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Guerrilla gardeners tra gli scarti urbani - L'odore dei pomeriggi

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI<br />

PADOVA<br />

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE<br />

Corso di laurea triennale in<br />

Scienze Sociologiche<br />

Curriculum: Processi culturali, differenze e comunicazione<br />

GUERRILLA GARDENERS TRA GLI<br />

SCARTI URBANI:<br />

NUOVI ATTORI DEL MOVIMENTO<br />

ECOLOGISTA?<br />

Relatore: Prof. La Mendola Salvatore<br />

Laureanda: FERRARI MARGHERITA<br />

A.A. 2009/2010<br />

matricola n. 557737/SCS


S O M M A R I O<br />

Premessa……………………………………………………………………pg. 5<br />

Mappa de<strong>gli</strong> “attacchi”……………………………………………………..pg. 7<br />

1. <strong>Guerrilla</strong> che?.............................................................................................pg. 8<br />

2. Dalle varietà antiche ai nuovi ibridi……………………………………...pg. 12<br />

3. Movimenti………………………………………………………………..pg. 18<br />

3.1. Le luci della ribalta e la zona d'ombra……………………………….pg. 18<br />

3.2. L'associazionismo vicentino e il No Dal Molin……………………..pg. 20<br />

3.3. Il Parco della Pace…………………………………………………...pg. 26<br />

3.4. La nebulosa.........................................................................................pg. 32<br />

4. Rituali........................................................................................................pg. 40<br />

5. A ciascuno i suoi oggetti sacri..................................................................pg. 51<br />

6. Dissonanze................................................................................................pg. 65<br />

7. La costruzione sociale dell'aiuola pubblica..............................................pg. 68<br />

7.1. Il caso del quartiere di San Giuseppe................................................pg. 71<br />

7.2. Il caso del parchetto di via Sasso......................................................pg. 79<br />

8. Ribalta e retroscena/Visibilità e latenza...................................................pg. 89<br />

8.1. Il letargo............................................................................................pg. 92<br />

8.2. Lo sgabuzzino <strong>dei</strong> self......................................................................pg. 95<br />

8.3. Le comari..........................................................................................pg. 99<br />

Allegati........................................................................................................pg. 102<br />

Bibliografia..................................................................................................pg. 107<br />

LICENZA CREATIVE COMMONS: ATTRIBUZIONE-CONDIVIDI ALLO<br />

STESSO MODO 2.5 ITALIA<br />

HTTP://CREATIVECOMMONS.ORG/LICENSES/BY-SA/2.5/IT/


“The swiftness with which you changed from a student to a rioter, from a<br />

rioter to a passerby, from a passerby to a brick-thrower and then to a loudmouth, a<br />

nurse, or a lover.<br />

It was the space of continual metamorphosis. [...] You could assume any<br />

appearance without deriving an identity from it.”<br />

(Adilkno, 1994, pg. 34 e 35)<br />

“Le seul véritable voyage, le seul bain de Jouvence, ce ne serait pas d'aller<br />

vers de nouveaux paysages, mais d'avoir d'autres yeux, de voir l'univers avec les<br />

yeux d'un autre, de cent autres, de voir les cent univers que chacun d'eux voit, que<br />

chacun d'eux est”<br />

Marcel Proust


PREMESSA<br />

Curiosamente, l'oggetto della mia ricerca prese forma nei giorni in cui<br />

realizzai la non esistenza di un gruppo di guerrilla gardening in Veneto.<br />

Chissà perché, ero convinta che dovesse esserci.<br />

Dopo aver contattato tutte le “cellule” (o quasi) presenti allora in Italia<br />

ed aver ottenuto risposte utili solo dal gruppo Badili Badola di Torino,<br />

pareva che la mia ipotetica ricerca fosse giunta ad un punto morto ancor<br />

prima di avere ufficialmente inizio.<br />

Nel contempo avevo parlato del mio progetto e del guerrilla gardening<br />

ad un gran numero di amici e conoscenti, sperando che qualcuno mi potesse<br />

aiutare a scovare il gruppo di Padova.<br />

Fu così che, nel tardo <strong>pomeriggi</strong>o di una non me<strong>gli</strong>o identificata<br />

giornata di aprile 2009, mi scoprii intenta a sorseggiare del vino in<br />

compagnia di quello che, insieme alla sottoscritta, sarebbe poi divenuto il<br />

nucleo originario della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi.<br />

Partecipando fin dal principio alle attività del gruppo ho avuto modo<br />

di studiare la genesi di un piccolo nucleo di guerrilla <strong>gardeners</strong> e di seguirne<br />

poi <strong>gli</strong> sviluppi.<br />

Oggetto della mia etnografia sono state le riunioni, i cosiddetti<br />

“attacchi” o “azioni di ripristino”, le comunicazioni sul forum o più in<br />

generale la presenza del gruppo online nonché il reticolo d'interazioni<br />

sviluppatesi <strong>tra</strong> “guerri<strong>gli</strong>eri”, associazioni, comitati, gruppi spontanei e<br />

comuni cittadini.<br />

In generale ho cercato di monitorare il più possibile ciò che accadeva<br />

ogni qual volta mi trovassi in una situazione che potesse essere riferita<br />

5<br />

5


all'attività vicentina di guerrilla gardening.<br />

6<br />

6


MAPPA DELLE AREE COLPITE DALLA SANTA ALLEANZA DEI<br />

GUERRIGLIERI VERDI TRA APRILE 2009 E GENNAIO 2010.<br />

7<br />

7


CAPITOLO 1<br />

GUERRILLA CHE?<br />

Parlando di guerrilla gardening si rischia spesso di non essere<br />

compresi. E questo non avviene solo in Italia. In terra anglofona la parola<br />

guerrilla si pronuncia come gorilla, il ché da luogo a non pochi<br />

fraintendimenti.<br />

Secondo Wikipedia per guerrilla gardening “si intende una forma di<br />

giardinaggio politico, [...] di azione non violenta diretta, praticata<br />

soprattutto da gruppi ambientalisti. [...] Gli attivisti rilevano un pezzo di<br />

terra abbandonato, che non <strong>gli</strong> appartiene, per farci crescere piante o<br />

colture. Certi gruppi di guerrilla gardening compiono le loro azioni durante<br />

la notte, in relativa segretezza. Altri lavorano più apertamente, cercando di<br />

coinvolgere le comunità locali.” 1<br />

Questa definizione, pur essendo imprecisa e generica, rappresenta un<br />

buon punto di partenza per comprendere l'argomento di cui stiamo<br />

parlando.<br />

Come spesso succede ai contenuti di Wikipedia, essa è una chiara<br />

rielaborazione di informazioni <strong>tra</strong>tte da due libri e da alcuni articoli<br />

comparsi principalmente online.<br />

Gli autori <strong>dei</strong> due volumi in questione sono l'inglese Richard Reynolds<br />

e il canadese David Tracey.<br />

Il volto di Richard Reynolds emerge costantemente, quando si cercano<br />

online informazioni sul guerrilla gardening. E<strong>gli</strong> è una sorta di referente<br />

ufficioso di tutti i giardinieri non autorizzati. Si è conquistato la sua fama<br />

1 http://it.wikipedia.org/wiki/<strong>Guerrilla</strong>_gardening<br />

8<br />

8


at<strong>tra</strong>verso il blog guerrillagardening.org, che oggi funge da aggregatore<br />

mondiale e ospita al suo interno un forum utilizzato da molti per progettare<br />

interventi in tutti i continenti.<br />

Grazie alla pubblicazione del libro On <strong>Guerrilla</strong> Gardening (2008),<br />

Reynolds ha raggiunto una certa notorietà. Per questo motivo pare che molti<br />

giornalisti del Regno Unito lo considerino un punto di riferimento, un<br />

esperto di guerrilla gardening, un insider (Goffman, 1959) al quale<br />

rivolgere domande e richieste di delucidazioni.<br />

Lo abbiamo visto preparare “bombe di semi” in un video disponibile<br />

sul sito del Guardian 2 o farsi pedinare da Current tv 3 durante l'intera<br />

progettazione di un intervento.<br />

Nel suo libro (Reynolds, 2008) ha definito il guerrilla gardening come<br />

“the illicit cultivation of someone else's land”.<br />

gardening.<br />

David Tracey è stato il primo a pubblicare un intero libro sul guerrilla<br />

<strong>Guerrilla</strong> Gardening: A Manualfesto (2007), a differenza del testo di<br />

Reynolds, non contiene particolari digressioni sulla presunta storia di<br />

questo fenomeno. Propone invece moltissime indicazioni pratiche per<br />

diventare un guerrilla gardener provetto nonché testimonianze di chi ha<br />

realizzato imprese notevoli in quest'ambito.<br />

Nel suo libro non è facile trovare definizioni univoche; se in un primo<br />

momento quest'assenza può lasciare perplessi, proseguendo con la lettura il<br />

senso di questa scelta emerge poco per volta.<br />

Già dalle prime pagine Tracey afferma:<br />

2 http://www.guardian.co.uk/environment/video/2008/apr/25/seedbombing<br />

3 http://current.com/items/76369942_guerri<strong>gli</strong>eri-del-giardinaggio.htm<br />

9<br />

9


“guerrilla gardening is autonomy in green. You don't have to join a club or<br />

pay any dues or accept any codes. You even get to define it for yourself. I<br />

call it “gardening public space with or without permission.” But as<br />

definitions go, I have to admit, that's pretty thin. The gardening part is easy<br />

enough, if we can agree it means “tending a defined space for the cultivation<br />

or appreciation of natural things, usually plants but not necessarily if you<br />

include weird art like those giants blue tubes representing pencils or<br />

something. The harder question is: what public space?” (Tracey, 2007, pg. 4-<br />

5)<br />

Avendo avuto contatti con guerrilla <strong>gardeners</strong> di tutti i tipi 4 , Tracey<br />

co<strong>gli</strong>e l'impossibilità di <strong>tra</strong>durre ciò che ha osservato e udito in una frase ad<br />

effetto, sintetica quanto incapace di esprimere la varietà insita nella pratica<br />

del giardinaggio non autorizzato.<br />

Al con<strong>tra</strong>rio, la proliferazione di articoli dedicati a quest’argomento<br />

sulle riviste e sui giornali si muove in senso opposto. Molto spesso azioni<br />

che lasciano <strong>tra</strong>sparire una gran varietà di significati vengono normalizzate<br />

da una foto patinata e collocate nella sezione delle “nuove tendenze”.<br />

Un buon esempio in tal senso può essere un <strong>tra</strong>filetto in cui mi sono<br />

imbattuta sfo<strong>gli</strong>ando un numero della rivista Psychologies 5 , dal titolo “La<br />

rivoluzione con un giardino”. Esso recita:<br />

“La vos<strong>tra</strong> città non vi piace? Regalatele uno spazio verde che risponda al<br />

vostro bisogno di colore e libertà. Con questa filosofia i “guerri<strong>gli</strong>eri verdi”,<br />

un esercito armato di carriole e rastrelli, organizzano in varie città italiane<br />

-come Torino e Milano- azioni urbane per <strong>tra</strong>sformare <strong>gli</strong> angoli degradati<br />

della città in giardini pieni di energia.”<br />

4 Nel suo libro (Tracey, 2007), infatti, riporta un gran numero di interviste ad “esperti” di guerrilla<br />

gardening o di giardinaggio socialmente utile, come Bev Wagar (idem, pg. 78), Terry Taylor<br />

(idem, pg. 112) e Muggs Sigurgeirson (idem, pg. 150)<br />

5 Http://www.psychologies.it<br />

10<br />

10


Una peculiarità del guerrilla gardening, così come l'ho colta<br />

praticandolo ed interagendo con altri attivisti, è quella di presentarsi ai<br />

nostri occhi come un materiale estremamente malleabile. Da un lato sono in<br />

molti, Reynolds (2008) compreso, a definirlo “movimento”; dall'altro il<br />

guerrilla gardening si configura come un repertorio d'azione fra tanti, a<br />

disposizione di attori sociali che si occupano sostanzialmente d'altro. Chi<br />

osservi il fluire della quotidianità avendo a mente i pochi dettami che<br />

reggono il concetto di guerrilla gardening avrà inoltre modo di constatare<br />

come esso sia in realtà molto più diffuso di quel che si pensi. Molte delle<br />

persone che -secondo <strong>gli</strong> attivisti “guerrilla gardener”- rientrerebbero<br />

agevolmente nel movimento, non ne hanno mai sentito parlare.<br />

Un caso emblematico è quello di cui sentii parlare durante una<br />

riunione del gruppo protagonista della mia etnografia. Una ragazza raccontò<br />

che, prima di <strong>tra</strong>sferirsi in città, abitava in un paese a pochi minuti da<br />

Vicenza. All'epoca aveva sentito parlare del guerrilla gardening e, con un<br />

gruppo di amici, aveva deciso di progettare qualche “attacco”. Fu con non<br />

poco sconcerto che scoprì come ogni singola aiuola del paese fosse già<br />

perfettamente curata. I responsabili di tutto ciò erano alcuni anziani abitanti<br />

della zona che, incuranti dell'illegalità <strong>dei</strong> loro atti, si occupavano<br />

personalmente e spontaneamente del buono stato del verde nella piccola<br />

comunità di collina.<br />

Mentre ascoltavo questo racconto insieme a<strong>gli</strong> altri ragazzi del<br />

gruppo, ricordo di aver notato una venatura di stordimento ne<strong>gli</strong> sguardi di<br />

chi mi circondava e in me stessa. Parafrasando una domanda posta da<br />

Marianella Sclavi ai suoi studenti, avrei potuto chiedere in quel momento:<br />

“Secondo voi le attività di giardinaggio de<strong>gli</strong> anziani di Monteviale sono o<br />

11<br />

11


non sono guerrilla gardening? 6 ”<br />

Eravamo solo a<strong>gli</strong> inizi della nos<strong>tra</strong> attività. Non avevamo le idee<br />

molto chiare sul come descrivere quello che stavamo facendo. Nel venire a<br />

conoscenza che qualcuno si dedicava al giardinaggio in luoghi pubblici a<br />

pochi chilometri dalla città, chiamandolo in modo diverso da noi o<br />

addirittura non definendolo affatto ci colpì come un fulmine e ci lasciò<br />

disorientati per qualche istante.<br />

La risposta alla domanda mai pronunciata aleggiava intorno alle<br />

nostre teste; “Beh... possono essere viste come guerrilla gardening.”<br />

6 Mi riferisco alla domanda “Secondo voi questi sono o non sono un quadrato?” presente nel<br />

paragrafo “Come si esce alle cornici di cui siamo parte (Giochi proibiti)” (Sclavi, 2003)<br />

12<br />

12


CAPITOLO 2<br />

DALLE VARIETÀ ANTICHE AI NUOVI IBRIDI<br />

Tracciare la storia del guerrilla gardening è un'impresa a dir poco<br />

complessa, mai tentata con lo scopo di produrre un testo che avesse valore<br />

scientifico. Chi ha azzardato la stesura di una serie di tappe fondamentali si<br />

è limitato a raccontare vicende alternatesi a partire dai tardi anni Sessanta<br />

(Tracey, 2007). Ogni tentativo di scavare in un passato più remoto tende in<br />

genere a deviare dalla ricerca delle prime <strong>tra</strong>cce del guerrilla gardening,<br />

seguendo invece le orme di popoli, comunità e singoli individui che lo<br />

hanno in qualche modo anticipato, ma che rien<strong>tra</strong>no più agevolmente nella<br />

categoria delle fonti d'ispirazione piuttosto che in quella de<strong>gli</strong> avi.<br />

David Tracey cita, ad esempio, il popolo <strong>dei</strong> Rom:<br />

“The Roma are believed to have first trekked out of Northwest India more<br />

than 1000 years ago, and they have been on the road ever since. On<br />

<strong>tra</strong>velling routes they planted seedling potatoes at favored stopping places,<br />

knowing they would be back at harvest time to reap a crop grown on<br />

someone else's land.” (Tracey, 2007, pg. 20).<br />

Richard Reynolds, invece, propone molti esempi più o meno attinenti,<br />

che vanno da Emiliano Zapata a John Chapman, altrimenti noto con il nome<br />

Johnny Appleseed, passando per il gruppo chiamato The Diggers, che nel<br />

1649 sfidò il governo inglese e le sue leggi fondiarie realizzando un grande<br />

orto abusivo nei pressi di Waybridge, nel Surrey. (Reynolds, 2008)<br />

Eppure non occorre tornare così indietro nel tempo per nobilitare o<br />

rendere legittima la storia di un fenomeno che solo recentemente si è<br />

13<br />

13


diffuso su scala mondiale. Associare il guerrilla gardening che oggi ha<br />

luogo nelle città italiane e non solo alle lotte per il diritto alla terra che<br />

hanno coinvolto popoli interi rischia di essere fuorviante.<br />

In tal senso risulta esemplare la scelta de<strong>gli</strong> utenti di Wikipedia di<br />

attribuire alle vicende del People's Park di Berkeley, California, la valenza<br />

di primo episodio di guerrilla gardening. Prima del 1969 l'umanità aveva<br />

già assistito alla creazione de<strong>gli</strong> orti <strong>urbani</strong> e alle rivendicazioni contadine.<br />

Eppure fu solo a partire da quell'anno che prese forma un modo inedito di<br />

concepire l'occupazione dello spazio, dettato non solo da bisogni impellenti<br />

come quello di nutrirsi, ma anche dall'esigenza di creare luoghi per la<br />

socialità, che non fossero solo utili, ma anche belli. Quest'atteggiamento era<br />

ovviamente frutto di un nuovo clima culturale e politico, che ebbe il suo<br />

epicentro proprio a Berkeley.<br />

Nella primavera del 1969 la University of California acquistò un<br />

terreno di 2,8 acri situato nei pressi del campus di Berkeley, che fino a quel<br />

periodo era stato utilizzato per lo più da hippies come spazio ricreativo ed<br />

adibito ad attività sportive. L'intento era quello di radere al suolo qualsiasi<br />

cosa si ergesse all'interno del lotto e realizzarvi un parcheggio. I lavori si<br />

pro<strong>tra</strong>ssero finché non vennero a mancare i fondi necessari per terminare<br />

l'opera. Il cantiere fu abbandonato e divenne ben presto una distesa fangosa<br />

scevra di ogni at<strong>tra</strong>ttiva.<br />

Fu a quel punto che <strong>gli</strong> abitanti del luogo decisero di assumere il<br />

controllo della situazione e di <strong>tra</strong>sformare il lotto in un parco pubblico.<br />

Centinaia di persone parteciparono ai lavori, piantumando alberi e mettendo<br />

a dimora fiori.<br />

14<br />

14


Tutto sembrava andare nel mi<strong>gli</strong>ore <strong>dei</strong> modi finché, a distanza di<br />

poche settimane dall'apertura del People's Park, non intervenne l'allora<br />

governatore della California Ronald Reagan. E<strong>gli</strong> ordinò la distruzione del<br />

parco e l'allontanamento <strong>dei</strong> suoi creatori e frequentatori, che il futuro<br />

presidente de<strong>gli</strong> Stati Uniti considerava pericolosi radicali.<br />

Dopo aver tolto <strong>gli</strong> alberi e i fiori, le autorità locali fecero erigere una<br />

recinzione attorno al lotto incriminato. Il San Francisco Chronicle riportò in<br />

quei giorni le parole di Reagan sulla vicenda. E<strong>gli</strong> disse: “If there's to be a<br />

bloodbath, then let's get it over with” (Tracey, 2007)<br />

Premesse di questo tipo ebbero conseguenze <strong>tra</strong>giche; mi<strong>gli</strong>aia di<br />

persone manifestarono il loro dissenso organizzando una protesta a<br />

Berkeley. Le forze dell'ordine intervennero caricando i manifestanti.<br />

Centinaia di persone finirono in ospedale e un manifestante fu accecato<br />

permanentemente.<br />

L'espressione guerrilla gardening fu usata per la prima volta nel Lower<br />

East Side di New York. Correva l'anno 1973. All'epoca quella zona della<br />

città era estremamente degradata; molti edifici fatiscenti erano stati<br />

abbandonati e poi demoliti. Un numero considerevole di lotti sui quali<br />

sorgevano edifici risalenti ai primi decenni del '900 divennero delle piccole<br />

discariche dalle quali <strong>tra</strong>boccavano macerie e rifiuti di ogni tipo.<br />

Per quanto spiacevole, il paesaggio del Lower East Side era divenuto<br />

“normale” a<strong>gli</strong> occhi <strong>dei</strong> suoi abitanti. I cumuli d'immondizia e di calcinacci<br />

erano en<strong>tra</strong>ti a far parte di uno sfondo al quale non si prestava particolare<br />

attenzione, come capita a chiunque ripeta uno stesso percorso<br />

quotidianamente per molto tempo.<br />

15<br />

15


Le cose cominciarono a cambiare quando una giovane artista si fermò<br />

ad osservare il contenuto di un lotto situato nei pressi del suo appartamento.<br />

Oltre alle usuali pile di elettrodomestici rotti, Liz Christy vide un bambino<br />

che stava giocando arrampicandosi su un frigorifero. Sconcertata si<br />

addentrò nel lotto e lo riportò a sua madre, criticandola poi per aver lasciato<br />

che suo fi<strong>gli</strong>o giocasse in un luogo così pericoloso. La donna le rispose<br />

sarcasticamente che se era così preoccupata per tutta quell'immondizia<br />

poteva mettersi al lavoro e farla sparire.<br />

Fu così che Liz Christy, con l'aiuto di alcuni amici, ripulì l'intero lotto,<br />

che era di proprietà statale, e lo <strong>tra</strong>sformò nel primo community garden di<br />

New York City. Il gruppo di persone che se ne occupava si denominò<br />

Green <strong>Guerrilla</strong>s e divenne ben presto una fonte d'ispirazione per tutti<br />

coloro che ne<strong>gli</strong> anni successivi imitarono la loro impresa inaugurando altri<br />

giardini di quartiere.<br />

Dopo la prematura morte di Liz Christy il gruppo si istituzionalizzò,<br />

divenendo un'associazione che oggi supporta i cittadini di New York in<br />

svariate attività connesse all'agricoltura urbana e ai community gardens in<br />

particolare.<br />

Le vicende del People's Park di Berkeley e quelle <strong>dei</strong> Green <strong>Guerrilla</strong>s<br />

sono senza dubbio le più significative nella storia del guerrilla gardening.<br />

In tempi più recenti si è regis<strong>tra</strong>to un solo evento di “guerrilla<br />

gardening di massa”, i cui effetti sono però stati scarsi sul lungo periodo. Si<br />

<strong>tra</strong>tta di alcune dimos<strong>tra</strong>zioni che hanno avuto luogo a Londra durante il<br />

May Day 2000. In quell'occasione un gran numero di attivisti si radunarono<br />

fuori del Parlamento per fare guerrilla gardening, anche se molti di loro<br />

16<br />

16


causarono più danni che benefici alla città. La manifestazione fu rivendicata<br />

da Reclaim the Streets.<br />

I volantini che pubblicizzavano l'evento recitavano:<br />

“Resistance is fertile. Come prepared and ready to get your hands dirty.<br />

Bring with you everything you need to make a <strong>Guerrilla</strong> Garden: a sapling,<br />

vegetable seedlings flowers, herbs. Subvert the packaging of the Capital:<br />

turn designer <strong>tra</strong>iners into plant pots, <strong>tra</strong>ffic cones into hanging baskets...<br />

Start planting now”.<br />

Se i risultati sul piano pratico di quest'azione sono stati pochi, vale<br />

però la pena di sottolineare il modo in cui i fatti del May Day 2000<br />

ispirarono poi un gran numero di gruppi ed individui votati al guerrilla<br />

gardening. L'attitudine carnevalesca e situazionista di chi partecipò a quella<br />

manifestazione è la stessa che anima oggi molti giardinieri dediti alla<br />

guerri<strong>gli</strong>a vegetale.<br />

Una conferma in tal senso è data dal modo in cui i gruppi si<br />

presentano:<br />

Nel 2000 Reclaim the Streets si definiva così: “A direct action<br />

network for global and local social-ecological revolution(s) to <strong>tra</strong>nscend<br />

hierachical and authoritarian society (capitalism included), and still be<br />

home in time for tea.”<br />

Oggi, invece, la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi si descrive in<br />

questi termini: “Giardinaggio rigo<strong>gli</strong>oso e ribelle, rapido e duraturo.<br />

Quando zappare è figo, avere una vanga è uno status symbol e il concime e<br />

la torba sono terribilmente sexy.”<br />

17<br />

17


CAPITOLO 3<br />

MOVIMENTI<br />

3.1. Le luci della ribalta e la zona d'ombra<br />

Una credenza diffusa <strong>tra</strong> <strong>gli</strong> estimatori dell'azione razionale rispetto<br />

allo scopo (Weber, 1922) dice che il guerrilla gardening è legittimo, sensato<br />

e degno di considerazione solo se ha luogo in una città invivibile e<br />

densamente popolata.<br />

In Italia Milano è diventata progressivamente il caso emblematico.<br />

I fattori che hanno portato al costituirsi di questa rappresentazione<br />

collettiva sono plurimi.<br />

Nel libro Anarchy in the EU Alex Foti esplicita una questione molto<br />

spesso <strong>tra</strong>scurata dai media e, più in generale, da chi scrive e ha scritto di<br />

guerrilla gardening in Italia.<br />

“Una delle prime sortite in Italia [<strong>dei</strong> giardinieri guerri<strong>gli</strong>eri] è stato il<br />

Samedi Gras(s) del 2006, sabato grasso di carnevale voodoo nel quartiere<br />

Isola di Milano, che ricordava l'inondazione di New Orleans mentre si<br />

scavavano e piantavano aiuole (ora inghiottite dal progetto città della moda)<br />

e si gettavano semi di canapa al vento. Poi nella primavera 007 c'è stata la<br />

massa ciclobotanica (tutti in bici a piantare aiuole abusive in giro per la<br />

città). Ne<strong>gli</strong> anni precedenti, un gruppo di aiuole autogestite era stato creato<br />

da giardinieri giramondo con un passato nei centri sociali, i Gee-Gees,<br />

esperienza che en<strong>tra</strong>ndo in contatto con de<strong>gli</strong> studenti di agraria si è<br />

