti presso la missione dei Padri Lazzaristi olandesi.<br />

Uno di loro è stato, in patria, alunno dello studio teologico dei <strong>Cistercensi</strong><br />

di Marienkroon. Un altro ha studiato a Roma per due anni e<br />

parla un buon italiano. Appassionato di elettricità e di meccanica, ha<br />

costruito la turbina elettrica che fornisce energia sufficiente alla missione<br />

- 88-


e alla cittadina; tutto il macchinario proviene da Pistoia. Gli etiopi<br />

sono molto intelligenti - ci dice - bisogna spronarli.<br />

Un altro missionario lazzarista, il più giovane, alto e grassoccio,<br />

un vero olandese, dà lavoro, a 20 chilometri da Bonga, ad un sacco<br />

di gente in una azienda di 500 ettari coltivata esclusivamente a mais.<br />

Andiamo a trovarlo. Ci accoglie come fratelli, introducendoci nella sua<br />

casa: le pareti sono ornate da innumerevoli riproduzioni di vascelli olandesi<br />

dei tempi d'oro, quando la flotta olandese contendeva agli inglesi<br />

il primato dei mari. Nel cortile dell'azienda notiamo un basso mulino a<br />

vento con le pale in leggero movimento. Gli facciamo notare che se<br />

fosse più alto, svilupperebbe maggiore energia. Macché, macché<br />

ci risponde - quello non tira niente, serve solo a « fare Olanda ».<br />

Poi ci racconta che ieri gli hanno portato un indigeno dopo un<br />

viaggio di dodici ore nella foresta, su una barella fatta di rami intrecciati:<br />

un cinghiale ferito gli aveva azzannato una coscia producendogli<br />

una lacerazione lunga 30 centimetri. L'ho ripulito alla meglio - continua<br />

il missionario - gli ho imbottito la ferita di antibiotici, e con un<br />

ago l'ho ricucito nel miglior modo possibile. No, no - conclude - sono<br />

sicuro che non morirà.<br />

Poco prima avevamo osservato un altro missionario che sellava<br />

un muletto abissino: Vado a far visita alla mia parrocchia - ci aveva<br />

detto - arriverò nel tardo pomeriggio.<br />

6 dicembre 1971 - Questa mattina si respira aria di festa a Mendida.<br />

I seminaristi hanno indossato gli abiti belli e i sandali nuovi. Il mercato<br />

del paese, che raduna settimanalmente anche gli abitanti dei<br />

villaggi vicini, è più animato del solito. I padri della comunità sono tutti<br />

indaffarati. Al1e ore 11.00 arriva da Addis Abeba il Console d'Italia<br />

per l'inaugurazione ufficiale dell'edificio scolastico costruito dai missionari<br />

col generoso contributo di vari Enti internazionali di Assistenza.<br />

I brevi discorsi di occasione sono seguiti da una abbondante<br />

distribuzione di bibite e biscotti che fanno tutti felici, specialmente i<br />

più piccoli.<br />

Quando ormai la cerimonia volge al termine, un anziano notabile<br />

del paese chiede timidamente di parlare. P. Lukas traduce in italiano<br />

frase dopo frase. Viene rievocata tutta la storia della missione di Mendida.<br />

E poi:<br />

... eravamo abbandonati, ora Mendida fa invidia ai paesi vicini;<br />

non avevamo strade, ora abbiamo una bella strada che ci unisce a<br />

Debré Berhàn, e un'automobile dei missionari è a nostro servizio di<br />

- 89-


giorno e di notte; le nostre capanne erano misere e senza protezione,<br />

ora abbiamo imparato a costruire belle case con porte e finestre; nessun<br />

paese ha la luce elettrica, le case di Mendida hanno la luce elettrica;<br />

per macinare i cereali e comperare l'olio andavamo al mercato di altri<br />

paesi, ora gli abitanti degli altri paesi vengono al mercato di Mendida;<br />

i nostri malati morivano senza cure, ora sono curati nel dispensario<br />

della missione; il governo ha costruito una grande scuola elementare<br />

per i nostri figli, ora i missionari hanno costruito questa scuola per<br />

gli studi superiori. Tutti gli abitanti di Mendida usano la mia voce<br />

per ringraziare i missionari, e pregano Dio che li aiuti sempre.<br />

Al termine di questo discorso, così carico di incanto orientale, il<br />

Console d'Italia commenta: Ho ascoltato con commozione le parole<br />

dell'antica saggezza.<br />

Si passa quindi a visitare il nuovo edificio, che, costruito in cima<br />

a un leggero poggio non distante dalla missione, si staglia nitido contro<br />

il cielo azzurro. Oltre alle aule per la settima e per la ottava classe<br />

(corrisponden ti press' a poco alla nostra scuola media dell'obbligo) l'opera<br />

comprende vari locali sussidiari e una grande sala, modernissima (un<br />

salone come questo vorrei averlo anche io al Consolato, dice il Console<br />

ammirato), che sarà molto utile per sviluppare varie attività assistenziali.<br />

I nostri missionari vorrebbero offrire una minestra calda agli alunni<br />

della scuola governativa che, venendo da lontano, non possono tornare<br />

a casa prima di sera. Per essi è pronta anche una macchina per proiezioni<br />

cinematografiche: chi sa che festa! l.<br />

6 dicembre 1971 - Nel nostro monastero di Mendida (160 chilometri<br />

a nord di Addis Abeba) arriva un giovane italiano, sergente maggiore<br />

dell'Aviazione militare: il signor Orsini. Egli fa parte di una organizzazione<br />

che ha l'incarico di cercare le tombe dei soldati italiani; riesumarne<br />

le salme e trasportarle in Italia. Lo salutiamo; e dopo le prime<br />

battute gli domando: - Ma lei, non è mica pisano?! - No, mi nsponde,<br />

sono di Empoli. E si rimane Il a parlare come vecchi amici.<br />

8 dicembre 1971 - Oggi è la festa dell'Immacolata, una tra le feste<br />

più care di tutto l'anno liturgico. Ma nel calendario liturgico etiopico<br />

non ce n'è traccia: anzi, oggi è mercoledì, giorno di astinenza stret-<br />

l Verso la fine del gennaio 1972 i nostri confratelli ci hanno scritto dicendo che la<br />

visita del Console è stata quanto mai fruttuosa. Egli è rimasto molto soddisfatto delle<br />

varie iniziative sociali della missione di Mendida, e ne ha fatto una dettagliata relazione<br />

all'Ambasciatore d'Italia in Addis Abeba. L'Ambasciatore, a sua volta, ha voluto parlare<br />

personalmente coi nostri missionari e ha inviato a Mendida un suo funzionario per rendersi<br />

conto esattamente delle varie attività, e per coordinarle assicurando il suo aiuto<br />

concreto.<br />

- 90-


tissima. Ma qualcosa bisogna pur farlo. E si parte all'assalto del P. Superiore<br />

e del P. Economo i quali rispondono con un ni. È quanto ci<br />

basta. Si va in cucina, ci si rimbocca le maniche. Al fratello dispensiere<br />

chiediamo farina e dieci uova; poi altre dieci, poi altre cinque, poi altre<br />

tre: questa volta ce ne porta venti tutte assieme. Bravo! E si comincia<br />

a preparare le tagliatelle in onore dell'Immacolata. Orsini, l'empolese,<br />

subodora qualcosa e si affaccia in cucina. Stiamo preparando le tagliatelle,<br />

gli diciamo, e poi faremo anche un po' di cenci.<br />

- Cenci? Quali? Quelli dolci con lo zucchero?<br />

- Sì, proprio quelli, i cenci toscani.<br />

I suoi occhi si dilatano e scappa via contento come un bambino.<br />

A pranzo, Orsini i suoi cenci non li mangiò, li succhiò con devozione.<br />

E la sera scrisse alla su' mamma: - Mamma, oggi ho mangiato i cenci.<br />

8 dicembre 1971 - Domani mattina l'Abate Preside e l'Abate Procuratore<br />

tornano ad Asmara. Vogliono congedarsi dai Serninaristi cenando<br />

con loro. L'eccezionalità della circostanza muove il cuoco a preparare<br />

una ricca pastasciutta per tutti. AI termine, i serninaristi testimoniano<br />

la loro gioia improvvisando canti e danze al suono del gudefù,<br />

una specie di tamburo lungo e stretto, che alcuni di loro suonano con<br />

eccezionale bravura, e che ha il potere magico di scatenare l'animo degli<br />

etiopi grandi e piccini. Confessiamo che anche noi ci sentiamo calati<br />

in una atmosfera irreale. Alcuni ragazzetti di 13 o 14 anni sembrano<br />

invasati. Altri sono tanto compresi della loro parte da non avvertire più<br />

nulla di ciò che li circonda. Ce n'è uno, particolarmente, nero più degli<br />

altri, sottile come un'acciuga, che pare assorto, in contemplazione,<br />

fuori di sé. Molto ammirata la danza dei bileni, una caratteristica popolazione<br />

che vive in Eritrea nei dintorni di Cheren.<br />

9 dicembre 1971 - Ragioni pratiche ci hanno convinto di andare a<br />

visitare una tenuta che i nostri confratelli di Mendida hanno acquistato<br />

di recente nella regione del Balé, 550 chilometri a sud di Addis Abeba.<br />

Nel primo pomeriggio si parte da Mendida per Addis Abeba, a<br />

bordo dell'auto di Orsini. Viaggio normalissimo, se non fosse per una<br />

pecorella che, ingrullita all'improvviso, lascia il bordo della strada e<br />

viene a piantarsi gloriosamente al centro della carreggiata. L'urto fu appena<br />

