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MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO<br />
Anno XV, n. 12<br />
<strong>dicembre</strong> 2011 - € 1,50<br />
fraternitàemissione<br />
www.sancarlo.org<br />
Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post.<br />
D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)<br />
art. 1, comma 2, DCB Milano<br />
ha deciso di dedicarsi a scrivere un romanzo. E chissà<br />
quanti ne verranno in futuro.<br />
È un romanzo che parla della sua infanzia. Gli anni<br />
dell’infanzia sono uno scrigno di esperienze e di memorie<br />
a cui riattingiamo, il più delle volte senza accorgercene,<br />
lungo tutta l’esistenza. Sono frasi sentite dal papà,<br />
dalla mamma, dai fratelli, sono soprattutto luoghi, amicizie,<br />
incontri... a cui riandiamo nel pensiero e nel sogno<br />
e infine anche nella nostalgia. Una nostalgia che induce<br />
a scrivere, a rivivere, a rivedere colori, risentire suoni,<br />
riassaporare sapori e odori.<br />
Con una scrittura commossa e controllata assieme,<br />
Marina Corradi ci permette di entrare nei<br />
suoi segreti, la sua attesa del padre lontano,<br />
il fremito per le feste estive, il mistero<br />
del dolore e della morte. Con lei osserviamo<br />
l’acqua generosa e inesauribile di<br />
una fontana, e intuiamo l’eternità.<br />
Una mattina sua madre la sveglia presto:<br />
«Vieni qui, guarda». L’alba arriva sulla<br />
montagna di fronte. «In un silenzio sacrale<br />
lentamente la luce del sole si allarga sulle<br />
Tofane. Noi due immobili, alla finestra, a guardare. Io<br />
non so cosa esattamente sia stato. Per un istante, istante<br />
però lungo e come profondo, mi sembra di vedere oltre<br />
la bellezza di ciò che ho davanti; è assurdo, è irreale, ma<br />
mi pare di vedere il mondo com’era al principio».<br />
Per chi ha passato i primi anni della vita in campagna,<br />
l’odore dell’erba tagliata, del legno nei boschi, della<br />
terra dopo la pioggia, non si dimentica più. Ogni qualvolta<br />
li si incontra di nuovo si capisce di attendere qualcuno<br />
che torna e che avevamo perduto.<br />
12<br />
LA FRATERNITÀ SAN CARLO NEL MONDO: ALVERCA PORTOGALLO ASUNCIÓN PARAGUAY BOLOGNA ITALIA BOSTON USA BUDAPEST UNGHERIA CHIETI ITALIA CITTÀ DEL MESSICO MESSICO COLONIA GERMANIA<br />
CONCEPCIÓN CILE DENVER USA FROSINONE ITALIA FUENLABRADA SPAGNA GERUSALEMME ISRAELE GROSSETO ITALIA GROTTAMMARE ITALIA MILANO ITALIA NAIROBI KENYA NOVOSIBIRSK SIBERIA PESARO ITALIA<br />
PRAGA REPUBBLICA CECA ROMA ITALIA SAN PAOLO BRASILE SAN QUIRICO ITALIA SANTIAGO DEL CILE CILE ‘S-HERTOGENBOSCH OLANDA TAIPEI TAIWAN TRIESTE ITALIA VIENNA AUSTRIA VIGEVANO ITALIA WASHINGTON USA<br />
Leggere e rivivere<br />
di Massimo Camisasca<br />
Viene pubblicato un numero enorme, spropositato, di<br />
romanzi in lingua italiana. Quanti resisteranno<br />
all’onda del tempo che fa giustizia di ciò che non ha<br />
spessore? Molto pochi. I più sono una pura descrizione<br />
della vita quotidiana, segnata da un minimalismo che<br />
lascia vuoti. Il successo, come si spiega? Con il desiderio<br />
di leggere delle pagine in cui ci sentiamo descritti,<br />
approvati, coccolati. Ma tutto ciò non ci aiuta a vivere.<br />
Per fortuna non mancano esempi di grande spessore.<br />
Spesso sono donne, come Susanna Tamaro, Antonia<br />
Arslan. Come Marina Corradi. Di Marina ho letto un libro<br />
uscito di recente: Da bambina, pubblicato da Mariet-<br />
ti. Vorrei che tutti i nostri lettori l’avessero<br />
tra le mani e potessero immergersi nell’esperienza<br />
di quella bambina che siamo<br />
stati tutti noi, pochi o tanti anni fa, non importa.<br />
L’editore lo presenta come un romanzo.<br />
Può essere considerato anche un diario,<br />
una autobiografia, persino una testimonianza<br />
sulla realtà di Cortina e delle sue<br />
montagne negli anni Sessanta. (Mi<br />
ricorda Buzzati.) È un po’ tutte queste cose e molto di<br />
più. È un atto di memoria, come lo è sempre la grande<br />
letteratura.<br />
Da bambina non mi ha fatto scoprire Marina. Già la<br />
conoscevo. E l’ammiravo, per la sua scrittura, che non<br />
sempre può emergere in tutta la sua luminosità negli<br />
articoli quotidiani. Marina non è solo una grande giornalista,<br />
un inviato, degno del suo grande padre Egisto<br />
(lui fu per me una finestra sul mondo nella mia infanzia<br />
e adolescenza). È una scrittrice vera, che ora finalmente<br />
Ogni volta che li si<br />
incontra di nuovo<br />
si capisce di<br />
attendere qualcuno<br />
che torna e che<br />
avevamo perduto<br />
ALL’INTERNO<br />
I nostri preti<br />
raccontano libri, film,<br />
musiche che hanno<br />
segnato la loro vita<br />
Marina Corradi<br />
Da bambina<br />
Marietti 2011 - pp. 124<br />
PASSIONE PER LA GLORIA DI CRISTO
Sono un uomo: duro poco Senza capire comprendo:<br />
e la notte è enorme.<br />
anche io sono scrittura<br />
Però guardo in alto:<br />
e in questo stesso istante<br />
le stelle scrivono. qualcuno scrive me.<br />
Octavio Paz, <strong>Fraternità</strong> (omaggio a Claudio Tolomeo)<br />
2 fraternitàemissione<br />
DICEMBRE<br />
LE NOSTRE LETTURE<br />
Le pagine che svelano la vita<br />
Non sapete che cosa leggere a Natale? Abbiamo chiesto ai missionari di raccontare un libro, un film,<br />
un’opera che ha segnato la loro vita. Ecco i loro consigli<br />
COME FRODO SUL MONTE FATO<br />
J.R.R. Tolkien - Il signore degli anelli<br />
È il giorno della mia ordinazione diaconale. Poco prima<br />
di uscire dal seminario di via Boccea per andare a <strong>San</strong>ta<br />
Maria Maggiore, suona il cellulare. Sul display compare<br />
un numero stranissimo. Rispondo e una voce familiare,<br />
amica, mi dice, senza preamboli né saluti: «Frodo Baggins,<br />