<strong>tra</strong>sformata nel progetto Landgrab.” (Foti, 2009, pg. 86-87)<br />

Da questo brano emerge chiaramente il ruolo di quelle che Foti<br />

chiama “nuove radicalità”, riferendosi ai movimenti anticapitalisti (“pink,<br />

black e green”) che sono emersi e si sono consolidati in Europa a seguito<br />

18<br />

18


della cosiddetta Battle of Seattle 1 (Della Porta, 2003). Milano, con la sua<br />

vitalità contestatrice (Barone, 1984; Grazioli, Lodi, 1984a), rappresentò<br />

senza dubbio un terreno fertile per l'attecchire di nuovi repertori d'azione.<br />

Nonostante questo, ogni gruppo di guerrilla gardening, ogni singolo<br />

attivista convive con il timore di perdere la faccia (Goffman, 1969), di<br />

veder distrutto lo status che si è costruito. Anche per questo nella retorica di<br />

molti gruppi italiani, compreso quello studiato, l'illegalità del giardinaggio<br />

non autorizzato viene compensata con lo sfoggio di posizioni che <strong>gli</strong><br />

attivisti considerano moderate o volte a compiacere anche il pubblico più<br />

conservatore.<br />

Per ragioni come questa o semplicemente perché non risulta semplice<br />

reperire informazioni sull'avvento del guerrilla gardening in Italia, la<br />

dimensione “disobbediente” del fenomeno tende a restare in secondo piano<br />

o a scomparire nel retroscena della rappresentazione (Goffman, 1969).<br />

Milano non è solo la città italiana che ha ospitato i primi episodi<br />

consapevoli di guerrilla gardening. È anche un territorio monitorato da una<br />

molteplicità di soggetti, <strong>tra</strong> cui il già citato Landgrab 2 . Ad emergere sono<br />

però due giardinieri di professione che, prendendo possesso del dominio<br />

guerrillagardening.it, sono divenuti i Richard Reynolds italiani. C'è però<br />

una differenza chiave con il collega inglese. Reynolds dispensa pillole di<br />

guerrilla gardening ad attivisti e giornalisti, offrendo con grande frequenza<br />

spunti inediti. I guerri<strong>gli</strong>eri milanesi, invece, pur avendo messo a<br />

1 Con l'espressione Battle of Seattle vengono indicate le manifestazioni che ebbero luogo nella<br />

capitale dello stato di Washington il 30 novembre 1999 in occasione di un vertice della World<br />

Trade Organization (WTO). Quel giorno la città fu invasa da più quarantamila persone, che si<br />

produssero nella più grande manifestazione contro un vertice globale che si fosse mai vista ne<strong>gli</strong><br />

Stati Uniti.<br />

2 http://landgrab.noblogs.org<br />

19<br />

19


disposizione alcune pagine di consi<strong>gli</strong> ed istruzioni per attivisti nonché un<br />

forum italiano, rappresentano principalmente un punto di riferimento per i<br />

mass media 3 . Sono facilmente reperibili sia online sia in forma concreta per<br />

qualsiasi giornalista di stanza a Milano, come testimonia il fatto che i loro<br />

numeri di telefono compaiono sulla homepage del sito.<br />

Inoltre, occupandosi di paesaggi e giardinaggio per professione, danno<br />

l'impressione di essere persone di cui potersi fidare 4 (Giddens, 1990; Mutti,<br />

1998).<br />

Il fatto che vivano in una metropoli risulta così marginale rispetto alle<br />

questioni sollevate.<br />

3.2. L'associazionismo vicentino e il No Dal Molin<br />

Torniamo ora al punto di partenza, ovvero a chi afferma, in modo più<br />

o meno esplicito, che il “giardinaggio d'assalto” ha più senso <strong>tra</strong> i grattacieli<br />

e il degrado urbano.<br />

In veste di guerrilla gardener ho più volte risposto a provocazioni di<br />

questo tipo, spesso provenienti da persone di mezza età poco inclini a<br />

scalfire la superficie del fenomeno. Di fronte ad osservazioni che volevano<br />

sottolineare lo scarso impatto di un intervento di guerrilla gardening in una<br />

città tutto sommato vivibile e dotata di “aree verdi” come Vicenza ho più<br />

volte risposto: “C'è sempre un margine di mi<strong>gli</strong>oramento.”<br />

Ma la questione è, in realtà, ben più complessa.<br />

3 Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=MZlGyAlEO1g; http://tiny.cc/io3F3<br />

4 “La fiducia si richiede solo là dove vi è ignoranza: ignoranza del supposto sapere e<strong>gli</strong> esperti in<br />

campo tecnico o <strong>dei</strong> pensieri e intenzioni delle persone conosciute sulle quali si fa conto. Eppure<br />

l'ignoranza dà sempre adito allo scetticismo o almeno alla prudenza. [...] Gli atteggiamenti di<br />

fiducia o di mancanza di fiducia nei confronti di specifici sistemi as<strong>tra</strong>tti possono essere<br />

fortemente influenzati dalle esperienze fatte nei nodi di accesso, oltre che ovviamente da<br />

aggiornamenti cognitivi che at<strong>tra</strong>verso i media e altre fonti raggiungono tanto i profani come <strong>gli</strong><br />

esperti.” (Giddens, 1990, pg. 94 e 95)<br />

20<br />

20


Mentre cercavo informazioni sui gruppi esistenti in Italia fui colpita<br />

dall'assenza di “cellule” non solo in Veneto, ma in tutta l'area del<br />

cosiddetto “nord-est”. I centri nevralgici erano Milano, Torino e Bologna.<br />

Mi domandai che ne fosse di luoghi come Marghera e Taranto. Se il<br />

guerrilla gardening era una semplice reazione di dubbia natura ad un<br />

presunto “disagio urbano”, perché Bologna ospitava ben due gruppi e<br />

Napoli 5 nessuno?<br />

Trovai una risposta assemblando <strong>gli</strong> scritti di Alberto Melucci e ciò<br />

che abducevo dalla mia etnografia.<br />

“I fenomeni collettivi emergenti nelle società complesse non possono essere<br />

considerati semplici reazioni alla crisi, effetti di marginalità o devianza, puri<br />

problemi di esclusione del mercato politico. Occorre riconoscere che i<br />

fenomeni collettivi che at<strong>tra</strong>versano le società avanzate sono i sintomi di<br />

movimenti antagonisti, anche se questo non è il loro unico significato. Nelle<br />

società ad alta densità di informazione la produzione non riguarda più le sole<br />

risorse economiche, ma investe rapporti sociali, simboli, identità e bisogni<br />

individuali.” (Melucci, 1982, pg. 64)<br />

Ciò che le analisi superficiali del fenomeno del guerrilla gardening<br />

non ci dicono è che non basta una gettata di cemento per <strong>tra</strong>sformare i<br />

nostri vicini di casa in “ecoattivisti” (Foti, 2009).<br />

Se da un lato <strong>gli</strong> autori della resource mobilization theory 6 hanno<br />

5 In Campania pare sia attivo solo il Gruppo Salvaguardia Casalucese, in provincia di Caserta, che<br />

ha portato a termine due interventi <strong>tra</strong> il 2007 e il 2008. (fonte: http://www.guerrillagardening.it)<br />

6 L'approccio della resource mobilization theory “considera l'azione collettiva come consumo,<br />

produzione, scambio di risorse <strong>tra</strong> gruppi organizzati (comprese le agenzie del controllo sociale),<br />

ma anche come lotta per benefici collettivi considerati come risorsa scarsa. Mobilitazione,<br />

organizzazione, formazione della leadership sono elementi dell'agire collettivo che vengono<br />

analizzati in termine di gestione delle risorse, sulla base <strong>dei</strong> rapporti stabitisi <strong>tra</strong> attori; essi<br />

compiono un calcolo razionale del rapporto <strong>tra</strong> costi e benefici, e scelgono una modalità d'azione<br />

basata sulla valutazione di una gamma di possibilità e <strong>dei</strong> loro effetti.<br />

L'analisi della mobilitazione in questo filone di ricerca consente di superare definitivamente la<br />

concezione dell'azione collettiva come condotta irrazionale, sottolineando invece la cen<strong>tra</strong>lità <strong>dei</strong><br />

meccanismi razionali di presa delle decisioni, di calcolo e previsione de<strong>gli</strong> effetti dell'azione.”<br />

21<br />

21


messo in evidenza l'esistenza di un livello intermedio <strong>tra</strong> lo scontento (“la<br />

bici è il mezzo di <strong>tra</strong>sporto prediligo, ma <strong>gli</strong> automobilisti che parcheggiano<br />

spesso sulle piste ciclabili facendomi perdere tempo ed irritandomi”) e la<br />

mobilitazione (“sgonfio furtivamente le gomme delle auto che mi<br />

in<strong>tra</strong>lciano” 7 ), dall'altro Melucci osserva che questa prospettiva “rimane<br />

prigioniera dello stesso limite delle teorie che critica, per quanto riguarda le<br />

assunzioni implicite sull'identità. Infatti concetti come “risorse<br />

discrezionali” o “struttura delle opportunità” non si riferiscono a realtà<br />

“oggettive”, ma implicano la capacità de<strong>gli</strong> attori di percepire, valutare,<br />

decidere le possibilità e limiti offerti dall'ambiente.” (idem, 1982, pg. 52)<br />

Il passaggio ulteriore consiste allora nell'aprirsi ad una prospettiva<br />

relazionale nello studio dell'identità collettiva, intesa come “una definizione<br />

interattiva e condivisa che più individui producono circa <strong>gli</strong> orientamenti<br />

dell'azione e il campo di opportunità e di vincoli in cui essa si colloca.” In<br />

definitiva “il processo di costruzione, mantenimento, adattamento di<br />

un'identità collettiva ha sempre due versanti: da un lato la complessità<br />

interna di un attore, la pluralità di orientamenti che lo caratterizza, dall'al<strong>tra</strong><br />

il suo rapporto con l'ambiente (altri attori, opportunità/vincoli). Tale<br />

processo è la base per la costruzione delle aspettative e per il calcolo <strong>dei</strong><br />

costi e benefici dell'azione.” (idem, 1982, pg. 53)<br />

Torniamo ora al caso preso in esame e all'interrogativo sollevato da un<br />

gran numero di berici: “Perché esiste un gruppo di guerrilla gardening a<br />

Vicenza?”.<br />

La risposta non è univoca e, cercandola nella psiche <strong>dei</strong> guerri<strong>gli</strong>eri<br />

verdi, si rischia di vagabondare in una rete di universi che hanno a che fare<br />

(Grazioli, Lodi, 1984b, pg. 280)<br />

7 Questa pratica è detta desoufflage.<br />

22<br />

22


solo marginalmente con ciò che ci interessa.<br />

Dal mio punto di vista conviene allora modificare leggermente il<br />

quesito e chiederci: “Com'è possibile che il primo gruppo di guerrilla<br />

gardening del triveneto sia sorto proprio a Vicenza?”<br />

La risposta si palesò davanti a miei occhi un <strong>pomeriggi</strong>o nel corso del<br />

quale mi recai, insieme ad un collega giardiniere, ad una riunione <strong>dei</strong><br />

comitati e delle associazioni che avevano partecipato all'edizione 2009 di<br />

Festambiente 8 .<br />

Scrutando i presenti, ognuno <strong>dei</strong> quali rappresentava un gruppo<br />

particolare, ed ascoltando <strong>gli</strong> interventi, notai la volontà comune di<br />

rinsaldare la rete di relazioni che li univa. Un signore disse che non poteva<br />

fare a meno di sottolineare la discrepanza <strong>tra</strong> l'idea diffusa secondo la quale<br />

Vicenza sarebbe una città chiusa e bigotta e il grande successo di<br />

Festambiente.<br />

Prima di mettere piede in quella stanza ed osservare quelle persone<br />

che si chiamavano per nome, avevo creduto di poter ricondurre il<br />

progressivo ampliamento del gruppo di guerrilla gardening all'esistenza del<br />

No Dal Molin. Quel <strong>pomeriggi</strong>o attribuii un nuovo senso alle mie<br />

precedenti considerazioni e conclusi che il No Dal Molin stesso non sarebbe<br />

emerso senza un network così saldo -anche se silenzioso- a sorreggerlo,<br />

mentre tentava i suoi primi passi.<br />

Successivamente, nel corso di alcune interviste ad attivisti del<br />

movimento, trovai conferma a quanto detto.<br />

8 Festambiente è una manifestazione che ha luogo a Vicenza ogni estate dal 2001. Essa si struttura<br />

come una festa cittadina, della durata di cinque giorni, durante la quale si susseguono spettacoli,<br />

dibattiti e workshop. L'intento è quello di <strong>tra</strong>smettere un messaggio ecologista e pacifista. Si <strong>tra</strong>tta<br />

di una festa molto partecipata e per questo anomala rispetto alle altre Festambiente italiane. La sua<br />

peculiarità rispetto alle altre feste estive della città è che ospita un gran numero di associazioni,<br />

comitati e produttori locali, presenti sul posto con <strong>dei</strong> banchetti. Nel 2009 anche il gruppo<br />

vicentino di guerrilla gardening ha partecipato.<br />

23<br />

23


“Le reti che esistevano prima hanno trovato una valvola di sfogo nel<br />

movimento. [La dinamica è questa:] ci sono varie entità che hanno solo<br />

bisogno di trovare una cosa in comune per la quale unirsi e vivere. Il<br />

movimento vive perché vivono tutte le associazioni e <strong>gli</strong> altri movimenti” 9<br />

Durante i suoi primi anni di vita il No Dal Molin ha formato i<br />

vicentini, producendosi in episodi eclatanti che vanno da manifestazioni<br />

nazionali che hanno visto la città invasa da mi<strong>gli</strong>aia di persone 10 ,<br />

all'occupazione della Basilica Palladiana 11 da parte di un gruppo di attivisti.<br />

Se per anni Vicenza era parsa ai suoi stessi abitanti come una terra “seria”,<br />

dedita al lavoro e alla produzione, improvvisamente essa si era <strong>tra</strong>mutata in<br />

una creatura dissociata. Da un lato c'erano (e ci sono) le persone convinte<br />

che un nuovo aeroporto militare Nato avrebbe giovato alla città, dall'altro<br />

un gran numero di vicentini con<strong>tra</strong>ri. Tra quest'ultimi emergevano <strong>gli</strong><br />

attivisti del presidio permanente, un centro di aggregazione situato accanto<br />

al luogo in cui sta sorgendo l'aeroporto.<br />

Qualcuno li ha chiamati “il popolo delle pentole”, volendo sottolineare<br />

uno <strong>dei</strong> loro repertori d'azione -ormai ritualizzato- che consisteva<br />

nell'organizzare piccole e frequenti manifestazioni non violente, durante le<br />

quali <strong>gli</strong> attivisti facevano un gran fracasso usando oggetti come le<br />

pentole. 12<br />

9 Intervista a Nicola (21 anni)<br />

10 Come nel caso della prima manifestazione nazionale del 17 febbraio 2007, che ha visto la<br />

partecipazione di centocinquantamila persone.<br />

11 Oltre ad essere uno <strong>dei</strong> simboli della città, la Basilica Palladiana si trova di fronte alla Loggia del<br />

Capitaniato, dove ha sede l'ufficio del sindaco, che all'epoca era Enrico Hüllweck (PdL, ex Forza<br />

Italia). L'azione è avvenuta nel marzo del 2007.<br />

12 In riferimento al superamento del repertorio d'azione “pentole”, Nicola (21 anni) afferma: “Era<br />

giusto partire con quella forma ignorante di protesta, per quanto efficace a livello estetico... però<br />

cazzo poi bisogna anche evolversi, bisogna sapere perché sei lì, bisogna sapere un sacco di cose,<br />

devi sapere che ti stai mettendo contro l'esercito più potente del mondo... non puoi star lì solo a<br />

spignattare. Purtroppo questa cosa ha determinato l'allontanamento di tanti del Presidio. Un po' per<br />

24<br />

24


Eventi di questo tipo si sono susseguiti così spesso da en<strong>tra</strong>re nella<br />

routine vicentina. Si sa, ad esempio, che andando alle manifestazioni ci sarà<br />

polizia in abbondanza 13 , indipendentemente dal numero di partecipanti. Ci<br />

sono poi quelli che, essendo in disaccordo con il No Dal Molin, hanno<br />

metabolizzato la vitalità contestatrice <strong>dei</strong> comitati e ora non esitano ad<br />

esclamare: “Basta! Un'al<strong>tra</strong> manifestazione! Ma non sono ancora stufi?”<br />

In un contesto di questo tipo, che non ha equivalenti nel nord Italia 14<br />

15 , era dunque prevedibile che sorgessero gruppi ed iniziative mai viste<br />

prima a Vicenza e che hanno trovato una casa nel presidio permanente.<br />

La stampa nazionale e parte di quella locale dimenticano spesso di<br />

sottolineare la valenza ambientalista 16 del No Dal Molin, che difatti non si<br />

paura, un po' perché reggere un ritmo così... non tutti erano più disponibili come tre anni fa,<br />

magari a prendersi una denuncia... e quindi anche noi adesso stiamo tornando un po' indietro...<br />

ricominciando con azioni simboliche, che riavvicinino la gente”<br />

13 Un sera di ottobre 2009 mi recai ad una conferenza del sindaco di Vicenza (Variati, PD) e di<br />

quello di Aviano, dedicata al tema della gestione delle città militarizzate. Nella sala erano presenti<br />

un gran numero di attivisti del No Dal Molin in borghese, ovvero non sfoggianti il simbolo del<br />

movimento. Il giorno prima ero stata in loro compagnia ad un seminario chiamato “Teorie e<br />

tecniche dell'applauso”. L'idea era quella di apprendere qualcosa sull'argomento e di presentarsi<br />

poi alla conferenza per il “saggio” di fine corso. Durante la serata ci divertimmo a generare lo<br />

scompi<strong>gli</strong>o applaudendo nei momenti “sba<strong>gli</strong>ati” o in modo “anomalo”. Al termine della<br />

conferenza uscimmo tutti in s<strong>tra</strong>da e trovammo due volanti della polizia, chiamate da qualcuno che<br />

evidentemente aveva poco senso dell'umorismo.<br />

14 “ Il No Tav è nato prima e ha “dato il la”, invece il No Dal Molin ha dato la carica, ha dato<br />

l'immagine. È stato visto come uno <strong>dei</strong> movimenti che hanno cambiato l'Italia ne<strong>gli</strong> ultimi anni,<br />

quindi cose che magari il No Tav, No Mose, no discarica, No Ponte non sono riusciti a fare...<br />

perché inquadravi la tua batta<strong>gli</strong>a su qualcosa di molto più grande, ti mettevi contro l'esercito più<br />

grande del mondo, ponevi tematiche di tipo ambientale, di servitù militare, di impatto sui<br />

cittadini.” (Nicola, 21 anni)<br />

15 La campagna del No Dal Molin “propone <strong>gli</strong> stessi frames <strong>dei</strong> No Tav e No Ponte, oltre a quello<br />

del rifiuto della guerra e della militarizzazione del territorio: il rifiuto dell'accusa di sindrome<br />

Nimby (“non vo<strong>gli</strong>amo che la base sia costruita né nella nos<strong>tra</strong> città né altrove”), la “difesa <strong>dei</strong><br />

beni comuni e del territorio, no alla guerra, e nuove forme di democrazia e partecipazione ai<br />

processi decisionali...”; inoltre anche questa campagna viene descritta come “una lotta che vede<br />

accomunate persone di diversi orientamenti politici, con culture, linguaggi e storie diverse <strong>tra</strong><br />

loro”” (Della Porta, 2008, pg. 164)<br />

16 Il sito su cui sta sorgendo l'aereoporto Nato era considerato uno <strong>dei</strong> polmoni verdi della città. I<br />

lavori stanno inoltre danneggiando la falda acquifera cittadina, la più grande del nord Italia.<br />

Stando ad un resoconto scaricabile dal sito del No Dal Molin i lavori di costruzione prevedono<br />

“308 metri lineari di palificazioni distribuite su un fronte di 400 metri, allineati<br />

perpendicolarmente al flusso della falda, che nei primi 50 metri sotto il piano della campagna<br />

scorre da Est a Ovest, alla profondità media di un metro. [...] Ad una riduzione di luce va aggiunta<br />

la riduzione di flusso dovuta alla costipazione del terreno <strong>tra</strong> palo e palo ed al fatto che per un<br />

25<br />

25


limita ad una contestazione pacifista e antimilitarista 17 . Non a caso Foti,<br />

nella sua “cromatologia comparata dell'Europa eretica del XXI secolo”<br />

(Foti, 2009), colloca il movimento veneto nella stessa categoria <strong>dei</strong> gruppi<br />

di guerrilla gardening, ovvero nel filone “green”.<br />

Una volta consolidatosi, il No Dal Molin ha proposto svariate<br />

iniziative volte a tutelare il territorio berico, come il primo gruppo di<br />

acquisto solidale della città e il mercato mensile <strong>dei</strong> produttori locali e delle<br />

autoproduzioni. Inoltre ha anticipato le attività del gruppo oggetto del mio<br />

studio piantumando un gran numero di alberi all'interno del territorio<br />

militarizzato, con l'intento di realizzare il Parco della Pace.<br />

La Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi non è dunque nata in seno al<br />

No Dal Molin, ma vi è naturalmente confluita nel corso <strong>dei</strong> mesi, poiché i<br />

suoi componenti erano stati tutti segnati dall'esperienza antagonista portata<br />

avanti dai comitati.<br />

3.3. Il Parco della Pace<br />

fronte di 210 metri (Edificio truppa e Silos auto) la palificazione è doppia. [...] Il Dr. Altissimo,<br />

nella sua relazione osserva che: “si stima in circa 280/320 il numero di pali per un solo parcheggio.<br />

Per tanto, per sei edifici in questione avremo mi<strong>gli</strong>aia di pali. Poiché ogni palo occupa 7 m³, viene<br />

sot<strong>tra</strong>tto un grande volume utile all'immagazzinamento dell'acqua in un acquifero già di per sé a<br />

bassa <strong>tra</strong>smissività, riducendone ulteriormente la porosità. Questo impatto non è stato valutato””<br />

(Verneau, 2009)<br />

17 Della Porta, nel descrivere le campagne <strong>dei</strong> comitati No TAV e No Ponte, che molto hanno in<br />

comune con quelle del No Dal Molin, afferma: “Nonostante l'accento posto sulla difesa della<br />

natura e della salute de<strong>gli</strong> abitanti, le mobilitazioni in Val di Susa e sullo Stretto non possono<br />

comunque essere definite come proteste esclusivamente ecologiste, limitate cioè a un solo tema<br />

(single issue), la difesa dell'ambiente. [...] I comitati di cittadini [difatti non] hanno [...] una<br />

dimensione puramente ambientalista; come hanno rivelato recenti ricerche su varie città italiane, le<br />

rivendicazioni tendono infatti a intrecciare tematiche di difesa della qualità della vita locale, tutela<br />

del patrimonio artistico e naturale, salute e integrazione sociale. In effetti, nelle nostre due<br />

campagne, i diversi gruppi sociali e le organizzazioni politiche che si oppongono alle grandi opere<br />

hanno elaborato [...] un discorso su un modello di sviluppo alternativo, definito più in termini di<br />

“giustizia ambientale” (environmental justice) – come combinazione di attenzione all'ambiente e<br />

alle discriminazioni etniche, sociali o di genere e di “decrescita” [...] - che di “sviluppo<br />

sostenibile”, come attenzione ai limiti naturali della crescita economica. Tale modello di sviluppo<br />

comprende infatti anche riferimenti alla difesa del lavoro, della salute, della giustizia e della<br />

partecipazione democratica.” (Della Porta, 2008, pg. 12)<br />

26<br />

26


Il terreno recintato cui è dedicato questo paragrafo ha vari nomi.<br />

Ciascun nome rimanda ad una definizione della situazione (Goffman, 1959)<br />

particolare. Edifici di costruzioni sociali si sovrappongono e si annullano<br />

sulla mera fattualità di quel luogo (Shields, 1981).<br />

“Area militare”, “zona invalicabile”, “parco della pace”, “Ederle 2”,<br />

“aeroporto”.<br />

Oltre le reti e il filo spinato si sta<strong>gli</strong>ano le <strong>tra</strong>cce eloquenti delle azioni<br />

de<strong>gli</strong> attivisti del No Dal Molin. Muri un tempo grigi che oggi sfoggiano<br />

tinte carnevalesche, nastri sulle reti e giovani alberi.<br />

A rivendicare il diritto su quel luogo sono il governo de<strong>gli</strong> Stati Uniti,<br />

il Comune di Vicenza (amminis<strong>tra</strong>zione Variati) e i cittadini rappresentati<br />

dal No Dal Molin. Si <strong>tra</strong>tta di una frazione dell'intero terreno oggetto della<br />

controversia. Secondo un comunicato stampa del movimento, datato 27<br />

ottobre 2009, la zona, che attualmente non è interessata dal progetto<br />

statunitense, potrebbe essere <strong>tra</strong>sformata in un eliporto a disposizione <strong>dei</strong><br />

militari. La fonte del presidio permanente afferma inoltre che “il sindaco<br />

Variati ha riscon<strong>tra</strong>to la volontà <strong>dei</strong> vicentini che quell'area diventi un parco<br />

pubblico e che sia libera da qualunque struttura al servizio <strong>dei</strong> militari.” 18<br />

La vicenda del Parco della Pace comincia nel settembre del 2007.<br />

Durante una riunione al presidio permanente viene approvata la proposta di<br />

en<strong>tra</strong>re nel territorio dell'aeroporto e piantumare alcune decine di alberi.<br />

