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– 496 –<br />

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 112v,<br />

bb. 29-41<br />

Le prerogative dell’inciso iniziale vengono esaurite in A 1 e nella sezione<br />

centrale B, nel primo caso anche tramite una contrazione del ritmo melodico e<br />

armonico conseguente al singolare incastro fra il soprano e i primi violini, cui si<br />

affida la versione più aspra con il salto conclusivo, da ripetersi poi<br />

insistentemente sulla coloratura di «sfortunata», appresso il piccolo colpo di<br />

scena dell’entrata forte in anticipo dei primi violini (b. 79) che trascina con sé la<br />

voce, badando forse di evitare un’eccessiva monotonia: peraltro, già «temo il<br />

periglio» (bb. 73-74) assume rilievo dal gesto inatteso della scala discendente,<br />

sottolineato col mutare altrettanto improvviso del corteggio armonico e tramite<br />

il breve disporsi dei primi violini colla parte.<br />

Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, cc. 113v-114r,<br />

bb. 67-74 e 78-86<br />

– 10 di 21 –


II.<br />

Nel secondo atto dell’Alessandro nell’Indie l’imprevista notizia della morte<br />

dello sposo costituisce l’ulteriore peripezia della regina Cleofide, totale<br />

rovesciamento rispetto alla precedente manifestazione di clemenza di Alessandro<br />

verso Poro. Forse proprio il subbuglio espresso nel recitativo Che mi giovò<br />

sull’are, confacente a un’intonazione con strumenti, nel 1736 consigliò per l’aria<br />

d’entrata Se il Ciel mi divide la sostituzione con versi più energici e vibranti come<br />

quelli di Il regno, il consorte (II.13), ma nel medesimo metro del senario<br />

regolarmente accentuato con misura dattilica, traendo dall’originale l’antitesi<br />

«vita-morte» (da «viver-morir») e l’ipotetica «Dell’idolo mio / se il Cielo mi<br />

priva» (da «Se il Ciel mi divide / dal caro mio sposo»). Reinhard Strohm inoltre<br />

rileva l’intima connessione col recitativo, di cui le righe «Il regno, il consorte, /<br />

la pace perdei; / la vita mi resta, / ma questa di morte / più dura è per me»<br />

evocano «Lo sposo, il regno, / misera! già perdei; / si perda ancora / la vita che<br />

m’avanza». 17 Il nuovo testo spinge in direzione dell’aria parlante, cioè di un<br />

«morceau d’expression, d’agitation, un air qui exprime la passion par des<br />

moyens différens, par des mots, par exemple, entrecoupés, par des soupirs<br />

élancés, avec de l’action, du mouvement», 18 nel quale far eccellere le doti canore<br />

e attoriali di Vittoria Tesi Tramontini, attingendo al medesimo modello di<br />

un’aria vivaldiana scritta qualche anno prima per Anna Giraud, La madre, lo<br />

sposo del Farnace (Mantova, 1732), lo stesso che La figlia, lo sposo del Motezuma<br />

(Venezia, 1733) oppure ancora Se parto, se resto del Catone in Utica (Verona, 1737):<br />

non è dunque per una mera stravaganza se Il regno, il consorte si conserva<br />

nell’allestimento ferrarese. 19<br />

17 REINHARD STROHM, The Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, p. 610.<br />

18 La celebre citazione contenuta nella pagina dei Mémoires che descrive il primo incontro con<br />

Vivaldi è tratta da CARLO GOLDONI, Tutte le opere, a cura di Giuseppe Ortolani, vol. I, Milano,<br />

Mondadori, 1954, p. 165. A p. 722 si trova la versione pubblicata da Goldoni nella prefazione al tomo<br />

XIII dell’edizione Pasquali delle proprie opere.<br />

19 Le successive citazioni sono tratte da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica, a cura di Anna<br />

Laura Bellina, vol. I (Il periodo italiano, 1724-1730), Venezia, Marsilio, 2002, p. 487; L’ALESSANDRO<br />

/ NELL’ INDIE. / Dramma per Musica / DA RAPPRESENTARSI / Nel Famosissimo Teatro Grimani<br />

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HASSE E VIVALDI<br />

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FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Vi è poi per la veste musicale una tradizione suggestiva che guida in La figlia,<br />

lo sposo (Allegro molto, C, Do minore) la scelta della tonalità d’impianto,<br />

l’esordio in levare, la tendenza a dividere il senario in due trisillabi mediante la<br />

pausa, l’approdo alla parallela maggiore coincidente con una climax melodica. 20<br />

/ di S. Gio: Grisostomo / Nel Carnovale dell’Anno 1736. / DEDICATO / A SUA ECCELLENZA IL<br />