sei arrivato a Monte Fato». Era il mio amico Paolo<br />
Prosperi, che mi chiamava dalla Russia. Paolo e io avevamo<br />
condiviso in innumerevoli occasioni in seminario<br />
la nostra passione per Il signore degli anelli, il capolavoro<br />
di J.R.R. Tolkien. Non poteva scegliere frase più<br />
adeguata. Le avventure di Frodo e dei suoi amici mi avevano<br />
accompagnato per tutta la vita.<br />
Ho letto per la prima volta Il signore degli anelli<br />
quando avevo undici anni e da allora non ho mai smesso<br />
di rileggerlo. La prima impressione, da bambino, è stata<br />
quella di una gran bella storia. Niente di più, ma anche<br />
niente di meno. A me piacciono le belle storie. Quando<br />
l’ho riletto, circa un anno dopo, ho cominciato a scoprire<br />
perché mi piaceva tanto. Frodo era un uomo qualunque,<br />
senza grandi qualità apparenti, e salvava il mondo, lottando<br />
per il bene. Accettava un destino che gli era posto<br />
dinnanzi, il compito di distruggere l’Anello. Volevo<br />
anch’io che il destino bussasse alla mia porta. Volevo<br />
anch’io vivere la vita come un compito, una missione.<br />
Per questo ho continuato a rileggere questo libro.<br />
Diventando adulto, ho capito che le belle storie sono<br />
difficili da trovare. Sono quelle che diventano grandi<br />
classici: l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, la Divina commedia,<br />
solo per citarne alcune. Il signore degli anelli si pone al<br />
livello di quelle storie. Ogni volta che si rileggono si<br />
capisce qualcosa di più. Si scopre qualcosa di nuovo. E<br />
soprattutto si tira un sospiro perché non si può più pensare<br />
che non valga la pena vivere, che la vita sia priva di<br />
senso. Ecco il potere delle grandi storie: ridestare in noi<br />
lo stupore e la gratitudine perché la vita c’è e vale la<br />
pena viverla, perché ognuno di noi ha un destino buono.<br />
E poco importa che sia limitato, debole o perfino che<br />
cada nel tradimento, come Frodo sul Monte Fato.<br />
Federico Ponzoni<br />
LE SPIE HANNO UN CUORE<br />
Florian H. von Donnersmarck - Le vite degli altri<br />
Il film più bello degli ultimi vent’anni è senza dubbio Le<br />
vite degli altri, sorprendente opera prima girata nel 2006<br />
dal giovane regista tedesco Florian Henckel von Donnersmarck.<br />
Chi non l’ha ancora visto, corra a noleggiarselo.<br />
La storia è ambientata nella Berlino est dei primi anni Ot-<br />
fraternitàemissione MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO<br />
Aut. del Trib. di Cassino n. 51827 del 2-6-1997 - Mensile della <strong>Fraternità</strong> Sacerdotale dei Missionari di <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong> Borromeo DIRETTORE: Gianluca<br />
Attanasio REDAZIONE: Fabrizio Cavaliere, Jonah Lynch, Francesco Montini, Marco Sampognaro HANNO COLLABORATO: Massimo<br />
Camisasca, Silvia Guidi, Rachele Paiusco, Luca Speziale PROGETTO GRAFICO: G&C IMPAGINAZIONE: Fabrizio Cavaliere FOTOLITO E<br />
STAMPA: Arti Grafiche Fiorin, <strong>San</strong> Giuliano Milanese (Mi) REDAZIONE E ABBONAMENTI: Via Boccea 761 - 00166 Roma Tel. + 39 0661571400 -<br />
fm@sancarlo.org ABBONAMENTI base € 15 - sostenitore € 50 - C/C 72854979 IBAN: IT04T0351203206000000098780 OFFERTE c/c postale 43262005<br />
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Ma che poss’io Signor s’a me non vieni coll’usata ineffabil cortesia?<br />
Michelangelo Buonarroti<br />
DICEMBRE fraternitàemissione<br />
tanta, in piena guerra fredda, sotto un regime comunista<br />
tanto soffocante quanto squallido. Le vicende ruotano attorno<br />
a tre personaggi: una coppia di artisti – Georg<br />
Dreyman, un drammaturgo teatrale e Christa-Maria Sieland,<br />
attrice e sua compagna nella vita – alle dipendenze<br />
del regime ma allo stesso tempo desiderosi di<br />
combatterlo e, infine, uno scrupoloso agente della Stasi,<br />
il capitano Gerd Wiesler. Quest’ultimo intuisce subito le<br />
intenzioni sovversive della coppia e comincia a spiarne<br />
le vite. Man mano però, Wiesler si lascia coinvolgere da<br />
ciò che vede e ascolta, a tal punto da intraprendere un<br />
radicale processo di conversione personale.<br />
Due scene di questo film continuano ad accompagnarmi.<br />
La prima mi è stata svelata da un amico, Giovanni<br />
Micco: il cambiamento del capitano inizia quando<br />
assiste, probabilmente per la prima volta nella sua vita,<br />
a un momento di perdono. Inserito in un sistema in cui<br />
ogni debolezza dell’altro è occasione di ricatto e di vendetta,<br />
quando vede Dreyman comprendere il tradimento<br />
dell’amata ne rimane sconcertato.<br />
La seconda è la più bella e commovente del film: il<br />
capitano Wiesler, sapendo che Christa-Maria sta per<br />
tradire ancora Dreyman con il potente ministro della<br />
cultura, raggiunge la donna in uno scialbo caffè della<br />
città. Christa-Maria non sa che chi le parla è anche colui<br />
che la spia. Ma ora il capitano la conosce davvero: non<br />
più solo nelle sue azioni e nei suoi limiti; ora ne conosce<br />
il cuore, la sua intima verità. E gliela ricorda: nel<br />
momento di peggiore sconforto, è proprio il capitano<br />
della Stasi che rammenta a Christa-Maria la sua bellezza,<br />
la sua bravura, la sua bontà. E che c’è un pubblico<br />
che la segue e che la ama.<br />
Com’è bello, a partire della propria miseria, ricordare<br />
alle persone la loro grandezza e l’Amore che già le<br />
sostiene. Questo, in fondo, è il mestiere del prete.<br />
Matteo Collini<br />
CHI È QUELL’UOMO?<br />
Aleksandr Men’ - Gesù maestro di Nazareth<br />
Il 16 ottobre scorso sono stato nel luogo in cui fu assassinato<br />
il prete ortodosso Aleksandr Men’. Da Mosca, in<br />
automobile, ci vuole un’ora abbondante, viaggiando<br />