L'idea di fondo era quella di intervenire con un'azione di grande<br />

impatto mediatico che definisse la chiara con<strong>tra</strong>pposizione <strong>tra</strong> le istanze del<br />

movimento e le intenzioni del governo statunitense.<br />

“L'obiettivo che si aveva era quello di denunciare, di chiedere e di<br />

18 Http://www.nodalmolin.it/spip.php?article622<br />

27<br />

27


ottenere l'apertura di questo Parco della Pace. Siccome la vertenza era<br />

sempre su la costituzione... al posto di un aeroporto... sempre in qualcosa<br />

di alternativo; in una cittadella de<strong>gli</strong> studi, nel parco dell'università, in<br />

qualsiasi al<strong>tra</strong> forma, quella di avere il Parco della Pace era la cosa più<br />

semplice da fare... più semplice...vabbè... era fattibile. E questo cosa ci ha<br />

portato a pensare? Che en<strong>tra</strong>ndo all'aeroporto e compiendo un'azione<br />

illegale, pur facendo qualcosa di significativo e molto bello... avrebbe<br />

avuto più... avrebbe raccolto la maggioranza <strong>dei</strong> consensi... nel senso...<br />

non fai nulla di violento, denunci il tuo scopo, ti fai vedere a volto scoperto,<br />

ti dai un'identità, fai comunque qualcosa di molto rappresentativo, invadi<br />

uno spazio chiuso, delimitato... reti, filo spinato, guardie, per andare a<br />

piantare dentro... piante, che erano il simbolo della vita per eccellenza.<br />

Questo ha creato una grande con<strong>tra</strong>pposizione <strong>tra</strong> base militare e Parco<br />

della Pace; le piante che danno la vita e la caserma che la leva... era<br />

questo... semplice ma efficace.” 19<br />

Fin dalle prime settimane dedicate a questa ricerca mi sono chiesta se<br />

quella particolare azione fosse stata una forma consapevole o meno di<br />

guerrilla gardening, convinta com'ero che questo potesse fare la differenza.<br />

Nel corso <strong>dei</strong> mesi ho parlato con molte persone che avevano<br />

partecipato alla piantumazione. Alla domanda: “All'epoca avevi mai sentito<br />

parlare di guerrilla gardening?” hanno risposto tutti nello stesso modo.<br />

Quel “no” mi è stato ripetuto a tal punto da risuonare nella mia testa<br />

come un dato di fatto. Verrebbe allora da pensare che quel gesto non sia<br />

definibile in termini di guerrilla gardening, poiché <strong>tra</strong> coloro che l'hanno<br />

attuato non c'era nessuno che l'avesse chiamato in questo modo. Eppure i<br />

19 Nicola (21 anni)<br />

28<br />

28


agazzi protagonisti della mia etnografia hanno un'opinione diversa a<br />

riguardo.<br />

A posteriori ciascuno riempie quell'azione di un significato diverso,<br />

come vuole la natura <strong>dei</strong> simboli.<br />

La Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi ha dato un nome, per lo<br />

meno a Vicenza, ad un gesto che era stato chiamato con un giro di parole e<br />

che figurava come un repertorio d'azione fra tanti altri.<br />

Prima della comparsa del gruppo in città credo mancasse una<br />

consapevolezza diffusa dell'esistenza di una rete globale di guerrilla<br />

<strong>gardeners</strong>, anche all'interno delle cerchie <strong>dei</strong> cosiddetti disobbedienti o <strong>tra</strong> i<br />

più generici frequentatori <strong>dei</strong> centri sociali.<br />

Quando mi è capitato di narrare la mia esperienza in veste di<br />

giardiniera senza permessi, mi sono imbattuta più volte in sguardi<br />

interrogativi seguiti da sonore esclamazioni. Dicevano: “Ma è la stessa cosa<br />

che abbiamo fatto all'aeroporto! Non avevo mai sentito parlare di questi<br />

gruppi!”<br />

Che si <strong>tra</strong>tti di passaggio shütziano da una provincia di significato<br />

(Shütz, 1971) ad un'al<strong>tra</strong>? Difficile a dirsi.<br />

Emerge però con chiarezza il reciproco riconoscimento <strong>tra</strong> No Dal<br />

Molin e Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi. Da un lato il gruppo <strong>dei</strong><br />

giardinieri vede nella piantumazione all'aeroporto il primo grande episodio<br />

di guerrilla gardening della città, dall'altro il presidio permanente ospita<br />

ogni mese il gruppo al mercato <strong>dei</strong> produttori locali e delle autoproduzioni.<br />

Inoltre, durante la terza edizione del Festival No Dal Molin (anno 2009),<br />

nella libreria del presidio permanente, all'interno di una selezione<br />

volutamente limitata di volumi, compariva “<strong>Guerrilla</strong> Gardening” di<br />

29<br />

29


Michele Trasi e Andrea Zabiello, l'unico manuale italiano sull'argomento.<br />

Si <strong>tra</strong>tta dunque di un rapporto <strong>tra</strong> due entità di un network più vasto,<br />

nel quale il No Dal Molin emerge come uno de<strong>gli</strong> attori cen<strong>tra</strong>li, mentre la<br />

Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi occupa una posizione più marginale.<br />

In questo contesto il No Dal Molin, “avendo legami estesi a tutte le<br />

componenti di un sistema, ne favorisce l'integrazione svolgendo vari tipi di<br />

funzioni, che si possono sintetizzare nella circolazione di informazione,<br />

nella fornitura di servizi e risorse, nella proposta di un modello in grado di<br />

influenzare e orientare il comportamento di altri attori.” (Diani, 1988, pg.<br />

88)<br />

Il rapporto <strong>tra</strong> le due entità si è consolidato in virtù di una piena<br />

adesione <strong>dei</strong> giardinieri alle istanze del No Dal Molin e grazie a fenomeni<br />

di doppia militanza nonché a contatti personali pregressi <strong>tra</strong> attivisti.<br />

Scrive Diani:<br />

“i movimenti ecologisti si sono definiti non solo come organizzazioni di<br />

rappresentanza de<strong>gli</strong> interessi, ma come reticoli di rapporti <strong>tra</strong> gruppi,<br />

comunità, singoli individui interessati anche alla pratica del cambiamento in<br />

prima persona; accanto alle componenti strumentali dell'azione hanno avuto<br />

ampia rilevanza quelle espressive e solidaristiche. [...] Di questo tipo di<br />

legami, orizzontali e “sommersi”, i contatti attivati dai singoli militanti<br />

rappresentano un ottimo indicatore.<br />

Una densa rete di rapporti personali moltiplica infatti le opzioni disponibili<br />

per la circolazione delle risorse, evidenzia la presenza di una solidarietà<br />

diffusa <strong>tra</strong> le varie componenti dell'area e connota quest'ultima come uno<br />

specifico sottosistema sociale. [...] L'analisi <strong>dei</strong> contatti personali non può<br />

essere ridotta ai fenomeni di doppia militanza in senso stretto, ma va estesa<br />

anche ad altri tipi di partecipazione meno intensa, nonché alle relazioni di<br />

amicizia personale intercorrenti <strong>tra</strong> attivisti di gruppi diversi.” (Diani, 1988,<br />

pg. 114-115)<br />

30<br />

30


Considerando l'informalità del gruppo di guerrilla gardening<br />

analizzato e la tendenza di alcuni <strong>dei</strong> suoi componenti ad insistere sullo<br />

scarso peso che conseguentemente la Santa Alleanza dovrebbe avere in<br />

città, risultano privilegiate le relazioni di amicizia con attivisti di altri<br />

gruppi, piuttosto che i contatti con i leader <strong>dei</strong> gruppi stessi.<br />

Durante la seconda metà del 2009, il Parco della Pace è comparso più<br />

volte nella rassegna stampa del presidio permanente.<br />

Il 26 ottobre il parco è stato “aperto” a seguito dell'intervento di un<br />

centinaio di attivisti che, una volta en<strong>tra</strong>ti nell'area del Dal Molin, “hanno<br />

posizionato panche, tavoli e un'insegna ad arco che indica l'ingresso.” 20<br />

Tra alcuni interventi di manutenzione e cura de<strong>gli</strong> alberi e del parco in<br />

generale, emerge l'episodio concernente la vicenda del pacifista Turi<br />

Vaccaro.<br />

Nel comunicato stampa del 12 novembre viene descritta la sua azione:<br />

“era en<strong>tra</strong>to [...] all'interno del cantiere della nuova base [...] “armato” di<br />

bandiera della pace, volantini e di alcune palline di argilla con all'interno<br />

semi di alberi da frutto. Con lui Agnese, una donna vicentina del Presidio<br />

Permanente No Dal Molin, che dopo essere stata portata con Turi al<br />

comando Setaf della Ederle era stata denunciata e rilasciata. [...]<br />

A Turi Vaccaro “viene contestato – si legge in una nota dell'agenzia Ansa –<br />

l'articolo 260 del codice penale che punisce con la reclusione da uno a<br />

cinque anni chi si introduce da clandestino in una installazione militare con<br />

il possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio.”” 21<br />

L'arresto dell'attivista viene qui descritto come “un'intimidazione”<br />

volta a scoraggiare la volontà <strong>dei</strong> vicentini di sapere cosa si nasconde dietro<br />

20 Comunicato stampa del presidio permanente (27 ottobre 2009)<br />

21 Comunicato stampa del presidio permanente (12 novembre 2009)<br />

31<br />

31


ai teli verdi che coprono il perimetro del cantiere.<br />

La tecnica colturale utilizzata da Vaccaro è quella descritta all'interno<br />

del libro La rivoluzione del filo di pa<strong>gli</strong>a di Masobu Fukuoka, considerato il<br />

padre dell'agricoltura organica e del metodo della permacultura.<br />

Essa è stata poi adottata dai primi guerrilla <strong>gardeners</strong> americani,<br />

attribuendo alle palline di argilla il nome di “seed bombs”. Questa è tutt'ora<br />

una delle pratiche più diffuse di guerrilla gardening, poiché permette di<br />

espandere il proprio raggio d'azione anche ad aree virtualmente<br />

irraggiungibili, semplicemente lanciando le “bombe di semi”.<br />

In ragione della supposta utilità di questa tecnica colturale per i<br />

sostenitori del No Dal Molin, durante l'edizione di settembre 2009 del<br />

mercato <strong>dei</strong> produttori locali e delle autoproduzioni, alcuni ragazzi della<br />

Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi avevano difatti tenuto un workshop<br />

sulla realizzazione delle seed bombs.<br />

3.4. La nebulosa<br />

“Il movimento si presenta come una nebulosa dai confini incerti e<br />

dalla densità variabile”<br />

(Melucci, 1982, pg. 80)<br />

In uno studio del 1984 Cinzia Barone proponeva una mappa<br />

dell'ecologismo italiano e in particolar modo delle aggregazioni dell'area<br />

milanese.<br />

Ho ritenuto utile basarmi sulle sue osservazioni per tentare una<br />

descrizione del gruppo oggetto della mia etnografia in termini<br />

32<br />

32


generalizzabili.<br />

Ho inoltre scelto di non rappresentare la Santa Alleanza <strong>dei</strong><br />

Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi nei grafici sottoriportati utilizzando un punto; ho invece<br />

optato per una “nebulosa” dalla densità variabile, nel tentativo di rendere<br />

graficamente quanto scritto da Melucci (1982) e della stessa Barone 22 . Si<br />

<strong>tra</strong>tta in ogni caso di approssimazioni risultanti da quanto ascoltato durante<br />

le riunioni, le conversazioni informali e le interviste in profondità con i<br />

membri del gruppo.<br />

Per esempi specifici rimando al paragrafo successivo.<br />

Fig.1 Inscrizione della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi nel campo delle realtà ecologiste italiane<br />

22 “All'interno di ogni gruppo sarebbe possibile identificare la presenza di diversi orientamenti<br />

analitici. Questo gioco di scatole cinesi richiama la provvisorietà delle classificazioni empiriche e<br />

la priorità di un criterio metodologico generale che afferma la non coincidenza <strong>tra</strong> forme empiriche<br />

e significati analitici dell'azione.” (Barone, 1984, pg. 186)<br />

33<br />

33


Il grafico in figura 1 include svariate dimensioni analitiche e permette<br />

una descrizione che va oltre la dimensione della ribalta (Goffman, 1959),<br />

includendo quanto osservato durante le oscillazioni <strong>tra</strong> le fasi di latenza e le<br />

fasi di mobilitazione del gruppo.<br />

Considerando le coordinate conservazione/<strong>tra</strong>sformazione e azione<br />

diretta/rappresentanza istituzionale, la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi si colloca all'interno del secondo quadrante 23 , anche se, come illus<strong>tra</strong><br />

il grafico, una parte della “nebulosa” invade anche il primo e il terzo.<br />

Il gruppo privilegia infatti l'azione diretta e ha avuto rapporti scarsi o<br />

addirittura inesistenti con realtà istituzionalizzate. Questo dipende dal fatto<br />

che i membri del gruppo affermano di avere poca fiducia nella politica e<br />

ritengono che per ottenere <strong>dei</strong> risultati in tempi brevi sia necessario agire in<br />

prima persona senza attendere le autorizzazioni comunali. Inoltre le rare<br />

conversazioni avute con soggetti coinvolti in gruppi istituzionalizzati aventi<br />

affinità con il guerrilla gardening (in genere di matrice ecologista) sono<br />

state percepite negativamente dai membri del gruppo.<br />

Questo atteggiamento coincide con quanto rivelato in uno studio<br />

veneto sulla partecipazione politica <strong>dei</strong> giovani nei movimenti:<br />

“I giovani attivisti esprimono una presa di distanza dalle istituzioni e, in<br />

particolare, dai partiti, da cui si sentono <strong>tra</strong>diti e con cui non riescono ad<br />

identificarsi. [...] Il partito non esce completamente dall'orizzonte di vita, ma<br />

gioca un ruolo secondario.” (Osservatorio regionale sulla condizione<br />

giovanile, 2005)<br />

“Mi sono sentito poco compreso -dice uno <strong>dei</strong> ragazzi intervistati-<br />

23 Secondo Barone il secondo quadrante “comprende prevalentemente forme di aggregazione di<br />

base autogestite che abbracciano un campo di esperienze assai vasto (alimentazione, agricoltura,<br />

medicina, energia, inquinamento, “metropolitanità”, ecc.)” (Barone, 1984, pg. 185)<br />

34<br />

34


soprattutto con le associazioni, i gruppi istituzionalizzati con cui abbiamo<br />

avuto anche fare. Le persone con cui abbiamo parlato, anziché privilegiare<br />

i punti in comune delle nostre attività, si sono soffermate sul fatto che ciò<br />

che facciamo è illegale, non riconosciuto eccetera.” 24<br />

Come ha osservato Gerlach, questo è un problema assai diffuso e<br />

connaturato ai movimenti. L'azione delle cellule radicali “è spesso deplorata<br />

dalle cellule più vecchie e più conservatrici, che sono caratterizzate da<br />

sentimenti ambivalenti nei confronti dell'attenzione eccessiva che viene<br />

dedicata a<strong>gli</strong> “impetuosi nuovi arrivati”. I membri <strong>dei</strong> gruppi conservatori<br />

dichiarano che <strong>gli</strong> attivisti radicali “rovineranno tutto ciò che abbiamo<br />

compiuto e ci faranno perdere la benevolenza del pubblico che abbiamo<br />

coltivato con tanta cura.”” (Gerlach, 1976, pg. 220)<br />

Ad ogni modo i contatti più significativi del gruppo con realtà<br />

istituzionalizzate o semi-istituzionalizzate 25 sono stati quelli con la sede<br />

locale di Legambiente, l'associazione autonoma organizzatrice di<br />

Festambiente e la biblioteca e centro di cultura e civiltà contadina La Vigna.<br />

Durante le riunioni e all'interno delle discussioni sul forum si parla<br />

spesso della necessità di “ridurre le chiacchiere” e dedicarsi all'azione<br />

concreta. L'idea diffusa <strong>tra</strong> i protagonisti della mia etnografia è che la<br />

legittimità del gruppo dipenda dal numero e dalla “qualità” delle azioni di<br />

guerrilla gardening portate a termine. Ciononostante le discussioni sulla<br />

definizione dell'identità del gruppo e su<strong>gli</strong> aspetti comunicativi non aventi a<br />

che fare strettamente con il giardinaggio tendono in genere a prevalere, nel<br />

corso delle riunioni, rispetto a questioni più pragmatiche.<br />

24 Ivan (27 anni)<br />

25 Parlo di realtà istituzionalizzate e semi-istituzionalizzate volendo indicare l'alto livello di<br />

legittimazione raggiunto. Sono inoltre da sottolineare i frequenti rapporti con l'amminis<strong>tra</strong>zione<br />

comunale. Questo chiaramente vuole essere un aggiornamento rispetto a quanto osservato nella<br />

bibliografia citata (Barone, 1984; Diani, 1988).<br />

35<br />

35


La Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi si colloca inoltre all'interno<br />

della dimensione definita “ecologia politico-sociale” (fig. 1), anche se il<br />

secondo aspetto prevale nettamente (fig. 2). Pur avendo discusso in varie<br />

occasioni della necessità di un rinnovamento a livello istituzionale che<br />

modifichi la percezione che il cittadino ha <strong>dei</strong> cosiddetti spazi verdi, i<br />

membri del gruppo, scoraggiati dalle loro esperienze con la politica<br />

rappresentativa, preferiscono agire in prima persona e “dare il buon<br />

esempio”.<br />

Questo si <strong>tra</strong>duce nella scelta di portare a termine alcune azioni<br />

volutamente dissonanti, come l'episodio raccontato in seguito relativo alla<br />

collocazione di tre piante di pomodori in una rotatoria, “per far riflettere le<br />

persone” 26 .<br />

L'orientamento della Santa Alleanza è allora prevalentemente<br />

indirizzato verso un'ecologia sociale, che consiste in “forme d'azione<br />

miranti alla <strong>tra</strong>sformazione <strong>dei</strong> modelli culturali che regolano i rapporti <strong>tra</strong><br />

l'uomo e l'ambiente, inteso innanzitutto come ambiente sociale. La<br />

motivazione all'ecologia é più sovente riconducibile a contingenze<br />

specifiche od a situazioni di disagio percepito.” (Barone, 1984, pg. 188)<br />

Una questione che emerge spesso, durante le riunioni e le<br />

conversazioni informali <strong>tra</strong> membri del gruppo, è quella della mancanza di<br />

luoghi di socialità giovanile dove sia possibile passare del tempo<br />

gratuitamente. I parchi pubblici, che hanno orari pensati “per le fami<strong>gli</strong>e” 27 ,<br />

in orario serale diventano spazi recintati e teoricamente inaccessibili.<br />

L'attività del gruppo di guerrilla gardening è, <strong>tra</strong> l'altro, finalizzata ad una<br />

riappropriazioni de<strong>gli</strong> spazi verdi in generale, non solo delle aiuole di<br />

26Questa è stata la motivazione più gettonata da chi ha portato avanti la proposta di questa azione<br />

in particolare.<br />

27I parchi del vicentino chiudono in genere <strong>tra</strong> le cinque e le sette di sera, a seconda delle stagioni.<br />

36<br />

36


piccole dimensioni che vengono “adottate”.<br />

Pur avendo mezzi limitati, durante le riunioni e non solo, i membri del<br />

gruppo tornano spesso su quest'argomento, auspicando cambiamenti che<br />

mi<strong>gli</strong>orino la fruibilità de<strong>gli</strong> spazi di socialità per i giovani. Questo dipende<br />

anche dal fatto che, durante <strong>gli</strong> anni delle superiori e anche in seguito, i<br />

soggetti in questione, hanno vissuto l'assenza di centri di aggregazione<br />

gratuiti come una deprivazione. Due esempi ricorrenti, emersi nel corso <strong>dei</strong><br />

mesi <strong>tra</strong> una conversazione e l'al<strong>tra</strong>, sono il disagio che ha seguìto la<br />

demolizione del centro sociale vicentino Ya Basta! nel 2001 e la tendenza<br />

diffusa durante l'adolescenza all'uso informale <strong>dei</strong> parchi pubblici dopo<br />

l'orario di chiusura.<br />

Questo disagio si accompagna a quello dovuto allo stato di abbandono<br />

in cui riversano i piccoli parchi nei quartieri popolari della città e le<br />

“insenature verdi”, come sparti<strong>tra</strong>ffico e aiuole occupate da piante<br />

spontanee [azione diretta/<strong>tra</strong>sformazione].<br />

C'è inoltre l'inevitabile questione ecologica attorno alla quale è sorto il<br />

No Dal Molin [azione diretta/conservazione]. In un contesto come quello<br />

della pianura padana, dove la campagna ha pressoché cessato di esistere,<br />

prendendo le forme di un alternarsi di campi e capannoni, la distruzione di<br />

uno <strong>dei</strong> pochi “polmoni verdi” della città per far posto ad un aeroporto<br />

militare ha suscitato lo sdegno di tutti i ragazzi della Santa Alleanza. Questo<br />

problema cittadino ha assunto una significativa importanza per il gruppo a<br />

partire dal terzo mese di attività, quando sono suben<strong>tra</strong>ti alcuni attivisti del<br />

presidio permanente. Successivamente il gruppo ha cominciato a<br />

partecipare regolarmente al mercato mensile <strong>dei</strong> produttori locali e delle<br />

autoproduzioni del No Dal Molin.<br />

37<br />

37


Fig. 2 Collocazione della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi rispetto al campo dell'ecologia politico-sociale e<br />

della <strong>tra</strong>sformazione del rapporto uomo/natura e società/natura<br />

Il grafico in figura 2 illus<strong>tra</strong> la collocazione della Santa Alleanza <strong>dei</strong><br />

Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi rispetto a due modelli d'azione che tendono<br />

rispettivamente alla <strong>tra</strong>sformazione del rapporto Uomo/Natura e<br />

Società/Natura. Come già detto, la dimensione ecologista del gruppo è<br />

principalmente di matrice sociale.<br />

La collocazione della nebulosa nel primo quadrante indica la chiara<br />

prevalenza di una concezione dell'azione orientata alla <strong>tra</strong>sformazione del<br />

rapporto Società/Natura. Durante le interviste e le riunioni ho avuto modo<br />

di constatare che tutti i membri del gruppo concepiscono questa particolare<br />

attività come un passatempo interessante, anche se nessuno ritiene che esso<br />

38<br />

38


possa portare a vantaggi personali materiali. Se così fosse avrei collocato il<br />

gruppo nel quarto quadrante del grafico, in quanto i fini dell'azione<br />

sarebbero radicalmente diversi 28 . La scelta di dedicare del tempo al guerrilla<br />

gardening dipende allora da una costellazione di motivazioni che si<br />

sovrappongono e si intersecano. Si va dall'esigenza forte e condivisa di<br />

toccare con mano e modificare, seppur in modo superficiale, l'aspetto della<br />

propria città alla necessità di “fare qualcosa di concreto”, per confermare<br />

un'idea che si ha di se stessi o per dimos<strong>tra</strong>re il proprio dissenso. Il binomio<br />

Società/Natura in questo caso indica la “<strong>tra</strong>sformazione complessiva <strong>dei</strong><br />

rapporti uomo/società/natura” e la fruizione collettiva <strong>dei</strong> vantaggi derivanti<br />

dall'azione (Barone, 1984, pg. 189).<br />

Nel corso di alcune riunioni alle quali ho partecipato si è spesso<br />

auspicata la creazione di un network vicentino di guerrilla gardening, fatto<br />

di gruppi di quartiere e provinciali. Quest'idea rappresenterebbe la<br />

realizzazione dell'obiettivo di espansione del gruppo. Inoltre, se ciò si<br />

realizzasse, si potrebbe parlare di effettiva fruizione collettiva <strong>dei</strong> vantaggi<br />

derivanti dall'azione.<br />

Per il momento, invece, i membri del gruppo hanno potuto godere<br />

solo del frutto del proprio lavoro, inteso non tanto come piacere estetico,<br />

ma piuttosto come rassicurazione circa la propria bontà d'animo, il proprio<br />

ruolo di contestatore e via dicendo.<br />

28 Il modello d'azione che tende alla <strong>tra</strong>sformazione del rapporto Uomo/Natura prevede la<br />

“fruizione individuale <strong>dei</strong> vantaggi dell'azione” (Barone, 1984, pg. 189)<br />

39<br />

39


CAPITOLO 4<br />

RITUALI<br />

Il nome Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi comparve per la prima<br />

volta su un fo<strong>gli</strong>etto raccolto dal fondo di uno zaino. Su quel fo<strong>gli</strong>etto<br />

troneggiano piccoli schemi della disposizione delle piante in un'aiuola del<br />

quartiere vicentino di S. Giuseppe, tentativi di costituzione di un'identità<br />

inedita sotto forma di denominazioni volutamente blasfeme e una lista <strong>dei</strong><br />

materiali necessari per mettersi all'opera.<br />

Ancor prima di aver affondato per la prima volta una paletta nella<br />

terra di aiuola pubblica, eccoci intenti a snocciolare acronimi accattivanti<br />

<strong>tra</strong> le mura di un'osteria del centro di Vicenza.<br />

Quella fu una riunione costitutiva a tutti <strong>gli</strong> effetti, al termine della<br />

quale tornammo a casa con un nuovo self (Goffman, 1959) nel taschino.<br />

Nessuno <strong>tra</strong> coloro che vi presero parte ricorda con precisione la data<br />

di quell'incontro; era un venerdì d'aprile.<br />

Richard Reynolds, nello spiegare la progettazione di un intervento di<br />

guerrilla gardening a Current tv, disse che procedeva segnalando data, ora e<br />

luogo sul forum da lui curato, presentandosi poi con tutto il materiale<br />

necessario (attrezzi, terriccio, piante ecc). Gli utenti che rispondevano al<br />

suo appello, ovvero coloro che decidevano di aiutarlo, venivano indirizzati<br />

verso un compito specifico, ad esempio mettere a dimora delle piante di<br />

tagete piuttosto che distribuire volantini ai passanti per spiegare cosa stava<br />

succedendo sotto i loro occhi.<br />

Questa modalità di guerrilla gardening è una delle tante diffuse a<br />

40<br />

40


Londra e vede Reynolds assumere i panni di cerimoniere del rito (Collins,<br />

1988). In quelle occasioni (dette “digs”) e<strong>gli</strong> è al centro del focus attentivo<br />

