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Scienza medica e filosofia nella riflessione dei filosofi dell'esistenza

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<strong>Scienza</strong> <strong>medica</strong> e <strong><strong>filosofi</strong>a</strong><br />

<strong>nella</strong> <strong>riflessione</strong> <strong>dei</strong> <strong>filosofi</strong> dell’esistenza<br />

Ignacio Carrasco de Paula*, Maddalena Pennacchini**<br />

La medicina positivista: l’agire nelle corsie vs. il pensare in laboratorio<br />

Alla fine del XIX secolo, in piena epoca positivistica, si assiste<br />

all’affrancamento della medicina dalla <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> e al suo passaggio<br />

tra le scienze naturali. Tale affrancamento, sebbene sia stato preparato<br />

dalle scoperte scientifiche del XVII secolo, ed in particolar modo<br />

dalle figure di Renè Descartes, di Blaise Pascal e di Isaac Newton, 1 i<br />

quali hanno posto le basi per una effettiva indipendenza metodologica<br />

e nelle strategie euristiche della scienza sperimentale dalla metafisica,<br />

tuttavia è stato formalizzato solo nell’Ottocento da Auguste<br />

Comte, comunemente ritenuto il fondatore del pensiero positivista.<br />

Comte con la sua famosa legge <strong>dei</strong> tre stadi dà forma <strong>filosofi</strong>ca all’idea<br />

di progresso. Egli ritiene che l’essere umano, a livello ontogenetico<br />

come pure a livello filogenetico, passi attraverso tre distinti stadi culturali,<br />

in una specie di processo unitario di maturazione. Nel primo stadio,<br />

quello teologico, corrispondente all’infanzia dell’individuo e dell’umanità,<br />

i fenomeni verrebbero visti come prodotti dell’azione diretta e continua<br />

di agenti soprannaturali. Nel secondo stadio, quello metafisico,<br />

corrispondente all’adolescenza dell’umanità, i fenomeni verrebbero<br />

spiegati alla luce di essenze, idee o forze astratte. Infine, nell’ultimo stadio,<br />

quello positivo, attuale, corrispondente all’età adulta dell’umanità,<br />

per spiegare i fenomeni si cercherebbe di “scoprire, tramite l’uso coordinato<br />

del ragionamento e dell’osservazione, le loro leggi effettive, vale<br />

a dire i loro invariabili rapporti di successione e somiglianza”. 2<br />

* Straordinario di Bioetica, Direttore dell’Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e Chirurgia<br />

“A. Gemelli”, Università Cattolica S. Cuore (UCSC), Roma.<br />

** Dottore di ricerca in Bioetica, Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A.<br />

Gemelli”, UCSC, Roma.<br />

1 Cfr. NEWTON I., Principia Mathematica Philosophiae Naturalis (1687), libro III.<br />

2 COMTE A., Corso di <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> positiva, Torino: UTET, 1967: 58.<br />

Medicina e Morale 2004/6: 1189-1201<br />

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Il clima generale della cultura positivistica ha un ruolo fondamentale<br />

anche <strong>nella</strong> elaborazione della sintesi fisiologica di Claude<br />

Bernard che offre una accurata <strong>riflessione</strong> metodologica sui metodi<br />

dell’indagine fisiologica. 3 Il contributo proprio di Bernard sta nell’aver<br />

posto la fisiologia a base della medicina, collocando la medicina<br />

di laboratorio (sperimentale) a fondamento della medicina clinica.<br />

In tal modo, il fisiologo francese non solo fonda su basi nuove<br />

lo statuto disciplinare della scienza <strong>medica</strong>, ma altresì crea i presupposti<br />

per una continuità diretta tra medicina teorica e medicina<br />

clinica.<br />

In questo momento storico, la medicina è intesa quasi senza discussione<br />

come scienza naturale applicata il cui credo è riassunto<br />

nel pensiero fisiopatologico: le malattie sono soltanto deviazioni<br />

quantitative dalla norma e si possono spiegare completamente per<br />

mezzo di processi fisici e chimici - il che determina, in concreto, il<br />

tramonto del contenuto qualitativo della malattia. Poiché i fenomeni<br />

della malattia sono diversi da quelli della salute solo per intensità,<br />

ma non sostanzialmente, si possono esaminare le malattie come<br />

esperimenti spontanei della natura che spiegano il funzionamento<br />

normale e regolare del corpo. La terapia deve provocare il ritorno<br />

dell’organismo alla normalità.<br />

La formulazione di questo assioma aveva impegnato parecchie<br />

generazioni di medici del XIX secolo; i loro sforzi furono sostenuti<br />

<strong>filosofi</strong>camente ancora una volta da Comte il quale vi scorse un<br />

