Guerrilla gardeners tra gli scarti urbani - L'odore dei pomeriggi
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Poi, per qualche tempo, non parlammo più del parchetto di via Sasso. Fu solo a luglio che esso si presentò davanti ad uno dei nostri banchetti divulgativi sotto forma di un gruppetto di pensionate. Racconta uno dei ragazzi del gruppo: “É stato a Festambiente l'anno scorso che quelle signore sono arrivate al banchetto e fanno, in dialetto, “siete voi quelli che hanno messo le piante al parco là?” e io sono rimasto un po'... oddio... vogliono dirci su? vogliono litigare? E in realtà ci hanno spiegato come dei ragazzi erano arrivati, avevano tirato fuori il vaso dalla terra e loro sono andate a rimettere a posto... non era un complimento diretto alla nostra azione, ma mi è parso un fatto positivo.” 9 Fu così che cominciò a sgretolarsi l'idea che ci eravamo fatti del quartiere e della città intera, come di un luogo popolato per lo più da soggetti passivi, freddi di fronte alle nostre azioni improvvisate. La nostra rappresentazione di guerrilla gardening era progressivamente mutata da ciò che avevamo visto e letto su internet a ciò che stavamo realizzando con le nostre mani, alle nostre modalità d'intervento. Per certi versi quest'ultime escludevano a priori la partecipazione al gruppo di una persona anziana, poiché le riunioni e altre importanti segnalazioni avvenivano online, attraverso il forum. C'era dunque la volontà di coinvolgere gli abitanti della zona, ma l'idea che difficilmente avrebbero cominciato a fare guerrilla gardening costituiva un ostacolo. Per questo motivo ci sono state situazioni in cui, discutendo, è emersa l'idea che la nostra azione si stesse trasformando in un qualcosa di fine a se stesso, incapace di smuovere chiunque non appartenesse alla nostra comunità. In tal senso stavamo assumendo un 9 Intervista a Ivan (27 anni) 82 82
atteggiamento di superiorità. Le esperienze negative collezionate fino a quel momento ci impedivano di vedere oltre il nostro punto di vista. Per dirla con Marianella Sclavi, la nostra era una “visione ingenua” (Scavi, 2003). Il nostro atteggiamento cominciò dunque a mutare a seguito di quel primo incontro con alcune signore che erano solite frequentare il parco di via Sasso. L'aria dei Ferrovieri aveva un odore diverso rispetto a quella di San Giuseppe, nonostante fossero quartieri confinanti. Nel secondo caso l'interazione tra Santa Alleanza e abitanti del luogo, nonostante i plurimi tentativi di “variazioni sul tema del guerrilla gardening” proposti dal gruppo, si configurava come un loop comunicativo o un feedback ottuso 10 (Bateson, 1972) In via Sasso, invece, potevamo cogliere il sentore di apertura, di accoglienza. Fu per questo che decidemmo di investire energia e tempo in quello spazio. Avevamo l'impressione che ciò che stavamo facendo fosse apprezzato. A distanza di circa tre mesi dal primo intervento tornai al vascone di via Sasso con due ragazze del gruppo, che avevano proposto un intervento per ripulirlo dalle infestanti che erano ricresciute nel frattempo. Ricordo che arrivai per prima, parcheggiai la bici carica di annaffiatoi e attrezzi e, con sommo stupore, realizzai che tutto il lavoro di pulizia era già stato fatto da qualcun'altro. 10 “Gli schemi ripetuti nelle relazioni sono molto diffusi e spesso sono il fondamento di liti continue sugli stessi temi o con le stesse caratteristiche. Si parla in questo caso di circolarità di tipo “meccanico”, ovvero in cui si realizza un feedback ottuso nel quale lo schema si ripete uguale a se stesso. Si tratta di veri e propri loop comunicativi; in altre parole di nodi, cappi in cui si realizzano sequenze circolari apparentemente senza via di uscita. I soggetti compiono i loro “passi” alimentandosi reciprocamente, senza modificare le mutue posizioni, ma reiterando azioni comunicative identiche e ripetute nel tempo.” (Rettore, 2007, pg. 157) 83 83
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momento ci impedivano di vedere oltre il nostro punto di vista. Per dirla<br />
con Marianella Sclavi, la nos<strong>tra</strong> era una “visione ingenua” (Scavi, 2003).<br />
Il nostro atteggiamento cominciò dunque a mutare a seguito di quel<br />
primo incontro con alcune signore che erano solite frequentare il parco di<br />
via Sasso. L'aria <strong>dei</strong> Ferrovieri aveva un odore diverso rispetto a quella di<br />
San Giuseppe, nonostante fossero quartieri confinanti. Nel secondo caso<br />
l'interazione <strong>tra</strong> Santa Alleanza e abitanti del luogo, nonostante i plurimi<br />
tentativi di “variazioni sul tema del guerrilla gardening” proposti dal<br />
gruppo, si configurava come un loop comunicativo o un feedback ottuso 10<br />
(Bateson, 1972)<br />
In via Sasso, invece, potevamo co<strong>gli</strong>ere il sentore di apertura, di<br />
acco<strong>gli</strong>enza. Fu per questo che decidemmo di investire energia e tempo in<br />
quello spazio. Avevamo l'impressione che ciò che stavamo facendo fosse<br />
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A distanza di circa tre mesi dal primo intervento tornai al vascone di<br />
via Sasso con due ragazze del gruppo, che avevano proposto un intervento<br />
per ripulirlo dalle infestanti che erano ricresciute nel frattempo. Ricordo che<br />
arrivai per prima, parcheggiai la bici carica di annaffiatoi e attrezzi e, con<br />
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su<strong>gli</strong> stessi temi o con le stesse caratteristiche. Si parla in questo caso di circolarità di tipo<br />
“meccanico”, ovvero in cui si realizza un feedback ottuso nel quale lo schema si ripete uguale a se<br />
stesso. Si <strong>tra</strong>tta di veri e propri loop comunicativi; in altre parole di nodi, cappi in cui si realizzano<br />
sequenze circolari apparentemente senza via di uscita. I soggetti compiono i loro “passi”<br />
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