verso nord est. Padre Men’ abitava in un villaggio vicino<br />
al monastero di Sergieev Posad, culla dell’ortodossia<br />
russa. A ricordare l’atto di violenza c’è un paletto di<br />
legno, lavorato sobriamente. È conficcato nella terra, ora<br />
ricoperta delle larghe foglie di quercia che sono cadute<br />
con il primo gelo. Protetta da un tettuccio, sul palo è fissata<br />
una lampada. Sopra la lampada è appesa una tavoletta,<br />
anch’essa di legno, con una scritta in caratteri cirillici:<br />
«Qui ha ricevuto la corona del martirio padre Aleksandr<br />
Men’». A terra una pianta di ciclamini e un vaso di<br />
plastica con qualche crisantemo lillà. A pochi passi da lì<br />
è sorta una chiesetta bianca, con le campane, i tetti e le<br />
porte di color nero. Sembra un annuncio bordato a lutto,<br />
con una strana gioia dentro.<br />
Una mattina di settembre del 1990 padre Men’ aveva<br />
lasciato come al solito la sua casa e stava dirigendosi<br />
alla vicina stazione del treno, un semplice passaggio a<br />
livello in mezzo alla campagna. Il sentiero che vi porta<br />
attraversa in quel punto un tratto di bosco. Qui Men’ ha<br />
trovato la morte. Diversi colpi d’ascia, sferrati da una<br />
mano ignota, hanno spento la vita di un grande uomo, un<br />
sacerdote colto, che fu per il popolo russo un ascoltato<br />
testimone di Cristo. Da quando ho letto il suo libro su<br />
Gesù, ormai diversi anni fa, ho consigliato a molti di leggerlo<br />
e continuo a farlo. Si dice che abbia portato alla<br />
fede migliaia di giovani provenienti dall’ateismo, e non<br />
ha mai smesso di esercitare il suo richiamo. Con grande<br />
delicatezza e sapienza pedagogica, padre Men’ guarda<br />
innanzitutto a Cristo come uomo. Narra la sua storia con<br />
semplice profondità, con precisione documentata.<br />
Quasi inavvertitamente le sue parole comunicano uno<br />
sguardo aperto, che non presuppone la fede, ma si<br />
lascia interrogare da ciò che vede. La perfezione dell’umanità<br />
di Cristo, uno spettacolo che si annuncia<br />
discretamente e ad un certo punto si impone con stupefacente<br />
evidenza, apre il lettore all’interrogativo sulla<br />
sua divinità. Non stupisce che don Giussani abbia avvertito<br />
una particolare familiarità con questo grande spirito<br />
ortodosso.<br />
In Italia il libro di padre Men’ è stato pubblicato da<br />
Città Nuova e porta il titolo: Gesù, maestro di Nazareth.<br />
Ma in russo il suo autore lo aveva significativamente intitolato:<br />
Il figlio dell’uomo.<br />
Paolo Sottopietra<br />
I GIORNI CHE MANCANO<br />
Mario Benedetti - La tregua<br />
Da sempre mi appassiona la riflessione sul tempo che<br />
passa. Mi parve accattivante, nel racconto di un amico,<br />
il soggetto di La Tregua dell’uruguaiano Mario Benedetti:<br />
diario di Martín, vedovo di mezza età, che da anni<br />
conta i giorni che lo separano dalla pensione, il fatidico<br />
momento in cui finalmente il tempo starà ai suoi ordini.<br />
Divorai il romanzo e da allora, un anno fa, non ha smesso<br />
di accompagnarmi.<br />
Nemmeno i figli riescono a risvegliare Martín dal<br />
letargo a cui si è ormai rassegnato. Indimenticabile è<br />
l’affondo di Bianca, la figlia, che in un momento di verità,<br />
tra le lacrime, rende esplicito al padre tutto il suo vuoto:<br />
«Non so cosa mi manca... mi sento con una grande di -<br />
sponibilità di energia, e non so in cosa investirla. Credo<br />
che tu ti sei rassegnato ad essere opaco e questo mi<br />
sembra orribile, perché so che non sei opaco. Per lo<br />
meno, non lo eri». Che sfida! Anch’io sento in ogni<br />
sguardo che incrocio il rinnovarsi del richiamo: voglio<br />
rinascere, e tu, vuoi rinascere con me? Se tu ti rassegni<br />
all’opacità, come uscirò io dalla mia?<br />
Sebbene l’imprevisto sia il “peggior nemico” di Martín,<br />
un volto irrompe e, nonostante la resistenza del protagonista,<br />
fa breccia nella opaca routine in cui è<br />
immerso. È una promessa di felicità o è solo una tregua<br />
in un destino «non crudele bensì oscuro»?<br />
Qua e là nelle pagine del diario, si affaccia Dio. A Martín<br />
non è mai bastato un dio ridotto alla “grande armonia<br />
del tutto”. Sentiva «la necessità di un Dio con cui dialogare,<br />
in cui poter trovare riparo, un Dio che mi ri<br />
sponda quando lo interrogo, quando lo mitraglio con i<br />
miei dubbi». Tuttavia, non ostile ma indifferente, Dio<br />
cammina su un altro marciapiede al quale Martín ormai<br />
dispera di avere accesso: «Così stiamo, senza odiarci,<br />
senza amarci». Forse, si legge tra le righe, se così non<br />
fosse la vita cesserebbe di essere tanto opaca e non<br />
avremmo più bisogno di ingannevoli tregue.<br />
Marco Aleo<br />
IL BUFFONE CHE SI RISCOPRE UOMO<br />
Giuseppe Verdi - Rigoletto<br />
Il Rigoletto di Giuseppe Verdi è stata una delle prime<br />
opere che ho ascoltato e che mi ha fatto appassionare<br />
alla musica lirica. È la storia, tratta da un dramma di Victor<br />
Hugo, di un buffone di corte che si trova a servire un<br />
duca libertino e dei cortigiani senza scrupoli. Rigoletto<br />
è gobbo, de forme, solo. L’unico barlume di luce nella sua<br />
vita è sua figlia Gilda: «Culto, famiglia, la patria, il mio >><br />
CONTRIBUTI DI:<br />
3<br />
Marco Aleo, 39 anni,<br />
missionario a <strong>San</strong>tiago del Cile.<br />
Emanuele Angiola, diacono,<br />
tenore, in missione a Taipei.<br />
Romano Christen, 51 anni,<br />
parroco a Colonia.<br />
Matteo Collini, seminarista,<br />
cinefilo, a Colonia da settembre.<br />
Michael Konrad, prefetto agli<br />
studi e responsabile della<br />
biblioteca del seminario.<br />
Nell’altra pagina: una casa di<br />
Amsterdam (foto Andrè van B.).<br />
In prima pagina, foto The<br />
University of Iowa Libraries.