concetto genuinamente <strong>filosofi</strong>co che d’ora in poi doveva servire<br />

come fondamento generale della “patologia positivistica”. Nel suo<br />

Corso di <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> positiva, Comte sostiene che lo stato patologico<br />

non si distingue affatto dallo stato fisiologico; sotto tutti gli aspetti<br />

rappresenta nei suoi confronti soltanto uno spostamento più o meno<br />

forte <strong>dei</strong> confini di variazione superiori e inferiori validi per ogni<br />

fenomeno di un organismo normale, senza che si producano mai<br />

nuovi fenomeni. 4<br />

3 Cfr. BERNARD C., Introduzione allo studio della medicina sperimentale, Milano: Feltrinelli,<br />

1973.<br />

4 Cfr. COMTE, Corso di <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> positiva...<br />

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SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

Tanto più si afferma nel corso del XIX secolo il concetto fisiopatologico<br />

di malattia, tanto più si sviluppa una frattura nei confronti<br />

dell’esperienza quotidiana, personale della malattia, la quale viene<br />

respinta come meno significativa. La malattia viene vista dalla medicina<br />

come una condizione inutile ed insensata che deve essere ricondotta<br />

al suo precedente stato di normalità.<br />

Il concetto positivista di malattia trova la sua necessaria sistematizzazione<br />

metodologica e la sua cornice istituzionale <strong>nella</strong> clinica. Il<br />

pensiero clinico, praticato nei neonati istituti clinici all’interno delle<br />

università e degli ospedali, propaganda la ricerca e il tirocinio sul<br />

paziente, ma in realtà si prefigge un obiettivo diverso: liberare l’osservazione<br />

del paziente dai pregiudizi mediante la raccolta obiettiva<br />

di fatti.<br />

Il pensiero medico positivista si oppone a quello <strong>dei</strong> secoli precedenti,<br />

finalizzato soltanto alla terapeutica - a guarire e ad assistere -,<br />

e propone l’osservazione clinica al capezzale del malato la quale<br />

viene completata, e all’occorrenza corretta, dalla dissezione. Questa<br />

ristrutturazione del sapere medico, di fatto, cambia radicalmente il<br />

rapporto medico-paziente; quest’ultimo diviene oggetto della conoscenza<br />

<strong>medica</strong> attuata all’interno dell’osservazione; un’osservazione<br />

che si va perfezionando progressivamente, divenendo sempre più invasiva.<br />

L’osservazione obiettiva <strong>dei</strong> fatti esige il distacco del medico che<br />

deve reprimere ogni partecipazione personale e ogni idea soggettiva.<br />

Il distacco tra medico e malato, ricercato intenzionalmente, dovrebbe<br />

evitare che l’osservazione si dimostri ingannevole.<br />

Da un punto di vista metodologico la clinica offre un campo di<br />

osservazione in cui le malattie si sviluppano in condizioni standard e<br />

il più possibile senza interferenze da parte dell’osservatore, cosicché<br />

esse possono essere studiate con calma. In questa area sperimentale<br />

viene ad inserirsi, verso la metà del XIX secolo, pure la fisiologia<br />

rendendo necessaria anche dal punto di vista teorico quell’unione tra<br />

la clinica e il laboratorio che in pratica era già una realtà. 5<br />

5 Cfr. GRMEK M. (a cura di), Storia del pensiero medico occidentale. 3. Dall’età romantica<br />

alla medicina moderna, Bari: Laterza, 1998; COSMACINI G., L’arte lunga. Storia della<br />

medicina dall’antichità a oggi, Bari: Laterza, 1997.<br />

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Da qui il dissidio insanabile tra l’agire nelle corsie d’ospedale e il<br />

pensare in laboratorio decunciato da due <strong>filosofi</strong> dell’esistenza, Karl<br />