<strong>dei</strong> presenti e ha il potere di definire prescrizioni e proscrizioni. Perché<br />

l'intervento vada a buon fine è necessario che i guerrilla <strong>gardeners</strong> coordino<br />

le loro azioni. Questo avviene se tutti riconoscono la legittimità del<br />

cerimoniere-Reynolds. Ne conseguirà una maggiore facilità nel catalizzare<br />

l'attenzione <strong>dei</strong> presenti verso un'unica “direzione” (Sterchele, 2007), in<br />

questo caso realizzare il progetto che il cerimoniere stesso aveva definito.<br />

Questo modello di guerrilla gardening funziona bene se a pubblicare<br />

<strong>gli</strong> annunci su un forum e a coordinare <strong>gli</strong> interventi è una persona<br />

carismatica e fortemente legittimata come Reynolds. In quel caso non sono<br />

necessarie riunioni volte a ridefinire continuamente l'identità collettiva di<br />

coloro che praticano del guerrilla gardening insieme, nonché, spostandoci<br />

su un livello più pragmatico, a svolgere la progettazione vera e propria de<strong>gli</strong><br />

interventi.<br />

Partecipando alle attività della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi<br />

ho realizzato ben presto che la comunicazione <strong>tra</strong> membri del gruppo che<br />

avveniva sull'apposito forum non era sufficiente a scatenare l'effervescenza<br />

collettiva di cui parla Durkheim ne Le forme elementari della vita religiosa.<br />

Da un lato non tutti avevano un accesso ad internet comodo e dovevano<br />

usare quello del loro posto di lavoro, dall'altro mancava l'elemento<br />

fondamentale della compresenza.<br />

Facciamo un esempio: <strong>tra</strong> la fine di lu<strong>gli</strong>o e l'inizio di settembre si era<br />

deciso di sospendere <strong>gli</strong> interventi del gruppo, poiché notoriamente se si<br />

41<br />

41


mette a dimora una pianta in piena estate è molto probabile che questa non<br />

sopravviva per più di una settimana. Di lì a poco vennero meno anche le<br />

riunioni.<br />

Nonostante si fosse detto che il forum sarebbe stato comunque<br />

utilizzato per concordarsi su alcuni punti chiave, come l'acquisto di uno<br />

stock di bulbi, solo una minoranza de<strong>gli</strong> iscritti partecipò al processo<br />

decisionale.<br />

Furono necessari alcuni incontri fisici 1 (una festa, una mattinata<br />

passata insieme al banchetto della Santa Alleanza presso il mercato <strong>dei</strong><br />

produttori locali e delle autoproduzioni del No Dal Molin, una riunione) per<br />

ricaricare la “batteria sociale” (Collins, 1988) del gruppo.<br />

Se in un primo momento avevo scartato la teoria <strong>dei</strong> rituali per<br />

descrivere l'oggetto della mia etnografia, subito dopo la pausa estiva notai<br />

come certi comportamenti, certe pratiche tendessero a ripetersi.<br />

Con l'ampliamento del gruppo sotto un profilo numerico, aumentarono<br />

anche i conflitti interni e la conseguente necessità di ristabilire<br />

continuamente un equilibrio, seppur precario, <strong>tra</strong> le diverse componenti.<br />

Capita spesso che qualche amico o semplicemente qualche persona<br />

curiosa chieda ai ragazzi della Santa Alleanza: “Ma allora, quanti siete?”<br />

La risposta risulta sempre molto complessa. Ad esempio:<br />

“Mah... sul forum ci sono circa trenta, trentacinque iscritti, ma alle<br />

riunioni non siamo mai più di dieci. Ci sono quelli che partecipano solo su<br />

internet e quelli che si sono iscritti e non hanno mai scritto niente. Poi c'è<br />

un ragazzo che viene alle riunioni e ci procura <strong>dei</strong> materiali ma non viene<br />

1 “La riunione fisica del gruppo è un ingrediente cruciale del rituale. Durkheim lo concepisce come<br />

un processo corporeamente reale. La società diventa reale dal punto di vista emotivo perché questi<br />

esseri umani sono realmente in presenza <strong>gli</strong> uni de<strong>gli</strong> altri” (Collins, 1988, pg. 244)<br />

42<br />

42


mai a<strong>gli</strong> attacchi e un altro che viene solo alle riunioni e ci aiuta con la<br />

grafica <strong>dei</strong> volantini e alcune volte è venuto a fotografarci mentre eravamo<br />

al lavoro...”<br />

Non a caso, però, i membri cosiddetti “attivi” considerano<br />

appartenenti alla Santa Alleanza solo coloro che partecipano alle riunioni o<br />

a<strong>gli</strong> “attacchi”. Sul forum compaiono spesso esortazioni “a chi non si è mai<br />

fatto vivo” e in più di un'occasione sono state organizzate riunioni o altri<br />

tipi di incontri finalizzati al conoscere di persona i nuovi iscritti.<br />

In linea di massima le discussioni che avvengono durante le riunioni<br />

potrebbero svolgersi anche sul forum. Eppure si è rivelata necessaria la<br />

compresenza di tutti i membri attivi per giungere a vere e proprie decisioni.<br />

Sul forum del gruppo è possibile consultare svariati abbozzi di progetti. Gli<br />

unici che hanno visto la luce sono stati quelli di cui si è discusso in<br />

riunione.<br />

Le riunioni non hanno mai luogo per due volte di seguito nello stesso<br />

luogo. Di solito vengono scelti <strong>dei</strong> bar. Inizialmente si era <strong>tra</strong>ttato di una<br />

scelta casuale; chi proponeva l'incontro sce<strong>gli</strong>eva un bar di suo gradimento.<br />

Poi un lunedì sera, a seguito di un attacco, ci trovammo a festeggiare<br />

il buon risultato del nostro intervento in un locale dall'aspetto malfamato,<br />

situato in una delle s<strong>tra</strong>de con la più alta concen<strong>tra</strong>zione di prostitute di tutta<br />

Vicenza. Accanto al nostro tavolo c'erano de<strong>gli</strong> uomini dell'Europa dell'Est<br />

vestiti di tutto punto in compagnia di giovani ragazze in abiti succinti.<br />

Eravamo in sei; le mani sporche di terra, le bici cariche di attrezzi da<br />

giardinaggio parcheggiate sul marciapiede davanti al locale.<br />

Una ragazza che era en<strong>tra</strong>ta da poco nel gruppo ci raccontò di come<br />

43<br />

43


avesse avuto il telefono sotto controllo a causa del ruolo nell'organizzazione<br />

di alcune attività del No Dal Molin. Poi, con grande naturalezza, disse che<br />

sicuramente la Digos aveva già visto il sito del gruppo e il forum. Mentre la<br />

fissavamo con sguardi attoniti e dominati dallo sconcerto, suggerì la<br />

s<strong>tra</strong>tegia che da quel giorno divenne uno <strong>dei</strong> punti saldi del modus operandi<br />

della Santa Alleanza: fare riunioni in posti sempre diversi e non segnalare<br />

mai luogo, data e giorno de<strong>gli</strong> attacchi su internet.<br />

Una peculiarità delle riunioni è dunque quella vedere i membri attivi<br />

del gruppo riuniti attorno ad un tavolo, il più delle volte in un locale<br />

pubblico.<br />

Questi incontri cominciano sempre con uno <strong>dei</strong> membri del gruppo<br />

che espone “l'ordine del giorno”. Non si <strong>tra</strong>tta sempre della stessa persona,<br />

ma il più delle volte sono soggetti che scrivono spesso sul forum o che per<br />

lo meno si tengono aggiornati sull'andamento delle discussioni.<br />

Le riunioni vengono convocate per una pluralità di ragioni, ma ogni<br />

volta ce n'è una che prevale sulle altre. I presenti riconoscono la rilevanza di<br />

quest'ultima e il più delle volte le dedicano l'apertura della discussione o<br />

comunque uno spazio molto ampio rispetto alla durata totale dell'incontro.<br />

Uno <strong>dei</strong> motivi per cui inizialmente mi sembrava di non poter usare la<br />

parola rituale quando descrivevo le riunioni era che molto spesso vedevo<br />

venire meno il focus attentivo comune. Questo era dovuto alla<br />

composizione stessa del gruppo.<br />

Non <strong>tra</strong>ttandosi di una delegazione di esperti di botanica, le decisioni<br />

pratiche relative alle piante da usare finivano sistematicamente per essere<br />

prese solo da chi se ne intendeva almeno un po'. Coloro i quali si<br />

autodefinivano “dotati di pollice nero” tendevano a ta<strong>gli</strong>ar corto o a<br />

44<br />

44


prendere in giro chi insisteva nell'usare nomi latini.<br />

Questa modalità comunicativa dominata da feedback ottusi si<br />

<strong>tra</strong>sformò lasciando spazio a feedback intelligenti (Bateson, 1972) quando,<br />

dopo aver metacomunicato sul forum, i cosiddetti “esperti” di botanica<br />

abbandonarono, o per lo meno cercarono di abbandonare, alcune pratiche<br />

che altri percepivano come pedanti. Da allora l'uso di terminologia tecnica è<br />

spesso accompagnato da ventate di ironia, come nel caso delle piante di<br />

Coleus, che all'interno della cerchia della Santa Alleanza sono diventate<br />

Turpiloquius. La conoscenza pratica si è progressivamente diffusa e questo<br />

permette un dialogo più bilanciato senza che si sviluppi troppo<br />

frequentemente una dinamica del tipo oratore-ascoltatori passivi. Esiste<br />

ancora un divario <strong>tra</strong> chi propone le piante da usare e chi non lo fa ma,<br />

rispetto ai primi mesi di attività, ho notato una maggiore apertura e<br />

disponibilità all'ascolto da parte di tutti.<br />

A proposito di questa considerazione cito un'affermazione di uno <strong>dei</strong><br />

ragazzi che si autodefiniscono incapaci di tenere in vita qualsiasi tipo di<br />

pianta.<br />

“Ho un sacco di responsabilità al lavoro... Mi piace l'idea di venire<br />

qui e farmi dire cosa devo fare... mi sento libero una volta tanto. Anche se<br />

non capisco niente di piante mi piace fare questi lavori manuali e poi era<br />

da un po' che cercavo qualcosa del genere da fare, qualcosa di slegato da<br />

istituzioni e partiti... Anche se i miei amici mi prendono in giro [ride] io ci<br />

credo.”<br />

Il motivo per cui inizialmente, nonostante la dinamica comunicativa<br />

45<br />

45


dominata da feedback ottusi, <strong>gli</strong> attacchi venivano comunque portati a<br />

termine, è che il gruppo era composto da un numero estremamente limitato<br />

di elementi. Tutti erano desiderosi di fare le loro prime azioni di guerrilla<br />

gardening e i problemi di comunicazione passavano così in secondo piano.<br />

Con l'ampliamento del gruppo, onde evitare una prematura<br />

disintegrazione, divenne evidente la necessità risolvere i primi conflitti<br />

interni e di trovare un bilanciamento <strong>tra</strong> le istanze portate da ciascuno. Se<br />

nei primi tempi le interazioni durante le riunioni erano abbastanza fredde e<br />

impacciate, perché non tutti si conoscevano bene, con il passare <strong>dei</strong> mesi<br />

a<strong>gli</strong> occhi rivolti al cielo e a<strong>gli</strong> sbuffi hanno cominciato a sostituirsi delle<br />

sonore risate e delle battute che aiutano i destinatari ad uscire dalle loro<br />

cornici (Sclavi, 2003).<br />

Riunione dopo riunione, la forma di questo tipo d'interazione è andata<br />

consolidandosi, anche se resta ancora spazio per la creatività, le divagazioni<br />

e saltuari confronti che vengono vissuti come problematici dai presenti. Si<br />

<strong>tra</strong>tta di un principio di sedimentazione nel tempo di forme di azione<br />

reciproca (Jedlowski, 1995). Nel processo di sociazione, descritto da Georg<br />

Simmel, queste forme delineano strutture e confini <strong>dei</strong> gruppi. Tradotto in<br />

termini durkheimiani, si <strong>tra</strong>tta di azioni rituali che “esprimono la realtà<br />

sociale e al tempo stesso tendono a cristallizzarla in rappresentazioni<br />

simboliche” (Sterchele, 2007).<br />

L'istante in cui realizzai che le riunioni del gruppo non erano più<br />

incontri privi qualsivo<strong>gli</strong>a struttura, ma stavano invece cominciando a<br />

reggersi su un canovaccio co-costruito, fu -almeno per la sottoscritta-<br />

46<br />

46


peculiare.<br />

Eravamo in undici, tutti seduti in cerchio attorno ad un tavolino<br />

striminzito di un bar in zona industriale. Sul tavolino troneggiavano i nostri<br />

bicchieri di spritz e il mio regis<strong>tra</strong>tore. Cercavamo di parlarci nonostante il<br />

rumore causato da una band musicale che stava effettuando il soundcheck.<br />

Il frastuono era tale che avevamo difficoltà a sentirci anche se separati da<br />

meno di un metro di distanza. Questa condizione, per certi versi, favoriva il<br />

reciproco ascolto, poiché eravamo attenti a non perdere parte de<strong>gli</strong><br />

interventi di chi prendeva la parola.<br />

L'intento principale dell'incontro era quello di distribuire svariate<br />

centinaia di bulbi <strong>tra</strong> i membri del gruppo e di selezionare un certo numero<br />

di luoghi dove andare poi a collocarli.<br />

In precedenza avevo notato come la persona che proponeva “l'ordine<br />

del giorno” fosse poi anche quella che faceva da moderatore, talvolta<br />

prendendo appunti per ricordare i punti chiave emersi nella discussione ed<br />

eventualmente stendere un breve resoconto da pubblicare sul forum.<br />

Quella sera ero io a dirigere le danze, non perché lo volessi, ma perché<br />

era chiaro che tutti se lo aspettavano da me. Ero io quella che aveva scelto i<br />

bulbi (anche se mi ero basata su una tabella fatta da un'al<strong>tra</strong> ragazza del<br />

gruppo), che li aveva comprati su internet (usando i soldi della cassa<br />

comune) e che li aveva portati fisicamente in quel bar per dividerli <strong>tra</strong> i<br />

presenti. Fu dunque mentre spiegavo a quale profondità piantare i bulbi e in<br />

che posizioni metterli che, uscendo per un attimo da mio corpo tutto teso,<br />

mi vidi per quello che ero. Credo di aver sussultato impercettibilmente<br />

mentre nella mia testa risuonavano le parole:<br />

“Cerimoniere? Cerimoniere del rito?! Non posso essere il cerimoniere del<br />

47<br />

47


ito!”<br />

Eppure continuai a dire quello che stavo dicendo e a fare quello che<br />

stavo facendo, mentre tutti mi fissavano immagazzinando le informazioni<br />

da me pronunciate.<br />

All'interno di Teorie Sociologiche Randall Collins ha delineato un<br />

modello analitico cui fare riferimento per riconoscere i rituali.<br />

Gli elementi chiave sono:<br />

1. riunione fisica di un gruppo di persone,<br />

2. la loro condivisione di un medesimo focus di attenzione e la<br />

reciproca consapevolezza di ciò,<br />

3. una tonalità emozionale comune,<br />

4. oggetti sacri: simboli che rappresentano l'appartenenza al gruppo<br />

Questi a loro volta danno luogo a:<br />

5. aumento della fiducia e dell'energia emozionale de<strong>gli</strong> individui che<br />

partecipano al rituale e/o che rispettano i suoi simboli,<br />

6. giusta rabbia e punizione delle persone che mos<strong>tra</strong>no di non<br />

rispettare <strong>gli</strong> oggetti sacri<br />

Le riunioni della Santa Alleanza non hanno per protagonisti solo il<br />

mondo vegetale e la commistione <strong>tra</strong> quest'ultimo e l'area <strong>urbani</strong>zzata di<br />

Vicenza.<br />

Pur avendo osservato che i due punti cardine del rituale-riunione sono<br />

la discussione del tema all'ordine del giorno (solitamente all'inizio) e la<br />

ricapitolazione finale, c'è un altro elemento che risalta su tutti <strong>gli</strong> altri. Per<br />

quanto non direttamente riconducibile alla provincia finita di significato<br />

48<br />

48


(Schütz, 1971) del guerrilla gardening, durante <strong>gli</strong> incontri della Santa<br />

Alleanza non manca mai una giocosa discussione che i membri del gruppo<br />

definiscono cordialmente “anticlericale”. Un collega mi ha suggerito<br />

un'espressione colorita che descrive in modo adeguato l'atmosfera di quei<br />

momenti. Chiunque si avvicinasse al nostro tavolo sarebbe colpito da una<br />

ventata di “estremismo laico”. Non è chiaro il motivo per cui,<br />

indipendentemente dall'ampliamento numerico del gruppo, esso permanga<br />

stabile su un inscalfibile 100% di soggetti in polemica con la Chiesa<br />

Cattolica. Fatto sta che l'effervescenza di cui parla Durkheim descrivendo i<br />

rituali religiosi delle tribù totemiche non si concretizza quando il gruppo<br />

decide di comprare de<strong>gli</strong> oleandri o di organizzare un attacco nei pressi<br />

della stazione, bensì quando vengono citati episodi concernenti le madonne<br />

di gesso che qualcuno ha sparso in quasi tutte le rotatorie di Vicenza o un<br />

nuovo capitello comparso accanto ad un vascone curato dalla Santa<br />

Alleanza.<br />

Queste discussioni sono un continuo susseguirsi di crasse risate e<br />

sorrisi <strong>tra</strong> lo sbigottito e il deliziato.<br />

Lo stesso nome Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi emerse da una<br />

nebulosa d'ipotesi e colse pienamente quello che era il clima originario del<br />

gruppo. Stanchi di vivere in una città notoriamente “bianca”, dove le<br />

principali at<strong>tra</strong>zioni 2 sono la Fiera dell'Oro e il Festival Biblico, ci sembrava<br />

necessario esprimere in qualche modo il nostro disgusto, pur dedicandoci ad<br />

un'attività apparentemente super partes come il giardinaggio.<br />

A posteriori risulta chiaro come quella sensazione imperitura di<br />

distacco dalla Chiesa Cattolica e dalle sue sezioni locali sia diventata per il<br />

gruppo -una volta riconosciuto questo atteggiamento comune- un collante e<br />

2 Oltre ai marmi palladiani<br />

49<br />

49


quindi un simbolo della sua coesione interna. Pur restando nel retroscena<br />

(Goffman, 1959) della “rappresentazione di guerrilla gardening”, questo<br />

sentire condiviso si è fatto cen<strong>tra</strong>le, fino ad assurgere alla posizione di<br />

oggetto sacro del rituale.<br />

Quando siamo riuniti attorno ad un tavolo e parliamo di piante<br />

resistenti alla siccità e di madonne di gesso alte trenta centimetri, stiamo<br />

confermando la nos<strong>tra</strong> comune appartenenza al gruppo. La Santa Alleanza è<br />

come un uomo sui <strong>tra</strong>mpoli durante un terremoto, continuamente scosso da<br />

proposte che nessuno sa come gestire. È necessaria una certa abilità e<br />

qualche appi<strong>gli</strong>o saldo per sopravvivere indenne. Il fastidio che ciascuno<br />

<strong>dei</strong> membri del gruppo prova nel vedere che uno spazio pubblico (come una<br />

rotatoria) è stato munito di un simbolo sacro del sistema di credenza<br />

dominante rappresenta l'appi<strong>gli</strong>o di cui sopra.<br />

La tonalità emozionale comune, il focus attentivo, la compresenza e<br />

l'oggetto sacro sono tutti elementi ravvisabili in quei frammenti di riunione<br />

che vengono dedicati alla <strong>tra</strong>sformazione di ciò che per il culto cattolico è la<br />

dicotomia sacro-profano.<br />

50<br />

50


CAPITOLO 5<br />

A CIASCUNO I SUOI OGGETTI SACRI<br />

Partiamo da un esempio; il resoconto etnografico di un episodio<br />

significativo (concernente la messa a dimora di tre piante di pomodori in<br />

una rotatoria), avvenuto nel giugno del 2009, cioè a circa due mesi dalla<br />

costituzione del gruppo.<br />

“Sono arrivata sul posto insieme e Luca. Ad aspettarci c'era già<br />

Ilario, che si è offerto di fare delle foto durante l'attacco. Ha la bici carica<br />

di attrezzature da fotografo. Sembra un po' goffo, tentennante; pare che da<br />

un momento all'altro bici, cavalletti e macchina fotografica possano<br />

cadere a terra. Riesco a visualizzarli sull'asfalto mentre parliamo.<br />

Parliamo, ma non riesco a mantenere la concen<strong>tra</strong>zione su di lui; seguo la<br />

conversazione voltandomi frequentemente. Guardo la s<strong>tra</strong>da, prima a<br />

des<strong>tra</strong>, poi a sinis<strong>tra</strong>, poi di nuovo a des<strong>tra</strong>, i balconi delle case, <strong>gli</strong><br />

abitanti del quartiere che vanno a spasso. Penso che ci sono troppe<br />

macchine, che chiameranno la polizia non appena qualcuno vedrà un<br />

branco di giovani che scavano nella rotatoria.<br />

Tutto è stato calcolato detta<strong>gli</strong>atamente, perché è in assoluto il primo<br />

attacco del gruppo di giorno. Di solito ci muoviamo sempre quando fa<br />

buio.<br />

Nonostante questo non mi sento <strong>tra</strong>nquilla.<br />

Siamo seduti su un muretto poco distante dalla rotatoria, in attesa<br />

de<strong>gli</strong> altri. Luca si alza e torna verso la macchina, parcheggiata dietro le<br />

nostre schiene. Es<strong>tra</strong>e le vanghe dal baga<strong>gli</strong>aio, le poggia per terra. In<br />

51<br />

51


quel momento arrivano Ivan ed Eva, con <strong>gli</strong> attrezzi e le piante di<br />

pomodoro.<br />

L'idea di mettere delle piante di pomodoro in una rotatoria è stata di<br />

Ivan. Se ne è discusso lungamente perché il gruppo era diviso a metà <strong>tra</strong> i<br />

favorevoli e i con<strong>tra</strong>ri. Io e Luca eravamo con<strong>tra</strong>ri, motivo per cui oltre a<br />

maledire noi stessi e il gruppo per esserci cacciati in una situazione del<br />

genere, ci sentiamo anche doppiamente stupidi per aver ceduto. La prima<br />

cosa che dice Ivan scendendo dalla macchina è: “Sono terrorizzato”. Poi<br />

resta in silenzio, racco<strong>gli</strong>e la sua vanga e si muove verso il ci<strong>gli</strong>o della<br />

s<strong>tra</strong>da. Le macchine ci passano accanto; <strong>gli</strong> autisti ci ignorano. Quello è<br />

un punto di passaggio, non c'è niente da vedere. Solo una rotatoria vuota.<br />

Ivan è il primo ad at<strong>tra</strong>versare la s<strong>tra</strong>da e ad adden<strong>tra</strong>rsi nella rotatoria.<br />

Luca ed io lo seguiamo immediatamente, mentre Eva sta pronta con le<br />

piante vicino al muretto e Ilario ci fotografa. Nel poggiare i piedi prima in<br />

mezzo alla s<strong>tra</strong>da e poi sul terreno irregolare della rotatoria sento una<br />

scarica di adrenalina che mi at<strong>tra</strong>versa; è la stessa sensazione che ho<br />

provato facendo guerrilla gardening la prima volta, di notte. Il passare da<br />

una situazione in cui “non stai facendo niente di male” ad una in cui sei<br />

totalmente fuori posto, con i guanti da lavoro affondati nella terra<br />

pubblica, è s<strong>tra</strong>niante. Camminiamo sperando che nessuno ci noti. Ivan<br />

dice che dobbiamo muoverci, che dobbiamo mettere giù le piante e<br />

andarcene al più presto. È concen<strong>tra</strong>to sul terreno, lo scruta con<br />

attenzione. Sembra che stia per disinnescare una bomba.<br />

La rotatoria ha una forma oblunga irregolare e potrebbe ospitare una<br />

piccola foresta. Da un lato, oltre la s<strong>tra</strong>da, ci sono delle abitazioni di<br />

piccole dimensioni con giardini e orti striminziti. Sembrano le classiche<br />

52<br />

52


case costruite una identica all'al<strong>tra</strong> e destinate alla classe operaia. I<br />

cancelli sono marroni e regolari, come andava di moda ne<strong>gli</strong> anni<br />

sessanta. Dall'altro lato c'è il parcheggio di un supermercato di quartiere,<br />

circondato da alberi le cui radici si stanno facendo s<strong>tra</strong>da nel cemento e<br />

dal muretto dove eravamo seduti. Anche il muretto è di cemento, alto circa<br />

mezzo metro, con delle scanalature verticali.<br />

Una volta giunto al centro della rotatoria Ivan si ferma e sbarra <strong>gli</strong><br />

occhi. Nel luogo in cui aveva deciso di mettere a dimora i pomodori c'è<br />

invece una madonna di gesso contornata da ciclamini di plastica. Sul<br />

momento rimaniamo pietrificati, con le nostre vanghe in mano e la tensione<br />

che sale. Questo con<strong>tra</strong>ttempo compromette la nos<strong>tra</strong> tabella di marcia e ci<br />

costringe a modificare leggermente il nostro piano. Ivan si sposta<br />

all'interno della rotatoria alla ricerca di un luogo alternativo che risulti<br />

comunque in vista e che non sia troppo vicino alla madonna. Tutti e tre<br />

siamo consapevoli del fatto che non possiamo invadere lo spazio della<br />

scultura di gesso, né tantomeno to<strong>gli</strong>erla, perché qualcuno potrebbe<br />

prendersela molto. Questo messaggio non ha bisogno di essere espresso a<br />

parole. Non appena Ivan si sposta verso des<strong>tra</strong> e indica un punto per terra<br />