SIGNOR / MARCHESE BOTTA / Tenente Generale di S. M. / C. C. ec. ec. ec. / IN VENEZIA,<br />

MDCCXXXVI. / Per Marino Rossetti. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. pp. 53-54; MOTEZUMA /<br />

DRAMA PER MUSICA / Da rappresentarsi / NEL TEATRO / DI SANT’ANGELO / Nell’Autunno<br />

dell’Anno 1733. / IN VENEZIA, / Appresso Marino Rossetti, in Merceria / all’Insegna della Pace.<br />

/ Con Licenza de’ Superiori. p. 46.<br />

20 La tipologia è discussa in REINHARD STROHM, Italienische Opernarien des frühen Settecento (1720-<br />

1730), 2 voll., «Analecta Musicologica», 16, Colonia, Volk, 1976 , vol. I, pp. 63-65, 240-241.<br />

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Antonio Vivaldi, Motezuma (1733), La figlia, lo sposo, D-Bs, SA 1214, c. 75r, bb. 7-12<br />

Lo stesso genere di attacco spezzato qualifica le prime battute di Che furia, che<br />

mostro (III.4, Allegro assai, ¢, Mi bemolle maggiore) del Siroe, re di Persia<br />

(Bologna, 1733) di Hasse, con impeto culminante all’inizio della parte centrale<br />

in una lenta catabasi di quasi due ottave su sette battute, esasperata dal ‘ritardando’<br />

conclusivo, figura della folle e improbabile discesa agli inferi con cui<br />

l’interprete, ancora la Tesi Tramontini, doveva sprigionare tutta l’aggressiva<br />

disperazione della protagonista Emira. 21<br />

Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Che furia, che mostro, A-Wn, Hs 17256,<br />

bb. 22-26<br />

21 Un commento all’opera e all’aria è offerto in REINHARD STROHM, L’opera italiana nel Settecento,<br />

cit., pp. 200-213: 210.<br />

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HASSE E VIVALDI<br />

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– 500 –<br />

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Che furia, che mostro, A-Wn, Hs 17256,<br />

bb. 107-114<br />

In circostanze di analoga instabilità emotiva «Fra tanti pensieri / di regno ed<br />

amore» (I.3, Piuttosto andante, ¢, Sol maggiore) di Cleonice nel Demetrio di<br />

Hasse applica in tempo più lento la variante altrettanto canonica della sincope<br />

al posto della pausa, cioè un segno d’amplificazione / unificazione di contro al<br />

frammento, quasi giocando con le due alternative della scrittura nella parte<br />

centrale (si confronti il canto con i primi violini), probabilmente in nome di un<br />

principio di varietà e d’intensificazione, cui pure si adeguano nelle bb. 111-113<br />

la maggiore consistenza dei ritmi lombardi, l’utilizzo dell’accordo di settima<br />

diminuita e la subitanea deviazione armonica per rendere le oscillazioni del<br />

conflitto interiore nel verso «risolvo, mi pento».<br />

Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Fra tanti pensieri, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 21r,<br />

bb. 25-29<br />

– 14 di 21 –


Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Fra tanti pensieri, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 24r,<br />

bb. 108-113<br />

Il regno, il consorte avrebbe facilmente obbedito a queste convenzioni, specie<br />

se osserviamo come il declamato del recitativo Che mi giovò sull’are si organizza<br />

nelle bb. 19-21, ed invece imbocca una strada diversa. Ma procediamo con<br />

ordine. Nel rapporto voce/accompagnamento che contraddistingue il recitativo<br />

Che mi giovò sull’are, dove il canto è preferibilmente interpunto dalle scale degli<br />

archi, si coglie una progressione del pathos e si lascia spazio al gesto scenico della<br />

cantante:<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Che mi giovò sull’are, GB-Lbl, Add. 30838,<br />

c. 128v, bb. 19-21<br />

Una simile mescolanza di dramma e di musica raggiunge l’effetto ma è tipica<br />

della forma dell’accompagnato e talvolta pertiene persino all’aria, come<br />

testimoniano in Hasse – con il dato aggiuntivo dell’esecuzione all’unisono – il<br />

recitativo Tu, barbaro, tu piangi! E chi l’uccise? in III.4 del Siroe, re di Persia<br />

(Bologna, 1733), e l’ultima aria del primo atto del Gerone, tiranno di Siracusa<br />

(Napoli, 1727), Sì... verrò... ma come... oh Dio!, che illustra lo stato estremo di<br />

Clotilde/Giustina Turcotti dinanzi alla sconfitta dello sposo mediante l’ingresso<br />

vocale declamatorio, allusivo al parlato attraverso i lembi ridotti del canto, le<br />

pause, gli interventi strumentali, ma dopo il ritornello, che parrebbe acquistare<br />

quasi la valenza di un piccolo preludio.<br />

– 501 –<br />

HASSE E VIVALDI<br />

– 15 di 21 –


– 502 –<br />

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Tu, barbaro, A-Wn, Hs 17256, bb. 8-11<br />