Jaspers e Viktor Von Weizsäcker, che ha condotto - rispettivamente<br />

secondo i due autori - allo smarrimento dell’umanità del medico e<br />

della dignità del malato.<br />

Lo smarrimento dell’umanità del medico moderno: il bisogno della<br />

<strong><strong>filosofi</strong>a</strong><br />

Per secoli il medico ha fondato la propria professione non tanto e<br />

non solo sul sapere “tecnico-scientifico”, quanto piuttosto sulla sua<br />

umanità che lo aveva reso disponibile ad aiutare ogni essere umano<br />

afflitto da sofferenze fisiche. In epoca positivista, quando finalmente<br />

i medici sono riusciti a conseguire grandi successi terapeutici, e,<br />

quindi, non solo a curare i malati, ma anche a guarirli, paradossalmente<br />

cresce l’insoddisfazione tanto <strong>dei</strong> malati quanto <strong>dei</strong> medici, e<br />

questo perché, secondo Jaspers, il moderno medico scienziato ha<br />

smarrito l’umanità.<br />

Tradizionalmente l’agire del medico ha sempre poggiato su due<br />

pilastri: da un lato la conoscenza scientifica e l’abilità tecnica, dall’altro<br />

l’ethos umanitario che ha reso il medico sempre memore della<br />

dignità del malato, della sua autonomia decisionale e del valore<br />

insostituibile di ogni singolo uomo. La conoscenza scientifica, il primo<br />

pilastro, è trasmettibile da una generazione all’altra di medici<br />

mediante l’insegnamento, in modo esplicito e programmato, <strong>nella</strong><br />

misura più ampia possibile. Per contro l’umanità del medico, il secondo<br />

pilastro, non passa dal maestro all’allievo attraverso l’attività<br />

didattica, ma si tramanda esclusivamente grazie all’esempio, come<br />

indicava già Aristotele, ovvero sia attraverso il modo di agire e di<br />

parlare del maestro che in modo inconsapevole viene appreso dagli<br />

allievi, sia mediante lo spirito che regna in una clinica nell’esercizio<br />

della professione <strong>medica</strong>.<br />

In questo momento storico l’insegnamento è stato pianificato, si è<br />

fatto progressivamente più chiaro ed è diventato didatticamente migliore;<br />

del pari la ricerca scientifica, facendosi più critica e più metodica,<br />

ha ampliato il sapere e l’abilità del medico. La “formazione”<br />

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SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

dell’umanità del medico, invece, non è stata soggetta a miglioramenti<br />

proprio perché essa non è pianificabile. 6<br />

Di fronte alla perdita dell’umanità del medico Jaspers propone<br />

due soluzioni: il recupero della tradizionale figura del medico generico,<br />

e il trasformarsi del medico in un sapiente, in un filosofo.<br />

La prima soluzione prospettata da Jaspers, ossia il recupero della<br />

figura del medico generico, trova la sua ragione nel fatto che questi,<br />

non investito dell’autorità della clinica o dell’istituzione, di fatto ha<br />

a che fare con il malato così come questi veramente è e vive. “Qui,<br />

grazie all’occhio di un medico che guarda all’uomo, è possibile che<br />

tutto quanto gli specialisti sono in grado di fare ed è irrealizzabile<br />

senza le strutture ospedaliere, si traduca tuttavia in misure particolari<br />

che, da lui consigliate, rimangono però sotto il suo controllo, attraverso<br />

la direzione dell’intero processo. [Il medico generico] non<br />

permette che la visita del malato si risolva in una congerie di risultati<br />

di indagini di laboratorio, ma è in grado di valutare tutto questo, di<br />

utilizzarlo e di tenerlo sotto controllo”. 7<br />

Il filosofo, mentre propone questa possibile soluzione, palesa al<br />

tempo stesso il suo scetticismo. L’antica idea di medico, ed in particolare<br />

la figura del medico generico tipica del XIX secolo si presenta<br />

agli occhi dello stesso Jaspers come anacronistica. L’uomo in genere,<br />

e <strong>nella</strong> fattispecie i medici ed i malati, hanno subito delle metamorfosi<br />

dovute al progresso culturale, pertanto sarebbe utopico riproporre<br />

le concezioni di medico e di malato che non sono incarnate<br />

in nessun medico e malato del presente.<br />

L’unica vera possibilità che si presenta al medico per recuperare<br />

la sua umanità, di conseguenza, coincide con la seconda soluzione<br />

indicata da Jaspers: che egli divenga un sapiente. Dietro tale proposta<br />

si cela la vera questione che il filosofo intende dibattere, ossia se<br />

il medico e la scienza <strong>medica</strong> possano effettivamente fare a meno<br />

della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>, problematica che è includibile in quella più ampia se<br />

la scienza in generale possa fare a meno della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>. Questo interrogativo<br />

ripropone sotto una nuova veste il problema fondamentale<br />

6 JASPERS K., L’idea di medico, in ID., Il medico nell’età della tecnica, Milano: Raffaello<br />

Cortina, 1991: 1-16.<br />

7 Ibid., pp. 9-10.<br />

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I. CARRASCO DE PAULA / M. PENNACCHINI<br />