Luca ed io comprendiamo che siamo sulla stessa lunghezza d'onda e<br />

cominciamo a scavare tre buche.<br />

Dopo quelli che sembrano non più di cinque secondi notiamo alle<br />

nostre spalle un signore sulla sessantina che sta at<strong>tra</strong>versando la s<strong>tra</strong>da e<br />

sta venendo da noi. Qualcuno sibila: “Muoviamoci a finire il lavoro e<br />

scappiamo!”<br />

Il signore si piazza davanti a noi con risolutezza. Sembra enorme; ci<br />

guarda dall'alto mentre siamo accucciati a terra. Dice: “Cosa state<br />

53<br />

53


facendo?”<br />

Io balbetto e pronuncio accenni di frasi scarsamente esplicative,<br />

mentre sono ormai pietrificata e in preda al panico. Dico: “stiamo<br />

abbellendo... sì.. questa rotatoria è brutta così... quindi pensavamo di<br />

metterci fiori e piante varie... sa... abbiamo già fatto queste cose a San<br />

Giuseppe...”<br />

Il signore ha la faccia corrucciata e ci fissa con le braccia conserte.<br />

Nonostante questo tutti continuano a scavare. Il pensionato ci dice che<br />

vuole vedere la nos<strong>tra</strong> autorizzazione del Comune e aggiunge che ha avuto<br />

un qualche ruolo nella stesura di un non me<strong>gli</strong>o precisato regolamento di<br />

Circoscrizione. Il suo orgo<strong>gli</strong>o <strong>tra</strong>spare mentre pronuncia queste parole.<br />

Non avendo un'autorizzazione, facciamo i salti mortali per cambiare<br />

argomento. Quando Eva, che nel frattempo ci ha raggiunti con le piante di<br />

pomodori già svasate, ripete che comunque stiamo solo abbellendo la<br />

rotatoria, il signore sbotta: “Ma come? C'è già lei che abbellisce la<br />

rotatoria!”<br />

E nel dire questo indica la malconcia madonna di gesso alta trenta<br />

centimetri e i suoi ciclamini di plastica. [Vedi Foto 4 ne<strong>gli</strong> Allegati,<br />

pg. 106]<br />

La reazione comune è di sconcerto. Nessuno di noi ritiene che<br />

quell'oggetto abbellisca la rotatoria, anzi. Eppure non osiamo rispondere.<br />

Fortunatamente a quel punto il signore gira i tacchi e torna verso casa,<br />

lasciandoci così il tempo di racco<strong>gli</strong>ere le nostre cose e fuggire verso le<br />

auto, ripetendoci “e se sta chiamando la polizia? Scappiamo!<br />

scappiamo!”.”<br />

54<br />

54


Questo episodio segnò indelebilmente il gruppo. Prima dell'incontro<br />

con la madonna di gesso la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi non<br />

disponeva di aneddoti esilaranti su cui disquisire, né tanto meno di una<br />

nemesi degna di questo nome. La madonna di scarsa fattura che<br />

incon<strong>tra</strong>mmo sul percorso ci fece deviare rispetto ad un <strong>tra</strong>cciato definito,<br />

non solo all'interno della situazione descritta.<br />

Melucci scrive che “un conflitto antagonista manifesta [...]<br />

un'opposizione che riguarda il controllo e la destinazione di risorse cruciali”<br />

e ancora “[esso] suppone la lotta di due attori per l'appropriazione di risorse<br />

valorizzate da en<strong>tra</strong>mbi” (Melucci, 1982, pg. 19 e 20).<br />

In questo caso la risorsa cruciale è il suolo pubblico. La nemesi invece<br />

è variabile; può essere l'idea as<strong>tra</strong>tta di un'istituzione distante e<br />

menefreghista che si dedica all'allocazione burocratizzata de<strong>gli</strong> spazi così<br />

come il signore ligio alle regole, pronto a difendere a spada <strong>tra</strong>tta la sacra<br />

inviolabilità di una rotatoria.<br />

Ma che cosa significa l'espressione “suolo pubblico”? Lo possiamo<br />

definire in modo univoco?<br />

All'interno della stessa città esiste una pluralità di modi di concepirlo e<br />

relazionarsi ad esso.<br />

Il senso comune 1 ci direbbe che il suolo pubblico “non è di nessuno”.<br />

Per questo motivo ci aspettiamo che le aiuole del nostro quartiere siano<br />

de<strong>gli</strong> immondezzai in cui un paio di volte all'anno il giardiniere comunale<br />

ta<strong>gli</strong>a l'erba. Per ragioni analoghe, durante un'azione serale nel quartiere di<br />

S. Giuseppe, una residente ci vide dalla fines<strong>tra</strong> mentre stavamo scavando e<br />

1 Nonché un gran numero di persone con cui ho avuto occasione di discutere dell'argomento in<br />

questione<br />

55<br />

55


chiamò la polizia. Gli agenti poi ci riferirono che la signora al telefono<br />

aveva detto che secondo lei stavamo seppellendo qualcosa, forse un<br />

cadavere.<br />

Al momento la cosa mi sembrò assurda. Poi compresi che il frame<br />

“spazio pubblico” di quella signora doveva essere molto diverso dal mio e<br />

da quello <strong>dei</strong> miei colleghi. Con ogni probabilità lei non aveva neanche<br />

in<strong>tra</strong>visto la possibilità che stessimo facendo giardinaggio. “Solo un<br />

malintenzionato potrebbe scavare lì, soprattutto di notte 2 !”, avrà pensato<br />

mentre ci osservava dal suo appartamento.<br />

Scrive La Cecla a proposito:<br />

“La città, il paese, il territorio diventano indifferenti per il cittadino medio,<br />

quello che non ha il potere di mettere le mani sulla città e di mutare il volto<br />

dell'ambiente in cui vive. Gli viene consentito di usarne, di fare al suo<br />

interno la propria nicchia. Ma la sua attività di abitare non è attività di<br />

creazione di luoghi. E<strong>gli</strong> è solo un utente.” (La Cecla, 1988, pg. 37)<br />

E ancora:<br />

“L'unico spazio che i residenti hanno il permesso di organizzarsi è la<br />

disposizione <strong>dei</strong> mobili della propria casa. Regolamenti edilizi, ispettori,<br />

burocrazie e corporazioni professionali hanno criminalizzato ogni intervento<br />

creativo <strong>dei</strong> cittadini all'esterno e talvolta perfino all'interno delle loro<br />

abitazioni, fino a cancellare ogni abilità, memoria e spirito d'iniziativa in<br />

2 Una reazione molto frequente <strong>dei</strong> “profani” quando realizzano che il loro interlocutore pratica il<br />

guerrilla gardening è questa: assumono una postura che sta ad indicare che hanno capito tutto; poi<br />

dicono, con fare affermativo: “guerrilla gardening? Quelli che fanno giardinaggio di notte?”<br />

Quest'idea che i guerrilla <strong>gardeners</strong> compiano le loro azioni di notte è abbastanza imprecisa,<br />

perché molte persone lo fanno di giorno. In ogni caso, all'interno del mio gruppo, buona parte delle<br />

azioni vengono svolte quando fa buio. Ma questo avviene soprattutto perché di giorno i membri<br />

della Santa Alleanza hanno impegni di studio e di lavoro.<br />

Cito da un'intervista (Luca, 23 anni): “Facendo giardinaggio in questo modo si può decidere<br />

direttamente senza aspettare consensi ampi o autorizzazioni, poi c'era il brivido di fare qualcosa di<br />

illecito, farlo di sera... così si ha tempo di fare altre cose di giorno”<br />

Esistono svariate s<strong>tra</strong>tegie “di guerri<strong>gli</strong>a” per agire semi-indisturbati sia di giorno sia di notte. Per<br />

un approfondimento si veda “On <strong>Guerrilla</strong> Gardening” di Richard Reynolds (Reynolds, 2008).<br />

56<br />

56


questo senso.” (La Cecla, 1988, pg. 38)<br />

I primi incontri-scontri <strong>tra</strong> i ragazzi della Santa Alleanza e i residenti<br />

delle aree colpite dalle azioni di ripristino sono stati caratterizzati da una<br />

bisociazione di matrici percettivo-valutative (Sclavi, 2003).<br />

Tornando al caso della messa a dimora <strong>dei</strong> pomodori, emergono con<br />

chiarezza due visioni con<strong>tra</strong>pposte dell'esperienza. Da un lato c'è un gruppo<br />

di ragazzi che compie un gesto considerato “simbolico” e vòlto a far<br />

riflettere le persone, dall'altro un abitante della zona che lo interpreta come<br />

un atto vandalico, illegale.<br />

Mentre mi muovevo nella situazione descritta ricordo che, con il<br />

sopraggiungere dell'anziano interlocutore, persi la capacità di ragionare e<br />

mi limitai ad intensificarlo come un elemento di disturbo. Le sue<br />

affermazioni mi sembravano insensate. Pensai che non <strong>gli</strong> costava niente<br />

starsene a casa ed ignorarci. Ai miei occhi era deprecabile perché era<br />

intervenuto. A supporto della mia percezione c'erano esempi di altre<br />

situazioni analoghe, in cui i residenti avevano fatto finta di non vedere ciò<br />

che stava accadendo.<br />

Solo a posteriori realizzai che en<strong>tra</strong>mbe le posizioni avevano una loro<br />

legittimità, poiché si inscrivevano in due diversi modi intendere la “cosa<br />

pubblica”.<br />

Fu accumulando esperienze problematiche e negative che noi<br />

giardinieri cominciammo a realizzare che la nos<strong>tra</strong> visione non era l'unica<br />

plausibile e logica. Con queste premesse e muovendoci in contesti più<br />

aperti all'inaspettato ottenemmo <strong>dei</strong> risultati positivi, che illustrerò in<br />

seguito.<br />

In definitiva possiamo ricondurci a quanto scritto da Marianella<br />

57<br />

57


Sclavi:<br />

“Al livello I [apodittico o “della visione ingenua”] non c'è modo di riflettere<br />

su come ci muoviamo percettivamente. Anche qui abbiamo attivato una<br />

cornice, ma la diamo per scontata, non ne siamo consapevoli. È solo al<br />

livello II [polimorfo], dopo aver fatto l'esperienza di un cambiamento di<br />

cornice, che ci rendiamo conto che quella precedente era una “visione<br />

ingenua”. “Ingenua” non perché sba<strong>gli</strong>ata in quanto tale, ma perché<br />

implicava di essere l'unica possibile. Ed è solo adesso, a posteriori, che<br />

siamo in grado di riflettere sia sulla modalità <strong>tra</strong>sformativa (come abbiamo<br />

fatto?) sia sul ruolo attivo dell'osservatore nel costruire il senso di ciò che<br />

vede.” (Sclavi, 2003, pg. 67)<br />

Un modo diverso di percepire e interagire con lo spazio pubblico è<br />

quello di chi, non lo subisce passivamente, ma lo modifica creativamente.<br />

Keri Smith, il cui pensiero ha molti punti in come con quello della<br />

Santa Alleanza, scrive a riguardo:<br />

“Modern culture with its overwhelming wealth of advertising, mass media,<br />

and mass communication often teaches us to tune out, or disconnect, because<br />

there is a limit to how much information we can process on a given day. In<br />

many cases we have no choice about the quantity or quality of what we take<br />

in. In a urban environment it becomes necessary to form a direct connection<br />

with the landscape, with aspects of the natural world, or with a greater<br />

community. Creating street art is one way to foster that connection. By<br />

adding to the landscape I am reclaiming it as my own – I am now an active<br />

participant in how it operates and a partial creator of its complex language.”<br />

(Smith, 2007, pg. 9 e 10)<br />

Non a caso Keri Smith, all'interno del libro da cui ho <strong>tra</strong>tto questa<br />

citazione -un piccolo manuale di street art- parla anche di guerrilla<br />

gardening e graffiti di muschio 3 .<br />

3 Una delle tecniche più famose di guerrilla gardening, che combina giardinaggio e graffiti<br />

58<br />

58


Un terzo modo di relazionarsi allo spazio pubblico, che è emerso<br />

prepotentemente ai miei occhi nel corso di questa ricerca, è quello <strong>dei</strong><br />

vicentini cattolici (più o meno praticanti). Ricordo che in uno libro di storia 4<br />

studiato alle superiori mi imbattei in un'informazione che mi colpì molto;<br />

l'autore affermava che il Veneto è la regione al mondo con la più alta<br />

concen<strong>tra</strong>zione di capitelli (non ricordo se pro capite o per chilometro<br />

quadrato).<br />

Nel corso della mia ricerca ho avuto modo di osservare come alcuni<br />

cattolici berici ferventi percepiscano il paesaggio come un frutto della<br />

creazione divina e quindi “arredabile” con immagini sacre, anche se questo,<br />

nei casi analizzati, con<strong>tra</strong>sta con la legge statale esattamente come il<br />

guerrilla gardening. Tutti <strong>gli</strong> altri (cattolici e non) -purché consapevoli del<br />

valore simbolico di queste rappresentazioni- non possono fare a meno di<br />

vedere in que<strong>gli</strong> oggetti <strong>dei</strong> significati ex<strong>tra</strong>-ordinari più o meno<br />

condivisibili. Il fatto che alcune persone affermino di disprezzare certa<br />

simbologia cattolica, ma stiano poi ben attenti a non profanarla in alcun<br />

modo, dipende dal fatto che <strong>gli</strong> oggetti sacri sono un “simbolo della<br />

società” (Collins, 1988), in questo caso quella de<strong>gli</strong> aderenti alla Chiesa<br />

Cattolica Romana.<br />

Allo stesso modo, l'atto di profanazione implica un riconoscimento<br />

dell'oggetto colpito come sacro, simbolo della società che rappresenta.<br />

Diversamente sarebbe ignorato e <strong>tra</strong>ttato come un oggetto qualsiasi.<br />

“Ciò che <strong>tra</strong>sforma questo gruppo eterogeneo di cose, artefatti, azioni e idee<br />

in “oggetti sacri” non è una qualsivo<strong>gli</strong>a caratteristica che essi posseggano<br />

oggettivamente in comune, ma il modo in cui il gruppo si comporta nei loro<br />

4 Era un libro del De Rosa, ma non ricordo quale<br />

59<br />

59


confronti. Il comportamento verso il sacro è ciò che costituisce il rituale; è<br />

l'azione eseguita o fatta rispettare dal gruppo, che esprime il rispetto.”<br />

(Collins, 1988, pg. 240)<br />

Lo s<strong>tra</strong>no fenomeno della comparsa delle madonne di gesso nelle<br />

rotatorie del vicentino (da quella davanti alla stazione al quelle meno<br />

frequentate in periferia e verso i colli berici) potrebbe allora essere<br />

interpretata come una colonizzazione simbolica.<br />

Van Gennep afferma a riguardo:<br />

“Per la collocazione o fissazione cerimoniale <strong>dei</strong> confini o <strong>dei</strong> limiti un<br />

gruppo determinato si appropria di un certo spazio di terreno in modo che,<br />

per uno s<strong>tra</strong>niero che entri in questo spazio riservato, ciò equivale a<br />

commettere un sacrilegio, esattamente come per un profano en<strong>tra</strong>re in un<br />

bosco consacrato, in un tempio ecc.” (Van Gennep, 1909, pg. 15)<br />

Questo spiega perché, nel corso dell'azione sopra descritta, nessuno<br />

abbia spostato la madonna di gesso. Allo stesso modo i pomodori furono<br />

messi a dimora a circa un metro e mezzo di distanza dalla statua, ovvero al<br />

di fuori di quello che ci parve essere il suo spazio sacro. L'idea di mettere<br />

<strong>dei</strong> pomodori in una rotatoria era stata concepita come un gesto ironico.<br />

L'aspettativa comune era quella di causare spaesamento nei passanti e di<br />

spingerli così a riflettere su tematiche quali l'inquinamento causato dal<br />

<strong>tra</strong>ffico delle auto e l'utilizzo (o meno) dello spazio urbano.<br />

Sapendo che il nostro gesto era, per così dire, “goliardico”, nel<br />

trovarci di fronte un'immagine che per la maggior parte <strong>dei</strong> vicentini è<br />

sacra, ci spostammo automaticamente, onde evitare -invano- qualsiasi tipo<br />

di sanzione sociale.<br />

60<br />

60


A questo punto sorge però spontanea una domanda: “Se la comparsa<br />

delle madonne nelle rotatorie beriche è una colonizzazione “sacra”, allora<br />

che cosa sono le aiuole realizzate dalla Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi?”<br />

Dalle interviste ai ragazzi del gruppo sono emerse suggestioni che<br />

hanno svariati punti in comune <strong>tra</strong> di loro; <strong>tra</strong> di esse spicca la sensazione<br />

positiva derivante dal fatto di aver marcato in qualche modo uno spazio<br />

altrimenti inaccessibile, anonimo, l'aver dato vita ad una composizione<br />

vegetale che inevitabilmente susciterà qualcosa nei passanti.<br />

I miei dubbi sull'applicabilità del concetto di rituale alle riunioni del<br />

gruppo emergono anche in questo caso rispetto al concetto di oggetto sacro.<br />

Considerando la “società” chiamata Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi, possiamo riconoscere le aiuole “del” gruppo nella descrizione <strong>dei</strong><br />

simboli sacri di Randall Collins?<br />

Secondo il sociologo americano essi sono potenti, degni di rispetto e<br />

più grandi <strong>dei</strong> singoli individui pur facendo parte de<strong>gli</strong> individui stessi.<br />

(Collins, 1988)<br />

Le aiuole prese in considerazione sono vestigia del passaggio <strong>dei</strong><br />

membri del gruppo. In alcuni casi esse sono state oggetto di frequenti<br />

interventi di manutenzione, il ché ha contribuito ad attribuirne il “possesso”<br />

-a<strong>gli</strong> occhi <strong>dei</strong> frequentatori di quel luogo- alla persona che se ne occupava.<br />

Sono inoltre l'unica forma concreta di legittimazione del gruppo. Non a<br />

caso, durante il passaggio <strong>tra</strong> estate e autunno, ovvero in un momento in cui<br />

esse erano molto spo<strong>gli</strong>e, vennero ritenute necessarie delle azioni di<br />

ripristino. Il motivo fu solo marginalmente di matrice botanica o estetica;<br />

mentre estirpavamo la gramigna e ricoprivamo <strong>gli</strong> spazi vuoti con della<br />

61<br />

61


pacciamatura eravamo “affaticati attori fabbricanti impressioni” (Goffman,<br />

1959).<br />

Nel <strong>tra</strong>nsitare nei pressi di un'aiuola “del” gruppo, la sensazione è<br />

quella di avervi lasciato un pezzo di se stessi, di essere in qualche modo<br />

presente in quel luogo.<br />

Il dubbio circa l'appropriatezza del concetto di oggetto sacro dipende<br />

dal fatto che risulta difficile comprendere se quella sensazione sia riferita<br />

semplicemente al proprio agire o all'agire in gruppo. Ovvero mi domando:<br />

“Siamo i detentori di quell'aiuola con il nome Santa Alleanza o come Luca,<br />

Ivan, Eva, Elisa, Matteo ecc.?”<br />

I simboli espliciti che lasciamo al nostro passaggio sono cartelli con il<br />

nome del gruppo e un recapito, eppure la frammentazione <strong>tra</strong> quartieri e<br />

“zone di manutenzione” <strong>dei</strong> diversi membri complessifica la questione.<br />

Quando esco di casa con <strong>gli</strong> attrezzi o con l'annaffiatoio e mi dirigo<br />

verso sud-ovest, la meta è quella che ai miei occhi è la “mia” aiuola, perché<br />

io l'ho proposta come obiettivo e l'ho curata nei mesi successivi. Quando i<br />

passanti mi chiedono cosa sto facendo, rispondo che appartengo ad un<br />

gruppo di giardinaggio e spiego di cosa ci occupiamo. Eppure so che per<br />

loro sarò io “quella delle aiuole anomale di San Giuseppe”. Lo stesso<br />

accade in altri angoli della città, dove altri colleghi giardinieri e altre aiuole<br />

divengono simulacro della società vicentina di guerrilla gardening.<br />

La voce “degni di rispetto” è anch'essa problematica. Da un lato<br />

troviamo la sensazione di enorme fastidio e disprezzo provata di fronte alla<br />

violazione o alla distruzione delle creazioni del gruppo, dall'altro il<br />

bassissimo livello di riconoscimento sociale per quanto fatto. Ma se la<br />

sensazione descritta è il risultato di ciò che viene percepito come una<br />

62<br />

62


dissacrazione, indipendentemente dalle reazione <strong>dei</strong> “profani”, l'oggetto<br />

“aiuola” non può che essere sacro per la società che l'ha creato.<br />

“Durkheim sottolinea che tutto può diventare un oggetto sacro, la scelta è<br />

infatti arbi<strong>tra</strong>ria. Ma dopo aver scelto il gruppo dispone di un meccanismo<br />

che è adatto a manifestare la propria identità. I suoi emblemi arbi<strong>tra</strong>ri lo<br />

distinguono da qualsiasi altro gruppo che ha <strong>tra</strong>sformato altre cose in oggetti<br />

sacri. L'oggetto sacro è un simbolo della società.” (Collins, 1988, pg. 240)<br />

Questo significa che possiamo accomunare le reazioni <strong>dei</strong> ragazzi del<br />

gruppo di fronte ad un'aiuola rasa al suolo e quella del signore del resoconto<br />

etnografico, indignato per l'invasione della rotatoria, che ai suoi era<br />

meritevole di rispetto sia in quanto “inviolabile” segmento di spazio<br />

pubblico, sia in quanto terreno colonizzato dalla madonna di gesso. La<br />

differenza principale sta nella legittimità e nel radicamento di tali<br />

sentimenti, che nel primo caso sono appannaggio <strong>dei</strong> membri del gruppo,<br />

mentre nel secondo sono condivisi da un gran numero di persone.<br />

“I simboli sacri creano delle linee fondamentali della moralità<br />

dell'immoralità sentite dai membri del gruppo. L'impegno più intenso si<br />

rivolge al rispetto <strong>dei</strong> simboli di un gruppo di appartenenza che è potente. Il<br />

disprezzo di questi simboli ha l'effetto di definire il <strong>tra</strong>sgressore come un non<br />

membro, come pure quello di evocare la giusta rabbia nei confronti di lui o<br />

di lei. È importante riconoscere che questa rabbia è giusta. I membri sentono<br />

di avere il diritto morale e persino il dovere di punire il <strong>tra</strong>sgressore.”<br />

(Collins, 1988, pg. 247)<br />

Un risvolto interessante della colonizzazione de<strong>gli</strong> spazi <strong>urbani</strong> con<br />

oggetti sacri è quello dell'inevitabile scontro <strong>tra</strong> diverse società, diversi<br />

gruppi.<br />

Se nell'esempio analizzato incontriamo un vero e proprio rifiuto di<br />

63<br />

63


condivisione di uno spazio sacro 5 da parte di un rappresentante delle due<br />

società che lo occupavano [la Chiesa Cattolica Romana e un ipotetico<br />

insieme di cittadini rispettosi della legalità], emergono però casi che ci<br />

suggeriscono altri mondi possibili.<br />

Uno <strong>dei</strong> più divertenti, se confrontato con le reazioni di alcuni comuni<br />

cittadini chiaramente intimoriti dall'applicazione del potere legale-razionale<br />

(Weber, 1922), è quello del primo incontro del gruppo con la polizia, poi<br />

ripetutosi più volte secondo il canovaccio che mi appresto a descrivere.<br />

“Qualche abitante del quartiere vede <strong>dei</strong> giovani che scavano in un<br />

luogo pubblico. Chiamano la polizia descrivendo la scena.<br />

La volante della polizia arriva sul posto. I poliziotti scendono dalla<br />

macchina e sgranano <strong>gli</strong> occhi. Si fanno spiegare cosa succede.<br />

Dopo aver compreso che si <strong>tra</strong>tta di giardinaggio fanno qualche<br />

battuta o dicono che non avrebbe senso schedare i giovani in questione per<br />

una cosa nel genere. Se ne vanno.”<br />

Trattandosi di forze dell'ordine verrebbe spontaneo pensare che la loro<br />

idea di sacralità della cosa pubblica sia ben più rigida di quella del signore<br />

inalberato descritto sopra. Eppure i poliziotti che hanno interagito con i<br />

membri della Santa Alleanza non parevano infastiditi dal fatto che qualcuno<br />

si occupasse delle aiuole pubbliche al di fuori dell'usuale <strong>tra</strong>fila burocratica.<br />

Infine, per un esempio di coabitazione <strong>tra</strong> la Santa Alleanza e un'al<strong>tra</strong><br />

“società” insediatasi a posteriori, rimando al capitoletto sul “caso di via<br />