Solo l’amare, solo il conoscere / conta, non l’aver amato / non l’aver conosciuto.<br />
Pier Paolo Pasolini<br />
4 fraternitàemissione<br />
DICEMBRE<br />
>><br />
universo è in te», le dice nel primo atto. Rigoletto è un<br />
padre che vorrebbe saper amare, ma non sa fare altro<br />
che cercare di proteggerla ossessivamente dai pericoli<br />
del mondo. Della sua condizione infelice accusa tutti: «O<br />
uomini, o natura! Vil, scellerato mi faceste voi! […] Se iniquo<br />
son, per cagion vostra è solo!». Vorrebbe essere un<br />
uomo vero, ma non può: «O rabbia, esser difforme! O<br />
rabbia, esser buffone! Non dover, non poter altro che<br />
ridere! Il retaggio d’ogn’uom m’è tolto: il pianto!».<br />
Non solo dover ridere, sbeffeggiare i cortigiani: Rigoletto<br />
vorrebbe sapere anche piangere, vorrebbe che il<br />
suo cuore indurito dal male del mondo potesse finalmente<br />
sciogliersi.<br />
È quello che accade nel secondo atto. I cortigiani rapiscono<br />
Gilda (rendendolo involontariamente complice<br />
dell’azione) e la conducono nella camera del duca<br />
libertino. Rigoletto arriva a palazzo, ma nonostante il<br />
dramma che vive nel cuore, si mette a recitare la parte<br />
del buffone: canticchia, parla del più e del meno. Ma<br />
quando si rende conto che Gilda è stata condotta dal<br />
duca, prorompe in un grido furibondo: «Cortigiani, vil<br />
razza dannata, per qual prezzo vendeste il mio bene?».<br />
Ma le urla rabbiose non bastano, e allora, mentre la<br />
musica si spegne, Rigoletto si inginocchia davanti ai<br />
cortigiani ed inizia a supplicarli: «Ebbene, piango!». Non<br />
solo: di fronte a coloro che gli hanno disonorato la figlia,<br />
egli arriva a chiedere perdono a tutti per le offese fatte,<br />
a chiedere pietà per un vecchio padre angosciato. Finalmente<br />
ha potuto abbandonare la maschera del buffone<br />
per ritrovare la sua identità di uomo.<br />
Emanuele Angiola<br />
AFFRESCO DELL’UMANO<br />
Andrej Arsen’evi Tarkovskij - Andrej Rublëv<br />
L’ho visto per la prima volta a 15 o 16 anni. Mi ha colpito<br />
subito, tutto. Le immagini, i personaggi, i dialoghi, i temi<br />
(tantissimi: l’arte, il talento, la gelosia, l’amicizia, l’odio,<br />
la violenza, l’amore, la fede, il paganesimo, il popolo, la<br />
grazia…) mi hanno quasi stordito per la loro imponenza.<br />
Molti dei contenuti li ho compresi solo col tempo e tramite<br />
mie personali esperienze. Ma sin dall’inizio Andrej<br />
Rublëv di Tarkovskij ha seminato nella mia fantasia –<br />
meglio: nella mia capacità di memoria, di pensiero, di<br />
sentimento, di sguardo… – la tensione drammatica fra la<br />
vocazione e la realtà, fra la grazia di cui uno si ritrova<br />
investito e la complessità di circostanze sociali e storiche<br />
dentro le quali è chiamato ad agire. È un immenso<br />
e ricchissimo affresco dove il cristianesimo non è culto<br />
religioso, ma dramma di rapporto dell’io con un Tu.<br />
Quel Tu il cui volto misterioso si svela al nostro cuore<br />
nelle icone.<br />
Romano Christen<br />
GLI OCCHI DI GERTRUD<br />
Gertrud von Le Fort - Il papa nel ghetto, La fontana<br />
di Roma, La corona degli angeli<br />
Ogni anno, durante le mie vacanze estive, prendo in<br />
mano alcuni racconti e romanzi della mia poetessa preferita.<br />
Si tratta di Gertrud von Le Fort, una protestante<br />
tedesca, appartenente ad una famiglia di antica nobiltà,<br />
che si convertì nel primo Novecento al cattolicesimo.<br />
L’ho “incontrata” nei primi anni di seminario. Il rettore,<br />
don Antonio Anastasio, mi chiese di presentare il libro<br />
del mese che era allora Il papa nel ghetto. La von Le Fort<br />
mi aprì gli occhi e mi fece vedere che gli eventi della<br />
storia della Chiesa, che spesso appaiono privi di senso<br />
e contraddittori, si possono comprendere solo come<br />
«Vergine e madre,<br />
ti do la mia scarpina!»<br />
di Paolo Pezzi<br />
Durante il periodo della<br />
missione in Siberia,<br />
un’amica mi propose la<br />
lettura de La scarpina di<br />
raso di Paul Claudel.<br />
Rimasi folgorato fin<br />
dalla prima pagina. E<br />
dopo allora, l’ho riletto<br />
molte volte. Forse più<br />
di questo testo ho letto<br />
Paolo Pezzi, arcivescovo della<br />
solo I Misteri di Charles<br />
Madre di Dio a Mosca, Russia.<br />
Péguy.<br />
In questo dramma, che a prima vista tratta il tema del<br />
dramma-tragedia dell’amore non corrisposto (va in<br />
scena il classico “triangolo” di un uomo e una donna<br />
innamorati in un rapporto impossibile per la presenza del<br />
marito di lei), si articola una vertiginosa riflessione sulla<br />
conoscenza affettiva, che sola riesce a dare compimento<br />
alla sete di felicità dell’uomo e della donna. Ciò che può<br />
riempire il cuore dell’uomo è un Tu infinito e misterioso<br />
che si ribella ad ogni riduzione. Eppure un Tu non<br />
astratto, ma concreto, incarnato, così da poter attrarre<br />
a Sé l’umano, e, nello stesso tempo, irriducibile. Don<br />
Rodrigo, un cavaliere di Sua Maestà l’Imperatore di Spa-<br />
gna, arriva ad avere tutto ciò che un uomo<br />
desiderare nella vita: fama, potere, ricche<br />
mento. Ma è lacerato da un amore impos<br />
Donna Prodezza, una dama, figlia di un nob<br />
tiero dell’Imperatore, che finisce sposa di un<br />
non ama. E non vuole rinunciarvi per non ve<br />
alla sua decisione di un amore capace di cor<br />
non solo all’anima, non solo al corpo, ma a tut<br />
essere. All’inizio del dramma, Donna Prodezza<br />
Vergine Maria questa preghiera, da cui tra<br />
l’opera.<br />
Vergine, patrona e madre di questa casa,<br />
Garante e protettrice di quell’uomo dal cuore m<br />
netrabile per te che per me, e compagna della<br />
solitudine,<br />
Allora se non è per me, sia per riguardo a lui,<br />
Dal momento che il vincolo fra lui e me non è s<br />
mia, ma tua volontà interveniente:<br />
Impediscimi d’essere una causa di corruzione<br />
dimora di cui custodisci l’ingresso, augusta po<br />
Di mancare al nome che mi hai dato da portar<br />
essere più onorabile agli occhi di quelli che mi<br />
Non posso dire che capisco l’uomo che hai sce<br />