<strong>dei</strong> <strong>filosofi</strong> dell’epoca di Jaspers: la questione della giustificazione<br />

della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>.<br />

Jaspers approda alla <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> da medico, pertanto egli rifiuta<br />

qualsiasi contaminazione tra scienza e <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>, ciò nonostante egli<br />

è convinto che entrambe queste due discipline non sono possibili<br />

l’una senza l’altra. Da un lato, infatti, “la via della scienza è indispensabile<br />

per la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>, perché soltanto la conoscenza di questa<br />

via impedisce che un’altra volta si affermi, in un modo poco chiaro e<br />

soggettivo, che <strong>nella</strong> <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> sia possibile la conoscenza obiettiva<br />

delle cose, che ha invece la sua sede <strong>nella</strong> ricerca metodicamente<br />

esatta”. 8 Dall’altro lato, anche la scienza ha bisogno della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>.<br />

Quest’ultima “fa presa sulle scienze in modo tale da rendere realmente<br />

presente il loro senso proprio. La <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> che vive nelle<br />

scienze dissolve il dogmantismo che appare sempre di nuovo <strong>nella</strong><br />

scienza stessa…, ma soprattutto la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> diventa garante consapevole<br />

dello spirito scientifico, contro l’ostilità della scienza”. 9<br />

La <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> e la scienza, quindi, non debbono contaminarsi, ma<br />

poiché ognuna non vive senza l’altra, esse debbono necessariamente<br />

conciliarsi. La scienza, infatti, sebbene pervenga alla conoscenza<br />

scientifica delle cose, non arriva alla conoscenza dell’essere, non è<br />

in grado di dare alcuno scopo per la vita e non può dare nessuna risposta<br />

alla domanda riguardante il suo proprio senso. Simmetricamente,<br />

il filosofare non può essere né in antinomia con il pensiero<br />

scientifico né identico ad esso, piuttosto esso deve assorbire in sé<br />

l’atteggiamento scientifico e il modo di pensare scientifico. Per questo,<br />

sottolinea Jaspers, “oggi bisogna raggiungere, con la purezza<br />

della scienza, la purezza della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>. Esse sono inscindibilmente<br />

congiunte, ma non sono la stessa cosa: la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> non è né una<br />

scienza speciale accanto alle altre, né una scienza che coroni le<br />

scienze, né una scienza che dia un saldo fondamento alle scienze…<br />

Contro la dispersione della scienza in specialità sconnesse, contro la<br />

superstizione della scienza, contro lo svuotamento della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong><br />

mediante una confusione fra scienza e <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>, l’indagine scientifi-<br />

8 ID., La <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> dell’esistenza, Roma-Bari: Laterza, 1996: 10.<br />

9 Ibid., p. 12.<br />

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SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

ca e la ricerca <strong>filosofi</strong>ca debbono procedere di conserva per portarci<br />

sulla via della verità reale”. 10<br />

Ecco qual è allora, secondo il pensatore tedesco, il problema fondamentale<br />

nell’età della tecnica: comprendere che cosa sia veramente<br />

importante per l’uomo. Infatti, “mentre le cose reali nel mondo<br />

sono divenute più chiare che mai, la realtà effettiva si è fatta più<br />

oscura… il medico che costringe il ricercatore presente in lui a essere<br />

cosciente <strong>dei</strong> propri limiti, che non lascia sussistere in maniera<br />

ovvia e incontrollata alcunché e che, attraverso la <strong>riflessione</strong>, cede la<br />

guida al filosofo che è in lui, di fronte ai pericoli mortali provocati<br />

dalle conseguenze della tecnica e dai fuochi fatui, potrebbe trovare,<br />

per conto di tutti, la via che conduce fuori dalla prigione del limitato<br />

pensiero intellettivo. Forse è ai medici che spetta lanciare il<br />

segnale” 11 ritornando all’antica idea di medico indicata da Ippocrate<br />

iatros philosophos isotheos.<br />

Il medico, facendosi filosofo, avrà così l’opportunità di ritrovare<br />

la sua “umanità” e di superare le difficoltà ed i problemi presenti<br />

<strong>nella</strong> relazione con il malato tipici della società a lui contemporanea.<br />

