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“Che mare! E dove c’è un mare così?”. “Sembra vino” disse Nené.<br />

“Vino?” fece il professore perplesso. “Io non so questo bambino come<br />

veda i colori: come se ancora non li conoscesse. A voi sembra colore di<br />

vino, questo mare?”.<br />

“Non so: ma mi pare ci sia qualche vena rossastra” disse la ragazza.<br />

“L’ho sentito dire, o l’ho letto da qualche parte: il mare colore del<br />

vino” disse l’ingegnere.<br />

“Qualche poeta l’avrà magari scritto, ma io un mare colore del vino<br />

non l’ho mai visto” disse il professore; e a Nené spiegò “Vedi: qui sotto,<br />

vicino agli scogli, il mare è verde; più lontano è azzurro, azzurro cupo”.<br />

“A me sembra vino” disse il bambino, con sicurezza………<br />

(L. Sciascia, “Il mare colore del vino”, 1973)


Un mare di cose buone<br />

Finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare<br />

Realizzato dall’Area Marina Protetta “Capo Gallo – Isola delle Femmine”,<br />

Capitaneria di Porto- Guardia Costiera Palermo, Centro Studi Alias e Wilderness<br />

studi ambientali<br />

Coordinamento:<br />

Mara Mezzatesta (<strong>Natura</strong>lista, Centro Studi Alias)<br />

Testi:<br />

Paola Gianguzza (Biologo Marino, Dipartimento di Ecologia, Università di Palermo)<br />

Nunzia Oliva (Geologo, C.R.P.R., Assessorato B.B.C.C.A.A. e E.P. Regione Siciliana)<br />

Giuseppe Russo (Biologo, Specialista in Scienze dell’Alimentazione)<br />

Bruno Zava (Biologo <strong>Natura</strong>lista, Wilderness studi ambientali)<br />

Tutor: Pamela Berretta, Giovanna Polizzi<br />

Foto: Paola Gianguzza, Giovanna Polizzi, Ernesto Scevoli, Bruno Zava, Archivio<br />

AMP<br />

Progetto grafico: Giovanna Polizzi<br />

Hanno partecipato al Corso:<br />

Serena Allotta, Maria Palma Bella, Luciana Bellassai, Rosalba Berdicchia,<br />

Mariapina Di Mauro, Maria Lucia Germanà, Ugo Giambona, Rita Greco,<br />

Graziella Lazzara, Grazia Lombardo, Anna Maria Madonia, Patrizia Madonia,<br />

Diego Maggio,Patrizia Miceli, Delia Modisca, Giuseppina Montalbano, Maris Stella<br />

Pappalardo, Gaetano Parrovecchia, Antonella Passarello, Anna Ponzio, Caterina<br />

Sagona, Anna Maria Schillaci, Giuseppe Raffermati, Maria Santi Valerio, Giuseppe<br />

Viviano<br />

Si ringraziano:<br />

Ammiraglio (AU) Vincenzo Pace, C. F. (CP) Francesco Galipò


Premessa<br />

Dal 1991, anno della sua costituzione, il Centro studi Alias, lavora<br />

alacremente per il recupero, la difesa e lo sviluppo sostenibile di<br />

quell’area strategica e fondamentale per l’economia globale che<br />

è il bacino del Mediterraneo. Anche se gli ambiti di intervento<br />

negli anni sono stati diversi (ambiente, agricoltura, imprenditoria femminile,<br />

turismo etc), quello del “mare”, inteso come risorsa preziosa economica<br />

e culturale, è stato sempre al centro dell’attenzione nei progetti<br />

che il Centro Studi Alias ha portato aventi con successo.<br />

Ecco perchè, sensibile ai problemi delle coste siciliane e delle marinerie<br />

locali, si è proposto, all’ Area Marina Protetta “Capo Gallo-Isola<br />

delle Femmine”, per realizzare un intervento che puntasse l’attenzione<br />

sull’importanza della conoscenza dell’ecosistema marino e delle principali<br />

emergenze naturalistiche presenti nella stessa A.M.P.<br />

“Un mare di cose buone”, questo è il titolo scelto per l’intervento, è il risultato<br />

