Guerrilla gardeners tra gli scarti urbani - L'odore dei pomeriggi
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dominata da feedback ottusi, gli attacchi venivano comunque portati a termine, è che il gruppo era composto da un numero estremamente limitato di elementi. Tutti erano desiderosi di fare le loro prime azioni di guerrilla gardening e i problemi di comunicazione passavano così in secondo piano. Con l'ampliamento del gruppo, onde evitare una prematura disintegrazione, divenne evidente la necessità risolvere i primi conflitti interni e di trovare un bilanciamento tra le istanze portate da ciascuno. Se nei primi tempi le interazioni durante le riunioni erano abbastanza fredde e impacciate, perché non tutti si conoscevano bene, con il passare dei mesi agli occhi rivolti al cielo e agli sbuffi hanno cominciato a sostituirsi delle sonore risate e delle battute che aiutano i destinatari ad uscire dalle loro cornici (Sclavi, 2003). Riunione dopo riunione, la forma di questo tipo d'interazione è andata consolidandosi, anche se resta ancora spazio per la creatività, le divagazioni e saltuari confronti che vengono vissuti come problematici dai presenti. Si tratta di un principio di sedimentazione nel tempo di forme di azione reciproca (Jedlowski, 1995). Nel processo di sociazione, descritto da Georg Simmel, queste forme delineano strutture e confini dei gruppi. Tradotto in termini durkheimiani, si tratta di azioni rituali che “esprimono la realtà sociale e al tempo stesso tendono a cristallizzarla in rappresentazioni simboliche” (Sterchele, 2007). L'istante in cui realizzai che le riunioni del gruppo non erano più incontri privi qualsivoglia struttura, ma stavano invece cominciando a reggersi su un canovaccio co-costruito, fu -almeno per la sottoscritta- 46 46
peculiare. Eravamo in undici, tutti seduti in cerchio attorno ad un tavolino striminzito di un bar in zona industriale. Sul tavolino troneggiavano i nostri bicchieri di spritz e il mio registratore. Cercavamo di parlarci nonostante il rumore causato da una band musicale che stava effettuando il soundcheck. Il frastuono era tale che avevamo difficoltà a sentirci anche se separati da meno di un metro di distanza. Questa condizione, per certi versi, favoriva il reciproco ascolto, poiché eravamo attenti a non perdere parte degli interventi di chi prendeva la parola. L'intento principale dell'incontro era quello di distribuire svariate centinaia di bulbi tra i membri del gruppo e di selezionare un certo numero di luoghi dove andare poi a collocarli. In precedenza avevo notato come la persona che proponeva “l'ordine del giorno” fosse poi anche quella che faceva da moderatore, talvolta prendendo appunti per ricordare i punti chiave emersi nella discussione ed eventualmente stendere un breve resoconto da pubblicare sul forum. Quella sera ero io a dirigere le danze, non perché lo volessi, ma perché era chiaro che tutti se lo aspettavano da me. Ero io quella che aveva scelto i bulbi (anche se mi ero basata su una tabella fatta da un'altra ragazza del gruppo), che li aveva comprati su internet (usando i soldi della cassa comune) e che li aveva portati fisicamente in quel bar per dividerli tra i presenti. Fu dunque mentre spiegavo a quale profondità piantare i bulbi e in che posizioni metterli che, uscendo per un attimo da mio corpo tutto teso, mi vidi per quello che ero. Credo di aver sussultato impercettibilmente mentre nella mia testa risuonavano le parole: “Cerimoniere? Cerimoniere del rito?! Non posso essere il cerimoniere del 47 47
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Con l'ampliamento del gruppo, onde evitare una prematura<br />
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reciproca (Jedlowski, 1995). Nel processo di sociazione, descritto da Georg<br />
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