ma capisco che tu sei madre sua come mia.<br />
Allora, mentre è ancora tempo, tenendo il cu<br />
mano e la scarpina nell’altra,<br />
Mi rimetto a te! Vergine madre, ti do la mia scarpi<br />
madre custodisci nella tua mano il mio sciagurat
potrebbe<br />
zza, godisibile<br />
per<br />
le condotuomo<br />
che<br />
nire meno<br />
rispondere<br />
to il nostro<br />
rivolge alla<br />
e il titolo<br />
eno impesua<br />
lunga<br />
tato opera<br />
per questa<br />
tinaia!<br />
e, e di non<br />
amano.<br />
lto per me,<br />
ore in una<br />
na! Vergine<br />
o piedino!<br />
DICEMBRE fraternitàemissione<br />
Istallazione artistica nell’ambito<br />
della Fiera del libro di Francoforte<br />
2011 (foto: Alexander Smolianitski).<br />
Ti avviso che fra poco non ti vedrò più e sto per fare tutto<br />
contro di te!<br />
Ma quando tenterò di slanciarmi verso il male, sia con un<br />
piede zoppo!<br />
E quando vorrò oltrepassare la barriera che hai eretto, sia<br />
con un’ala tarpata!<br />
Ho terminato ciò che potevo fare, e tu custodisci la mia<br />
povera scarpina,<br />
Serbala sul tuo cuore, o grande Mamma terribile!<br />
Nel momento più acuto del dramma Donna Prodezza<br />
arriva a dire a Don Rodrigo, che con uno stratagemma<br />
potrebbe liberarla dal marito, che «è meglio soffrire piuttosto<br />
che acconsentire alla più piccola diminuzione di<br />
essere». E Don Rodrigo resta ancora una volta folgorato<br />
dalla luce del Tu misterioso e infinito, che gli viene incontro<br />
attraverso il “sacrificio” di Donna Prodezza: nella<br />
scena dell’addio definitivo (i due non si incontreranno<br />
mai più), Don Rodrigo non si “accontenta” di quel «po’ di<br />
massa di carne odorosa» (come il servo di Don Rodrigo<br />
aveva definito Donna Prodezza, ricordando al suo<br />
signore di essere davvero pazzo a correrle dietro e a<br />
rischiare la vita per lei), allarga le braccia e si dispone a<br />
mo’ di crocifisso, abbracciando finalmente l’amata in un<br />
gesto che esalta l’essere senza rimanere superficiale o<br />
astratto.<br />
È nel sacrificio che si compie, infatti, la conoscenza<br />
amorosa, affettiva del Tu. È nel sacrificio veramente<br />
umano che si afferma l’altro fino all’annientamento di sé.<br />
I libri seri non istruiscono, interrogano.<br />
Nicolás Gómez Dávila<br />
partecipazione nostra alla vita di Cristo. Solo Gesù ri -<br />
sponde al problema del male, ma Egli vuole associare<br />
anche noi alla sua risposta. La von Le Fort riprende tale<br />
intuizione con delicatezza anche in La fontana di Roma,<br />
in una osservazione della domestica Jeanette alla zia<br />
Edel: «Quando ci viene affidata un’anima per la quale<br />
crediamo di dover molto pregare, sempre subito e<br />
come prima cosa, dobbiamo donare ancora più inte -<br />
ramente la nostra al Signore». Che tale logica non valga<br />
solo a livello personale, ma si rispecchi sulla modalità di<br />
affrontare i problemi politici, si vede inoltre in un<br />
romanzo degli anni Trenta: La corona degli angeli. In<br />
esso offre la sua risposta più intima al dramma del sorgere<br />
del nazismo che deturpa la sua amata patria.<br />
La lettura delle opere della von Le Fort mi provoca<br />
sempre di nuovo a guardare il mondo con occhi cristiani.<br />
Michael Konrad<br />
«CATTIVO, SBRONZO MA IN GAMBA»<br />
Joseph Roth - La leggenda del santo bevitore<br />
Non ricordo se all’inizio mi attirò più il titolo paradossale<br />
(come fanno a stare assieme la santità con l’ubriachezza?),<br />
il fatto che era un libretto verde di appena 54<br />
pagine, o l’autoritratto dell’autore posto a pagina 7 dove<br />
si rappresenta circondato da due calici, un bel sifone di<br />
seltz e la scritta: «Ecco quel che sono veramente; cattivo,<br />
sbronzo, ma in gamba». Joseph Roth mi è sembrato fin<br />
da subito un tipo simpatico e sopra le righe. Questo<br />
breve racconto, l’ultimo scritto dall’autore, è la storia di<br />
Andreas, un clochard che “abita” sotto i ponti della<br />
Senna a Parigi, amante del Pernod e ormai abituato alla<br />
sua triste condizione. Ma Andreas è anche ciò che gli<br />
capita nella prima pagina del libro: un giorno di primavera<br />
del 1934 il barcollante barbone si vede sbarrare la<br />
strada da un misterioso e distinto signore che gli cambierà<br />
la giornata e la vita. La leggenda del santo bevitore<br />
è lo svolgersi dell’incontro provvidenziale<br />
mediante il quale Andreas riscoprirà se stesso e la<br />
bontà del destino a cui è chiamato attraverso tutte le<br />
incapacità, le distrazioni, i tradimenti, suoi e degli altri,<br />
ma anche grazie ai miracoli che gli accadono davanti,<br />
gli amici che incontra e le virtù che scopre di avere.<br />
Questo racconto descrive in forma poetica ed esemplare<br />
che cosa vuol dire rinascere, cosa significa<br />
iniziare, sempre. In questo sta la santità del “bevitore”:<br />
un’indomabilità, nata da un incontro “fortuito”, che<br />
anche un ubriacone, un uomo fragile come Andreas,<br />
può continuamente rinnovare. Più volte durante l’anno<br />
riprendo in mano il mio libretto verde ormai consumato<br />
e mi commuovo pensando che Dio si è fatto uomo, ci è<br />
venuto incontro proprio come il signore discreto che<br />
s’imbatte nel clochard. Poi stappo una bottiglia alla<br />
salute di Joseph Roth.<br />
Stefano Lavelli<br />
LA CAMPANA DEL FRATE<br />
Friedrich Schiller - Don <strong>Carlo</strong>s<br />
Nel periodo passato in Germania, uno dei volumi che si<br />
è aggiunto alla mia piccola libreria è il Don <strong>Carlo</strong>s di<br />
Schiller. Spesso lo riprendo in mano, in particolare per<br />
una piccola scena dove il protagonista, mosso da turbolente<br />
vicende politiche e sentimentali, quasi casualmente<br />
viene a scambiare alcune battute con un monaco.<br />
Don <strong>Carlo</strong> è subito spinto, per intuizione o per profonda<br />
simpatia, a confidare i suo problemi a questo frate, sperando<br />
in un consiglio per la sua tragica situazione. Il<br />
frate lo interrompe dicendo: «È poco, quello che serve >><br />
CONTRIBUTI DI:<br />