di un lavoro di collaborazione tra l’ente e alcuni professionisti del<br />

settore (biologi e naturalisti) che hanno fattivamente focalizzato la loro<br />

attenzione su una intensa attività di sensibilizzazione ed informazione<br />

finalizzate ad attivare un processo culturale, in una parte della<br />

popolazione locale che spesso adotta cattivi comportamenti ed<br />

acquisisce errati pregiudizi che vengono tramandati alle generazioni più<br />

giovani ostacolando quel processo naturale di rinnovamento culturale,<br />

in positivo, che potrebbe contribuire a migliorare l’ambiente naturale.<br />

In conclusione il Centro Studi Alias, attraverso la realizzazione di questo<br />

piccolo grande progetto, ha voluto sostenere e stimolare quel senso di<br />

appartenenza al territorio protetto in tutti i partecipanti (insegnanti, genitori<br />

e piccoli discenti) .<br />

Il progetto si concluderà il 9 Giugno 2009 in concomitanza con la<br />

Giornata mondiale degli oceani, con la presentazione dei lavori svolti e<br />

dei supporti didattici realizzati.<br />

Dott.ssa Mara Mezzatesta<br />

Centro Studi Alias


Prefazione<br />

La biologia marina è la scienza che osserva e studia i rapporti che intercorrono<br />

tra gli organismi viventi ed i principali parametri fisici, chimici<br />

e biologici che caratterizzano l’ecosistema marino.<br />

In questo processo gli organismi hanno un’influenza tra di loro e<br />

sull’ambiente in cui vivono. Allo stesso tempo le caratteristiche e le<br />

modificazioni ambientali influenzano la vita di tutti gli organismi.<br />

Da questa premessa appare evidente la vastità della materia e la difficoltà<br />

di comprendere a pieno la complessa ed intricata logica che regola i<br />

sistemi marini.<br />

E’ compito quindi di tutti gli addetti al settore, educare correttamente<br />

alla conoscenza dell’ecosistema marino soprattutto nell’ottica della sua<br />

protezione.


IL MARE<br />

Procuratevi un mappamondo, sedetevi e fatelo girare lentamente. Avete davanti a voi<br />

il pianeta terra, un pianeta unico per le sue caratteristiche, che sembra un’enorme<br />

arancia blu e quindi diverso anche cromaticamente dagli altri corpi del sistema solare.<br />

La terra si distingue per il fatto che il 97% della sua superficie è coperta da acqua, da<br />

uno strato noto come idrosfera. Il restante 3% costituisce i laghi, i fiumi, i ghiacciai ed<br />

il vapor acqueo presente nell’atmosfera.<br />

L’idrosfera raccoglie tutti quegli ambienti terrestri dove è presente l’acqua in tutte le<br />

sue forme (liquida, solida e gassosa). La maggior parte dell’acqua allo stato liquido<br />

si trova negli oceani, nelle acque sotterranee mentre; la forma solida (ghiaccio) si<br />

concentra nelle calotte polari. L’acqua presente nell’atmosfera, sotto forma di vapore<br />

acqueo, costituisce invece solo una minima parte della quantità totale.<br />

Ma questa piccola parte è la più importante ai fini del mantenimento del clima e del<br />

rifornimento delle falde sotterranee.<br />

L’idrosfera infatti non è immobile, è in continuo movimento (Fig. 1).<br />

In ogni istante il sole riscalda qualche porzione degli oceani o della terra ferma provocando<br />

una continua trasformazione dell’ acqua liquida in vapore. Il vapore, costituito<br />

da piccolissime gocce di acqua che formano le nuvole, salendo su nel cielo incontra<br />

correnti di aria fredda. In questo modo il vapore acqueo condensa formando masse<br />