Sasso”.<br />

5 Rifiuto che per altro fece arrabbiare a tal punto i ragazzi dal gruppo da spingerne alcuni a “rapire”<br />

la madonna di gesso, che fu poi prontamente sostituita da una sosia e a sua volta seques<strong>tra</strong>ta da un<br />

al<strong>tra</strong> ragazza della Santa Alleanza.<br />

64<br />

64


CAPITOLO 6<br />

DISSONANZE<br />

Prima di cominciare a fare guerrilla gardening avevo studiato i<br />

risultati di una ricerca (Putnam, 1993), secondo la quale il livello di “cultura<br />

civica” 1 in Italia varia su base regionale e in generale è più basso rispetto a<br />

quello di un paese vicino come l'Austria. All'epoca avevo preso il concetto<br />

per buono ed avevo continuato a vivere la mia vita come se niente fosse.<br />

Poi cominciai a trovarmi immersa in situazioni che percepivo<br />

sistematicamente come dissonanti.<br />

I miei vicini di casa (sconosciuti, come vuole l'habitus (Bourdieu,<br />

1972) del cittadino veneto) che mi fissano sbigottiti mentre pianto <strong>dei</strong> fiori<br />

vicino ad un cassonetto e chiedono: “ma perché lo fai?”, la signora che vede<br />

il gruppo all'opera e chiama la polizia, i passanti che ignorano<br />

deliberatamente 2 i giovani giardinieri continuando a chiacchierare come se<br />

niente fosse.<br />

In tutte queste situazioni avevo l'impressione che sia il mio<br />

comportamento, sia la reazione de<strong>gli</strong> altri fossero “normali”. Questo perché,<br />

provenendo dalla stessa cultura <strong>dei</strong> miei vicini di casa (o per lo meno dalla<br />

stessa di chi ho citato), anche a me da piccola hanno insegnato a “non<br />

mettere le mani per terra” e a temere l'ignoto.<br />

Qui l'effetto di dissonanza deriva dal con<strong>tra</strong>sto <strong>tra</strong> due frame; quello<br />

1 “L'idea di partenza è che nonostante tutte le regioni abbiano lo stesso assetto istituzionale,<br />

differenze di contesto producano differenti modi di funzionare delle istituzioni. [...] Putnam, con<br />

un apparato di rilevazione molto esteso, mos<strong>tra</strong> importanti differenze di performance a seconda<br />

delle regioni, che cerca poi di spiegare con una maggiore o minore presenza di civicness. Con<br />

questo termine intende il tessuto di valori, norme, istituzioni e associazioni che permettono e<br />

sostengono l'impegno civico, con<strong>tra</strong>ddistinto da solidarietà, fiducia reciproca e tolleranza diffuse.”<br />

(Bagnasco, 1999, pg. 71)<br />

2 Questa è la reazione più frequente. Mi piace pensare che, in queste situazioni, il guerrilla<br />

gardening sia un piccolo breaching experiment à la Garfinkel (Garfinkel, 1967).<br />

65<br />

65


del senso comune e quello del guerrilla gardener.<br />

“Chiamo “dissonanza” nel nostro ambiente culturale tutte le situazioni in cui<br />

le incomprensioni e i conflitti si perpetuano, nonostante i tentativi de<strong>gli</strong><br />

attori di adottare tattiche e s<strong>tra</strong>tegie mutevoli. In altre parole tutte le<br />

situazioni che per essere comprese richiedono [...] una uscita “forte” da<br />

cornici “forti”; il superamento di resistenze che tutti i protagonisti in qualche<br />

modo collaborano, spesso inconsapevolmente, a riprodurre.” (Sclavi, 2003,<br />

pg. 176)<br />

Pur agendo in base al frame del guerrilla gardener sapevo che i miei<br />

vicini di casa avrebbero reagito ignorandomi o mos<strong>tra</strong>ndosi sconcertati,<br />

perché il senso comune de<strong>gli</strong> abitanti del mio quartiere prescrive che debba<br />

essere così.<br />

Questi casi mi erano parsi conformi al risultato della ricerca<br />

sopraccitata.<br />

L'episodio <strong>dei</strong> pomodori e della madonna di gesso, invece, mi<br />

comunicava qualcosa di diverso.<br />

Io e i miei amici, nel progettare quell'intervento, ci eravamo detti che,<br />

per quanto discutibile da un punto di vista ecologista 3 , esso era un modo di<br />

“dare il buon esempio”, “scuotere le coscienze intorpidite <strong>dei</strong> vicentini”.<br />

Era dunque un gesto dimos<strong>tra</strong>tivo carico di intenzionalità e che, dal nostro<br />

punto di vista, ci faceva passare per persone dotate di senso civico. Al<br />

contempo, però, il pensionato che compare nel resoconto ci vide con occhi<br />

radicalmente diversi. Per lui eravamo un branco di “giovinastri” con intenti<br />

devianti. La sua postura e il sottolineare il suo ruolo nella stesura del<br />

regolamento di circoscrizione volevano essere una legittimazione del suo<br />

3 I pomodori (che furono poi <strong>tra</strong>nciati da un giardiniere comunale) sarebbero difficilmente<br />

sopravvissuti senza cure giornaliere.<br />

66<br />

66


punto di vista, ovvero quello del difensore della legge, dell'ordine pubblico.<br />

Per lui il gesto di scavare in una rotatoria in pieno giorno era un segno di<br />

mancanza di rispetto della regole, di carenza di senso civico.<br />

Successivamente, trovandoci in situazioni simili, in cui emergeva un<br />

chiaro con<strong>tra</strong>sto <strong>tra</strong> due frame interpretativi, fummo in grado di “uscire<br />

dalle cornici” e di costruire un ponte <strong>tra</strong> due modi di vedere differenti. Ma<br />

fu necessaria una disponibilità all'apertura e all'ascolto attivo da parte <strong>dei</strong><br />

nostri interlocutori.<br />

Nel caso analizzato, invece, il signore che ci scruta con<br />

disapprovazione mentre stiamo piantando i pomodori prescrive, con un<br />

atteggiamento di chiusura e di superiorità, lo svolgersi dell'interazione. Nel<br />

cercare di dare delle spiegazioni balbettiamo e lasciamo le frasi in sospeso;<br />

guardiamo per terra onde evitare il suo sguardo indagatore. Già vedendolo<br />

arrivare avevamo capito che era infastidito e irritato dalla nos<strong>tra</strong> presenza<br />

sulla rotatoria. Di conseguenza, sapendo di non avere la legge dalla nos<strong>tra</strong><br />

parte, ci eravamo posti sulla difensiva. Il potere del nostro interlocutore nei<br />

nostri confronti aumentò quando ci chiese l'autorizzazione del Comune e<br />

quando ci disse del suo ruolo politico a livello locale. Non si è <strong>tra</strong>ttato,<br />

dunque, di una mera forma di coercizione, intesa come minaccia dell'uso<br />

della forza (cioè chiamare la polizia), ma di una commistione di questo<br />

idealtipo weberiano con quello di autorità (Weber, 1922).<br />

Essendo consapevoli della nos<strong>tra</strong> posizione ai limiti della legalità,<br />

vedemmo nel nostro interlocutore un detentore, seppur non pienamente<br />

legittimo, del potere legale-razionale e come conseguenza di tutto ciò<br />

finimmo il lavoro il più rapidamente possibile, dandoci poi alla fuga.<br />

67<br />

67


CAPITOLO 7<br />

LA COSTRUZIONE SOCIALE DELL'AIUOLA PUBBLICA<br />

“The spatial is [...] an area of intense cultural activity. Thus I will be<br />

arguing that the empirical datum of geographical space is mediated by an<br />

edifice of social constructions which become guides for action and<br />

cons<strong>tra</strong>ints upon action, not just idiosyncratic or pathological fantasies.”<br />

(Shields, 1991)<br />

Osservando le aiuole e molti <strong>dei</strong> parchi pubblici di Vicenza risulta<br />

difficile non scon<strong>tra</strong>rsi con il concetto di costruzione sociale.<br />

“Non so quanto senso abbia fare guerrilla gardening in città...”, diceva<br />

uno <strong>dei</strong> componenti della Santa Alleanza, “c'è gia tanto verde qui”.<br />

Tra le svariate repliche a quest'affermazione che ho udito, seppur in<br />

differita, quella che mi ha colpita di più è stata questa:<br />

“Rispetto a dieci anni fa Vicenza è cambiata moltissimo. Ad esempio<br />

il parco delle Fornaci era impene<strong>tra</strong>bile, pieno di rovi... ci andavo con i<br />

miei amici quando avevo quindici, sedici anni... Ora che è stato riaperto<br />

sembra così finto... <strong>gli</strong> alberi sembrano quelli <strong>dei</strong> plastici de<strong>gli</strong> architetti...<br />

tutti in fila... in ordine...” 1<br />

Nel 1966 Berger e Luckmann hanno scritto che la costruzione sociale<br />

della realtà avviene per mezzo di tre processi dialetticamente concatenati <strong>tra</strong><br />

di loro.<br />

“L'esteriorizzazione è il processo con cui la realtà sociale viene creata e<br />

1 Ringrazio Enrica che mi ha aiutata a vedere il mio (e il suo quartiere) con occhi diversi,<br />

raccontandomi com'era e soprattutto come venivano utilizzate le aree verdi prima che io fossi<br />

abbastanza grande per esserne consapevole.<br />

68<br />

68


icreata <strong>tra</strong>mite l'azione <strong>dei</strong> soggetti. Da un lato, le persone sono in grado di<br />

creare una nuova realtà sociale; dall'altro, con la loro azione continuano a<br />

riprodurla e la mantengono così in vita. [...]<br />

L'oggettivazione è il processo con cui la realtà sociale nata dall'azione umana<br />

assume una propria autonomia, retroagendo sulle persone e imponendo loro<br />

vincoli e richieste. [...]<br />

L'interiorizzazione è il processo con cui “facciamo nostre” le realtà create e<br />

ricreate socialmente con l'esteriorizzazione e divenute parzialmente<br />

autonome con l'oggettivazione. Ciò avviene innanzitutto at<strong>tra</strong>verso il<br />

processo di socializzazione.” (Spera, 2007, pg. 129 e 130)<br />

Ian Hacking ha scritto che l'espressione “costruzione sociale”, dal<br />

1966 in poi, è stata ampiamente abusata. Dal suo punto di vista le<br />

pubblicazioni sull'argomento si sprecano, perché pare che la sorgente <strong>dei</strong><br />

costruzionismi sia imperitura.<br />

A costo di turbare Hacking, penso che a questo punto sia necessario<br />

riflettere sulle aiuole e i parchi pubblici tenendo a mente la teorizzazione di<br />

Berger e Luckmann.<br />

“Ogni giardino è una critica alla natura”, dicevano <strong>gli</strong> architetti del<br />

paesaggio in epoca barocca. Persino le tecniche di coltivazione che si<br />

rifanno ai ritmi e alle forme naturali, come la permacultura, rappresentano<br />

una deviazione umana rispetto al normale fluire della vita vegetale.<br />

Non ho idea di come i parchi pubblici del vicentino siano stati<br />

concepiti. Mi risulta dunque difficile descrivere il loro processo di<br />

costruzione sociale a partire dalla dimensione dell'esteriorizzazione.<br />

Mi viene allora in aiuto un brano <strong>tra</strong>tto da una raccolta di lettere di Pia Pera<br />

e Antonio Perazzi. Quest'ultimo scrive:<br />

“Cara Pia,<br />

ho appena letto la tua ultima [lettera] e ti rispondo subito. Sono molto felice.<br />

[...] Veramente sono più agitato che felice. [...] Agitato, perché la bella<br />

69<br />

69


notizia è che ho vinto il concorso per un parco pubblico a Milano all'interno<br />

di un progetto più ampio di architettura sociale (case popolari). Già ho paura<br />

di quando mi chiederanno di scendere a compromessi con<br />

un'amminis<strong>tra</strong>zione che non riesce ad arrivare a contatto con il lato<br />

sensoriale del paesaggio. Quando ti trovi a fare un progetto di un parco<br />

pubblico quasi mai riesci a rivolgerti alle persone e alla natura, il tuo<br />

committente è una figura as<strong>tra</strong>tta incapace di sentire <strong>gli</strong> odori, anosmica,<br />

solo in grado di accettare ciò che è schematizzato e preconfezionato. Gli<br />

alberi per i viali si piantano a x metri di distanza, le siepi possono essere alte<br />

al massimo x centimetri. Le graminacee danno allegria, l'ambrosia è la nuova<br />

peste. Robinie e ailanti sono da ta<strong>gli</strong>are a priori. Solo piante da vivaio. Solo<br />

piante dritte. Solo piante autoctone. Che follie! Non vorrei sentirmi costretto<br />

a fare per forza un parco attrezzato con l'area giochi per i bambini, il recinto<br />

per cani, le panchine per anziani. Ingabbiamenti inutili. Se i vandali<br />

spaccano e i “giardinieri” non hanno cura, forse vuol dire che un motivo c'è,<br />

forse hanno un pochino di ragione anche loro. Io credo che le persone<br />

vadano coinvolte e responsabilizzate nei progetti di paesaggio, ci vuole così<br />

tanto tempo per innescare la genesi di un giardino, che se non si chiede la<br />

collaborazione di tutti non si riuscirà mai a cambiare qualcosa.” (Pera,<br />

Perazzi, 2007, pg. 61-62)<br />

Questo brano, ad opera di un botanico e paesaggista, ci aiuta a scavare<br />

in profondità, scalfendo la superficie piana <strong>dei</strong> tappeti di graminacee.<br />

Molti parchi si somi<strong>gli</strong>ano <strong>tra</strong> di loro, pur essendo opera di architetti,<br />

geometri e paesaggisti diversi, perché i progetti devono rien<strong>tra</strong>re di una rete<br />

di vincoli di tipo burocratico. Con questa epistola Perazzi ci fa capire che<br />

dovrà scendere a compromessi e che difficilmente riuscirà a realizzare il<br />

parco che ha in mente.<br />

Possiamo allora immaginare che i parchi vicentini più recenti siano<br />

quello che sono per una serie di ragioni, in particolar modo a causa di<br />

alcune regole routinizzate ed istituzionalizzate 2 relative all'uso delle<br />

2 “Nei termini <strong>dei</strong> significati attribuiti dall'uomo alla propria attività, l'abitualizzazione elimina la<br />

necessità di ridefinire da zero ogni situazione, volta per volta. [...] Questi processi di<br />

consuetudinarietà precedono ogni istituzionalizzazione. [...] L'istituzionalizzazione ha luogo<br />

dovunque vi sia una tipizzazione reciproca di azioni consuetudinarie da parte di gruppi esecutori:<br />

70<br />

70


cosiddette “aree verdi”. La burocrazia dice che “<strong>gli</strong> alberi per i viali si<br />

piantano ad x metri di distanza”; le pratiche sedimentate prevedono che i<br />

parchi abbiano “l'area giochi per i bambini, il recinto per i cani, le panchine<br />

per <strong>gli</strong> anziani”.<br />

Se i parchi realizzati ne<strong>gli</strong> ultimi decenni si somi<strong>gli</strong>ano è forse perché<br />

è stato definito un modello, che discende da dettami burocratizzati (Weber,<br />

1922) che a loro volta sono stati costruiti socialmente. Questo modello è<br />

oggettivato; pur essendo frutto di un'opera di creazione umana, si è staccato<br />

dalle persone e ora retroagisce su di esse. Vedendo un'area con qualche<br />

albero, una distesa di erba, delle panchine e una recinzione tutto attorno,<br />

sorge allora spontanea la parola parco.<br />

7.1. Il caso del quartiere di San Giuseppe<br />

Ma in che senso possiamo parlare di retroazione? Ad esempio,<br />

pensiamo a chi disegna spazi di professione e vuole vincere un concorso<br />

pubblico. Probabilmente questa persona, se non gode già di una certa<br />

reputazione, come nel caso di Antonio Perazzi, sarà portata ad adeguarsi ad<br />

un'idea sedimentata e ampiamente diffusa di “parco” nel contesto in cui<br />

questo spazio sarà poi realizzato. Inoltre potremmo pensare che il soggetto<br />

in questione abbia imparato all'università a progettare de<strong>gli</strong> spazi e che<br />

quindi abbia appreso delle regole ampiamente diffuse all'interno della sua<br />

categoria professionale.<br />

Enrica, la ragazza che mi ha descritto l'aspetto del nostro quartiere<br />

prima che il parco di San Giuseppe e quello delle Fornaci fossero realizzati,<br />

mi ha parlato del primo con una punta di fastidio, sottolineandone anche in<br />

in altri termini, ogni simile tipizzazione è un'istituzione.” (Berger e Luckmann, 1966, pg. 83)<br />

71<br />

71


questo caso l'aspetto “costruito”. Io, invece, ho fatto fatica a rapportarmi a<br />

quell'area in termini critici, perché non ricordo la collinetta che c'era prima<br />

che le ruspe cominciassero a scavare. Essendo un po' più giovane di Enrica,<br />

ho interiorizzato l'idea di parco camminando sull'erba di quello di San<br />

Giuseppe. Prima di scoprire nuovi mondi e di in<strong>tra</strong>prendere la via del<br />

guerrilla gardening, ero convintissima che i parchi pubblici potessero e<br />

forse dovessero essere schematici, geometrici e con qualche albero<br />

dall'aspetto triste. Questo perché, passando tanti <strong>pomeriggi</strong> della mia<br />

infanzia nel luogo appena descritto, sono stata socializzata ad una certa idea<br />

di “verde pubblico”, dove “pubblico” sta per “di nessuno”.<br />

In questo caso non sono stati solo i miei altri significativi, ovvero i<br />

miei genitori e i miei nonni, a <strong>tra</strong>smettermi un'insieme di informazioni<br />

normative sui parchi pubblici; è stato lo stesso parco di San Giuseppe a<br />

farmi capire cosa potevo e cosa non potevo fare, dove potevo o non potevo<br />

andare.<br />

Ora mi rendo conto che questo insieme di prescrizioni e proscrizioni è<br />

insito in ogni luogo e in ogni oggetto socialmente costruito.<br />

A volte mi è capitato di riflettere sul fatto che la mia aiuola preferita di<br />

San Giuseppe sarebbe perfetta per fare un picnic di tanto in tanto o per<br />

metterci un asciugamano e prendere il sole in estate. È di forma ellittica,<br />

con un albero al centro. Tutte le altre piante che la popolano solo state<br />

portate dalla Santa Alleanza o dal vento.<br />

Eppure dubito che riuscirò mai a sedermi su quell'erba bruciata a<br />

mangiare una mela scrutando l'asfalto dalla mia isola felice.<br />

Come già affermato il precedenza, il senso comune dice che<br />

appropriarsi, anche solo temporaneamente, di uno spazio del genere<br />

72<br />

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appresenta un atto “s<strong>tra</strong>no”, dissonante. Senza contare che, <strong>tra</strong>ttandosi di<br />

terra “di nessuno”, circondata dall'asfalto e ignorata da<strong>gli</strong> abitanti per<br />

almeno vent'anni, essa è diventata il bagno pubblico <strong>dei</strong> cani del quartiere.<br />

Un certo modo di concepire e realizzare questi spazi, condiviso da<br />

molte amminis<strong>tra</strong>zioni locali, ha portato ad una progressiva mutilazione<br />

dell'immaginario di chi vi risiede accanto.<br />

Scrive La Cecla: “Quando l'attività di creazione di luoghi non è<br />

consentita e la sua <strong>tra</strong>ccia distrutta, quando <strong>gli</strong> abitanti sono assegnati a<br />

spazi che non possono modellare, la mente locale 3 viene lobotomizzata.”<br />

Queste strisce di terra, queste crepe nel cemento, diventano allora<br />

invisibili, prive di peculiarità o, al con<strong>tra</strong>rio, stigmatizzate (Goffman, 1963)<br />

in virtù della loro non appartenenza ad un soggetto in carne ed ossa.<br />

“Marginal places [...] are not necessarily on geographical peripheries but,<br />

first and foremost, they have been placed on the periphery of cultural<br />

systems of space in which places are ranked relative to each other. They all<br />

carry the image, and stigma, of their marginality which becomes<br />

indistinguishable from any basic empirical identity they may once have<br />

had.” (Shields, 1991)<br />

Molte aiuole pubbliche che ho avuto modo di toccare di mano non<br />

solo ostili solo a livello superficiale. Pur contenendo della terra e talvolta<br />

anche qualche pianta diversa dalle graminacee, esse sono artificiali e fertili<br />

quanto un pezzo di acciaio.<br />

Dopo aver scavato a lungo e in profondità la terra pubblica in vari<br />

punti della città, ho constatato che quelle che comunemente chiamiamo<br />

aiuole sono spesso ammassi di <strong>scarti</strong> edili, immondizia e argilla 4 , ricoperti,<br />

3 “La mente locale è l'espressione della facoltà di abitare” (La Cecla, idem., pg. 3)<br />

4 “Terreni argillosi: sono per natura pesanti, impermeabili all'aria e all'acqua, che si riscaldano<br />

lentamente. Hanno tessitura finissima e, se privi di sostanza organica e di struttura, divendono<br />

73<br />

73


talvolta, da uno s<strong>tra</strong>to di erba e piante spontanee.<br />

Quando il burocrate decide di non stanziare <strong>dei</strong> fondi per acquistare<br />

del terriccio che possa dirsi tale e consente, invece, che le aiuole vengano<br />

riempite di materia inerte, sta scrivendo la storia di quel luogo, del quartiere<br />

in cui è collocato e de<strong>gli</strong> abitanti che lo subiranno.<br />

Le rare volte in cui ho fatto guerrilla gardening a San Giuseppe di<br />

giorno, mi è stato possibile vedere con chiarezza quello che stavo facendo.<br />

Ho maneggiato la terra es<strong>tra</strong>endo pezzi di mattoni, vetro, plastica. Ma non<br />

ho mai incon<strong>tra</strong>to lombrichi.<br />

Un sottosuolo che possa dirsi fertile è normalmente popolato da una<br />

grande quantità di microrganismi, <strong>tra</strong> cui non mancano mai i lombrichi.<br />

Come sottolinea Marie-Luise Kreuter:<br />

“il lombrico si segnala [...] non soltanto perché partecipa alla<br />

decomposizione [della materia organica], ma anche perché contribuisce,<br />

scavando i suoi lunghi cunicoli, ad areare il suolo e a distribuire<br />

uniformemente l'acqua. Le sue <strong>dei</strong>ezioni costituiscono inoltre un humus di<br />

prima qualità.” (Kreuter, 2001, pg. 25)<br />

“La storia dell'estinzione dello spazio elastico è anche la storia della<br />

<strong>tra</strong>sformazione dello spazio da occasione per abitare a “meccanismo”,<br />

apparato per determinate, definire, indurre comportamenti.” (La Cecla,<br />

1988)<br />

Ne<strong>gli</strong> ultimi vent'anni il quartiere di San Giuseppe ha subìto alcune<br />

modifiche radicali. Le aree per così dire “selvagge” sono state<br />

progressivamente rase al suolo e sostituite con parchi dall'aspetto ordinato,<br />

compatti e poco fertili, in caso di siccità tendono a indurire fino a fendersi e ad andare in pezzi<br />

come mattoni, mentre, se la stagione è umida, si <strong>tra</strong>sformano in masse appiccicose.” (Kreuter,<br />

2001, pg. 21)<br />

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palazzine e supermercati. Dieci anni fa, dal luogo in cui scrivo queste righe,<br />

riuscivo a vedere frammenti di orizzonte. Ora il mio sguardo si infrange<br />

contro una costruzione di cinque o sei piani che ospita banche, bar, uffici<br />

pubblici, negozi, studi professionali ed appartamenti. Contro il cielo si<br />

sta<strong>gli</strong>a una gru. Non so da quando tempo sia lì. È come se ci fosse sempre<br />

stata.<br />

Molte persone hanno indossato e indossano la maschera del guerrilla<br />

gardener perché non posseggono della terra da lavorare. Questo è<br />

particolarmente vero nei grandi centri <strong>urbani</strong> del Regno Unito, dove il<br />

giardinaggio è una delle passioni più diffuse. Nel suo libro Richard<br />

Reynolds descrive <strong>gli</strong> appartamenti s<strong>tra</strong>colmi di piante di amici e<br />

concittadini costretti a confinare la loro creatività botanica entro le quattro<br />

mura domestiche.<br />

Le aiuole progettate e realizzate da Reynolds -le cui foto sono<br />

consultabili sul suo blog 5 - sono spesso più lussureggianti di quelle gestite<br />

dall'amminis<strong>tra</strong>zione comunale di Londra, anche se rispondono ad un<br />

canone di bellezza condiviso dai più.<br />

I community gardens 6 del Lower East Side di Manhattan, invece,<br />

“raccontano sogni di natura selvaggi, cantate di parchi all'inglese,<br />

5 Http://www.guerrillagardening.org<br />

6 I community gardens del Lower East Side nascono come veri e propri guerrilla gardens, realizzati<br />

senza autorizzazione alcuna su un gran numero di lotti di terreno coperti di macerie. “L'iniziativa<br />

sorse dal basso, dai cittadini stessi, che si sostituirono a un governo lontano e indifferente<br />

all'emergenza ambientale e sociale. [...] Superata ormai l'emergenza alimentare, ciò che spinse<br />

giovani e vecchi, ricchi e poveri, studenti e professionisti, carcerati, persino malati e disabili a<br />

partecipare alla conversione di vacant lot in giardini e orti furono la necessità e il desiderio di<br />

rendere più vivibile la città, mi<strong>gli</strong>orando le condizioni di degrado <strong>dei</strong> quartieri periferici con la<br />

creazione di aree verdi pulite e sicure. [...] Accanto ai grandi interventi, i singoli cittadini si<br />

organizzano per dedicarsi nel tempo libero all'”altro verde” e non è raro incon<strong>tra</strong>re persone che<br />

curano, sistemano e <strong>tra</strong>piantano fiori annuali e perenni nelle aiuole sparti<strong>tra</strong>ffico, intorno a<strong>gli</strong><br />

alberi, sui marciapiedi davanti a casa e in tutti <strong>gli</strong> angoli dov'è possibile far crescere qualcosa”<br />

(Pasquali, 2008, pg. 29-30 e 35)<br />

75<br />

75


wilderness da prateria, orti di sogni teste di bambole. [...] L'aspetto onirico è<br />

la cosa più forte, più forte delle ragioni ambientaliste o botaniche.” (La<br />

Cecla, 2008, pg. 13)<br />

Durante la riunione fondativa della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi, avevo con me una copia del libro I giardini di Manhattan di Michela<br />