percepito: si andava a passo d'uomo. Ma la storia non era così<br />

semplice: il radiatore perdeva acqua. Si prosegue con ansia e ci si ferma<br />

ripetutamente per controllare il livello del liquido. A 25 chilometri da<br />

Addis Abeba siamo quasi all'asciutto; si chiede acqua in una capanna;<br />

-91-


una graziosa bambina ci porta acqua in un barattolo di Frutta-Cirio;<br />

e poi un altro barattolo; e poi un altro ancora; le diamo alcune monetine;<br />

ci ringrazia con un bel inchino tipicamente orientale. Finalmente si<br />

arriva ad Addis Abeba. Controlliamo il radiatore: è secco.<br />

P. Angelico è un nostro confratello etiope, che ha trascorso in Italia<br />

tutti gli anni della sua formazione, dalla prima media al sacerdozio.<br />

Se non fosse per il colore della pelle, lo si direbbe italiano. Quando<br />

era con noi in Italia, era famoso tra l'altro per tre cose: perché parlava<br />

il dialetto ciociaro come un ciociaro, perché era il perno della<br />

nostra squadra di calcio, e perché con potente voce baritonale cantava<br />

« Largo al factotum della città» dal Barbiere di Rossini.<br />

P. Angelico dunque, autista veterano di tutte le strade etiopiche,<br />

ci aveva preceduti ad Addis Abeba col compito di noleggiare un landrover.<br />

Ma un land-rover risultò troppo caro, e ci si dovette accontentare<br />

di una vecchia « Nuova 600 Fiat ». Con quella formica si parti<br />

da Addis Abeba alle ore 18.00 dopo un accurato e laborioso rifornimento<br />

di benzina ed olio presso una stazione Agip-Supercorternaggiore-<br />

La-Potente- Benzina-Italiana-A-Sei-Zampe: attorno pullulavano bambini<br />

che vendevano rami verdi di ceci freschi.<br />

Dopo una tranquilla corsa nel buio su 250 chilometri di strada<br />

asfaltata, si arriva a Shashamanè verso le 22.30. Si perde del tempo<br />

per rintracciare l'Hotel Bekele Molla, segnalatoci dai nostri confratelli<br />

di Mendida. Lo troviamo con il gentile aiuto di alcuni passanti. Chiediamo<br />

cena e alloggio. Siamo accompagnati in tre stanze molto confortevoli,<br />

ognuna con servizio. Meglio di così non si poteva desiderare.<br />

Sono quasi le 23.00. Nel grande salone del ristorante siamo soli.<br />

I! cameriere è forse importunato dal nostro arrivo che gli prolunga il<br />

lavoro. Data l'ora, ci accontentiamo di bistecca, patate e formaggio.<br />

In cucina sentiamo battere le bistecche: dopo due minuti sono fumanti<br />

sul nostro tavolo. Caratteristica di tutti i locali etiopici: ti servono in<br />

un lampo, come... nei ristoranti italiani.<br />

Sono circa le 23.30 e ci avviamo alle nostre stanze attraverso i<br />

viali di un enorme giardino fiorito di buganvilles. Una Wolkswagen quasi<br />

ci prende di striscio e si arresta con un sobbalzo: là nel buio, ne vediamo<br />

scendere una enorme dentiera bianca e due occhi fiammeggianti! È Berhanè<br />

(== Luminoso), un amico di P. Angelico, tecnico specializzato della<br />

SAME Trattori di Treviglio (Bergamo), un giovanottone alla Cassius<br />

Clay. Ci racconta le sue esperienze italiane, con entusiasmo. A Roma,<br />

lasciò cadere diverse monetine in Fontana Trevi, col chiaro intendimento<br />

- 92-


di tornarvi. Ci dice di guadagnare 20 dollari al giorno (5.000 lire), stipendio<br />

favoloso per un etiope. Ma non è soddisfatto, perché gli capita<br />

di lavorare fino a diciottb ore al giorno. E poi..., ha troppe spese a suo<br />

carico: 20 ne prende e 30 ne spende. E poi, deve sposarsi! Attualmente<br />

la sua fidanzata sta studiando in Svizzera. E quando si sposeranno<br />

verranno in Italia in viaggio di nozze. Vogliono conoscere Firenze:<br />

Ah! Firenze è il nostro sogno. Firenze è bella come la mia fidanzata,<br />

la porta del cielo! Berhanè è ortodosso. Ma pare stia maturando in lui<br />

una svolta verso il cattolicesimo: questo ceIo dice P. Angelico. Lasciamo<br />

che la luce lavori da sola nella sua anima, lui che si chiama Luminoso,<br />

e che è tanto intelligente!<br />

10 dicembre 1971 - Ci si leva di buon mattino. È la prima volta<br />

che ci capita di non poter celebrare la Messa: non ci sono chiese cattoliche.<br />

Domani mattina sarà la stessa storia.<br />

E si parte: 300 chilometri ci separano dalla mèta. L'asfalto non<br />

c'è più: ha ceduto il posto ad un fondo sassoso che fa traballare la nostra<br />

«Nuova 600 ». A P. Angelico domando quante gomme di scorta si è<br />

portato appresso: - Una, mi risponde, quante vuoi che ne abbia?<br />

Segue un silenzio un po' preoccupato. Ma si procede attraverso tratti di<br />

foresta vergine, interrotti qua e là da campi abbastanza ben coltivati. A<br />

destra e a sinistra della strada, due teorie ininterrotte di ragazzi vanno a<br />

scuola coi libri in mano: percorreranno dieci chilometri ogni mattina; e<br />

altrettanti la sera per tornare a casa. Ma gli etiopi non si lasciano impressionare<br />

dalle distanze; sono emuli del loro eroe Abebé Bikilà, il<br />

trionfatore delle Olimpiadi romane del 1960. Per la nostra automobile,<br />

invece, il discorso è tutto diverso. P. Angelico ha avvertito una specie<br />

di sbandamento. Si ferma, scende: la gomma posteriore è a terra.<br />

- Niente paura, ci dice, è un giochetto di cinque minuti. Infatti!<br />

E si riparte. Per modo di dire: perché dopo cinquecento metri la gomma<br />

posteriore sinistra è di nuovo a terra.<br />

Ora sì! Abbiamo percorso cinquanta chilometri: non abbiamo visto<br />

un'automobile. Le due gomme afflosciate le poniamo al centro della<br />

carreggiata, una sull'altra, in attesa di qualche anima pietosa.<br />

E ci sediamo sui bordi della strada. Sono le 9.30: abbiamo davanti<br />

otto ore di luce. Speriamo.<br />

Tiriamo fuori i nostri breviari. Il venticello frizzante ci dà fastidio:<br />

c'è un bel sole, ma fa più freddo che caldo. Cominciamo a capire<br />

perché gli indigeni abbiano sempre la testa avvolta in ampi barracani.<br />

Averne uno anche noi, ora ci farebbe comodo.<br />

- 93-


Contempliamo la pianura che si estende immensa davanti a noi:<br />

chilometri di steppa uniforme. Giù in fondo si levano alcuni tucul,<br />

le tipiche capanne di stoppie. Ci sembra vedere anche dei cavalli, anzi<br />

molti cavalli. E i cavalieri? Non si vedono. Ma sì, ci sono anche loro.<br />

E muovono a galoppo verso di noi. Ma che strani cavalieri: forse si<br />

tratta di donne. No, no! Ormai si distinguono chiaramente: sono bambini,<br />

una trentina; e con loro c'è anche il maestro; ed anche una bambina;<br />

tutti sui dieci o undici anni; vanno a scuola a cavallo; son più<br />

fortunati dei loro compagni che abbiamo già incontrato. E quale fierezza<br />

nel portamento! Sembrano guerrieri in miniatura. Simpaticissimi.<br />

Tiriamo fuori macchine fotografiche e cinepresa: notiamo qualche segno<br />

di perplessità. Ma il maestro li rassicura. E allora fanno a gara per essere<br />

inquadrati dall'obbiettivo. Quindi, ad un segno del maestro partono<br />

a razzo, fra una nuvola di polvere, dondolandosi ritmicamente sul<br />

dorso nudo dei loro focosi destrieri.<br />

Il nostro angelo (nero) venne a bordo di un enorme camion Mercedes.<br />

Quando in fondo alla salita vedemmo apparire quel punto oscuro<br />

in mezzo alla strada bianca, ci levammo in piedi. P. Angelico aguzzò gli<br />

occhi. Poi sentenziò: - È un camion militare. Niente da sperare.<br />

Che fosse un camion militare, era vero. Che non ci fosse nulla da<br />

sperare, non era vero. Se in tutta Europa mi trovate un camionista che<br />

ha perso cinque ore per aiutare un'auto in panne, son disposto a dargli<br />

un premio.<br />

L'angelo nero, che parlava un italiano quasi perfetto, ci prese a<br />

bordo e ci condusse fino a Dodolà, 20 chilometri, lungo i quali attraversammo<br />

l'Uebi Shebell tra colline aspre e nude come un teschio, erose<br />

dal sole e dal vento. Portammo con noi le due famigerate gomme. L'auto<br />

invece, la lasciammo Il, senza guardiano: - Nessuno la toccherà - ci<br />

assicurò il camionista -. Guai! Potrebbe arrabbiarsi e divorare chiunque<br />

la tocca.<br />

Fu necessario mettere a soqquadro tutta la cittadina di Dodolà<br />

(che bel nome!) per reperire le tre pezze con le quali uulcanizzare le<br />

nostre gomme. Frattanto il nostro soccorritore estrae dalla cabina<br />

del camion una grossa busta piena di panini ancora croccanti, la consegna<br />

ad un camionista di passaggio e gli raccomanda: - Porta questa<br />

roba a mia moglie e ai miei bambini; avvertili che oggi tornerò tardi.<br />

Ora è apparso un altro giovanottone, dal portamento sicuro e distinto:<br />

- lo sono Abraham Kahsai. - Piacere, rispondiamo. E lui<br />

ad insistere: - Conoscete il P. Samuele Asghedom? - Diamine se lo<br />

conosciamo: è un nostro confratello, nostro compagno di studi a Ca-<br />

- 94-


samari ed ora è Rettore del Collegio Etiopico di Roma. - Bene, continua,<br />

io sono suo nipote.<br />

Le gomme sono a posto. La polizia di città ferma un camion di passaggio<br />

e prega l'autista di prendere a bordo il P. Angelico con le due<br />

gomme, fino al punto dove abbiamo lasciato la nostra « 600 ». Strada<br />

facendo, l'autista dice a P. Angelico: - lo sono un ex-alunno della<br />

vostra scuola di Asmara. Siete voi che mi avete insegnato le frazioni e<br />

tante altre cose. E con animo grato offre pane e birra.<br />

Ma nel frattempo, anche a Dodolà si... banchetta. Tiriamo in un<br />

ristorante il nostro angelo nero e quanti ci hanno aiutato, compreso il<br />

nipote di P. Samuele. Dopo alcuni minuti) forse allarmato dall'insolito<br />

movimento, capita n anche il governatore della città, colonnello Mangascià<br />

Wolde Kidan. Mentre consuma una Fanta lo riconoscono, lo invitiamo<br />

al nostro tavolo, con noi intinge, tranquillo, 'ndjerà (pane) nel<br />

grande vassoio di legumi al berberè. Diventiamo amici. Si scattano fotografie.<br />