Stefano Lavelli, seminarista<br />
e critico gastronomico, Roma.<br />
Giovanni Micco, 40 anni,<br />
parroco a Vienna.<br />
Agostino Molteni, parroco<br />
a Concepción, in Cile.<br />
Paolo Sottopietra, segretario<br />
generale della <strong>Fraternità</strong>.<br />
Roberto Zocco, in missione<br />
a Città del Messico.<br />
5
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6 fraternitàemissione<br />
DICEMBRE<br />
>> per la salvezza – la campana del vespero suona. Devo<br />
andare a pregare». Con questa risposta non offre nessuna<br />
soluzione allo sventurato, ma lo porta con sé di<br />
fronte a Dio, unico punto di partenza per affrontare con<br />
profonda pace qualunque problema.<br />
Giovanni Micco<br />
UN DUELLO CON DIO<br />
Charles Péguy - Il mistero della carità di Giovanna<br />
d’Arco<br />
Un libro non cambia la vita, però aiuta a scoprire il cambiamento<br />
che miracolosamente si compie in essa.<br />
In questo senso, Il mistero della carità di Giovanna<br />
d’Arco è per me il libro più significativo. La piccola Jeannette<br />
esige di poter vedere nel presente la vittoria di<br />
Cristo sul male, sulla scristianizzazione e apostasia<br />
totali, il segno della Sua resurrezione. Non le bastano i<br />
discorsi dogmatici, né le preghiere abituali. Regnum<br />
coeli violentia patitur: il regno dei Cieli, la felicità, è solo<br />
di quelli che “esigono” da Dio un segno visibile della<br />
sua presenza. È, se cambia, se si mostra. Adesso tocca a<br />
Te, Cristo, farti vedere. Un duello, leale, in cui non si fa<br />
sconto a nessuno, né all’uomo, né a Dio.<br />
Agostino Molteni<br />
UN PITTORE STRAORDINARIO<br />
Paul Badde - La seconda sindone<br />
«Io vorrei vedere Dio...», canta Claudio Chieffo, e le sue<br />
parole ci invitano a guardare ai nostri fratelli come il<br />
segno inconfondibile della presenza di Cristo nella<br />
nostra vita. Nel libro La seconda sindone, invece, Paul<br />
Badde ci invita a intraprendere un viaggio indietro nel<br />
tempo per scoprire il volto storico di Gesù Cristo, quello<br />
stesso volto che risplende nel volto dei fratelli. La<br />
seconda sindone è il Volto santo custodito nella Basilica<br />
di Manoppello, in Abruzzo.<br />
La narrazione avvince, mentre l’autore cerca una<br />
risposta a domande quali: com’è arrivata quest’immagine<br />
a Manoppello? Si tratta della stessa reliquia della<br />
Veronica che un tempo veniva esposta frequentemente<br />
in Vaticano ed attirava migliaia di pellegrini? Da molti<br />
anni, infatti, questa reliquia non viene più esposta al<br />
pubblico, se non una volta all’anno e dall’alto di una<br />
delle colonne che sostengono la cupola (quella della<br />
Veronica, appunto).<br />
La reliquia ritrae il volto di un uomo impresso in un<br />
velo finissimo intessuto con i fili che si estraggono dalle<br />
conchiglie. Nella Bibbia questo tessuto è conosciuto<br />
come “bisso” e, per il tipo di lavorazione che richiede,<br />
era costosissimo. Al giorno d’oggi è pressoché irreperibile<br />
ed è rimasta una sola persona in tutto il mondo<br />
capace di tesserlo, anche se non più con la stessa<br />
finezza.<br />
L’aspetto più affascinante però riguarda l’immagine<br />
impressa. Questo volto, infatti, corrisponde nelle dimensioni<br />
al volto dell’uomo della sindone, oltre a corrispondere<br />
anche alle icone di Gesù più antiche.<br />
Ma il bisso è un tessuto sul quale è impossibile imprimere<br />
una qualunque immagine. È possibile dargli solo<br />
un certo tono di colore. L’origine di questa immagine rimane<br />
quindi misteriosa. Non si tratta nemmeno di una fotografia,<br />
ma di qualcosa di simile all’immagine della Madonna<br />
di Guadalupe: come se Dio si fosse divertito a fare<br />
un quadro, come un pittore.<br />
Roberto Zocco<br />
VIAGGIO IN GIAPPONE<br />
Sul monte dei mi<br />
A casa dei monaci<br />
buddisti, 25 anni dopo<br />
lo storico incontro<br />
con don Giussani.<br />
L’affetto, la gentilezza,<br />
l’amore per la natura.<br />
Un cammino<br />
che prosegue<br />
di Luca Speziale<br />
Don Massimo con il reverendo<br />
Habukawa. In alto, danze<br />
tradizionali per la delegazione<br />
italiana (foto Giorgio Salvatori).<br />
Dal 26 al 31 ottobre sono stato in Giappone con don<br />
Massimo Camisasca in occasione del venticinquesimo<br />
anniversario dell’incontro avvenuto sul monte<br />
Koya fra don Giussani e il reverendo Habukawa.<br />
Il giorno del nostro arrivo all’aeroporto di Tokyo, dopo<br />
più di dieci ore di aereo, una macchina mandata dall’ambasciatore<br />
italiano Vincenzo Petrone ci accompagna alla<br />
residenza. Durante il viaggio, incontriamo i diversi volti<br />
della città.<br />
Prima una serie di palazzoni di venti-trenta piani, grigi,<br />
tutti uguali. Sono le case popolari. Dopo venti minuti<br />
di autostrada, ecco che ci si spalanca in tutta la sua grandiosità<br />
una serie di grattacieli in vetrocemento, attraversati<br />
da un sistema di sopraelevate dense di macchine. È<br />
il centro di Tokyo, anche se l’ambasciatore ci ripete più<br />
volte che la città non ha un “centro”, come le nostre, ma<br />
più di uno.<br />
Ogni tanto fanno capolino sulle larghe strade a quattro<br />
corsie alcune costruzioni in legno, piccole rispetto ai<br />
grattacieli, ma che si fanno notare per la loro caratteristica<br />
struttura: sono i templi buddisti e scintoisti. Si vedono<br />
uomini in giacca e cravatta con il computer sottobraccio<br />
arrivare davanti a questi edifici, battere le mani (forse<br />
per scacciare gli spiriti maligni) e buttare in un contenitore<br />
di ferro una manciata di monete. La prima impressione<br />
è di essere capitati in un posto lontano anni luce<br />
da quelli dove abbiamo finora vissuto. Si respira una grande<br />
quiete, una certa compostezza generale. Tutto è ordinato,<br />
calcolato, controllato (ai crocicchi delle strade c’è<br />
sempre un vigile, con il suo elmetto colorato che si assicura<br />
che tutto proceda secondo programma).<br />
Il giorno successivo comincia la serie di incontri tra la<br />
delegazione italiana (oltre a noi alcuni rappresentanti del<br />
