Guerrilla gardeners tra gli scarti urbani - L'odore dei pomeriggi

questo caso l'aspetto “costruito”. Io, invece, ho fatto fatica a rapportarmi a
quell'area in termini critici, perché non ricordo la collinetta che c'era prima
che le ruspe cominciassero a scavare. Essendo un po' più giovane di Enrica,
ho interiorizzato l'idea di parco camminando sull'erba di quello di San
Giuseppe. Prima di scoprire nuovi mondi e di intraprendere la via del
guerrilla gardening, ero convintissima che i parchi pubblici potessero e
forse dovessero essere schematici, geometrici e con qualche albero
dall'aspetto triste. Questo perché, passando tanti pomeriggi della mia
infanzia nel luogo appena descritto, sono stata socializzata ad una certa idea
di “verde pubblico”, dove “pubblico” sta per “di nessuno”.
In questo caso non sono stati solo i miei altri significativi, ovvero i
miei genitori e i miei nonni, a trasmettermi un'insieme di informazioni
normative sui parchi pubblici; è stato lo stesso parco di San Giuseppe a
farmi capire cosa potevo e cosa non potevo fare, dove potevo o non potevo
andare.
Ora mi rendo conto che questo insieme di prescrizioni e proscrizioni è
insito in ogni luogo e in ogni oggetto socialmente costruito.
A volte mi è capitato di riflettere sul fatto che la mia aiuola preferita di
San Giuseppe sarebbe perfetta per fare un picnic di tanto in tanto o per
metterci un asciugamano e prendere il sole in estate. È di forma ellittica,
con un albero al centro. Tutte le altre piante che la popolano solo state
portate dalla Santa Alleanza o dal vento.
Eppure dubito che riuscirò mai a sedermi su quell'erba bruciata a
mangiare una mela scrutando l'asfalto dalla mia isola felice.
Come già affermato il precedenza, il senso comune dice che
appropriarsi, anche solo temporaneamente, di uno spazio del genere
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