Ci scambiamo gli indirizzi. Egli ha un buon ricordo degli italiani,<br />

che stimavano molto i soldati etiopici e ne apprezzavano il valore;<br />

la stessa cosa non si può dire di altri. - Anche io, interviene il camionista,<br />

mi son fermato perché ho visto che eravate preti italiani. Il nostro<br />

Imperatore ha stima degli italiani. Gli altri, ci hanno rubato tutto.<br />

Sono le 14,30 quando finalmente ci si rimette in auto: - Voi andate<br />

avanti, io vi seguo pronto ad aiutarvi se ne avrete bisogno, ci<br />

dice il nostro soccorritore. E da quel momento non l'abbiamo più visto.<br />

Ci son rimaste le sue foto. Le manderemo al governatore di Dodolà con<br />

preghiera di recapitarle all'interessato.<br />

Alle 19,30 eravamo a Gorò, la nostra destinazione. Nel buio, appena<br />

attenuato dal chiarore tremulo di qualche lanterna che occhieggiava<br />

dalle abitazioni, la nostra gloriosa « 600 Fiat» fu in breve attorniata<br />

da tanti giovani e ragazzi curiosi: - Non abbiamo mai visto un'automobile<br />

così piccola e così bella, dicevano. Ed era vero. Fino allora, a<br />

Gorò erano arrivati solo camions e land-rovers, E noi avevamo dovuto<br />

guadare due torrenti. E quando fummo a destinazione, trovammo<br />

sul fondo dell'auto cinque centimetri di acqua: solo allora capimmo perché<br />

i nostri piedi si erano quasi congelati.<br />

Raccontare che una volta alle 8,00 di sera inaspettati vi presentaste<br />

in tre a casa di amici non troppo attrezzati, per chiedere cena<br />

e alloggio; e dire che quegli amici fecero i salti mortali per non dissimulare<br />

il loro imbarazzo: tutto questo può riuscire banale quanto mille<br />

altre cose. E perciò non vi racconterò nulla.<br />

- 95-


Ma come farò a non dirvi che in quella casa trovammo una silente<br />

regina, simile ad un'apis argumentosa che in mezz'ora ci preparò, sempre<br />

senza parlare, sempre con calma olimpica, e cena e letti per riposare?<br />

Solo quando le dicemmo che noi potevamo andare in albergo, solo allora<br />

udimmo chiara la sua voce: - Sì, sì, a Gorò c'è l'albergo, ma non è<br />

adatto per voi, qui starete meglio; fidatevi di me.<br />

Ospitalità sincera e corretta. E per inciso vi dico anche che<br />

quei nostri amici non sono cattolici: sono scismatici, ortodossi!<br />

Quando, spenta ormai la luce della lampada e distesi nei nostri<br />

letti, eravamo sul punto di prender sonno, nell'ampia stanza si udì,<br />

sommessa ma non troppo, la voce baritonale di P. Angelico: - Italiani,<br />

spero che oggi abbiate conosciuto almeno in parte l'anima del popolo<br />

etiopico.<br />

E con questo viatico ci addormentammo, in pace con Dio e con<br />

gli uomini: fino alle 6.00 del mattino.<br />

11 dicembre 1971 - Sapevamo che una delle note caratteristiche<br />

della santa Chiesa è la sua universalità: è proprio per questo che essa<br />

si chiama cattolica. Ne facemmo l'esperienza al termine del nostro<br />

avventuroso viaggio. Quella mattina ci tornarono spontanee nella<br />

mente e sulle labbra le parole del secondo canone della Messa: «ricordati,<br />

Signore, della tua Chiesa sparsa su tutta la terra ».<br />

I tre guardiani del fondo e le loro famiglie ci accolsero<br />

(sono loro parole) come angeli di Dio. E non cessavano di baciarci<br />

le mani e di sorriderei felici. Essi ci prospettarono, sì, la incerta<br />

situazione di quell'azienda agricola, le difficoltà tecniche cui andavano<br />

incontro, i disagi cui erano esposti; ci chiesero anche un fucile per<br />

difendersi dagli animali feroci durante la notte 2. Ma soprattutto insistettero,<br />

e queste furono le loro rivendicazioni... sindacali, per avere un<br />

sacerdote che si interessasse della loro vita spirituale e che cominciasse<br />

a spargere un po' di buon seme della parola di Dio tra i numerosi abitanti<br />

della zona). tutti musulmani per l'anagrafe, ma di animo buono e mite, e<br />

ben disposti alla predicazione del Vangelo. È lui, il capo guardiano, che<br />

la sera dopo il lavoro riunisce le famiglie per la recita del rosario e<br />

per le altre preghiere; egli insegna il catechismo; egli invita nella sua<br />

capanna i musulmani, offre loro il thè, stringe amicizie con essi, li pre-<br />

2 Un fucile sarebbe utilissimo anche per procacciarsi carne a buon mercato. Finora,<br />

in mancanza di armi, i nostri uomini hanno fatto ricorso a metodi primordiali di caccia:<br />

hanno scavato una specie di pozzo profondo circa tre metri e lo hanno sapientemente mimetizzato;<br />

in esso, nel breve volger di tempo, hanno catturato quattro gazzelle. La carne<br />

di gazzella, ci dicono, è ottima.<br />

- 96-


para all'auspicato incontro col sacerdote. Egli ci chiese con insistenza e<br />

con ansia libriccini di istruzione religiosa, rosari, crocefissi, medaglie,<br />

immagini sacre, ecc. La fede semplice e viva di quell'esiguo manipolo di<br />

figli di Dio sperduti nella giungla ci commosse profondamente: Non ho<br />

trovato tanta fede in Israele, disse una volta Gesù.<br />

In quelle due ore che trascorremmo con i nostri guardiani, credo<br />

di aver colto con esattezza la nullità di noi, uomini civili, che consumiamo<br />

la nostra vita in bagatelle di poco conto. Di fronte a quella<br />

schietta testimonianza di vita cristiana, quale giudizio possiamo dare<br />

della nostra vita di cristiani europei che ci affanniamo per raggiungere<br />

una organizzazione sempre più perfetta, mentre i nostri fratelli di laggiù<br />

mancano dell'indispensabile? Quante suore d'Italia sciupano le loro<br />

energie a spolverare i pavimenti della loro casa madre! E laggiù non<br />

ci sono pavimenti. Ci si lamenta dello scarso numero di sacerdoti. Ma<br />

quanti religiosi e sacerdoti potrebbero, senza alcun pregiudizio per il<br />

regno di Dio, abbandonare il loro posto di lavoro nelle retrovie: laggiù<br />

c'è una trincea per tutti. Chè poi, non si tratta di trincee, né reali né<br />

metaforiche, ma piuttosto di immensi campi carichi di messe matura che<br />

attende solo di essere mietuta e portata nel granaio del Padre comune.<br />

12 dicembre 1971 - Ben facemmo ieri sera a ripartire da Gorò prima<br />

del tramonto del sole: così oggi ci troviamo a dover percorrere<br />

cento chilometri in meno. Peccato che la notte in albergo non è stata<br />

delle più placide: infatti a letto con noi c'erano anche... degli insetti<br />

non meglio identificati che ci hanno dato un po' di fastidio.<br />

Alle sei in punto ci si leva, secondo il programma orario combinato<br />

la sera avanti. Una lavatina al viso, e abbandoniamo senza rimpianti<br />

le nostre stanze. Fuori è quasi buio, c'è un freddo pungente, i vetri<br />

della « 600» sono ghiacciati, il motore non parte. Il guardiano notturno<br />

ha le mani intirizzite, stenta ad aprirci il cancello. Spingiamo<br />

l'auto per tre o quattrocento metri: finalmente il motore ha un sussulto<br />

e prende a girare. Si monta in macchina e si parte.<br />

È domenica. È il terzo giorno che non celebriamo la Messa. La sostituiamo,<br />

per ora, con una breve preghiera. Se non accadono imprevisti,<br />

contiamo di raggiungere in giornata qualche stazione cattolica.<br />

La strada si inerpica in continuità. Fa freddo. Non disponiamo<br />

di un altimetro, ma pensiamo di essere intorno ai 3.500 metri di<br />

altitudine. Il Parco Montagnoso del Balé ci apre davanti uno scenario<br />

selvaggio, che la luce tersa e colorata del mattino rende più suggestivo.<br />

- 97-


A poco a poco {la strada e la nostra macchina non permettono grandi<br />

velocità) stiamo rientrando neL. mondo.<br />

A tarda mattina siamo di nuovo a Dodolà. P. Angelico rallenta,<br />

poi si ferma dinanzi al bar nel quale, quarantotto ore prima, avevamo<br />

pranzato con gli amici che ci avevano aiutato a riparare le gomme afflosciate.<br />

Scendiamo col pretesto di sorbire un thè caldo: in realtà ci<br />

si ferma con la segreta speranza di incontrare qualche viso noto. Restiamo<br />

delusi per intero: rivediamo solo l'autista del governatore;<br />

ci salutiamo a larghi gesti, con poderose strette di mano e con ampi<br />

sornsi.<br />

P. Angelico non può prestarci in questa occasione i suoi servizi<br />

di interprete. È alle prese col motorino di avviamento della « 600 »,<br />

che non vuol funzionare. Gli diciamo di non preoccuparsi perché ci<br />

sentiamo abbastanza in forze per spingere l'auto fino a che il motore<br />

non parta. Ma lui no: si sdraia una, due, tre volte nella polvere, sotto<br />

l'auto, e finalmente riesce ad identificare il filo interrotto e a ricongiungerlo.<br />