Quindi, è <strong>nella</strong> <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> che Jaspers ripone le sue speranze e non,<br />

come fanno i contemporanei, <strong>nella</strong> psicanalisi. La psicanalisi, essendo<br />

ben lontana dall’essere un sapere, ed essendo piuttosto una fede,<br />

possiede <strong>dei</strong> tratti dogmatici ed acritici lesivi di un’autentica comunicazione<br />

tra malato e terapeuta. La psicoanalisi, infatti, fornisce una<br />

lettura della relazione medico paziente funzionale alla teoria psicanalitica<br />

e, pertanto, possiede una visione dell’uomo parziale giacché<br />

essa è un metodo curativo; per contro la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> ha il vantaggio di<br />

essere una scienza globale olistica. Per questo Jaspers auspica l’estinzione<br />

della psicoanalisi a favore di un recupero della comunicazione<br />

tra medico e malato da parte della medicina. 12<br />

10 Ibid., pp. 125-126.<br />

11 ID., Il medico nell’età..., p. 69.<br />

12 Cfr. GALIMBERTI U., Introduzione, in JASPERS, Il medico nell’età..., 1991.<br />

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Il paziente ha perso la “dignità” di essere tale: la critica alla Weltanschauung<br />

naturalista<br />

Il sovvertimento del paradigma della medicina positivista viene<br />

giustificato dal punto di vista gnoseologico anche da Von Weizsäcker<br />

attraverso la messa in questione dell’oggettivazione delle malattie.<br />

Sostenendo la necessità di ”introdurre il soggetto” <strong>nella</strong> scienza<br />

<strong>medica</strong> e, più in generale, nelle discipline di area biologica, questo<br />

Autore vuol mettere in evidenza che la soggettività del malato al<br />

pari di quella del medico, in quanto fattori di conoscenza, trasformano<br />

il significato conoscitivo di tutte le proposizioni che vertono sui<br />

processi patologici.<br />

Rileva opportunamente Jaspers commentando la posizione teorica<br />

del collega: “quello dell’“introduzione del soggetto” è diventato<br />

lo slogan della pretesa rivoluzione totale della medicina. Non già il<br />

medico e un oggetto posti l’uno di fronte all’altro, ma il rapporto fra<br />

un io e un tu sarebbe l’aspetto costantemente decisivo nel comportamento<br />

del medico. La medicina psicosomatica correttamente intesa…<br />

ha un carattere sovversivo”. 13<br />

Nell’evidenziazione da parte di Jaspers del carattere sovversivo<br />

della medicina psicosomatica è implicita una critica all’approccio<br />

dominante <strong>nella</strong> ricerca bio-<strong>medica</strong> all’inizio del XX secolo, <strong>nella</strong><br />

quale il metodo analitico-sperimentale aveva, di fatto, prodotto una<br />

concezione meccanicistica dell’essere vivente. E questo perché “la<br />

medicina si era sempre più appoggiata sulla scienza esatta della natura<br />

e non aveva ancora avvertito lo scossone epistemologico che<br />

<strong>nella</strong> fisica aveva incrinato le certezze positivistiche”. 14<br />

Contrariamente a Jaspers che avrebbe visto con favore l’estinzione<br />

della psicoanalisi, Von Weizsäcker, almeno apparentemente, sembrò<br />

orientarsi verso di essa. In realtà, l’obiettivo del medico e filosofo<br />

svevo era quello di fondare una nuova medicina clinica e per<br />

conseguire questo suo intento ritenne di potersi avvalere quale unico<br />

strumento, <strong>nella</strong> realtà storica di quel momento, della psicoanalisi.<br />

13 JASPERS, Medico e paziente..., p. 29.<br />

14 Cfr. SPINSANTI S., Guarire tutto l’uomo, Cinisello Balsamo (Mi): Paoline, 1988: 27.<br />

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SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

Infatti, mentre la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> non poteva essere reintrodotta <strong>nella</strong> medicina,<br />

se non si volevano creare commistioni arcaiche a danno della<br />

medicina come scienza, la psicoanalisi poteva entrare <strong>nella</strong> pratica<br />