Meeting e di Cl) e i monaci buddisti. Poi ci trasferiamo<br />
dopo un viaggio in pullman tutto curve e mal di testa (il<br />
jet-lag si fa sentire!) al monte Koya.<br />
Il monte ospita una cittadella circondata da otto colli,<br />
abitata da qualche migliaio di persone. Anticamente com-
Noi sappiamo quanto gli uomini del nostro tempo cerchino anche inconsapevolmente un luogo in cui riposare e<br />
vivere rapporti in pace, cioè riscattati dalla menzogna, dalla violenza e dal nulla... Il Natale è la buona notizia che<br />
questo luogo c’è, non nel cielo di un sogno, ma nella terra di una realtà carnale. Luigi Giussani<br />
DICEMBRE fraternitàemissione<br />
lle templi<br />
prendeva mille templi. Ora un centinaio o poco più. È il<br />
centro mondiale della scuola Shingon, una delle tante anime<br />
che compongono l’universo buddista. Sono dodici milioni<br />
oggi nel mondo, la maggior parte in Giappone.<br />
La scuola è sorta nel nono secolo da un educatore giapponese,<br />
Kobo Daishi, che si recò in Cina e lì conobbe il<br />
buddismo e la scrittura. Tornato in Giappone, oltre alla<br />
scrittura che sarebbe poi divenuta la lingua giapponese,<br />
portò una sua lettura del buddismo di taglio prevalentemente<br />
pedagogico. Il centro del suo messaggio è<br />
pressappoco questo: liberare l’uomo da tutto ciò che impedisce<br />
lo sviluppo delle sue potenzialità, dal male che<br />
lo attanaglia, perché possa riconoscersi come parte dell’universo<br />
e vivere in armonia con tutto.<br />
Dei monaci ci stupiscono due cose. Innanzitutto l’estrema<br />
gentilezza, il senso di abnegazione con cui si mettono<br />
al nostro servizio. Appena arrivati al monte fanno a gara<br />
tra chi per primo ci prende le valigie e ci porge le pantofole<br />
(assolutamente necessarie per calpestare il suolo<br />
del monastero).<br />
Poi, l’amore per la natura. Una notte, sempre a causa<br />
del fuso orario, ci svegliamo alle quattro e nel silenzio totale<br />
ammiriamo la bellezza del giardino del monastero,<br />
curato fin nei minimi dettagli. La riverenza dei monaci verso<br />
la natura è talmente grande che noto che alla sveglia<br />
mattutina, verso le sei e mezza, prima di raggiungere la<br />
cappella, molti di loro passano davanti al giardino e fanno<br />
un profondo inchino.<br />
Una mattina abbiamo avuto la possibilità di ascoltare<br />
la preghiera dei monaci. Nel tempio buio, illuminato solo<br />
dalle candele e dal fuoco, che con la fiamma faceva salire<br />
in alto le preghiere, c’erano anche le immagini di don<br />
Giussani, Giovanni Paolo II e don Francesco Ricci. Chiedo<br />
ai monaci se le avessero messe lì in occasione della<br />
nostra visita. Mi rispondono che sono nel tempio tutto l’anno.<br />
Abbiamo così capito che in questi venticinque anni<br />
il rapporto affettivo che ci lega all’esperienza del monte<br />
Koya è andato crescendo. Ora occorre anche trovare<br />
Promemoria<br />
del Mistero<br />
di Silvia Guidi<br />
È vero, l’arte regala “sensi supplementari”<br />
a chi le concede tempo e attenzione,<br />
e «la musica e la pittura aggiungono a noi<br />
un occhio e un orecchio che non abbiamo,<br />
ci portano a vedere cose che da soli non<br />
riusciremmo a vedere, ad ascoltare parole<br />
su cui sorvoleremmo». Così scrive don<br />
Massimo Camisasca nel libro «La trasfigurazione<br />
della materia», dedicato al mosaico<br />
di padre Rupnik che decora (ma il verbo è<br />
inadeguato, meglio dire “fa vivere e vibrare<br />
di luce sempre mutevole”) la cappella<br />
della casa di formazione romana.<br />
«L’arte - continua don<br />
Massimo - genera una<br />
corrispondenza profonda<br />
fra ciò che siamo, ciò che<br />
sentiamo, ciò che attendiamo<br />
e ciò che abbiamo<br />
davanti». Una corrispondenza<br />
profonda anche con<br />
ciò che ci rifiutiamo di vedere,<br />
o di riconoscere;<br />
penso alla risata scettica<br />
di Sara e la malinconia del<br />
suo farsi da parte, tirarsi<br />
fuori dall’abbraccio di una<br />
storia di salvezza per quel<br />
“disdegnoso gusto” che<br />
porta Pier delle Vigne a rinunciare<br />
alla vita (Commedia,<br />
Inferno, XIII canto)<br />
e porta tanta parte del<br />
mondo contemporaneo a<br />
fare lo stesso, disperdendosi<br />
nell’inerzia e nella<br />
sterilità. Il mosaico de-<br />
In libreria<br />
La trasfigurazione<br />
della materia<br />
Marietti 2011 - pp. 114<br />
per visitare il mosaico:<br />
pr@sancarlo.org<br />
scrive questo dramma con delicatezza:<br />
«Sara è in piedi all’ingresso della tenda.<br />
Esce per accogliere gli ospiti e il loro messaggio,<br />
oppure si ritira nella sua solitudine?<br />
I suoi occhi dicono il desiderio strug-<br />
le strade per vivere assieme la carità e per maturare una<br />
conoscenza più profonda gli uni degli altri.<br />
I due giorni passati al monte Koya ci hanno anche posto<br />
di fronte una realtà di cui sappiamo ancora molto poco:<br />
facciamo fatica, per esempio, a comprendere le categorie<br />
secondo le quali i loro ragionamenti si sviluppano (non<br />
hanno conosciuto la metafisica, non hanno avuto un Platone<br />
o un Aristotele). Abbiamo così capito l’urgenza per<br />
la Chiesa tutta dell’invito di Giovanni Paolo II a considerare<br />
l’Asia come terra di missione per il terzo millennio.<br />
Il cammino che ci aspetta è ancora molto lungo: implica<br />
soprattutto il cambiamento di sé, non tanto dei propri<br />
ideali, quanto del modo di esprimerli per farli rinascere<br />
in un nuovo universo.<br />
Daniélou, in un suo antico libretto intitolato Il mistero<br />
della salvezza delle nazioni, ha scritto che alla fine dei tempi<br />
rimarranno soltanto due universalismi: il cristianesimo<br />
e il buddismo.<br />
gente; ma la mano esita, incerta. È come<br />
l’uomo moderno che non crede, ma disperatamente<br />
vorrebbe credere».<br />
«Dopo un primo sguardo - scrive don Jonah<br />
Lynch - l’occhio comincia a percorrere<br />
le fessure fra le pietre, a seguire le linee<br />
del disegno, e a scandagliare la ricca variazione<br />
di colori e di superfici dei materiali.<br />