Johann Adolf Hasse, Gerone, tiranno di Siracusa (1727), Sì... verrò... ma come... oh Dio!,<br />

A-Wn, Hs 17280, bb. 11-13<br />

Il passaggio in Alessandro all’aria Il regno, il consorte convoglia l’agitazione di<br />

Cleofide nel moto all’unisono delle crome disposte a due a due, in cui si<br />

percepiscono l’effetto della sincope, che vela una scala ascendente, e<br />

l’assimilazione di movenze strumentali, a guardare per esempio i violini nel<br />

ritornello e nell’accompagnamento dell’aria della Griselda, Scocca dardi l’altero<br />

tuo ciglio (Ottone, II.7, Allegro molto, C, Do maggiore), col supplemento della<br />

direzione contraria del basso. 22<br />

22 Il modello più comune prevede invece che l’accompagnamento diminuisca il canto coi<br />

sedicesimi, come ad esempio in Agitata è l’alma mia della Didone abbandonata di Sarri riadattata<br />

dall’autore per Venezia nel 1730 (cfr. REINHARD STROHM, Italienische Opernarien des frühen Settecento,<br />

cit., vol. II, es. mus. 89). Quasi un trentennio appresso, la splendida messa di voce di Parto; ma tu, ben<br />

mio nell’ultima versione della Clemenza di Tito di Hasse (Napoli, 1759), su un Re costante di cinque<br />

battute, lascia attendere per un istante la discesa unisona dell’orchestra e poi il moto dei sedicesimi<br />

dei violini, legati appunto a due a due e con l’appoggiatura.<br />

– 16 di 21 –


Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Scocca dardi l’altero tuo ciglio, bb. 20-25, da Eric Cross, The<br />

Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 237-238<br />

Il culmine in Hasse viene raggiunto sulla piccola accelerazione conclusiva<br />

eccedente la giusta proporzione verso la decima superiore, declamando quasi<br />

d’un fiato con slancio carico di tensione, prima di distendersi sulla ripresa del<br />

concetto determinante «la pace perdei».<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add. 30838, c. 130r,<br />

bb. 13-17<br />

La versione più regolare del disegno segna l’inizio della parte B, la quale<br />

presenta o rielabora di frequente motivi di A in funzione dell’unità dell’affetto,<br />

qui sotto il segno della parola «affanno»; si rileva anche il canonico movimento<br />

di riposo dell’ottava discendente, che la prima sezione di canto ritarda a b. 17, a<br />

sigillo di una variante assai scarna del disegno ascendente, ora accompagnata<br />

da autonome figurazioni degli archi.<br />

– 503 –<br />

HASSE E VIVALDI<br />

– 17 di 21 –


– 504 –<br />

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add. 30838,<br />

cc. 132v-133r, bb. 55-57<br />

L’unisono, la direzione, il levare, il ripiegamento conclusivo sono sfruttati<br />

anche da un’altra aria della Griselda, «Che legge tiranna, / che sorte spietata»<br />

(Roberto, II.8, 2/4, Mi minore), affine per il testo e per l’invenzione musicale a<br />

«Che legge spietata, / che sorte crudele» (Arbace, I.3, ¢, Mi maggiore) del Catone<br />

in Utica (1728) di Metastasio-Vinci, 23 nella quale tuttavia il medesimo profilo<br />

melodico porta in primo piano la scelta ritmica della sincope, con l’obbligo<br />

d’incrinare – nel senso di una maggiore instabilità – la quadratura dell’indugio<br />

sul Si.<br />

Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Che legge tiranna, bb. 20-25, da Eric Cross, The Late Operas<br />

of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, p. 230<br />

23 La parodia è stata identificata e discussa per primo in REINHARD STROHM, L’opera italiana nel<br />

Settecento, cit., p. 233; cfr. anche KLAUS HORTSCHANSKY, Arientexte Metastasios in Vivaldis Opern,<br />

«Informazioni e Studi Vivaldiani», 4, 1983, pp. 61-74: 69-70.<br />

– 18 di 21 –


Leonardo Vinci, Catone in Utica (1728), Che legge spietata, bb. 1-4, da Reinhard Strohm,<br />

Italienische Opernarien, cit., vol. II, p. 8<br />

In Il regno, il consorte il particolare della scala ascendente è poi esposto alla<br />

fine della prima sezione A, nella veste più lenta e metricamente lineare, entro i<br />

bordi dell’ottava, stavolta lasciando la messa in rilievo al concitato delle<br />

semicrome ribattute incessantemente e alla differenziazione dinamica.<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add.<br />