<strong>medica</strong>, giacché essa stessa, infatti, era una disciplina clinica ed apparteneva<br />

pertanto alla medicina pratica.<br />

L’entusiasmo di Von Weizsäcker per la psicoanalisi trovava la sua<br />

motivazione, oltre che in ragioni di carattere storico, anche nell’orizzonte<br />

antropologico di quest’ultima. La psicanalisi parlava dell’uomo<br />

e non solo di organi e funzioni. Essa costituiva una svolta <strong>nella</strong><br />

pratica <strong>medica</strong> poiché l’irruzione della psicologia <strong>nella</strong> medicina<br />

“significa qualcosa di completamente diverso rispetto ai precedenti<br />

connubi storici tra religione e <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> con la medicina, come abbiamo<br />

conosciuto ad esempio <strong>nella</strong> medicina greca, o in Paracelso, o<br />

<strong>nella</strong> medicina dell’epoca romantica. Questa psicologia <strong>medica</strong> non<br />

domandava: chi o che cosa è l’uomo, bensì domandava al malato:<br />

chi sei tu?; e, chi poneva in tal modo la domanda doveva contemporaneamente<br />

domandarsi: chi sono io?”. 15<br />

L’indicazione psicoanalitica consisteva nel richiamo all’importanza<br />

fondamentale che ha per la guarigione il rapporto tra medico e<br />

paziente. Von Weizsäcker divenne noto come il padre della psicosomatica<br />

ma egli “non aveva mai considerato la psicosomatica quale<br />

materia a sé ma piuttosto come l’atteggiamento fondamentale di<br />

ogni attività <strong>medica</strong>… La medicina - così suonava la sua critica -<br />

reifica l’uomo, considera la malattia un incidente e la terapia si atrofizza<br />

in una pura e semplice opera reintegrativa”. 16<br />

La medicina scientifica, infatti, prendendo la strada delle scienze<br />

della natura, aveva reso superfluo il rapporto interpersonale, d’altra<br />

parte i medici si formavano in laboratorio e non in corsia, diversamente<br />

in psicoanalisi tutto si concentrava nel colloquio tra due esseri<br />

umani. 17<br />

Nota il filosofo svevo: “Il fatto che la medicina odierna non<br />

possegga una propria dottrina dell’uomo malato è sorprendente,<br />

15 VON WEIZSÄCKER V., Natur und Geist, Göttingen: Vandenhoeck & Ruprecht, 1954: 44.<br />

16 HENKELMANN T., Viktor von Weizsäcker. L’uomo e la sua opera, in VON WEIZSÄCKER V.,<br />

Filosofia della medicina, Milano: Guerrini e Associati, 1990: 19-20.<br />

17 Cfr. VON WEIZSÄCKER, Natur und Geist....<br />

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ma innegabile. Essa evidenzia manifestazioni dell’essere malati,<br />

differenze tra cause, conseguenze, rimedi delle malattie, ma non<br />

individua l’uomo malato”. 18 Contro questa tendenza Von Weizsäcker<br />

rivendica l’introduzione del soggetto nel campo delle<br />

scienze biologiche, mediante il quale egli intende sciogliere l’incantesimo<br />

dell’oggettività, ritrovare quelle componenti della malattia<br />

come fatto dell’essere vivente che sfuggono al microscopio.<br />

Il suo approccio alla soggettività vuole spezzare il tradizionale<br />

rapporto soggetto-oggetto e instaurare una concezione della totalità<br />

<strong>nella</strong> quale il soggetto stesso è incluso a titolo di modulatore<br />

espressivo. 19<br />

Rileva puntualmente Sandro Spinsanti che “Von Weizsäcker<br />

prende le distanze da un progetto di umanizzazione della medicina<br />

che non parta da una critica epistemologica della medicina”. 20 Il<br />

medico svevo, infatti, è consapevole che <strong>nella</strong> scienza <strong>medica</strong> “si<br />

ignora con troppa facilità che attualmente la Weltanschauung naturalista<br />

è fallita”, 21 sebbene egli consideri valido e proficuo l’uso<br />

del sussidio tecnico. In questo senso, rileva Weizsäcker, “l’aspetto<br />

naturalistico non significa più verità, ma tecnica, non un contenuto<br />

ma una via (methodos)… Questo mutamento non <strong>dei</strong> metodi, ma<br />

dell’interpretazione della scienza naturale <strong>medica</strong>, non è un regresso;<br />

ha la semplicità e la legittimità di un fatto storico, di una necessità”.<br />

22<br />

<strong>Scienza</strong> e <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>: una distinzione che implica una necessaria conciliazione<br />