Pian piano emergono altre scoperte, alcune<br />
volute dagli artisti, altre personalissime<br />
intuizioni. Dal racconto della storia<br />
del mondo, l’occhio passa allo sguardo di<br />
Cristo e poi al gesto della Madonna. Sosta<br />
volentieri anche sul fascino semplice delle<br />
pietre e degli specchi d’oro e d’argento. La<br />
storia sacra rende anche i sassolini infinitamente<br />
interessanti; le pietre rendono visibile<br />
il Mistero». Le pagine di questo libro<br />
«vogliono compiere una<br />
piccola parte di questo itinerario<br />
dello sguardo. Vogliono<br />
portare l’occhio del<br />
lettore ad alcuni particolari,<br />
introducendo attraverso<br />
brevi testi alla ricchezza<br />
teologica che<br />
padre Rupnik espone più<br />
estesamente nel suo testo.<br />
Esse sono anche un<br />
invito a visitare la nostra<br />
cappella, e a contemplare<br />
l’opera dal vivo».<br />
Tornano in mente le<br />
parole di un grande educatore<br />
attraverso la Bel-<br />
lezza, il maestro di teatro<br />
Orazio Costa Giovangigli.<br />
«Vi rivelo un trucco per<br />
non farvi imbrogliare dai<br />
sedicenti guru del mercato<br />
- ripeteva spesso ai<br />
suoi allievi, a Firenze -<br />
l’arte vera non stufa. Non è solo bella, è<br />
inesauribile. Con una misteriosa persistenza<br />
di vita dentro, di cui ti accorgi solo<br />
vedendo le opere dal vivo; le riproduzioni<br />
sono solo un promemoria».<br />
7<br />
Nel tempio,<br />
illuminato solo<br />
dalle candele e<br />
dal fuoco, c’erano<br />
le immagini di<br />
Giovanni Paolo II,<br />
di don Giussani<br />
e don Francesco<br />
Ricci
Il Signore è presente (…) è veramente un Dio con noi. Non è più il Dio distante che, attraverso la<br />
creazione e mediante la coscienza, si può in qualche modo intuire da lontano. Egli è entrato nel<br />
mondo. È il Vicino. Benedetto XVI<br />
8 fraternitàemissione<br />
DICEMBRE<br />
L’IMMACOLATA<br />
La sua bellezza<br />
mi attira<br />
di Rachele Paiusco<br />
La memoria di Maria Immacolata mi torna presente<br />
tutte le volte che passo dal nostro cortile, dove c’è<br />
una bellissima statua di Maria che prega, al centro del<br />
muro, in mezzo ad alcune rose. L’abbiamo ricevuta in<br />
dono quattro anni fa dalle suore caldee, un ordine di<br />
religiose proveniente dall’Iraq. La loro casa generalizia<br />
a Roma ha ospitato i passi iniziali di noi Missionarie, nei<br />
primi due anni nella capitale. Quando siamo partite alla<br />
volta della nostra attuale casa alla Magliana, ci hanno<br />
salutate con questo dono.<br />
Non mi sono accorta subito di quanto fosse bella.<br />
Adesso, col tempo, mi stupisco sempre più frequentemente<br />
quando la guardo. È bianchissima, fatta di una<br />
pietra forte, compatta. È semplice, tutta raccolta in un<br />
mantello, immersa nella preghiera. È anche umile nel<br />
suo gesto. Quando la vedo spiccare su tutto il resto che<br />
c’è intorno, penso a tutta la vicinanza e a tutta la distanza<br />
che vivo dalla Madonna.<br />
Maria ha vissuto profondamente la coscienza di<br />
essere figlia. È sempre stata certa di appartenere a un<br />
Padre buono, all’Altissimo. Si è sempre sentita amata,<br />
guardata, si è sempre sentita parte importante dell’opera<br />
del Padre, del suo lavoro: L’anima mia magnifica<br />
il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,<br />
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.<br />
Mentre in me questa certezza a volte si offusca, e<br />
nasce il sentimento della solitudine, dell’incertezza dell’amore,<br />
Maria si sente da<br />
Una figlia amata<br />
che si affida<br />
alla mano<br />
del Signore<br />
sempre una figlia amata e<br />
guardata, preziosa, curata,<br />
educata. Una figlia di cui il<br />
Padre si compiace sempre.<br />
Maria ha vissuto l’abbandono<br />
della verginità, ricevendo<br />
da Dio le persone<br />
della sua vita secondo il<br />
posto che lui assegnava: Giuseppe, Gesù, Elisabetta, gli<br />
amici di Gesù; prendendo dalle mani di Dio solo quello<br />
che lui le voleva dare, e poi amando intensamente tutti<br />
quelli che riceveva in dono. Ha vissuto l’abbandono dell’obbedienza,<br />
seguendo senza resistenze i fatti e le<br />
parole del Signore nelle sue giornate. Ha vissuto l’abbandono<br />
della povertà, pronta a cambiare casa tante<br />
volte, a conservare nel suo cuore solo l’essenziale.<br />
Quanta resistenza in me all’abbraccio di Dio! Il mio<br />
peccato si manifesta soprattutto con tante resistenze<br />
all’amore. Per Maria non c’era nessun impedimento,<br />
nessuna cosa tra lei e il Signore. Ha vissuto nella pace<br />
tutte le vicende della sua strada sulla terra.<br />
Maria ha trascorso tutto il suo tempo nell’amore. Una<br />
figlia amata, che si affida alla mano del Signore, ha fatto<br />
dei suoi giorni una risposta d’amore, per Gesù, per i<br />
suoi, per noi. È soprattutto questo che la rende così<br />
bella. La luce dell’Immacolata viene da tutto l’amore<br />
che vive, quello da sempre ricevuto e quello continuamente<br />
ridonato.<br />
Filippo Lippi e bottega,<br />
«Annunciazione», 1445-1450<br />
(particolare).<br />
In basso, la statua dell’Immacolata<br />
nella casa delle Missionarie.<br />
Il mio male, quello degli altri, portano spesso delle<br />
ombre sul mio volto, sulle mie giornate. Guardando<br />
Maria le mie ombre lentamente si possono schiarire. La<br />
sua bellezza mi attira. E il suo desiderio di essere mia<br />
madre vuole percorrere tutta la mia grande distanza,<br />
vuole raggiungermi e portarmi con sé, vuole farmi una<br />
figlia che assomigli alla madre.<br />
È bello passare tutti i giorni davanti all’Immacolata,<br />
che spicca su tutte le cose della terra, e che desidera<br />
abitare nella nostra casa.<br />
BUON NATALE!<br />
Domenica 18 <strong>dicembre</strong>, alle ore 16.00,<br />
presso la parrocchia <strong>San</strong>t’Ignazio di Loyola<br />
a Milano, piazza don Luigi Borotti 5,<br />
don Massimo Camisasca celebrerà<br />
la santa Messa di Natale con gli amici<br />
della <strong>Fraternità</strong> san <strong>Carlo</strong>.<br />
informazioni: www.sancarlo.org