d’aria fredda che unendosi danno origine alle nuvole. L’unione di più goccioline<br />

forma gocce più grosse e pesanti che cadono al suolo sotto forma, a seconda della<br />

temperatura esterna, di pioggia, di grandine o di neve. che, dopo una lunga e talvolta<br />

tortuosa corsa, finiscono negli oceani e nei mari dove tutto ricomincia…<br />

In defi nitiva: le nubi che brontolano, i ruscelli, i maestosi fiumi, i laghi, la bianca neve<br />

e l’azzurro mare sono composti dalla stessa acqua che muovendosi e trasformandosi<br />

dallo stato liquido a quello gassoso e/o solido da vita ad uno strabiliante ed eterno<br />

ciclo da cui dipende la vita sulla terra.


Fig. 1 - Ciclo dell’acqua L’acqua presente nei mari e nelle altre sorgenti viene<br />

riscaldata dal sole e si trasforma in vapore acqueo. Qui vengono in parte assorbiti<br />

dalle piante, in parte scorrono in superfi cie o nel sottosuolo, ritornando nel mare e<br />

ripetendo tutto il processo.


CARATTERISTICHE DELLE ACQUE MARINE<br />

LA SALINITÀ<br />

Come abbiamo già detto, le acque marine rappresentano il 97% di tutta l’acqua<br />

dell’idrosfera, coprono circa il 71% della superficie terrestre, e danno vita a tre grandi<br />

oceani: l’Oceano Pacifico, l’ Oceano Atlantico e l’ Oceano Indiano (Fig. 2).<br />

Fig. 2 - I tre grandi oceani: l’Oceano Pacifico, l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano.<br />

A questo punto ci domandiamo che differenza c’è tra un oceano ed un mare?<br />

Gli oceani sono grandi bacini che separano i continenti, raggiungono una profondità<br />

superiore ai 3 km e il fondo è formato da crosta oceanica. Di contro i mari, sono in<br />

qualche modo fisicamente separati dagli oceani, hanno profondità inferiore e il fondo<br />

è formato da crosta continentale. Secondo il tipo di separazione dagli oceani, i mari di<br />

dividono in: mari mediterranei o interni: separati da altri mari o da oceani tramite stretti<br />

(Mar Mediterraneo, Mar Nero, Mar Baltico); mari adiacenti o marginali: comunicano<br />

ampiamente con gli oceani da cui sono parzialmente separati da isole o arcipelaghi<br />

(Mar Cinese, Mar dei Carabi) oppure sono mari che si insinuano profondamente nelle<br />

terre emerse (Mare del Nord). In generale, gli oceani si raccolgono in bacini più piccoli<br />

chiamati mari, caratterizzati da acque meno profonde. Talvolta si insinuano nei<br />

continenti e risultano circondati in parte dalle terre emerse. I fondi oceanici possono<br />

raggiungere una profondità di 6.000 m. Le depressioni oltre i 6.000 m prendono il<br />

nome di fosse o abissi (es. la fossa delle Marianne).


Di seguito si riporta una tabella che riepiloga le profondità degli oceani:<br />

Oceano Profondità media (m) Profondità massima (m)<br />

Pacifico 4.270 11.521(Fossa delle Marianne)<br />

Atlantico 3.926 8.605 (Fossa di Milwaukee,<br />

vicino Puerto Rico)<br />

Indiano 3.890 7.450 (Fossa di Java)<br />

L’acqua di mare, a differenza di quella delle acque continentali (fiumi, laghi, lagune,<br />

paludi) è salata. La continua erosione delle coste, l’apporto fluviale ed il rimescolamento<br />

sul fondo hanno contribuito in maniera sostanziosa, nell’arco dei millenni, alla<br />

formazione dei sali nell’acqua di mare. Dato che tutti gli oceani ed i mari sono in collegamento<br />

ed in continuo movimento, la distribuzione percentuale dei sali è costante,<br />

mentre la loro concentrazione totale, cioè se un mare è più o meno salato, può variare<br />

essendo influenzata da vari fattori come l’evaporazione o l’apporto di acque dolci<br />