Nella concezione <strong>dei</strong> pensatori di epoca positivista la scienza è la<br />

sola forma di conoscenza possibile e il metodo della scienza è l’unico<br />

valido: pertanto non è ammesso il ricorso a cause o principi che<br />

18 JASPERS, Il medico e il malato..., pp. 83-84.<br />

19 Cfr. SPINSANTI, Guarire...; ID., L’antropologia <strong>medica</strong> di Viktor v. Weizsäcker: conseguenze<br />

etiche, Medicina e Morale 1985, 3: 531-543.<br />

20 Cfr. ID., Guarire..., p. 104.<br />

21 VON WEIZSÄCKER, Il medico..., p. 88.<br />

22 Ibid., p. 88.<br />

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SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

non siano riconducibili al metodo della scienza sia perché essi non<br />

fanno progredire il cammino della conoscenza, sia perché essi vengono<br />

considerati come una pericolosa ricaduta <strong>nella</strong> metafisica. Per<br />

contro, alla <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> spetta sostanzialmente un unico compito, quello<br />

di enunciare <strong>dei</strong> principi comuni alle varie scienze, in sostanza essa<br />

detiene la funzione di riunire e coordinare i risultati delle singole<br />

scienze, in modo da realizzare una conoscenza unificata e generale.<br />

Diversamente dagli altri intellettuali della loro epoca Jaspers e<br />

Von Weizsäcker considerano la scienza e la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> come due distinte<br />

strade che conducono alla conoscenza. Per questo essi vogliono<br />

salvare i rapporti tra <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> e scienza e per riuscire a farlo hanno<br />

dovuto collocare le due prospettive su due piani distinti. Le pretese<br />

di onnipotenza speculativa avanzate dagli scientisti di età positivista<br />

avevano scavato un baratro impressionante tra la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> e le<br />

scienze in genere di cui aveva risentito anche la medicina, la strada<br />

indicata dai <strong>filosofi</strong> dell’esistenza “non portano a colmare tale baratro,<br />

ma anzi lo assumono come condizione preliminare di un autentico<br />

sforzo <strong>filosofi</strong>co che dovrà pertanto esercitarsi su un mondo “totalmente<br />

altro” rispetto a quello delle scienze”. 23<br />

Si tratta di una distinzione tra le due discipline dal punto di vista<br />

contenutistico e metodologico che implica, tuttavia, una conciliazione<br />

necessaria. 24 E questo perché il limite fondamentale del sapere<br />

scientifico risiede proprio <strong>nella</strong> natura del suo procedimento metodologico,<br />

ossia nell’oggettivazione del reale mediante ipotesi di natura<br />

matematica. La scienza - vincolata dal suo metodo che le impone<br />

di attenersi alle oggettività ipoteticamente costruite - non giunge<br />

alla verità delle cose, bensì esclusivamente alla loro esattezza, ossia<br />

alla corrispondenza della loro oggettivazione con le ipotesi che<br />

l’hanno consentita. Pertanto, le scienze non conoscono il mondo, ma<br />

l’ordinamento del mondo da loro ipotizzato.<br />

“Contro questa tendenza, a cui non si sottraggono neppure la<br />

scienza <strong>medica</strong> e la scienza psichiatrica, Jaspers in una riunione promossa<br />

dall’Associazione psichiatrica forense che si riuniva periodi-<br />

23 PORCARELLI A., Il rapporto tra <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> e medicina <strong>nella</strong> storia del pensiero, in LOBATO<br />

A., ( a cura di), Etica dell’atto medico, Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 1991: 100.<br />

24 Cfr. PAREYSON L., Karl Jaspers, Genova: Marietti, 1987.<br />

Medicina e Morale 2004/6<br />

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06-Carrasco-Pennacchini 23-12-2004 14:22 Pagina 1200<br />