Visto?! - ci dice con la soddisfazione negli occhi. E va a bere il<br />

suo thè.<br />

Alle 11,45 ritroviamo l'asfalto, dopo seicento chilometri: ora ci<br />

sembra di volare in aereo. Superiamo Shashamané e il suo bel albergo<br />

col ricordo di Berhanè il Luminoso. Alle 12,10 entriamo nella Missione<br />

dei Padri Comboniani di Awasa. Ci viene incontro con un largo fraterno<br />

sorriso il P. Ceccarini dall'alto dei suoi trentacinque anni di vita<br />

missionaria. Che bel esempio di vita consacrata alla salvezza dei fratelli<br />

meno fortunati!<br />

Ci laviamo ad un rubinetto di acqua fresca, un rubinetto vero, come<br />

quelli che usiamo in Italia. E andiamo in Cappella a celebrare la Messa.<br />

Concelebriamo in tre, due bianchi e un nero. È una delle nostre Messe<br />

più belle: preghiamo con fervore invocando l'aiuto del Signore sulle<br />

Missioni d'Etiopia. Assistono alla Messa le Suore Comboniane della<br />

Missione: cinque nere e due bianche. Fuori della Cappella, al termine<br />

della Messa, ci attendono per salutarci. La loro gioia e il loro entusiasmo,<br />

fatto di fiducia in Dio e di abnegazione personale, ci contagiano. Ci congediamo<br />

promettendod di pregare gli uni per le altre.<br />

E andiamo a pranzo con P. Ceccarini e confratelli. A tavola si parla<br />

di tante cose, fraternamente, come se ci si conoscesse da molti anni.<br />

12 dicembre 1971 - Quella sera ad Addis Abeba avevo un mezzo<br />

diavolo per capello, perché mi era capitata una stanza d'albergo totalmente<br />

diversa da quella che desideravo. Da tre giorni sognavo di an-<br />

- 98-


negarmi sotto una doccia: calda o fredda, aveva poca importanza; ma « a<br />

fiume» la volevo.<br />

E invece! Mentre ero seduto sulla traballante sponda del Ietto,<br />

mi tornò in mente come in una pellicola la scena che avevo osservato,<br />

non visto, la mattina precedente: un bambino bellissimo come tanti e<br />

tanti altri bambini e ragazzi etiopici, teneva stretto nella sinistra un<br />

bicchiere di latta, pieno d'acqua fino a metà; vi intingeva, con precauzione,<br />

l'indice della destra e se lo passava, calmo, attorno agli occhi.<br />

Economia d'acqua, senza dubbio: spinta al massimo!<br />

Ero ancora lì quando sentii bussare alla porta. Il « maitre » veniva<br />

a domandarmi se avevo bisogno di qualcosa. - Nulla, risposi, sì, nulla:<br />

grazie.<br />

E poi lui continuò: - Come sta Padre Umberto? E Padre Timoteo?<br />

E Padre Matteo?<br />

- Bene, bene, risposi, tutti bene; anche Padre Umberto: in Italia<br />

si è ristabilito, e lavora come sempre ha lavorato nella sua vita. Ma lei,<br />

aggiunsi, come fa a conoscere questi miei confratelli?<br />

- Sono, mi disse, un ex-alunno del vostro seminario di Asmara.<br />

A questo punto ebbi netta l'impressione che in Etiopia si fosse<br />

costituita una quinta colonna di ex-alunni, col compito di spiare tutti<br />

i nostri movimenti.<br />

13 dicembre 1971 - Il nostro viaggio nel Balè è durato 96 ore,<br />

quattro giorni durante i quali a Mendida si è verificato un evento che<br />

non si era mai visto da quando Mendida è Mendida: sono venute<br />

le suore. Incredibile ma vero! Vero, perché le abbiamo viste noi,<br />

le abbiamo trovate a Mendida al nostro ritorno, piovute dal cielo.<br />

Incredibile, perché per un posto di Missione le Suore sono un dono<br />

di Dio tanto grande che sta fuori del campo delle comuni speranze.<br />

Sono tre Suore italiane, di Piacenza; appartengono all'Istituto della<br />

Divina Provvidenza per l'infanzia abbandonata, fondato dal canonico<br />

Francesco Torta cinquant'anni orsono. Il capitolo generale ha voluto<br />

celebrare la felice ricorrenza istituendo una casa in terra di missione:<br />

la scelta è caduta su Mendida. L'infanzia non abbandonata d'Etiopia -<br />

ci dice la Superiora - è più abbandonata dell'infanzia abbandonata<br />

d'Italia. Ci chiede scusa per il giochetto di parole, e si dice sicura che<br />

il loro lavoro in Africa sarà più meritorio di quello svolto finora in Italia.<br />

Che Dio le benedica e che il loro entusiasmo non abbia mai a<br />

scemare.<br />

Per ora le tre Suore si dedicano principalmente allo studio della<br />

- 99-


lingua arnarica. Ma approfitteranno di ogni buona occasione per cominciare<br />

a intessere contatti e relazioni con la popolazione. Pochi giorni<br />

dopo il loro arrivo, per la ricorrenza del Natale etiopico furono invitate<br />

a pranzo da un notabile del paese. Esitarono un po', ma poi con<br />

coraggio accolsero l'invito. Le cose procedevano non troppo male per<br />

loro, anche se si sentivano al centro della curiosità di tutti i presenti,<br />

quando ad un certo punto videro entrare Yarcbitriclino o direttore di<br />

mensa, che sulle spalle portava un quarto di bue e colla destra brandiva<br />

un coltellaccio che grondava sangue. Le tre suorine allibirono quando<br />

l'uomo cominciò a tagliar carne e a distribuirla, cruda, ai commensali.<br />

Nel suo macabro giro era già arrivato accanto a loro ..., ma per fortuna<br />

il padrone di casa con un cenno provvidenziale diede ordine di passar<br />

oltre.<br />

Da Mendida i nostri confratelli ci hanno scritto assicurandoci che,<br />

pur tra notevoli difficoltà, una ditta italiana di Addis Abeba sta già costruendo<br />

a ritmo febbrile la casa delle Suore. Il progetto prevede un<br />

vasto edificio con sale per asilo, vari laboratori per cucito, maglieria,<br />

ecc., e una piccola clinica, oltre, naturalmente, la cappella e, al piano<br />

superiore, l'abitazione delle Suore, che entro l'anno dovrebbero diventare<br />

cinque.<br />

18 dicembre 1971 - Fra quarantotto ore saremo in volo verso l'Italia.<br />

Approfittiamo di questa penultima giornata d'Africa per fare una<br />

gita turistica, che sia solamente turistica. Andiamo ad Aksum, la città<br />

santa della chiesa ortodossa etiopica: duecento chilometri lungo i quali<br />

incontriamo prima il fiume Mareb che separa l'Eritrea dall'Etiopia, e<br />

poi Adua, tristemente famosa per la sfortunata battaglia del 1896.<br />

Che i ventimila italiani possano essere stati sopraffatti dai centoventimila<br />

etiopi di Ras Mangascià, è una cosa abbastanza comprensibile. Difficile<br />

invece è capire la ragione per cui gli italiani fossero andati a infognarsi<br />

in quelle gole; difficile capire, soprattutto, come abbia fatto il povero<br />

generale Barattieri a tirar fuori da quell'inferno gli scampati<br />

all'eccidio.<br />

Errori passati. E passati, speriamo, una volta per sempre.<br />

Entriamo ad Aksum e ci fermiamo nella piazza dei famosi obelischi:<br />

ci insegue, trafelato, un pubblico funzionario, che nella destra brandisce<br />

una biro gialla e nella sinistra sventola un blocchetto di ricevute<br />

madre-figlia. E chi lo avrebbe immaginato? Per entrare ad Aksum si<br />

pagano sette dollari a testa (pari a l.750 lire). Fingendo il massimo interesse<br />

per gli obelischi, bellissimi e abbandonati, cominciamo ad ag-<br />

- 100-


geggiare attorno alle nostre macchine fotografiche, e pian pianino ci allontaniamo<br />

lasciando lo spinoso esattore alle prese con Padre Giona, il<br />

confratello etiopico che già altre volte ha risolto situazioni ben più<br />

complicate. Ma questa volta non c'è arte che valga: bisogna pagare.<br />

Padre Giona è mortificato: non tanto per i dollari di cui si è dovuto alleggerire<br />

(ma anche per questo!), quanto piuttosto perché vede banalmente<br />

incrinarsi la sua fama di uomo-che-risolve-tutto. Lo sentiamo<br />

borbottare qualcosa in lingua patria: fortuna per noi che non lo comprendiamo!<br />

Ad Aksum, un monaco ortodosso ci guida a visitare il Tesoro<br />

degli Imperatori. Esso è conservato nella chiesa Hedar Sion, ed è costituito<br />

da ricchissimi paramenti sacri e da una lunga serie di corone<br />

imperiali. Il materiale sarebbe sufficiente per allestire un grande<br />

museo. Tra i pezzi di indiscusso valore notiamo anche qualche cianfrusaglia,<br />

come una specie di corona da rosario, con le Ave Maria di plastica<br />

infilate in uno spago aqualsiasi. Allora mostro al monaco il mio rosario:<br />

egli lo prende in mano con tanto rispetto ed amore, lo gira e lo rigira,<br />

e non cessa di ammirarlo e accarezzarlo. Troppo tardi mi accorsi di aver<br />

commesso un errore: se glielo avessi regalato, lo avrei fatto felice.<br />

Spero di potergliene spedire uno, più bello del mio, raccomandandomi<br />

alle sue preghiere.<br />

E poi, andiamo a pranzo: ad Aksum c'è un bel ristorante italiano,<br />

gestito dal comm. Buschi di Domodossola, un veterano d'Africa.<br />

Verso la fine del pranzo viene a salutarci: è appena sceso dall'aereo, di<br />

ritorno da Addis Abeba. Ci tiene a salutarci, anche perché desidera notizie<br />

di Padre Umberto e di Padre Luca: - Chi non conosce Padre<br />

Umberto!? - ci dice - E Padre Luca? È un uomo di Dio, ma è anche<br />

un gran furbo! E il comm. Pietro Rocca, di Piona? Siamo fratelli, fratelli<br />

in tutto, fuorché di nascita.<br />

All'uscita del ristorante c'è ad attenderci un bel giovanotto<br />

di sedici o diciassette anni, alto, distinto, che parla l'italiano disinvoltamente.<br />