Pasquali. Il volume in questione contiene un gran numero di foto <strong>dei</strong><br />

community gardens del Lower East Side. Anche i miei colleghi guerri<strong>gli</strong>eri<br />

furono colpiti dall'aspetto di questi giardini, spesso realizzati con mezzi di<br />

fortuna, eppure così eloquenti.<br />

Nel corso della mia etnografia ho visto emergere diversi approcci alla<br />

creazione delle aiuole. Da un lato c'era il desiderio di creare qualcosa che<br />

fosse un vero e proprio alter rispetto a<strong>gli</strong> spazi gestiti dal Comune, ad<br />

esempio privilegiando l'asimmetria e l'uso di piante commestibili. Dall'altro<br />

emergeva però la consapevolezza di un potenziale rifiuto da parte <strong>dei</strong> nostri<br />

concittadini, per nulla abituati a composizioni poco convenzionali.<br />

Il risultato di questa ambivalenza fu un'iniziale mediazione <strong>tra</strong> le<br />

supposte esigenze comunitarie e quelle interne al gruppo, sotto forma delle<br />

due aiuole “della” Santa Alleanza nel quartiere di San Giuseppe.<br />

A posteriori mi permetto una riflessione, data dai tanti incontri/scontri<br />

avuti con <strong>gli</strong> abitanti, il più delle volte muti, ma molto eloquenti a livello<br />

corporeo.<br />

Mentre curavo le due aiuole o vagavo intorno al parco con due<br />

annaffiatoi pieni d'acqua ho collezionato soprattutto spiazzamento, sguardi<br />

sbigottiti e silenzi imbarazzati. In particolar modo c'è una panchina su cui si<br />

76<br />

76


sedevano spesso un gruppo di tre o quattro signore anziane, che si<br />

incon<strong>tra</strong>vano tutti i giorni per chiacchierare e passare i <strong>pomeriggi</strong> insieme.<br />

Quando mi vedevano sopraggiungere con i miei annaffiatoi riuscivo a<br />

percepire un'aura di disagio che emanava dai loro corpi, investendomi. Non<br />

so se mi considerassero pericolosa, s<strong>tra</strong>na o en<strong>tra</strong>mbe le cose. In ogni caso,<br />

quando arrivavo a pochi passi dalla loro panchina, potevo scorgere le<br />

bocche che si chiudevano ed immancabilmente calava un silenzio potente<br />

come una sberla.<br />

Ad un certo punto cominciai a fare apposta il percorso che<br />

costeggiava il loro angolino, per metterle alla prova. Non ottenni particolari<br />

risultati, poiché la scena si ripeteva nello stesso modo, giorno dopo giorno.<br />

Sempre a San Giuseppe decisi di appendere alla rete del parco un vaso<br />

di legno che avevo costruito basandomi su alcune foto trovate online 7 . Lo<br />

collocai nei pressi della scuola elementare del quartiere e ci misi dentro una<br />

pianta molto economica con <strong>dei</strong> fiori appariscenti. Dopo due giorni il<br />

vegetale era stato rubato. Lo sostituii con uno identico, che ebbe la stessa<br />

sorte.<br />

Costernata e avvilita, decisi di spostare il vaso di qualche metro,<br />

questa volta più vicino alle aiuole curate dal gruppo. Inoltre ci <strong>tra</strong>piantai<br />

una piantina di tagete alquanto malmessa. L'obiettivo era chiaramente<br />

quello di mettere alla prova il quartiere.<br />

Dopo una settimana tornai a controllare e trovai il contenitore vuoto.<br />

Dopo un mese rinvenni il vaso fatto a pezzi sul marciapiedi.<br />

Mi dissi allora che il capitale sociale 8 (Bagnasco, 1999, Coleman,<br />

7 Il termine tecnico è “planter box”. Http://www.bladediary.com/category/guerrilla-gardening<br />

8 “Coleman introduce il concetto [di capitale sociale] parlando di una specifica risorsa per l'azione<br />

“che non è depositata né ne<strong>gli</strong> individui né in mezzi di produzione, (ma intrinseca) alla struttura di<br />

relazioni fra due o più persone”. Si potrebbe allora anche dire che ragionare in termini di capitale<br />

sociale è considerare la società dal punto di vista del potenziale di azione de<strong>gli</strong> individui che<br />

77<br />

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1990) di quella zona doveva essere molto scarso. Ora mi domando se la<br />

questione del capitale sociale non vada sommata ad un chiaro problema di<br />

comunicazione <strong>tra</strong> il gruppo di guerrilla gardening e il quartiere. Forse i<br />

miei vicini di casa non sono preparati a simili modifiche del loro paesaggio<br />

quotidiano. Magari il gruppo non è stato sufficientemente eloquente e molti<br />

de<strong>gli</strong> abitanti non hanno saputo ascoltare il non detto.<br />

La Cecla suggerisce che comportamenti di questo tipo siano<br />

riconducibili ad uno sviluppo edilizio che impedisce a<strong>gli</strong> abitanti di<br />

interagire lo spazio urbano modificandolo e che “lobotomizza”<br />

progressivamente la “mente locale”.<br />

“Il funzionalismo della edilizia moderna si basa sull'assunto che il cittadino<br />

non deve perdere tempo con una relazione troppo complessa con il suo<br />

ambiente. Basta che il suo ambiente funzioni, soprattutto dal punto di vista<br />

igienico, ed e<strong>gli</strong> potrà agevolmente <strong>tra</strong>sferirsi da una periferia all'al<strong>tra</strong><br />

seguendo le esigenze del lavoro.” (La Cecla, 1988)<br />

Mi domandavo cosa sarebbe successo se avessimo realizzato delle<br />

aiuole come quelle che avevamo visto nelle foto del libro di Michela<br />

Pasquali, soprattutto viste le reazioni ad un approccio ben più moderato e<br />

convenzionale.<br />

Per certi versi ho avuto la risposta che cercavo durante un <strong>pomeriggi</strong>o<br />

dedicato allo studio e alla stesura di questo scritto. Ero uscita nel mio<br />

giardino domestico per mettere <strong>dei</strong> fondi di caffè nel bidone del compost.<br />

Mentre stavo rien<strong>tra</strong>ndo in casa fui fermata da una vicina che abita nel mio<br />

stesso edificio.<br />

Con una certa arroganza mi disse: “Margherita, il tuo giardino è una<br />

discarica... non ho mai visto un giardino così.” La sua faccia corrucciata<br />

deriva dalle strutture di relazione.” (Bagnasco, 1999, pg. 66-67)<br />

78<br />

78


urlava: “disgusto! bleah!”<br />

Traduzione: “Questo non è un giardino perché non risponde ai miei<br />

canoni estetici e a quelli de<strong>gli</strong> altri inquilini, che poi sono quelli dominanti a<br />

Vicenza.”<br />

Ma perché la mia creazione sembra così brutta a tutti quelli ci mettono<br />

piede? La risposta è molto semplice: sto progressivamente realizzando un<br />

mix <strong>tra</strong> un giardino all'inglese e uno biodinamico, con alcune sezioni<br />

dedicate all'orto. Dato che il suolo che devo lavorare è mortifero come<br />

quello delle aiuole pubbliche, ho ricoperto le zone meno fertili -cioè quasi<br />

tutte- con una pacciamatura di fo<strong>gli</strong>e, che aiuta a mi<strong>gli</strong>orare la struttura del<br />

terreno.<br />

Questo rifiuto dell'idea di un giardino pulito e ordinato, che si regge<br />

sull'uso di concimi chimici, a San Giuseppe si chiama dunque “discarica”.<br />

7.2. Il caso del parchetto di via Sasso<br />

“Abitare è una facoltà umana. [...] In quanto tale può essere lobotomizzata<br />

[...], ma non soppressa del tutto.<br />

Laddove la gri<strong>gli</strong>a non è troppo stretta e si è sma<strong>gli</strong>ata, o laddove a volte<br />

essa è più rigida e indifferente, l'abitare rispunta fuori, ridefinisce lo spazio<br />

anche più squallido. L'invasione <strong>dei</strong> marciapiedi della cultura mediterranea, i<br />

graffiti sul metrò e sulle facciate <strong>dei</strong> palazzi del South ed East Bronx a New<br />

York, l'esuberanza <strong>dei</strong> mercati marocchini e algerini nella banlieue parigina,<br />

la capacità di colorare e imbiancare s<strong>tra</strong>de e case nei più squallidi ghetti Iacp<br />

del Sud d'Italia, i giardini piantati nelle scatole di latta delle barriadas e<br />

favelas latino-americane, i balconi illegali delle città del Sud-Est asiatico,<br />

sono <strong>tra</strong> i tanti segni di un possesso dello spazio che è capace di scardinare<br />

anche le gri<strong>gli</strong>e più mute.” (La Cecla, 1988)<br />

Mi recai per la prima volta in visita al parchetto di via Sasso durante<br />

un sopralluogo con alcuni componenti del gruppo di guerrilla gardening.<br />

79<br />

79


Avevamo appena terminato una lunga riunione, durante la quale si era<br />

cercato di individuare un nuovo obiettivo, uno spazio che coincidesse con il<br />

nostro ideale condiviso di luogo adatto all'azione.<br />

Ero passata centinaia di volte nei pressi di via Sasso e non avevo idea<br />

che proprio lì, incastonato <strong>tra</strong> i condomini, sorgesse un parchetto.<br />

Quando vi misi piede per la prima volta era già buio e i lampioni<br />

erano troppo lontani per illuminare la superficie di territorio che<br />

intendevamo valutare. Non c'erano recinzioni, solo qualche conifera a<br />

delimitare il confine <strong>tra</strong> s<strong>tra</strong>da e zona pedonale. Un'ampia area ombrosa,<br />

munita di panchine, seguita poi da una gettata di cemento con <strong>dei</strong> grandi<br />

vasconi e da un piccolo prato, sezionato in due parti identiche da un<br />

marciapiede.<br />

Nell'oscurità toccammo il contenuto <strong>dei</strong> vasconi, lo illuminammo<br />

usando i display <strong>dei</strong> cellulari come torce. I filamenti carezzevoli su cui<br />

poggiammo le mani erano per lo più graminacee ed erbacee spontanee. Il<br />

terreno in superficie era indurito e arido. Non c'era <strong>tra</strong>ccia di vegetali<br />

collocati in tempi recenti da mano umana; solo arbusti portati dal vento.<br />

Il parco di via Sasso fu scelto in ragione della sua collocazione<br />

riparata, dove sarebbe stato possibile lavorare in <strong>tra</strong>nquillità, senza il timore<br />

che sopraggiungesse la polizia, e del suo stato di semiabbandono.<br />

Nonostante l'affluenza costante di anziani e bambini, <strong>gli</strong> unici lavori di<br />

manutenzione effettuati dal Comune erano la rasatura dell'erba due volte<br />

all'anno e poco altro. Nei mesi successivi a quel primo incontro esplorativo<br />

con il parco, alcuni abitanti del luogo ci raccontarono di come avessero<br />

fatto più volte richiesta di una fontanella per l'acqua, necessaria durante i<br />

<strong>pomeriggi</strong> torridi <strong>tra</strong>scorsi all'ombra delle conifere. Non ebbero mai<br />

80<br />

80


isposta.<br />

Si <strong>tra</strong>ttava dunque di un parco lasciato a se stesso [vedi Foto 1 ne<strong>gli</strong><br />

Allegati, pg. 103], nonostante la vicinanza con il parco fluviale del Retrone,<br />

risultato di un progetto che aveva visto la partecipazione delle scuole del<br />

quartiere e che da anni ospita Festambiente.<br />

La prima azione in via Sasso coinvolse quasi tutti <strong>gli</strong> allora membri<br />

del gruppo. Molti portarono delle piante da casa con l'intento di collocarle<br />

in qualche modo all'interno del vascone principale, che era stato scelto<br />

come obiettivo. Non c'era un progetto cui attenersi. Ricordo che all'inizio ci<br />

limitammo a scavare e ad estirpare, arrampicandoci sui bordi del vascone e<br />

sulle panchine e reggendoci ad un albero morto. Muovendoci nella<br />

semioscurità percepimmo l'ambiente con i sensi che non erano urtati da<br />

essa: udito, tatto e odorato. [Vedi Foto 2 ne<strong>gli</strong> Allegati, pg. 104]<br />

S<strong>tra</strong>ne flatulenze emergevano dalla terra smossa. Il quartiere era<br />

silenzioso, quieto.<br />

Una volta tolto lo s<strong>tra</strong>to fitto e robusto di infestanti il terreno si fece<br />

friabile, quasi sabbioso. Vi collocammo delle perenni non ancora in fiore,<br />

una barba di giove, che di lì a qualche mese si sarebbe espansa di parecchi<br />

centimetri ricoprendosi di uno sciame di brillanti petali fucsia, e due piante<br />

senza nome donateci dalla zia di un componente del gruppo.<br />

Dopo essere intervenuti quella sera parlammo della speranza comune<br />

che <strong>gli</strong> abitanti del quartiere ripulissero <strong>gli</strong> altri vasconi più piccoli, che<br />

seguissero “il nostro esempio”. Ma visti <strong>gli</strong> scarsi risultati regis<strong>tra</strong>ti a San<br />

Giuseppe non ci aspettavamo granché.<br />

81<br />

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Poi, per qualche tempo, non parlammo più del parchetto di via Sasso.<br />

Fu solo a lu<strong>gli</strong>o che esso si presentò davanti ad uno <strong>dei</strong> nostri<br />

banchetti divulgativi sotto forma di un gruppetto di pensionate.<br />

Racconta uno <strong>dei</strong> ragazzi del gruppo:<br />

“É stato a Festambiente l'anno scorso che quelle signore sono<br />

arrivate al banchetto e fanno, in dialetto, “siete voi quelli che hanno messo<br />

le piante al parco là?” e io sono rimasto un po'... oddio... vo<strong>gli</strong>ono dirci<br />

su? vo<strong>gli</strong>ono litigare? E in realtà ci hanno spiegato come <strong>dei</strong> ragazzi erano<br />

arrivati, avevano tirato fuori il vaso dalla terra e loro sono andate a<br />

rimettere a posto... non era un complimento diretto alla nos<strong>tra</strong> azione, ma<br />

mi è parso un fatto positivo.” 9<br />

Fu così che cominciò a sgretolarsi l'idea che ci eravamo fatti del<br />

quartiere e della città intera, come di un luogo popolato per lo più da<br />

soggetti passivi, freddi di fronte alle nostre azioni improvvisate.<br />

La nos<strong>tra</strong> rappresentazione di guerrilla gardening era<br />

progressivamente mutata da ciò che avevamo visto e letto su internet a ciò<br />

che stavamo realizzando con le nostre mani, alle nostre modalità<br />

d'intervento. Per certi versi quest'ultime escludevano a priori la<br />

partecipazione al gruppo di una persona anziana, poiché le riunioni e altre<br />

importanti segnalazioni avvenivano online, at<strong>tra</strong>verso il forum.<br />

C'era dunque la volontà di coinvolgere <strong>gli</strong> abitanti della zona, ma<br />

l'idea che difficilmente avrebbero cominciato a fare guerrilla gardening<br />

costituiva un ostacolo. Per questo motivo ci sono state situazioni in cui,<br />

discutendo, è emersa l'idea che la nos<strong>tra</strong> azione si stesse <strong>tra</strong>sformando in un<br />

qualcosa di fine a se stesso, incapace di smuovere chiunque non<br />

appartenesse alla nos<strong>tra</strong> comunità. In tal senso stavamo assumendo un<br />

9 Intervista a Ivan (27 anni)<br />

82<br />

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atteggiamento di superiorità. Le esperienze negative collezionate fino a quel<br />

momento ci impedivano di vedere oltre il nostro punto di vista. Per dirla<br />

con Marianella Sclavi, la nos<strong>tra</strong> era una “visione ingenua” (Scavi, 2003).<br />

Il nostro atteggiamento cominciò dunque a mutare a seguito di quel<br />

primo incontro con alcune signore che erano solite frequentare il parco di<br />

via Sasso. L'aria <strong>dei</strong> Ferrovieri aveva un odore diverso rispetto a quella di<br />

San Giuseppe, nonostante fossero quartieri confinanti. Nel secondo caso<br />

l'interazione <strong>tra</strong> Santa Alleanza e abitanti del luogo, nonostante i plurimi<br />

tentativi di “variazioni sul tema del guerrilla gardening” proposti dal<br />

gruppo, si configurava come un loop comunicativo o un feedback ottuso 10<br />

(Bateson, 1972)<br />

In via Sasso, invece, potevamo co<strong>gli</strong>ere il sentore di apertura, di<br />

acco<strong>gli</strong>enza. Fu per questo che decidemmo di investire energia e tempo in<br />

quello spazio. Avevamo l'impressione che ciò che stavamo facendo fosse<br />

apprezzato.<br />

A distanza di circa tre mesi dal primo intervento tornai al vascone di<br />

via Sasso con due ragazze del gruppo, che avevano proposto un intervento<br />

per ripulirlo dalle infestanti che erano ricresciute nel frattempo. Ricordo che<br />

arrivai per prima, parcheggiai la bici carica di annaffiatoi e attrezzi e, con<br />

sommo stupore, realizzai che tutto il lavoro di pulizia era già stato fatto da<br />

qualcun'altro.<br />

10 “Gli schemi ripetuti nelle relazioni sono molto diffusi e spesso sono il fondamento di liti continue<br />

su<strong>gli</strong> stessi temi o con le stesse caratteristiche. Si parla in questo caso di circolarità di tipo<br />

“meccanico”, ovvero in cui si realizza un feedback ottuso nel quale lo schema si ripete uguale a se<br />

stesso. Si <strong>tra</strong>tta di veri e propri loop comunicativi; in altre parole di nodi, cappi in cui si realizzano<br />

sequenze circolari apparentemente senza via di uscita. I soggetti compiono i loro “passi”<br />

alimentandosi reciprocamente, senza modificare le mutue posizioni, ma reiterando azioni<br />

comunicative identiche e ripetute nel tempo.” (Rettore, 2007, pg. 157)<br />

83<br />

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Alzai dunque <strong>gli</strong> occhi verso le panchine dove erano solite sedersi le<br />

“signore del parco” e vidi che due di loro stavano venendo verso di me. In<br />

quel mentre arrivarono anche le colleghe giardiniere.<br />

Fu così che le signore ci spiegarono che erano state loro a compiere<br />

l'opera di manutenzione. Le più malandate avevano chiamato sorelle e fi<strong>gli</strong>e<br />

perché dessero una mano.<br />

Poi ci fecero i complimenti per la nos<strong>tra</strong> iniziativa e dissero: “Che<br />

brave ragazze! Voi non andate mica in discoteca 11 !”<br />

Cos'era accaduto in quella manciata di settimane da spingere le<br />

signore del parco ad intervenire in prima persona?<br />

Se prima dell'intervento della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi<br />

esse, pur non apprezzando lo stato in cui riversava il loro luogo ritrovo, si<br />

erano limitate a chiedere al Comune di intervenire, a seguito della scoperta<br />

delle nuove piante nel vascone il loro atteggiamento mutò.<br />

Forse fino a quel momento avevano percepito il parco come un<br />

qualcosa che non era veramente loro; era pubblico, cioè della collettività,<br />

del Comune di Vicenza, dello Stato, di un “noi” as<strong>tra</strong>tto. Non ritenevano<br />

fosse loro compito prendersene cura. Magari temevano addirittura di farlo.<br />

Se considerata rispetto a quanto emerso a posteriori, l'inazione era una<br />

premessa implicita 12 (Sclavi, 2003), una tacita conferma del senso comune<br />

(Schütz, 1971); si dava per scontato che nessuna di loro dovesse o potesse<br />

intervenire in qualche modo.<br />

È dunque probabile che l'azione della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

11 Buona parte de<strong>gli</strong> anziani a cui ho rivelato il mio essere una guerrilla gardener hanno reagito<br />

collocandomi nella categoria “rari casi di giovani per bene”.<br />

12 “Le premesse implicite si ricavano chiedendosi: come strutturavo inconsciamente, senza esserne<br />

consapevole, il campo perché questi comportamenti, questi criteri di correzione mi siano apparsi<br />

ovvi, scontati, logici?” (Sclavi, 2003, pg. 25)<br />

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Verdi abbia rappresentato per loro un evento <strong>tra</strong>umatico, un fatto del tutto<br />

inaspettato capace di mutare il loro modo di vedere e intendere il parco di<br />

Via Sasso. Alfred Schütz chiama questo processo passaggio da una<br />

“provincia finita di significato” (Schütz, 1979) ad un'al<strong>tra</strong>.<br />

“Solo quando facciamo esperienze che interrompono il nostro vissuto<br />

ordinario riusciamo a vedere ciò che fino a quel momento davamo per<br />

scontato e a concepire la possibilità di ricorrere a interpretazioni, significati<br />

e pratiche diverse da quelle che prima consideravamo ovvie.” (Spera, 2007,<br />

pg. 109)<br />

L'intervento si spiega allora in ragione di un sistema di rilevanze<br />

mutato e mutevole, at<strong>tra</strong>verso il qualche il parco non viene più visto come<br />

un qualcosa di appartenente ad altri, ma a “mia diretta disposizione” per<br />

curarlo e lasciare la mia personale impronta.<br />

Se l'attività delle signore del parco si fosse limitata ad interventi di<br />

manutenzione, i componenti della Santa Alleanza sarebbero stati<br />

soddisfatti, ma non avrebbero avuto di sperimentare a loro volta lo<br />

spiazzamento di cui parla Schütz e di apprendere, almeno in parte, ad<br />

ascoltare <strong>gli</strong> abitanti <strong>dei</strong> quartieri oggetto de<strong>gli</strong> interventi.<br />

A scardinare un'idea limitata e limitante di guerrilla gardening<br />

secondo la quale ci muovevamo fu la comparsa presso il vascone di via<br />

Sasso di un capitello [Vedi Foto 3 ne<strong>gli</strong> Allegati, pg. 105].<br />

In un primo momento fummo disorientati; l'idea di un simbolo<br />

religioso non ci piaceva, eppure insieme ad esso erano stati collocati molti<br />

altri fiori, non solo nel vascone principale, ma anche in quasi tutti quelli più<br />

piccoli che si trovavano nelle vicinanze.<br />

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Impiegammo un po' di tempo ad elaborare ciò che era accaduto e ad<br />

accettarlo.<br />

Le signore del parco avevano fatto un “salto di qualità”<br />

riappropriandosi del parco per mezzo di un simbolo che le accomunava;<br />

uno crocifisso.<br />

Poteva sembrare una persecuzione: prima l'invasione delle madonne di<br />

gesso, poi il Cristo in croce posto a ve<strong>gli</strong>are sul vascone di via Sasso.<br />

Ma nonostante la simbologia fosse simile, l'uso che ne veniva fatto era<br />

diverso. Nel parco <strong>dei</strong> Ferrovieri non si <strong>tra</strong>ttava di una generica<br />

colonizzazione di spazi, come nel caso delle madonne poste in un gran<br />

numero di rotatorie della città.<br />

In via Sasso il capitello rappresentava un qualcosa di più profondo; si<br />

<strong>tra</strong>ttava di un modo per dire “questo è il nostro parco”, dove “nostro” si<br />

riferisce alla comunità delle signore del quartiere che si ritrovano ogni<br />

giorno in quel luogo.<br />

In termini durkheimiani si <strong>tra</strong>ttava dunque di un oggetto sacro<br />

(Durkheim, 1912; Collins, 1988).<br />

Cos'ha significato questo per i componenti della Santa Alleanza <strong>dei</strong><br />

Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi? Dopo una prima reazione ostile, arrivammo a<br />

riconoscere che qualcosa di estremamente significativo era accaduto.<br />

Tentando di superare il nostro rifiuto per la simbologia cattolica, ci<br />

adden<strong>tra</strong>mmo un vero e proprio “dialogo interculturale” (Sclavi, 2003).<br />

Realizzammo cioè che non eravamo solo noi come gruppo ad avere<br />

ragione, ad operare una “corretta” interazione con lo spazio e i suoi abitanti.<br />

86<br />

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Anche le signore del parco avevano ragione. La collocazione del crocifisso<br />

era per loro del tutto sensata e logica.<br />

Il fastidio iniziale divenne dunque un segnale, un appi<strong>gli</strong>o at<strong>tra</strong>verso il<br />

quale risalire alle nostre e altrui “cornici di significato”, di cui non eravamo<br />

consapevoli.<br />

Come ricorda Marianella Sclavi: “il con<strong>tra</strong>rio dell'urgenza<br />

classificatoria è la capacità di convivere col disagio dell'incertezza, di<br />

sopportare l'esplorazione prolungata e paziente; il rendersi disponibili e<br />

anche divertirsi non solo all'inizio, ma durante tutto il processo ad<br />

acco<strong>gli</strong>ere lo sconcerto e disorientamento.” (Sclavi, 2003, pg. 47-48)<br />

Nonostante ciascun componente del gruppo, in misura diversa, avesse<br />

motivo di guardare con ostilità la comparsa del capitello, a seguito di<br />

diverse discussioni che vertevano sulla sua collocazione, esso perse poco<br />

per volta la sua patina eminentemente religiosa, diventando un segnale che<br />

diceva “qui qualcosa è cambiato”.<br />

Questo nuovo modo di concepire quanto accaduto emerse in diverse<br />

interviste e conversazioni informali svoltesi in quel periodo, come conferma<br />

quanto detto da Giulia:<br />

“Lì mi è piaciuto perché la gente ha apprezzato, perché hanno messo il<br />

capitello, che sarà una cosa… [pausa] però ci hanno messo energia...<br />

abbiamo cominciato qualcosa di positivo; prima c'era tutto lo schifo...<br />

anche.. magari per loro trovarsi e fare la preghiera è un rituale. Si<br />

trovano, si crea comunità, una colla che... a prescindere dal significato<br />

religioso.. potrebbe essere anche con qualcos'altro, quello religioso è già<br />

qualcosa... che io apprezzo...” 13<br />

Questo processo è quello che Gregory Bateson chiama<br />

13 Giulia (26 anni)<br />

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“deuteroapprendimento” o “apprendimento dell'apprendimento” (Bateson,<br />