30838, c. 130v, bb. 22-24<br />

Lo stesso accompagnamento di semicrome acquista in corrispondenza<br />

dell’accenno all’ombra diletta dello sposo nella parte centrale – assieme al<br />

registro grave della voce – il valore di un gesto imitativo espressivo, utilissimo<br />

poi a mantenere la tensione sull’avvenimento delle note lunghe che evocano<br />

l’azione di «m’aspetta», tanto più che la durata della minima era servita sinora<br />

solo per sottolineare il sospiro «ah», la seconda volta col rinforzo del volgere<br />

improvviso alla sottodominante maggiore Mi bemolle. 24<br />

24 Un tentativo di classificazione del gesto teatrale si trova in DENE BARNETT, The Art of Gesture:<br />

The Practices and Principles of 18th Century Acting, Heidelberg, Carl Winter, 1987, ed è stato sviluppato<br />

in relazione alla musica da REINHARD STROHM, Dramma per musica, cit., pp. 220-236: 222-223; cfr.<br />

anche MELANIA BUCCIARELLI, Italian Opera and European Theatre (1680-1720): Plots, Performers,<br />

Dramaturgies, Amsterdam-Cremona, Brepols, 2000, pp. 11-21.<br />

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HASSE E VIVALDI<br />

– 19 di 21 –


– 506 –<br />

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add.<br />

30838, c. 133r, bb. 58-62<br />

Il disegno iniziale avvince ancora all’inizio della seconda sezione A 1 , cui<br />

immette una sorta di cadenza vocale isolata dalle pause, consistente di materiale<br />

già ascoltato, una specie di segnale per accrescere l’attenzione in vista di una<br />

sorpresa se possibile ulteriormente accentuata, poiché l’anabasi all’unisono<br />

s’arresta uno scalino prima di compiere il percorso più naturale, sulla settima<br />

minore La bemolle, subito armonizzata dall’accordo di settima diminuita, con<br />

interruzione della continuità del procedere strumentale e scivolando<br />

nell’ambito della parallela minore della sottodominante (Do minore), proprio in<br />

corrispondenza dell’unica ripetizione del testo, che mette in risalto la parola<br />

«pace».<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add. 30838, c. 131r,<br />

bb. 29-32<br />

La versione della scala che copre la distanza della decima si ripete poco<br />

appresso e nella coda, condensata tuttavia dal levare di quarta, lenta e priva<br />

dell’effetto della sincope come alla fine della prima sezione A, pronta a<br />

richiudersi su sé stessa scorrendo per grado congiunto dal Mi bemolle 4 al Si<br />

bemolle di partenza. Sembrerebbe impossibile non rilevarvi anche un ideale<br />

– 20 di 21 –


complemento, almeno dal punto di vista melodico, dello slancio ascendente<br />

dell’esordio: e dunque l’impianto formale dell’aria appare più che altrove<br />

perfettamente equilibrato e unitario, pure nel disporre il ricorso all’espediente<br />

abbastanza comune della cornice, senza rinunziare alla varietà, alla<br />

discontinuità, alla deviazione ritmica, strumenti necessari per definire<br />

accuratamente l’alternanza di culmini e di attese.<br />

Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Il regno, il consorte, GB-Lbl, Add. 30838, c. 132r,<br />

bb. 42-48<br />

Riprendiamo infine il punto in cui l’inizio della seconda sezione di canto<br />

devia alla parallela minore della sottodominante, certo con finalità<br />

suggestiva. L’effetto nella medesima posizione è prediletto da Giacomelli, che<br />

non manca di profittare del carattere canonico (e quindi citabile)<br />

dell’invenzione melodica nel minore, contrassegnata dal cliché dell’intervallo<br />

di settima diminuita discendente. Senza dover ammettere contatti diretti o la<br />

volontà di emulazione competitiva, conviene richiamare ancora una volta il<br />

ruolo neutro della tradizione, «che è insieme condizionamento e aiuto al<br />

dire», e lo spazio dell’intertestualità, della figuralità, che concerne non solo<br />

Vivaldi ma ancora tutta la maniera compositiva settecentesca «nello spessore<br />

storico in cui essa si radica». 25<br />

25<br />

GIAN BIAGIO CONTE, Memoria dei poeti, cit., pp. 328 e 332. Il valore teorico degli interventi di<br />

Pasquali e di Conte citati nel presente saggio è ampiamente riconosciuto da MONICA CRISTINA<br />

STORINI, Teorie e metodi dell’intertestualità, in Letteratura italiana e utopia, vol. II, «FM. Annali del<br />

Dipartimento di Italianistica», Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 107-126: 112-115.<br />

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HASSE E VIVALDI<br />

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