Sta a vedere, penso, che questo è un altro membro della<br />

quinta colonna! No: è Samuele Minas, l'unico cattolico che vive ad<br />

Aksum, ex-apprendista frate alla missione dei cappuccini di Seganeiti.<br />

Ci chiede qualche libro di istruzione religiosa, perché ... «ormai sto<br />

dimenticando tutto quel che avevo imparato alla missione ». Gli promettiamo<br />

di accontentarlo dall'Italia, ci scambiamo gli indirizzi, e lo<br />

salutiamo incoraggiandolo.<br />

Non c'è da stupirsi dell'isolamento spirituale in cui vive Samuele<br />

Minas. Aksum è la città santa degli ortodossi: non può essere conta-<br />

101


minata da altre fedi o altre confessioni religiose. Si racconta che<br />

non molti anni fa i musulmani, scavalcando le autorità religiose del<br />

posto, ottennero dall'Imperatore in persona il permesso di costruire<br />

una moschea ad Aksum. I lavori cominciarono presto, e furono condotti<br />

a ritmo febbrile, finché, un giorno, il vescovo ortodosso riunì i<br />

notabili della città sotto l'albero della giustizia (lo abbiamo visto anche<br />

noi, enorme: all'ombra dei suoi rami si amministra la giustizia, in seduta<br />

pubblica, nei giorni stabiliti dalle tradizioni); assunte le debite informazioni,<br />

il vescovo ordinò, seduta stante, che quello scandalo fosse<br />

demolito. E cosi fu fatto. E sino ad oggi non risulta che contro l'operato<br />

del vescovo si sia levata alcuna protesta: né da parte dei musulmani, né<br />

da parte dell'Imperatore.<br />

Lungo il viaggio di ritorno sostiamo a Mai-Lalà: qui la notte<br />

del 13 febbraio 1936, i soldati di Ras Sejun assalirono all'improvviso<br />

un cantiere stradale italiano. Gli operai, colti nel sonno, non ebbero<br />

modo di difendersi. Fu una strage. Tra le vittime cadde anche l'ing. Cesare<br />

Rocca e Lydia Maffioli, la giovane consorte che lo aveva seguito in<br />

Etiopia. Dal loro sacrificio nacque, come no re candido su uno stelo<br />

rosso, 1'Abbazia di Piana. Sul cimitero, delimitato da un muro perimetrale,<br />

domina una gran croce semi-abbattuta. Manca il cancello. Le salme<br />

furono tutte riesumate alcuni anni fa, e trasportate in Italia. L'ing.<br />

Cesare Rocca e la signora Lydia MafIioli riposano nell'aula capitolare<br />

dell' Abbazia di Piana. Sostiamo pensosi. Abbiamo negli occhi il dolore<br />

del nostro amico e benefattore comm. Pietro Rocca, fratello deIl'ing.<br />

Cesare, e della loro mamma signora Annetta Pogliani. Intanto sulla strada<br />

passa un folto gruppo di uomini che tornano dal mercato. C'è anche un<br />

anziano: - lo ricordo, ci dice e il volto gli si rabbuia di tristezza, io ricordo;<br />

era notte; tutti morti.<br />

19 dicembre 1971 - Adesso che tornate in Italia, ci dice un nostro<br />

confratello etiope, chi sa che cosa racconterete di noi e della nostra<br />

patria!<br />

Caro confratello, desideriamo saperti tranquillo! Che cosa vuoi<br />

che si racconti?<br />

Diremo che siamo tornati dall'Etiopia con un cuore grande come<br />

il mare, con una voglia immensa di fare del bene a chi di bene ha bisogno<br />

più che noi e che te, e col cruccio di non poter fare quel che<br />

vorremmo: col cruccio di sentire le nostre mani legate da un monte<br />

di difficoltà.<br />

Ricorderemo i cartelli della propaganda turistica: Etio pia tredici<br />

- 102-


mesi di sole; Etiopia, la terra di Salomone e della regina Saba. Tu non<br />

puoi misurare la simpatia che la tua terra ha suscitato nel nostro animo,<br />

caro confratello: questa terra dai contrasti sconvolgenti e dalle incalcolabili<br />

ricchezze potenziali.<br />

Diremo che l'Etiopia e il suo antichissimo nobile popolo hanno<br />

bisogno di lavoro. Se nei paesi cosiddetti civili (ma quali sono i paesi<br />

veramente civili?) il lavoro rischia di trasformarsi ogni giorno di più in<br />

un moderno mostro cui si è pronti a sacrificare tutta una serie di valori<br />

spirituali, lo stesso lavoro potrebbe invece dare tranquillità e gioia di<br />

vivere a tutta l'Etiopia.<br />

Pensa, caro confratello, al motto benedettino Ora et Labora. E tu,<br />

sei anche tu benedettino. Tu e i tuoi confratelli siete i primi monaci<br />

benedettini che mai siano vissuti nella vostra antichissima terra. Quale<br />

onore e quale responsabilità! Forse più della seconda che del primo.<br />

Ora et Labora. Con queste due parole San Benedetto salvò l'Europa,<br />

tanti secoli orsono, da una situazione forse più drammatica di quella in<br />

cui stancamente si dibatte l'Etiopia attuale.<br />

Coraggio dunque, cari confratelli etiopi, e siate tranquilli: avete<br />

tutta la nostra stima e tutto il nostro rispetto. Pregate e lavorate come<br />

fecero i nostri padri del medio evo. E i vostri monasteri saranno i vivai<br />

dai quali sboccerà il nuovo popolo della nuova Etiopia.<br />

20 dicembre 1971 - Il nostro quadrigetto ha infilato di precisione<br />

uno stretto corridoio dove la nebbia è meno densa, e si posa sulla pista<br />

di Fiumicino.<br />

Mi sembra di essere al Polo Nord. Addio, bel sole d'Africa. Mi dicono<br />

che il nostro è uno dei pochissimi aerei atterrati oggi a Roma;<br />

gli altri, date le avverse condizioni atmosferiche, sono stati convogliati<br />

su Brindisi.<br />

Il funzionario di dogana mi domanda che cosa debbo denunciare.<br />

Ma che cosa vuoI che denunci?! - gli rispondo - Vengo dall'Etiopia.<br />

E mi manda in pace.<br />

Corro alla stazione Termini. Il mio treno è in partenza. Faccio<br />

appena in tempo ad aprire uno sportello e a infilarmi dentro tra un pigia-pigia<br />

incredibile. Rimango bloccato sul pianerottolo della carrozza.<br />

Accanto a me, in posizione scomoda come me, c'è un giovane alto;<br />

ha in mano una borsa di pelle con un cartellino che attira la mia attenzione:<br />

Aethiopian Airlines. Abbiamo viaggiato sullo stesso aereo da<br />

Asmara a Roma. Eravate in quattro - mi dice - gli altri tre che fine<br />

- 103-


hanno fatto? Sono rimasti a Roma - rispondo. Ed egli continua a parlare<br />

decantando le bellezze dell'Etiopia.<br />

Guardo l'orologio. È passato un quarto d'ora. Fra venti minuti<br />

sarò a destinazione. Mi consolo. Mi reco a salutare i miei. Prima che partissi<br />

per Asmara, mio padre era preoccupatissimo: «Quando c'è bufera,<br />

gli aerei viaggiano ugualmente? ». Un giorno, parlando in famiglia,<br />

si era lasciato sfuggire una frase sintomatica: «Proprio lui dovevano<br />

mandare in Africa? ». Ora voglio rasserenarlo, e dimostrargli che sono<br />

tornato sano e salvo. E, soprattutto, felice per questa esperienza, e grato<br />

a chi me ne ha offerta l'occasione.<br />

23 dicembre 1971 - Ieri sera ad ora tarda sono tornato a Firenze.<br />

Ho ritrovato la mia Certosa, così come l'avevo salutata il 10 novembre.<br />

Sono entrato con trepidazione nella mia cella e ho acceso la luce:<br />

tutto preciso come quella mattina che partii. lo invece ho tante cose nuove<br />

dentro di me.<br />

Questa mattina mi affretto a telefonare ad Empoli. Mi risponde<br />

la voce pacata di una signora non più giovane: è la mamma dell 'Orsini<br />

incontrato a Mendida ai primi di dicembre. Le do i saluti del figlio<br />

lontano, le racconto la storia dei cenci. Sa già tutto. E mi domanda come<br />

sta il su' ragazzo. La rassicuro: ottimamente; solo si rammarica di non<br />

poter tornare in licenza per le feste natalizie; ma mi incarica di augurare<br />

buon Natale a tutti.<br />

« Grazie, grazie mille volte, caro padre. E che Dio la rimeriti ».<br />

Così, la mia avventura africana termina con le parole benedicenti<br />

di una mamma.<br />

Ti ringrazio, Signore!<br />

- 104-<br />

P. VITTORINO ZANNI, O. CISTo


I monaci e lo studio della Sacra Scrittura<br />

La samaritana è ansiosa di apprendere la dottrina. Né l'ora del<br />

giorno, né un qualunque dovere o faccenda la distoglie da questo:<br />

noi invece siamo in tutto incuranti e pigri. Chi di voi, di grazia, apre<br />

in casa sua il libro del cristiano? Chi di voi cerca di penetrare il significato<br />

della Scrittura? Certamente nessuno. Nelle case dei più troveremo<br />

dadi e cubi, ma nessun libro; o per lo meno, in casa di pochi.<br />

Anche questi pochi però, si trovano nella condizione di coloro che non<br />

ne hanno, perché li conservano legati, riposti nei loro scrigni, preoccupandosi<br />

solo della leggerezza delle pergamene o della bellezza delle<br />

lettere; ma ne trascurano la lettura. Non li acquistano infatti per ricavarne<br />

profitto, ma solo per ostentare orgogliosamente la loro ricchezza:<br />

tanto grande è il potere della vanagloria.<br />

Le Sacre Scritture ci sono state date non per averle chiuse nei<br />

libri, ma perché ce le incidiamo nel cuore. Non dico questo perché intendo<br />

proibirvi di acquistare libri; anzi, lodo molto questo desiderio.<br />

Ma vorrei che le parole contenute nei libri ed il loro significato fossero<br />

familiari ai nostri animi, vorrei che la comprensione degli scritti purificasse<br />

i nostri animi.<br />

Se nella casa ove si trova il Vangelo il diavolo non osa entrare,<br />

tanto meno il demonio o il peccato oseranno entrare nell'anima esperta<br />

dei comandamenti evangelici.<br />

Santifica dunque la tua anima, santifica il tuo corpo: abbi sempre<br />

nel cuore e sulle labbra queste cose. Se le parole turpi intorbidano<br />

l'anima e chiamano i demoni, è chiaro che per contro la lettura spirituale<br />

santifica e attira la grazia divina.<br />

Le Sacre Scritture sono altrettanti cantici: cantiamoli dunque fra<br />

noi e adoperiamo questi rimedi contro i mali dell'anima.<br />

Ripeterò sempre queste cose, e mai cesserò dal dirvele. Non è forse<br />

assurdo che gli uomini sedendo nel foro raccontano per filo e per<br />

segno i nomi, la stirpe, la città d'origine, l'abilità degli aurighi e dei<br />

ballerini, i pregi e i difetti dei cavalli, mentre i cristiani ignorano addirittura<br />

il numero dei libri sacri?<br />

Non smetterò mai di dire queste cose finché non vi vedrò cambiati.<br />

Dire queste cose, per me non è [astidioso, ma per voi è utile (FIL. 3, 1).<br />

Non prendete a male questa mia esortazione. Se essa dovesse recar molestia<br />

a qualcuno, questo qualcuno dovrei essere io, perché non sono<br />

ascoltato: non voi, che ascoltate e non obbedite mai.<br />

- 105-


Dio non voglia però che io sia sempre costretto ad accusarvi, Salvaguardandovi<br />

da questi difetti, possiate divenire degni della futura<br />

gloria, per la grazia e la bontà del Signor nostro Gesù Cristo, cui sia<br />

gloria con il Padre e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Così sia.<br />