I. CARRASCO DE PAULA / M. PENNACCHINI<br />

camente a Heidelberg, reagì affermando che “medici e psichiatri devono<br />

imparare a pensare”. “Pensare” significa per Jaspers oltrepassare<br />

la scissione soggetto/oggetto che consente agli oggetti di apparire<br />

nei limiti che il soggetto, nelle sue ipotesi anticipanti, ha preventivamente<br />

determinato”. 25 Insegnare ai medici e agli scienziati a<br />

pensare è compito della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>, giacché pensare oltre l’oggettività,<br />

ossia cogliere le cose oltre il loro darsi (come fa la scienza), nel loro<br />

rinviare a quella totalità che tutte le comprende, è l’operazione fondamentale<br />

della <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>.<br />

Parole chiave: Filosofia della medicina, positivismo, scienza.<br />

Key words: Philosophy of medicine, positivism, science.<br />

RIASSUNTO<br />

Nella concezione <strong>dei</strong> pensatori di epoca positivista la scienza è la sola<br />

forma di conoscenza possibile e il metodo della scienza è l'unico valido. I positivisti<br />

non ammettono, pertanto, il ricorso a cause o principi che non siano<br />

riconducibili al metodo della scienza poiché ritengono che questi non fanno<br />

progredire il cammino della conoscenza e li considerano una pericolosa ricaduta<br />

<strong>nella</strong> metafisica. Alla <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> spetta sostanzialmente un unico compito,<br />

quello di enunciare <strong>dei</strong> principi comuni alle varie scienze. Essa detiene la<br />

funzione di riunire e coordinare i risultati delle singole scienze, in modo da<br />

realizzare una conoscenza unificata e generale.<br />

Per contro Jaspers e Weizsäcker considerano la scienza e la <strong><strong>filosofi</strong>a</strong> come<br />

due distinte strade che conducono alla conoscenza. Essi volendo salvare<br />

i rapporti tra le due discipline si sono trovati <strong>nella</strong> necessità di collocarle su<br />

due piani distinti. Si tratta, tuttavia, di una distinzione di tipo contenutistico e<br />

metodologico che implica una conciliazione necessaria. E questo perché il limite<br />

fondamentale del sapere scientifico risiede proprio <strong>nella</strong> natura del suo<br />

procedimento metodologico. La scienza - vincolata dal suo metodo che le<br />

impone di attenersi alle oggettività ipoteticamente costruite - non giunge alla<br />

verità delle cose, bensì esclusivamente alla loro esattezza, ossia alla corrispondenza<br />

della loro oggettivazione con le ipotesi che l’hanno consentita.<br />

25 GALIMBERTI U., Esistenzialismo ed ermeneutica, in SEVERINO E. (a cura di), Filosofia.<br />

Storia del pensiero occidentale, vol. V, Roma: Armando Curcio, 1988: 1545.<br />

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Medicina e Morale 2004/6


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Pertanto, le scienze non conoscono il mondo, ma l’ordinamento del mondo<br />

da loro ipotizzato.<br />

Contro questa tendenza, Jaspers reagì affermando che gli scienziati devono<br />

imparare a pensare, e tale obiettivo pedagogico deve essere perseguito<br />

dalla <strong><strong>filosofi</strong>a</strong>.<br />

SUMMARY<br />

SCIENZA MEDICA E FILOSOFIA<br />

Medical science and philosophy in the reflection of existentialist philosophers.<br />

For positivist philosophers, science is the only possible form of knowledge<br />

and its method is the only valid. Therefore, positivists don’t admit the recourse<br />

to causes or principles that are not referable to scientific method. The<br />

enunciation of common principles of many sciences is philosophy’s only<br />

concern. Philosophy has this task: to collect and coordinate results of single<br />

sciences in order to realize a unified and general knowledge.<br />

On the contrary, K. Jaspers and V. von Weizsäcker considers science and<br />

philosophy as two distinct ways that lead to knowledge. They put the two disciplines<br />

on two distinct levels, for the salvation of relationship between<br />

them. But this is a distinction of the subject matter and method that needs a<br />

conciliation, because the fundamental limit of the scientific knowledge is just<br />

in the nature of its method. Science, limited by its method that imposes it to<br />

keep to the objectivity hypothetically built, doesn’t reach the truth of things,<br />

better its exactness. So sciences don’t know the world but the order of world<br />

supposed by them.<br />

Against this position, Jaspers reacted asserting that scientists must learn<br />

to think, and this pedagogical objective must be pursued by philosophy.<br />

Medicina e Morale 2004/6<br />

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