1972).<br />

L'uscita dalla cornice all'interno della quale ci eravamo mossi per<br />

diversi mesi ha decretato il passaggio al “livello polimorfo”.<br />

“È solo dopo aver fatto esperienza di un cambiamento di cornice che<br />

ci rendiamo conto che quella precedente era una “visione ingenua”.<br />

“Ingenua” non perché sba<strong>gli</strong>ata in quanto tale, ma perché implicava di<br />

essere l'unica possibile.” (Sclavi, 2003, pg. 67)<br />

88<br />

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CAPITOLO 8<br />

RIBALTA E RETROSCENA/ VISIBILITÀ E LATENZA<br />

“I movimenti oscillano spesso <strong>tra</strong> brevi fasi di intensa attività pubblica e<br />

lunghi periodi di “latenza” durante i quali prevalgono attività di riflessione<br />

interna e rielaborazione intellettuale.” (Della Porta, Diani, 1997, pg. 35)<br />

Nel caso che stiamo descrivendo, ad influire sull'alternarsi di visibilità<br />

e latenza non sono solamente le “chiamate alle armi” da parte delle cellule<br />

locali del movimento ambientalista. Il peso più significativo è quello<br />

esercitato dai ritmi della natura (vedi fig. 3).<br />

Questo si <strong>tra</strong>duce in una visibilità duplice: da un lato la Santa Alleanza<br />

<strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi si rende nota in città partecipando ad attività come<br />

Festambiente e il mercato mensile del No Dal Molin, utilizzando un<br />

linguaggio principalmente divulgativo e didattico; dall'altro porta a termine<br />

le azioni tout court, la cui buona riuscita dipende dal rispetto <strong>dei</strong> cicli<br />

stagionali.<br />

Il duplice nome del gruppo viene usato da<strong>gli</strong> attivisti solo in questi<br />

due casi specifici. Capita poi che durante le manifestazioni e le fiaccolate<br />

organizzate dal No Dal Molin i componenti del gruppo si incontrino e<br />

camminino insieme, ma questo avviene principalmente in virtù <strong>dei</strong> legami<br />

d'amicizia. I giardinieri non hanno mai discusso la possibilità di rendersi<br />

evidenti in queste occasioni, in parte perché le istanze del No Dal Molin<br />

inglobano buona parte di quelle dalla Santa Alleanza, in parte perché vi è<br />

consapevolezza dello scarso impatto del gruppo a livello locale.<br />

Ad ogni modo le dinamiche di visibilità e latenza del gruppo di<br />

guerrilla gardening, seppur lievemente anomale a causa della variabile<br />

89<br />

89


climatica, lo inscrivono nel modello di funzionamento delle aree a due poli,<br />

rappresentati da “silenzio e azione” (Melucci, 1984, pg. 444):<br />

“Quando i piccoli gruppi emergono lo fanno per confrontarsi con un'autorità<br />

politica su terreni specifici. La mobilitazione ha una funzione simbolica su<br />

diversi piani: da una parte annuncia l'opposizione alla logica che guida il<br />

decision-making rispetto ad una specifica politica pubblica; nello stesso<br />

tempo la mobilitazione opera come una media, indica cioè al resto della<br />

società il legame <strong>tra</strong> il problema specifico e la logica dominante nel sistema;<br />

infine annuncia che sono possibili <strong>dei</strong> modelli culturali alternativi, che già<br />

l'azione collettiva pratica e dimos<strong>tra</strong>.” (Melucci, 1984, pg. 445)<br />

La differenza rispetto a cellule di movimento la cui azione è più<br />

autoevidente consiste nel fatto che il gruppo di guerrilla gardening necessita<br />

di due ambiti nei quali rendersi visibile. Oltre all'azione tout court e alle<br />

<strong>tra</strong>cce così lasciate sullo spazio cittadino, la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi utilizza i cosiddetti “banchetti” per spiegare ai profani il senso della<br />

propria attività e per “diffondere il verbo”, ovvero invitare altri cittadini a<br />

compiere azioni di guerrilla gardening.<br />

Questo, per certi versi, fa <strong>dei</strong> banchetti il vero spazio della visibilità,<br />

della ribalta (Goffman, 1959), poiché si <strong>tra</strong>tta delle uniche occasioni<br />

durante le quali i giardinieri espongono il proprio viso apertamente,<br />

invitando i profani ad avvicinarsi e porre domande.<br />

Anche le azioni vere e proprie rappresentano un'uscita dallo spazio-<br />

tempo della latenza, pur rimanendo in un'area grigia <strong>tra</strong> ribalta e retroscena.<br />

In questo caso la visibilità sta non tanto nei saltuari incontri con i passanti,<br />

che il più delle volte fuggono intimoriti, quanto nel fatto di lasciare delle<br />

<strong>tra</strong>cce vegetali e talvolta un cartello con il nome del gruppo. Durante le<br />

azioni i corpi <strong>dei</strong> giardinieri sono sulla ribalta, eppure l'oscurità, la frenesia<br />

90<br />

90


e lo scarso interesse ad interloquire con i profani costituiscono elementi che<br />

fanno piuttosto pensare all'ambigua so<strong>gli</strong>a <strong>tra</strong> ribalta e retroscena.<br />

La peculiarità di questo tipo di repertorio d'azione sta nel fatto che<br />

esso non è indissolubilmente legato all'oscillazione <strong>tra</strong> latenza e visibilità,<br />

silenzio e azione. Può essere solo apparentemente assimilato ad una<br />

manifestazione che, per la durata di qualche ora, <strong>tra</strong>muta i corpi di coloro<br />

che vi partecipano in aggregato.<br />

Nel guerrilla gardening una parte significativa del lavoro viene svolta<br />

dalle piante, che silenziosamente si riappropriano dello spazio che è stato<br />

loro sot<strong>tra</strong>tto dall'edilizia.<br />

Un caso emblematico in tal senso è quello del progetto denominato<br />

“Bulbami 2009”, portato avanti dalla Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi<br />

<strong>tra</strong> lu<strong>gli</strong>o e novembre.<br />

Durante le cinque giornate di Festambiente sono stati raccolti i fondi<br />

che hanno permesso l'acquisto di duemila bulbi. Essi sono poi stati messi a<br />

dimora in autunno nel corso di un gran numero di azioni, la maggior parte<br />

delle quali hanno occupato singoli individui o coppie. Si è <strong>tra</strong>ttato di una<br />

serie di uscite sulla ribalta; eppure l'intento del gruppo era quello di agire<br />

velocemente, coprendo un gran numero di aiuole sparse in giro per la città,<br />

onde predisporre l'emersione silente <strong>dei</strong> fiori che avverrà solo nella<br />

primavera del 2010.<br />

In quel periodo l'azione del gruppo all'interno dell'”operazione<br />

Bulbami” si limiterà al mero monitoraggio e ad eventuali uscite di<br />

manutenzione. Ciononostante, a<strong>gli</strong> occhi <strong>dei</strong> profani, questo mero residuo<br />

di un'azione già conclusasi sembrerà più eloquente di tutto il lavorio nel<br />

retroscena, delle discussioni preliminari e de<strong>gli</strong> scavi <strong>tra</strong> <strong>scarti</strong> edili.<br />

91<br />

91


8.1. Il letargo<br />

Nel paragrafo precedente si è accennato al peso delle stagioni sulle<br />

attività della Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi. Potrebbe sembrare<br />

un'osservazione banale, eppure ci sono aspetti della questione che escono<br />

dal <strong>tra</strong>cciato del previsto e prevedibile.<br />

Partecipando sul fronte dell'azione diretta notai ben presto la necessità<br />

di intervenire nel rispetto <strong>dei</strong> cicli naturali delle piante. Questo significa, ad<br />

esempio, che non vale la pena di mettere a dimora una pianta annuale alla<br />

fine del suo ciclo vitale, poiché perirà ben presto. Allo stesso modo non<br />

conviene collocare in un'aiuola assolata in pieno agosto un vegetale che<br />

necessita di molta acqua per sopravvivere.<br />

Le regole basilari del guerrilla gardening sono le stesse che si trovano<br />

nei manuali di giardinaggio. Nel primo caso ci sono però molte più variabili<br />

da tenere in considerazione. Tra di esse ricordiamo i tosaerba <strong>dei</strong> giardinieri<br />

comunali, <strong>gli</strong> atti vandalici, i cani alla ricerca di una toilette, l'impossibilità<br />

di usare tunnel plastici e i problemi legati alla siccità.<br />

Questo significa che le attività di guerrilla gardening non po<strong>tra</strong>nno<br />

svolgersi regolarmente. Saranno necessari <strong>dei</strong> periodi “letargici”,<br />

coincidenti con i mesi più rigidi e quelli più caldi dell'anno.<br />

Verrebbe allora da pensare che le altre attività del gruppo -quelle non<br />

direttamente legate all'azione diretta- non subiscano l'influenza del clima.<br />

Onde trovare una conferma in tal senso ho realizzato il grafico in<br />

figura 3, che include l'andamento delle tre principali occupazioni della<br />

Santa Alleanza <strong>tra</strong> aprile e dicembre 2009: azioni dirette, riunioni e<br />

banchetti divulgativi.<br />

92<br />

92


Esso dimos<strong>tra</strong> il con<strong>tra</strong>rio di quanto suggerirebbe il senso comune,<br />

poiché evidenzia una chiara correlazione <strong>tra</strong> i cicli stagionali e tutti e tre i<br />

tipi di attività prese in considerazione.<br />

Fig. 3. Andamento delle attività del gruppo rispetto ai cicli stagionali<br />

Considerando, ad esempio, il periodo <strong>tra</strong> settembre e dicembre,<br />

notiamo una generale ripresa delle attività rispetto al mese di agosto,<br />

dipendente dall'abbassamento delle temperature e dal venir meno delle<br />

condizioni sfavorevoli per la messa a dimora delle piante. Il mese di ottobre<br />

e le prime due settimane di novembre sono inoltre il periodo durante il<br />

quale vengono piantati i bulbi di fiori che sbocciano in primavera, come<br />

alcuni tipi di crochi, giacinti e anemoni. Avendo optato per una massiva<br />

piantagione di bulbi in autunno, il gruppo si è riunito diverse volte prima e<br />

93<br />

93


durante le sei settimane interessate da questo progetto, onde selezionare i<br />

luoghi per la messa a dimora, distribuire la materia prima e definire a<br />

grandi linee le s<strong>tra</strong>tegie da utilizzare.<br />

Sul fronte <strong>dei</strong> banchetti divulgativi la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi ha partecipato non solo all'appuntamento mensile del mercato del No<br />

Dal Molin, ma anche ad una manifestazione chiamata Il Veneto che<br />

vo<strong>gli</strong>amo 1 , tenutasi a Mestre nel mese di ottobre.<br />

Lo scenario cambia a partire dalla terza settimana di novembre. Le<br />

temperature si sono abbassate; non è più possibile fare talee o creare nuove<br />

aiuole.<br />

Durante il periodo estivo i giardinieri avevano deciso di dedicare<br />

questi mesi sonnolenti alla definizione di nuovi progetti e alla raccolta<br />

fondi.<br />

Nonostante questi buoni propositi il clima sembra influire<br />

negativamente anche sulle attività divulgative: en<strong>tra</strong>mbi i banchetti di<br />

novembre e dicembre sono caratterizzati da un'atmosfera di scoraggiamento<br />

e di senso di inadeguatezza.<br />

I ragazzi che se ne sono occupati hanno affermato di non avere vo<strong>gli</strong>a<br />

di interagire con <strong>gli</strong> avventori. In queste occasioni si è riflettuto sullo scarso<br />

livello di coinvolgimento di alcuni colleghi, sulle avvisa<strong>gli</strong>e di un possibile<br />

episodio secessionistico e sul fatto che tutte le attività previste a partire da<br />

settembre, eccetto il progetto “Bulbami”, non sono state realizzate.<br />

La sola riunione svoltasi nel periodo seconda metà di novembre-<br />

dicembre non ha avuto alcuna conseguenza a livello pratico poiché tutti i<br />

progetti di cui si era parlato sono stati poi rinviati a data da destinarsi.<br />

1 http://www.estnord.it/content/view/313/1/<br />

94<br />

94


8.2. Lo sgabuzzino <strong>dei</strong> self<br />

In ottica goffmaniana il gruppo oggetto di questa piccola ricerca<br />

prende il nome di équipe di rappresentazione, espressione che indica “un<br />

qualsiasi complesso di individui che collaborano nell'inscenare una singola<br />

routine” (Goffman, 1959, pg. 97).<br />

Il verbo “inscenare” sottende l'esistenza di due livelli, ai quali<br />

abbiamo già accennato: la ribalta, dove la rappresentazione ha luogo, e il<br />

retroscena, territorio “dove fanno la loro comparsa i fatti che sono stati<br />

soppressi.” (Goffman, 1959, pg. 133)<br />

L'esempio emblematico in tal senso è quello del nome del gruppo;<br />

durante la prima riunione si optò per “Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi”, con la consapevolezza che una simile denominazione avrebbe<br />

irritato non pochi vicentini cattolici. Questo nome fu poi inserito nei cartelli<br />

segnalanti le prime aiuole colpite. I cartelli in questione furono<br />

sistematicamente fatti scomparire nel giro di pochi giorni dalla loro<br />

collocazione. Fino a quel periodo ci fu una coincidenza <strong>tra</strong> ribalta e<br />

retroscena, poiché i ragazzi del gruppo non erano particolarmente<br />

interessati alla reazione di un generico pubblico che veniva dipinto come<br />

“di benpensanti”.<br />

Il primo vero atto di “soppressione dell'immagine reale” (Goffman,<br />

1959, pg. 195) che il gruppo aveva di se stesso in funzione di concetto di sé<br />

accettabile per il pubblico e per le altre équipe viste come “conservatrici” fu<br />

la scelta di abbandonare -solo nella ribalta- il nome Santa Alleanza <strong>dei</strong><br />

Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi, optando per “<strong>Guerrilla</strong> Gardening Vicenza”.<br />

Le uniche eccezioni a questa regola sono rappresentate dai contatti<br />

con équipe che costruiscono un'immagine di sé più radicale e militante di<br />

95<br />

95


quella del gruppo. È il caso del rapporto con la redazione di Plaf Zine 2 , una<br />

pubblicazione anarcopunk gestita da alcuni ragazzi vicentini.<br />

Quando mi fu chiesto di scrivere un breve articolo sul guerrilla<br />

gardening da inserire nel numero in lavorazione rielaborai un pezzo che<br />

avevo steso per un blog 3 marcando <strong>gli</strong> aspetti “sovversivi” e “ribelli”<br />

dell'attività del gruppo e cancellando quelli che potevano far intendere il<br />

con<strong>tra</strong>rio. In quello scritto veniva inoltre rivelata la doppia denominazione,<br />

onde sottolineare la difficile sopravvivenza della Santa Alleanza all'interno<br />

di un contesto “oscurantista” come quello di Vicenza.<br />

L'intento era chiaramente quello di rendere appetibile il guerrilla<br />

gardening ad un pubblico 4 che tende a vederlo come “apprezzabile ma non<br />

sufficientemente radicale”.<br />

Eccettuati i rari casi di contatto con équipe come quella di Plaf Zine, il<br />

nome Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri Verdi resta dunque ben celato nel<br />

retroscena.<br />

La sua esistenza costituisce un segreto e fa dunque del gruppo<br />

“qualcosa del carattere di una società segreta.” (Goffman, 1959, pg. 122-<br />

123)<br />

Nella ribalta i membri dell'équipe mettono temporaneamente da parte i<br />

loro self individuali, indossando una maschera le cui fattezze e il cui<br />

eloquio sono stati concordati in precedenza. Questo significa che tendono a<br />

“restare nel personaggio”, nello sforzo di mantenere una definizione della<br />

situazione che risponda alle presunte aspettative del pubblico o delle altre<br />

2 Http://www.myspace.com/plafzine<br />

3 http://junkiepop.com/2009/09/18/zappare-e-figo-vangare-e-sexy/<br />

4 Il bacino d'utenza di Plaf Zine è principalmene quello della rete <strong>dei</strong> centri sociali veneti. I luoghi<br />

di distribuzione previsti sono il CSO Pedro di Padova e il CSO Rivolta di Marghera (VE).<br />

96<br />

96


élite.<br />

Al variare delle situazioni muterà anche lo sfoggio di una molteplicità<br />

di self, co-costruiti in precedenza.<br />

Come ci ricorda Goffman:<br />

“quando i membri di una équipe non sono in presenza del pubblico, la<br />

conversazione spesso verte sul problema della messa in scena. Si sollevano<br />

problemi sulla condizione de<strong>gli</strong> strumenti scenici; si mettono in chiaro<br />

atteggiamenti, linee e posizioni; si analizzano vantaggi e svantaggi delle<br />

ribalte disponibili; si prende in esame l'entità e il carattere dell'eventuale<br />

pubblico della rappresentazione; [...] si rimugina -post mortem-<br />

sull'acco<strong>gli</strong>enza tributata all'ultima rappresentazione.” (Goffman, 1959, pg.<br />

203)<br />

Durante le riunioni, ad esempio, i ragazzi della Santa Alleanza tornano<br />

spesso sul tema del repertorio delle messe in scena. Questo tema è<br />

probabilmente quello vissuto come più problematico.<br />

Un esempio in tal senso è quello della divergenza <strong>tra</strong> le<br />

rappresentazioni che i diversi membri del gruppo hanno di pubblico. Alcuni<br />

ritengono sia necessario evitare prese di posizione che potrebbero suscitare<br />

reazioni negative nei vicentini anziani o cattolici, poiché sono dell'idea che<br />

chiunque sia potenzialmente un guerrilla gardener o per lo meno un<br />

simpatizzante. Altri, invece, affermano l'insensatezza del limitarsi per<br />

venire incontro a categorie che con ogni probabilità non vedono niente di<br />

buono nelle attività del gruppo.<br />

La vita di un'équipe come quella di una cellula di guerrilla gardening è<br />

dunque doppiamente problematica: oltre alla costante ridefinizione della<br />

propria identità, necessaria per la sopravvivenza dell'équipe stessa, essa è a<br />

tutti <strong>gli</strong> effetti un policefalo ed “affaticato attore fabbricante impressioni”<br />

97<br />

97


(Goffman, 1959), che finge però di essere monocefalo, adeguandosi ad un<br />

canovaccio condiviso.<br />

Ciononostante non sempre la rappresentazione riesce come auspicato.<br />

Ci sono casi in cui la messa in scena è più semplice e prevedibile; altri<br />

invece sono più problematici.<br />

Il mercato <strong>dei</strong> produttori locali e delle autoproduzioni del No Dal<br />

Molin, ad esempio, è una situazione in cui i ragazzi della Santa Alleanza<br />

sanno muoversi con relativa disinvoltura, mos<strong>tra</strong>ndo a<strong>gli</strong> attivisti che vi<br />

partecipano un lato del guerrilla gardening estremamente coerente con le<br />

istanze che essi portano avanti.<br />

Al con<strong>tra</strong>rio, durante le azioni dirette risulta difficile comprendere<br />

quali siano le intenzioni <strong>dei</strong> soggetti che si avvicinano per chiedere: “Cosa<br />

state facendo?”.<br />

Non essendo collocati in un contesto eloquente come quello del<br />

Presidio Permanente, essi sono temporaneamente classificati come<br />

“pericolosi” e la messa in scena che ne consegue è molto cauta.<br />

Un buon esempio in tal senso è stato quello già citato dell'incontro con<br />

due volanti della polizia a seguito di una telefonata da parte di una signora<br />

che temeva che i ragazzi del gruppo stessero sotterrando un cadavere. In<br />

quell'occasione vennero taciute la natura “organizzata” della Santa<br />

Alleanza, il suo nome da retroscena e <strong>gli</strong> intenti che sarebbero potuti<br />

passare per politicizzati. Chi osò aprire bocca si limitò ad affermare che<br />

l'aiuola era in cattivo stato e che era parso loro necessario darle una ripulita<br />

collocando poi delle piante. Il tocco finale fu l'affermare che i responsabili<br />

de<strong>gli</strong> scavi erano “della parrocchia”.<br />

98<br />

98


Harold Garfinkel classifica questi accorgimenti, dettati dalla paura di<br />

perdere la faccia, come “offrire spiegazioni o giustificazioni” (Garfinkel,<br />

1967)<br />

Quando accade qualcosa che, rispetto ai contesti normalmente dati per<br />

scontati, non è ordinario si corre il rischio di incorrere in fraintendimenti.<br />

Affermare che si è scelto di sistemare un'aiuola in tarda serata anziché<br />

di giorno per problemi di lavoro e di studio spiega una pratica che altrimenti<br />

risulterebbe priva di senso per un soggetto che ignori l'esistenza del<br />

guerrilla gardening.<br />

In questo modo la pratica viene inserita in una cornice all'interno della<br />

quale torna ad essere “normale”, ordinaria.<br />

8.3. Le comari<br />

“Spesso esiste una differenza sistematica <strong>tra</strong> i termini usati per riferirsi a<br />

persone assenti e i termini usati per rivolgersi ai presenti. In presenza de<strong>gli</strong><br />

spettatori <strong>gli</strong> attori si rivolgono generalmente a loro in termini rispettosi. [...]<br />

A volte non ci si riferisce a membri del pubblico neppure con un<br />

soprannome, ma con una parola convenzionale che li assimila<br />

completamente ad una categoria as<strong>tra</strong>tta. [...] Ci si può riferire al pubblico<br />

assente con un termine collettivo che indichi insieme distanza e disprezzo,<br />

suggerendo una frattura fra il gruppo e <strong>gli</strong> “altri”. Così i membri di un<br />

complesso musicale possono chiamare i loro clienti “matusa”; le dattilografe<br />

americane possono riferirsi alle loro colleghe s<strong>tra</strong>niere chiamandole “G. R.s”<br />

[e] i soldati americani possono riferirsi a quelli inglesi chiamandoli limeys.”<br />

(Goffman, 1959, pg. 200 e 201)<br />

Come già ricordato in precedenza, la Santa Alleanza <strong>dei</strong> Guerri<strong>gli</strong>eri<br />

Verdi ridefinisce frequentemente il proprio pubblico, producendosi in stime<br />

approssimative del potenziale di mobilitazione di pensionate<br />

ul<strong>tra</strong>ottantenni, leghisti, studenti delle superiori e altre categorie per lo più<br />

99<br />

99


monolitiche, considerate di volta in volta “promettenti”, “neutre” o “ostili”.<br />

rispetto.<br />

Nonostante ciò sulla ribalta tutti vengono <strong>tra</strong>ttati con deferenza e<br />

Cosa fa sì che questo comportamento apparentemente schizoide non<br />

diventi tale?<br />

Secondo Goffman il segreto sta nel denigrare regolarmente il pubblico<br />

nel retroscena.<br />

“Il parlar male del pubblico serve a mantenere unita l'équipe accentuando a<br />

spese de<strong>gli</strong> assenti il reciproco rispetto e compensando, forse, la perdita di<br />

dignità che si può subire nei contatti faccia a faccia con il pubblico, quando<br />

bisogna mos<strong>tra</strong>rsi accomodanti.” (Goffman, 1959, pg. 199)<br />

Durante le riunioni della Santa Alleanza o nei brevi istanti in cui è il<br />

pubblico è lontano -come durante i momenti di scarsa affluenza ai banchetti<br />

divulgativi- i soggetti cui si è sottomessi vengono presi in giro e <strong>tra</strong>sformati<br />

in caricature.<br />

Oltre al caso già citato del pensionato difensore della madonna di<br />

gesso, un'al<strong>tra</strong> categoria emblematica è quella delle signore di mezza età<br />

che militano in associazioni la cui attività è molto simile al guerrilla<br />

gardening.<br />

Se sulla ribalta l'incontro <strong>tra</strong> i rappresentanti di queste due categorie<br />

(guerrilla <strong>gardeners</strong> e signore militanti) è spesso caratterizzato dalla pretesa<br />

di superiorità morale di quest'ultime, che affermano di essere più pregevoli<br />

rispetto a chi “compie pur sempre un'azione illegale”, nel retroscena esse<br />

vengono frequentemente derise, con argomenti che vanno dalla loro<br />

sottomissione alle istituzioni, allo scarso contenuto simbolico di un'attività<br />

finanziata, mediata, rallentata e talvolta bloccata dall'amminis<strong>tra</strong>zione<br />

100<br />

10


comunale.<br />

In ogni caso i rapporti con équipe molto diverse <strong>tra</strong> di loro vengono<br />

tenuti segreti o celati il più possibile. Questo accorgimento è definito da<br />

Goffman segregazione <strong>dei</strong> pubblici e permette di evitare di dover<br />

impersonificare due self diversi nello stesso momento.<br />

Calandoci in un caso concreto, per il gruppo finora descritto sarebbe<br />

difficile soddisfare contemporaneamente le aspettative di un<br />

“disobbediente” e di una pensionata convinta che tutti i giovani -<strong>tra</strong>nne i<br />

suoi nipoti- siano teppisti o drogati. Risulta dunque vitale assicurarsi che<br />

essi restino separati e che la definizione della situazione non venga<br />

distrutta.<br />

101<br />

10


ALLEGATI<br />

1


Foto 1: parchetto di via Sasso (prima dell'attacco)<br />

103


Foto 2 (di Ilario Toniello): parchetto di via Sasso (durante l'attacco)<br />

104


Foto 3 (di Ivan Donadello): parchetto di via Sasso (post intervento di<br />

alcuni abitanti del quartiere Ferrovieri)<br />

105


Foto 4 (di Ilario Toniello): “l'attacco <strong>dei</strong> pomodori”<br />

106


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