1 Luglio<br />

ore 16.00 - Apertura.<br />

SAN GIOVANNI CRISOSTOMO<br />

Commento al Vangelo di Giovanni, XXX~I, 3<br />

PROGRAMMA DEL CONVEGNO<br />

cc Dimensione teologica del monachesimo lt.<br />

Relatore:<br />

Padre Benedetto Calati, Camaldolese.<br />

Discussione.<br />

ore 19.30 - Santa Messa.<br />

2 Luglio<br />

Concelebrata con S. Em. il Cardinale Ermenegildo<br />

Florit.<br />

ore 9.00 - cc Monachesimo e Umanesimo ».<br />

Relatore:<br />

Padre Policarpo Zakar, Cistercense.<br />

Discussione.<br />

ore 11.00 - cc Che cosa chiede l'uomo d'oggi alle comunità<br />

monastiche ».<br />

Relatore:<br />

Enzo Bianchi, della Comunità di Bose.<br />

Discussione.<br />

ore 13.30 - Chiusura del Convegno.<br />

N. B. - Gli atti del Convegno saranno pubblicati nel prossimo numero della<br />

Rivista (N. d. R.).<br />

- 106-


Iean De' La Croix Bouton O.C.S.O.<br />

STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />

(Dodicesima puntata)<br />

S. Stefano Harding e il potere secolare<br />

Dopo aver delineato la figura di Stefano Harding e averne riferito<br />

la designazione a successore di S. Alberico, l'Exordium parvum aggiunge<br />

senza indugi: «Sotto il suo governo, i fratelli d'accordo con l'abate<br />

vietarono al duca e agli altri signori di tenere la corte neI monastero,<br />

come avevano fatto fino allora ». Tutti i biografi di S. Stefano si sono<br />

compiaciuti di sottolineare l'audacia di tale decisione, audacia che sembra<br />

sfiorare l'ingratitudine quando si pensa ai benefici che il duca aveva<br />

fatto a Citeaux: in omnibus necessariis diu procuraoit et terris ac<br />

pecoris abunde subletavit iExordium parvum, cap. III). Ma, « evidentemente,<br />

Stefano volle reprimere un uso che prima o poi avrebbe introdotto<br />

nel monastero lo spirito del mondo» (D. ALEXIS,S. Etienne Harding,<br />

in Collectanea, 1 (1934), pago 87).<br />

Seguendo troppo alla lettera l'Exordium paruum, di solito si pone<br />

questa decisione all'inizio del governo di Stefano, come reazione a un<br />

uso tollerato dal suo predecessore. Cosa bisogna pensare di questo modo<br />

di considerare tale decisione e della sua portata reale - se veramente di<br />

« decisione» si può parlare? È queI che vedremo esaminando da vicino<br />

il Cartulario di Citeaux.<br />

Il duca di Borgogna e il Nuovo Monastero<br />

Abbiamo già fatto notare più volte quanto cortese il duca Eudes I<br />

fosse verso S. Roberto, ed abbiamo rilevato che non ci sono motivi per<br />

supporre che il duca nel Natale deI 1098 portasse la corte a Citeaux.<br />

Eudes I morì in Terra Santa nel 1102 e il suo corpo fu riportato in Borgogna<br />

e sepolto a Citeaux. II figlio Ugo II, soprannominato il Rosso<br />

e il Pacifico (i suoi 40 anni di regno non conobbero guerre) non aveva<br />

- 107-


ancora 20 anni quando successe a suo padre. Si rivelò subito benevolo<br />

verso i monasteri e teneva volentieri la corte nelle grandi abbazie.<br />

Lo si trova a S. Benigno di Digione nel 1102, 1107, 1112, a Molesme<br />

nel 1103, 1104, 1107, 1108, 1111, ecc.<br />

Sin dall'epoca carolingia i sovrani e i fondatori di abbazie godevano<br />

del' diritto di alloggio " vale a dire del diritto di ospitalità per loro e<br />

il seguito, che poteva comprendere cavalieri, cacciatori, falconieri, cavalli,<br />

cani, uccelli da caccia. I monasteri dovevano ospitarli e nutrirli<br />

tutti, uomini e bestie. La spesa era considerevole.<br />

Una forma mitigata di questo diritto era rappresentata dall'assetto<br />

delle corti feodali nei grandi monasteri. Tali sedute erano spesso occasione<br />

di donazioni o di concessioni di privilegi, ma restavano sempre<br />

onerose e soprattutto turbavano molto la pace del chiostro per l'atmosfera<br />

di lusso e di festa mondana in cui si svolgevano.<br />

L'Exordium parvum riferisce che il duca per molto tempo aiutò e<br />

rifornì di tutto il necessario i monaci di Citeaux, Andò nel monastero<br />

certamente in occasione della traslazione del corpo di suo padre. Vi riunì<br />

talvolta anche la corte? È possibile. Ma crediamo la cosa poco probabile.<br />

L'espressione sicut antea solebant ci sembra da riferirsi a Molesme.<br />

Citeaux non era in grado di ricevere degnamente una moltitudine così<br />

grande, poiché quelle cerimonie attiravano oltre la nobiltà dei dintorni<br />

una folla di curiosi. L'assenza di donazioni durante l'abbazia di Alberico<br />

(ad eccezione forse della decima della vigna di Meursault) conferma la<br />

nostra opinione. Citeaux non attirava. Quando Stefano fu chiamato al<br />

governo dell'abbazia, il motivo per vietare ai signori di venire nel monastero<br />

altro non era se non premunirsi per un avvenire ipotetico. Le cose<br />

però cambiarono quando Citeaux qualche anno più tardi raggiunse con<br />

una relativa agiatezza una certa notorietà. Forse il duca aveva manifestato<br />

l'intenzione di venire a Citeaux con la corte, soprattutto quando vi<br />

entrò il figlio del fedele Tesselino con parenti ed amici della più alta<br />

nobiltà feodale (non è certo che Enrico di Borgogna, fratello di Ugo II,<br />

si facesse monaco a Citeaux). Bisognava rafforzare la barriera tra Citeaux<br />

e il mondo, e soprattutto fare in modo che non si ripetesse la triste<br />

esperienza di Molesme, dove l'abbondanza aveva causato una flessione<br />

nella disciplina. E Stefano l'ottenne con due serie di misure che, nonostante<br />

l'apparenza, sono intimamente legate tra loro. Possono riassumersi<br />

con la frase di S. Benedetto a saeculis actibus se facere alienum<br />

(Reg. IV, instr. 20).<br />

L'abate fece sapere al duca il desiderio unanime dei fratelli di<br />

restare nella loro solitudine e nel loro silenzio, e il duca accondisce-<br />

- 108-


se alla richiesta. Il termine interdixerunt non deve indurci a credere a<br />

una brusca rottura tra il monastero e il duca, così benevolo verso i monaci.<br />

La risoluzione sembra sia stata presa nel 1112 o 1113. Non fu annotata<br />

tra gli I nstituta generalis capituli, i primi dei quali tramandano<br />

le decisioni più antiche del Nuovo Monastero.<br />

È significativo notare che durante l'abbaziato di Stefano il duca<br />

Ugo II non cessò mai di dar prova del suo interesse ai monaci di Citeaux,<br />

Quasi tutte le donazioni di Elisabetta di Vergy e dei «cavalieri di<br />

Vergy » furono da lui approvate. Per ringraziare Pietro il Maresciallo di<br />

Vergy, suo fratello e tutta la famiglia, di aver approvato e completato<br />

i doni di Elisabetta, il duca concesse loro il diritto di percepire due<br />

sesterzi all'anno sulle entrate di Tart. Per lo stesso motivo diede a Ugo il<br />

Bianco di Vergy un podere in località Chambolle e esentò Geraldo di<br />

Gilly dal censo di due pasti all'anno da offrirsi ai suoi ufficiali. È specificato<br />

che né il duca né i suoi successori avrebbero dovuto infastidire<br />

i monaci di Citeaux circa questi doni. Tali disposizioni vengono prese<br />

tra il 1111 e il 1112. Abbiamo accennato sopra alla concessione fatta<br />

dal duca ai monaci di S. Benigno in cambio del dono che questi avevano<br />

fatto ai <strong>Cistercensi</strong>. In caso di contestazione questi ultimi non dovevano<br />

essere disturbati. Più tardi, circa la donazione di Rinaldo di CombIanchien<br />

a Moisey, la carta precisa che dietro richiesta dei <strong>Cistercensi</strong> il<br />

duca condonò al benefattore il censo annuale di un moggio e mezzo di<br />

avena. «Ovunque, Ugo II favoriva le donazioni fatte al Nuovo Monastero<br />

e in cambio faceva concessioni ai benefattori» (E. PETIT, Hist,<br />

de ducs de Bourgogne, 1. 326). Lui stesso verso il 1119, dietro loro richiesta,<br />

donò ai <strong>Cistercensi</strong> un podere a Bully, e più tardi altri terreni<br />

presso Gergueil e Civry (1125). Prima di quest'ultima data Ugo II aveva<br />

già assistito col vescovo Giosserando di Langres alle prime donazioni di<br />

ArnuIfo Cornu di Vergy per la fondazione delle monache cistercensi di<br />

Tart, donazioni fatte nelle mani di Stefano abate di Citeaux e di Elisabetta<br />

di Verg badessa di Tart. Troviamo ancora assieme Stefano e il<br />

duca (con S. Bernardo) in molte altre circostanze (dotazione di Arernburga<br />

figlia del duca, l'affare S. Stefano di Digione ecc.).<br />

I <strong>Cistercensi</strong> e il feudalesimo<br />

La decisione di Stefano Harding e dei suoi monaci non riguardava<br />

solo il duca ma anche i signori; ciò prova che Stefano voleva assolutamente<br />

opporsi a quanto aveva caratterizzato Molesme. M. J. Laurent ha<br />

- 109-


fatto vedere in modo eccellente che « il feudalesimo regionale tratta l'abbazia<br />

di Molesme come una fondazione collettiva e, facendosi spalancare<br />

le porte, l'inizia ai suoi bisogni d'ordine morale, la associa ai suoi interessi<br />

e la fa partecipare alla sua vita intera» (Cartulario di Molesme, L<br />

113). M. Laurent ricorda ancora le prebende (di cavalieri e di dame), le<br />

oblazioni di fanciulli, l'ospitalità data quasi ininterrottamente ai signori,<br />

grandi e piccoli, della regione «i quali ritrovano, tutti, parenti ed<br />

. amici a Molesme e con la loro presenza talvolta chiassosa rompono la<br />

calma e la solitudine, prerogative di un luogo di preghiera e di raccoglimento»<br />

(ibid.). Niente di tutto questo a Citeaux. Sembra che Alberico<br />

di proposito evitasse i signori ed ogni compromesso col sistema feodale.<br />

Stefano, più largo di vedute, permise l'acquisto di terre e la costituzione<br />

di una proprietà considerevole, ma a condizione che i donatori o benefattori<br />

non rivendicassero alcun diritto sull'abbazia: non più prebende,<br />

non più oblazioni di fanciulli, non più corti feodali, non più sistemazioni<br />

di famiglie, come si trova nel Cartulario di Molesme. I <strong>Cistercensi</strong> ebbero,'<br />

sl, a far fronte a qualche contestazione, in particolare a proposito<br />

di certe donazioni a Gergueil; ma ottennero la pace con estrema facilità.<br />

In un caso (prima del 1125), per conservare la pace, diedero dieci scudi<br />

e una tunica di fustagno. Una somma irrisoria. Non si è mai visto a<br />

Citeaux ciò che avvenne a Molesme verso il 1130: una rivolta di servi.<br />

Ma i <strong>Cistercensi</strong> non restarono sempre fedeli ai saggi regolamenti dei<br />

primi Padri.<br />

I <strong>Cistercensi</strong> e la lotta delle Investiture<br />

La vittoria pacifica di Citeaux sul feudalesimo acquista maggior<br />

importanza se la si inquadra nel periodo critico in cui ha avuto luogo:<br />

il periodo della « Lotta delle Investiture» tra il Papa e l'imperatore germanico.<br />

È noto come nell'anno 1111 il papa Pasquale II preso dai soldati<br />

dell'imperatore Enrico V, spogliato delle vesti pontificali e portato nel<br />

campo germanico, fosse minacciato di terribile rappresaglie se non<br />

avesse acconsentito alle richieste imperiali. Si dice che il Pontefice,<br />

temendo qualcosa di peggio, abbeverato di sofferenze e di umiliazioni,<br />

fìnl per lasciarsi sfuggire dalle labbra queste semplici parole: Cogor pro<br />

Ecclesiae libera/ione, e il 12 aprile 1111 fece redigere un privilegium<br />

che concedeva all'imperatore l'investitura con la croce e l'anello.<br />

L'Exordium parvum fa un'allusione formale a questa « capitolazione<br />

», e con termini che denotano la più viva riprovazione: antequam<br />

- 110-


ipse papa Pascbalis in captione positus imperatoris PECCARE T (cap. X).<br />

Queste parole .senza dubbio furono scritte sotto l'impressione cocente di<br />

quel triste affare. Fortissima fu l'emozione in Italia e in Francia dove il<br />

Papa fu aspramente criticato, soprattutto nelle province di Lione e di<br />

Vienne. I vescovi Giosserando e Guido di Borgogna decisero di convocare<br />

un sinodo ad Anse per giudicare il Papa. Fortunatamente questa<br />

pericolosa iniziativa falli grazie all'intervento del celebre vescovo e canonista<br />

Ivo di Chartres il quale si rifiutò di prender parte al sinodo di<br />

Anse dov'era stato convocato e pronunziò parole piene di saggezza e di<br />

moderazione con le quali scusava il Papa « con amore filiale », D'altra<br />

parte Pasquale II si riprese subito e in una lettera al vescovo di Vienne,<br />

fece sapere che era sua formale intenzione revocare il privilegio estorto<br />

da Enrico V. Un concilio riunito in Laterano sotto la presidenza del<br />

Papa annullò infatti il privilegium (23 marzo 1112). Alcuni intransigenti<br />

ritennero che l'annullamento era insufficiente e che bisognava condannare<br />

l'investitura laica più energicamente. Un sinodo riunito a Vienne dall'arcivescovo<br />

Guido il 16 settembre 1112 dichiarò eretica l'investitura<br />

di vescovati e di abbazie conferita da un laico e chiese la scomunica<br />

per Enrico V. Pasquale II, prudente, ri rifiutò di giungere a questo<br />

estremo e si limitò a lodare lo zelo dell'arcivescovo (20 ottobre 1112).<br />

Il risentimento contro il Papa si calmò rapidamente. Un chierico francese<br />

pubblicò una Defensio Pascbalis Papae che metteva le cose a<br />

punto. Nel 1116 l'arcivescovo Guido, che s'era opposto a Pasquale II,<br />

presiedette in qualità di Legato dello stesso Papa i sinodi di Langres e di<br />

Bèze, e poi nel 1117 quello di Digione. Il Romano Pontefice, dal canto<br />

suo, tenne duro fino alla morte (21 gennaio 1118) nell'opposizione alle<br />

pretese rinnovate senza posa di Enrico V, rifiutandosi tuttavia di usare<br />

l'arma pericolosa della scomunica. E per una curiosa disposizione della<br />

Provvidenza, a chiudere felicemente la lunga Lotta delle Investiture<br />

fu proprio il vecchio arcivescovo di Vienne Guido di Borgogna, avversario<br />

irriducibile di Enrico V, divenuto papa col nome di Callisto II (Concordato<br />

di Worms, 23 settembre 1122).<br />

Ciò che va notato per la storia di Citeaux è la volontà risoluta<br />

dei <strong>Cistercensi</strong> di tener lontano dalla Chiesa ogni intervento ed influenza<br />

del potere secolare, si tratti della Chiesa universale ove la concessione<br />

strappata al povero prigioniero è da essi ritenuta non senza esagerazione<br />

un « peccato », o della sola piccola chiesa di Citeaux, il Nuovo Monastero,<br />

ove né duca né signore avrà diritto d'accesso.<br />

- 111-


L'Opera liturgica<br />

La determinazione dei <strong>Cistercensi</strong> a voler «conformare tutta la<br />

loro condotta all'integrità della Regola tanto nelle cose ecclesiastiche<br />

quanto nelle altre osservanze» doveva avere le sue ripercussioni nella<br />

liturgia. A proposito delle osservanze abbiamo notato che i <strong>Cistercensi</strong><br />

ne avevano improntato le grandi linee non soltanto alla Regola ma anche<br />

alla vita di S. Benedetto e perfino a documenti estranei all'una e<br />

all'altra, il cui spirito tuttavia collimava con quello della Regola.<br />

Qual era lo spirito della Regola rispetto al culto di Dio? Crediamo<br />

poterlo riassumere in queste poche frasi: la lode è l'opera per. eccellenza<br />

del monaco. Niente deve esserle anteposto. Ma la lode non sarà<br />

vera, vale a dire non raggiungerà il suo duplice :fine di rendere veramente<br />

a Dio la gloria che gli è dovuta e di portare l'anima gradualmente<br />

a una più intima conoscenza di Dio, se l'armonia non regna in colui<br />

che prega, ut mens nostra concordet voci nostrae. Il monaco deve salmodiare<br />

con saggezza, cioè consapevole di ciò che fa nel coro.<br />

Abbiamo visto in precedenza come i <strong>Cistercensi</strong> abbiano tagliato e<br />

rigettato tutti gli elementi avventizi che a causa del numero e della<br />

lunghezza erano recitati con noia e tiepidezza. Abbiamo anche fatto<br />

notare la premura di una perfetta esecuzione liturgica per mezzo dell'osservanza<br />

esatta delle regole di accentuazione, e la preoccupazione di<br />

non recitare niente in coro che non fosse della più rigorosa autenticità<br />

dal punto di vista del testo e della melodia.<br />

Verità e unità<br />

Quando S. Stefano promulgò la sua « enciclica» (1109) la revisione<br />

della Bibbia certamente non era ancora terminata. L'opera fu continuata<br />

e il metodo usato fu verosimilmente applicato alla revisione dei libri<br />

liturgici. Si hanno dati certi circa i lavori sull'innario e sull'antifonario,<br />

e dati generici circa il canto.<br />

Stefano redasse, come per la Bibbia, una lettera di prefazione per<br />

l'innario. Non porta alcuna data, ma è anteriore al 1115-1118. Ecco la<br />

traduzione del testo pubblicato da D. Blanchard (Rev. bénédictine, XXXI,<br />

1914-1919, pago 38; copia presso D. OTHON, Orig. cist., pago 106,<br />

nota 3), come nel ms 9 f O 144 della biblioteca di Nantes: «Inizio della<br />

lettera di Stefano, secondo abate di Citeaux, a proposito degli inni.<br />

- 112-


Fratello Stefano, secondo servo del Nuovo Monastero, ai suoi successori,<br />

salute. Rendiamo noto ai figli della Santa Chiesa che questi inni sono<br />

stati portati qui, nella nostra dimora che si chiama il Nuovo Monastero,<br />

dalla Chiesa di Milano dove sono cantati, e che furono composti<br />

dal Beato Ambrogio. Decretiamo d'accordo con i fratelli che non dovranno<br />

mai essere cantati altri inni, perché questi il nostro Padre e<br />

Maestro Benedetto ci ha prescritti nella sua Regola, e perché questa<br />

Regola abbiamo deciso di osservare col più grande zelo. Vi ordiniamo perciò,<br />

in forza dell'autorità di Dio e della nostra, di non osar mai attenuare<br />

o distruggere per leggerezza l'integrità della Santa Regola che è<br />

stata elaborata per noi con tanto sudore e che vedete praticata in questo<br />

luogo, ma di conservare piuttosto questi inni gelosamente ». Testo poco<br />

conosciuto ma sensato, scritto in un linguaggio semplice ma grandioso e<br />

perfino solenne. Vi si riconosce lo stile dell'« enciclica» sulla Bibbia.<br />

Costituisce un magnifico commento alle parole dell'Exordium parvum:<br />

amator regulae et loci, e denota un forte attaccamento alla Regola e al<br />

Nuovo Monastero.<br />

Così, al fine di salvaguardare l'integrità della Regola, i primi <strong>Cistercensi</strong><br />

non esitarono a fare il viaggio fino a Milano per prendere<br />

gli inni ambrosiani (è poco probabile che i due inviati di Alberico nel<br />

1100, Giovanni e Ilbod, avessero il tempo di fare essi stessi questa<br />

copia).<br />

S. Stefano ha pubblicato lettere di prefazione all'antifonario ed<br />

agli altri libri liturgici? Lo si ignora. Ma per quanto riguarda l'antifonario,<br />

e sempre nell'intenzione di non cantare nulla che non fosse<br />

assolutamente autentico, si sa che i <strong>Cistercensi</strong> si recarono a Metz per<br />

copiare l'antifonario di Amalario ritenuto « vero gregoriano ». Vedremo<br />

più avanti che non bisogna dare troppa importanza alle critiche della prefazione<br />

del trattato De cantu che stimmatizza questo antifonario come<br />

pieno di difetti. Quel che è vero è che qualche anno più tardi non soddisfaceva<br />

più nessuno.<br />

Il principio generatore di Citeaux, dunque, fu anche il principio generatore<br />

della liturgia cistercense: tornare il più possibile alla Regola e<br />

a tutto ciò che è veramente autentico, non per smania di arcaismo ma<br />

per ritrovare lo spirito di S. Benedetto. « Il risultato fu di un puritanesimo<br />

troppo spinto, perfino esagerato, che però fu attenuato subito, forse<br />

sotto l'influenza delle critiche che questa riforma subì» (J. CANIVEZ,Le<br />

rite cistercien, in Ephemerides liturgicae, XLIII, 1949, pago 285).<br />

Accanto a questo, un altro principio fu stabilito per la liturgia.<br />

Era indicato nell'« enciclica» e sottinteso nella prefazione all'innario<br />

- 113-


prima d'essere formulato nella Carta caritatis e rinnovato e precisato<br />

nei primi I nstituta generalis Capituli: conservare l'uniformità nei libri<br />

liturgici. Si comprende facilmente come, dopo aver tanto lavorato per<br />

ricercare i testi più autentici e fatto del Nuovo Monastero il monasterotipo,<br />

S. Stefano proibisce nel modo più formale che nessuno si allontanasse<br />

dagli usi seguiti e dai libri usati nel Nuovo Monastero: « ... affinché<br />

non si trovino discordanze nei nostri atti, e perché possiamo vivere nella<br />

stessa carità, sotto la stessa regola, secondo gli stessi costumi ».<br />

Povertà e semplicità<br />

La lode a Dio non è perfetta se lo spirito del monaco è distratto.<br />

S. Benedetto richiedeva che l'oratorio fosse quel che doveva essere: il<br />

luogo della preghiera. Nient'altro vi si doveva fare. Non ci si meraviglierà<br />

se i <strong>Cistercensi</strong> hanno voluto fare della loro chiesa ciò che potrebbe<br />

chiamarsi un «laboratorio della preghiera», dove assolutamente<br />

nulla può venire a disturbarli nell'esercizio di un'arte così delicata.<br />

Soltanto così si spiegano alcuni passi fatti da S. Stefano, riferiti nell'Exordium<br />

magnum.<br />

La chiesa cistercense, laboratorio della preghiera, sarà di conseguenza<br />

spoglia di tutto ciò che potrebbe distrarre i sensi e rallentare<br />

l'ascesa dell'anima verso Dio. Pare che questo sia il movente della seconda<br />

serie di decisioni apportate da Stefano e confratelli e destinate a<br />

bandire ogni lusso dalle cerimonie del culto e dalle chiese. «Affinché<br />

nella chiesa, dove avrebbero dovuto attendere giorno e notte al servizio di<br />

Dio, non ci fosse nulla di fastoso o di vanitoso che potesse offendere la<br />

povertà, guardiana di virtù che avevano abbracciata volontariamente,<br />

stabilirono di non avere croci né d'oro né d'argento ma soltanto di<br />

legno dipinto, né candelabri tranne uno solo di ferro; anche gli incensieri<br />

saranno di ferro o di rame, le pianete di fustagno o di lino, senza seta,<br />

né oro né argento; i camici e gli amitti saranno di lino senza ornamenti<br />

di seta o d'oro o d'argento. L'uso dei piviali, delle dalmatiche e delle tuniche<br />

sarà abolito. Il calice e il cannello saranno di argento dorato, mai<br />

di oro. Le stole e i manipoli saranno di seta, ma senza oro né argento;<br />

le tovaglie d'altare saranno di lino senza disegni e le ampolline senza<br />

oro né argento ».<br />

Sarebbe un errore vedere in queste decisioni un primo passo fuori<br />

del quadro della Regola, una prima evoluzione dello spirito primitivo<br />

di Citeaux, sotto pretesto che S. Benedetto non aveva rigettato il lusso<br />

- 114-


nelle chiese: aveva richiesto che l'oratorio fosse ciò che il nome stesso<br />

esigeva, la casa di Dio, il tempio della preghiera. Ma appunto per questo<br />

una grave obiezione poteva esser fatta. E la fecero i primi <strong>Cistercensi</strong>,<br />

e più tardi S. Bernardo. Elredo di Rielvaux la formulò in questi termini:<br />

« Ciò che v'è di luccicante e di pomposo nel culto esteriore della religione<br />

non è forse una fonte di distrazioni atta a distruggere la vita interiore<br />

e nascosta nell'anima? ».<br />

Dal punto di vista della povertà e della semplicità che conviene<br />

al monaco, si rimane sconcertati quando si legge nelle Consuetudine: de<br />

Cluny il fasto delle cerimonie nei giorni di grande festa, col presbiterio<br />

tutto rivestito di tende, gli stalli ricoperti di tappeti, tutti i monaci in<br />

camice e piviale e i ragazzi in tunica di seta che si muovevano in uno sfavillio<br />

di luci. Sarebbe stato inutile bandire dal monastero le corti dei<br />

principi col lusso che le accompagnavano, se i monaci fossero vissuti<br />

in un'atmosfera di sontuosità. E dopo tutto, il miglior sistema per tenere<br />

a distanza nobili e signori con le loro feste mondane era sopprimere<br />

nell'oratorio le grandi cerimonie e tutto ciò che avrebbe potuto attirare<br />

i grandi col destarne la curiosità. La decisione di mantenere la semplicità<br />

del culto e la povertà dell'oratorio è dunque intimamente legata alla<br />

proibizione fatta al duca e ai signori. L'una e l'altra sono il miglior commento<br />

pratico a: a saeculi actibus se [acere alienum.<br />

L'effetto fu immediato, e l'Exordium paruum poté lanciare questo<br />

grido di trionfo: in quel tempo il monastero si accrebbe in terre e in<br />

beni, e lo spirito religioso non venne meno.<br />

Sviluppi<br />

L'opera liturgica dovette esser terminata dopo la fondazione delle<br />

prime figlie di Citeaux, perché la Carta della Carità prescrive alle abbazie<br />

già fondate e da fondarsi di avere tutti i libri liturgici conformi<br />

a quelli del Nuovo Monastero: uolumus ut mores et cantus et omnes<br />

libros ad boras diurnas et nocturnas et ad missas necessarios secundum<br />

[ormam morum et librorum novi monasterii possideant, e uno dei primi<br />

Instituta generalis capituli precisa (verso il 1120): Missale, textus,<br />

epistolare, collectaneum, gradati antipbonarium, bymmarium, psalterium,<br />

lectionarium, regula, Kalendarium ubique unijormiter babeantur.<br />

Questa prima collezione purtroppo è andata perduta. Nella biblioteca<br />

di Digione si conserva un Bréuiaire, Missel et Usages de Citeaux,<br />

ms. 114(82), composto di quindici libri ad divinum officium pertinentes.<br />

- 115-


In prima pagina vi si legge una dichiarazione di cui ecco la traduzione:<br />

« In questo volume sono contenuti i libri concernenti il culto divino, che<br />

nel nostro Ordine non devono differire da un posto all'altro. Sono raggruppati<br />

in un solo volume soprattutto perché esso sia un esemplare per<br />

conservare l'uniformità e correggere le discordanze negli altri ». Questo<br />

manoscritto-tipo fu redatto tra il 1170 e il 1187, e rappresenta di conseguenza<br />

una liturgia abbastanza tardiva. Manchiamo di dati per seguire<br />

con precisione il cammino percorso. Ci fu infatti un'evoluzione.<br />

A dispetto della proibizione formulata da S. Stefano, nuovi inni furono<br />

introdotti: l'hymnarium del ms-tipo è andato perduto ma un breviario<br />

contemporaneo (Vaticano, Chigi C. V. 138) riporta 70 tra inni e divisioni<br />

d'inni. E d'altra parte l'antifonario fu l'oggetto di una revisione metodica,<br />

col consenso di S. Stefano e degli anziani di Citeaux, ex eorum<br />

assensu. Torneremo più tardi su questo argomento.<br />

La prefazione del manoscritto-tipo e quella dell'antifonario (trattato<br />

De cantu) testimoniano se non altro che i principi cari ai primi<br />

<strong>Cistercensi</strong>: la ricerca dell'autenticità e l'uniformità da conservare nei<br />

libri liturgici, furono sempre in onore nell'Ordine. Le decisioni di<br />

S. Stefano relativa alla povertà e alla semplicità nelle chiese, che bandivano<br />

dall'oratorio sculture e pitture, saranno riprese nelle collezioni di<br />

Instituta generalis capituli e in alcuni punti saranno anche aggravate:<br />

saranno proibite. le chiusure d'oro o d'agento, o semplicemente dorate<br />

per i libri liturgici, e vietate le miniature e i vetri a più colori.<br />

{Traduzione di P. IGINOVONA,O. CIST.)<br />

- 116-

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