(piogge, fiumi, scioglimento dei ghiacci).<br />

La salinità equivale alla quantità di sali, espressa in grammi, contenuti in 1L di acqua.<br />

Varia da mare a mare, ma in media è di 35 g/L ossia è composta per 965 g su 1000 da<br />

acqua ed i restanti 35 da sali. I due elementi maggiormente presenti nell’acqua marina<br />

sono in cloro (simbolo chimico Cl) ed il sodio (simbolo Na) che insieme formano il<br />

cloruro di sodio NaCl noto a tutti come il sale da cucina. Oltre al cloruro di sodio, a<br />

mare sono presenti i sali di magnesio, il Cloruro di Magnesio e il Solfato di Magnesio<br />

(MgCl , MgSO ), che conferiscono all’acqua di mare un tipico sapore amaro. Questi<br />

2 4<br />

sali in realtà sono disciolti nell’acqua sotto forma di ioni liberi, ovvero sotto forma di<br />

atomi dotati di cariche elettriche positive, cationi (Na + , Mg + + , Ca + + , K + ), e di strutture<br />

dotate di carica negativa, anioni (Cl- - - - , SO , HCO3 ).<br />

4<br />

Tali ioni hanno principalmente due origini: da una parte sono generati dalla degradazione<br />

delle rocce emerse ad opera degli agenti atmosferici, dall’altra dai processi<br />

idrotermali e dalle emissioni vulcaniche sottomarine di gas e lave che avvengono soprattutto<br />

lungo le dorsali medio-oceaniche.


La salinità non è uguale in tutti i mari, ma varia nelle diverse regioni geografiche in<br />

funzione delle condizioni metereologiche, marine e le caratteristiche ambientali delle<br />

terre emerse che li circondano. Al variare della temperatura superficiale dell’acqua,<br />

di quella dell’aria e dell’intensità del vento, l’acqua di mare tende ad evaporare più o<br />

meno intensamente. In climi molto caldi e secchi la forte evaporazione fa aumentare<br />

la salinità superficiale. È il caso, ad esempio, del Mar Rosso, dove il clima arido delle<br />

zone circostanti e la scarsità di fiumi comportano una salinità media del 42%. Anche il<br />

Mediterraneo ha una situazione simile e la sua salinità media è del 37%.<br />

Nei mari molto freddi, in cui grandi masse d’acqua gelano durante l’inverno, si hanno<br />

aumenti di salinità perché la solidificazione in ghiaccio che interessa l’acqua esclude<br />

parzialmente i sali. Al contrario, dove vi è un notevole apporto di acque fluviali la<br />

salinità è più bassa, come ad esempio nel Mar Nero (17%) ma anche in molte lagune<br />

costiere dove le acque sono appunto dette salmastre.<br />

Eunicella cavolinii - Gorgonia gialla


LA TEMPERATURA<br />

La temperatura del mare varia in base all’irraggiamento solare che si registra durante<br />

l’anno; il sole riscalda la superficie dell’acqua ed il calore si trasmette agli strati più<br />

profondi. Generalmente la temperatura media delle acque superfi ciali degli oceani è<br />

di 15°C mentre se si considerano le acque più profonde la media scende a soli 3.5°C.<br />

Come abbiamo già detto, l’acqua superficiale si riscalda a contatto con l’atmosfera e<br />

sotto i raggi del sole, in profondità invece, si accumulano le acque fredde che, essendo<br />

più dense, sono più pesanti. Le acque abissali oceaniche di tutte le latitudini hanno<br />

temperature costanti e molto prossime allo zero, ma non congelano a causa delle elevate<br />

pressioni alle quali sono sottoposte. Le acque profonde del Mediterraneo, che in<br />

alcuni punti supera i 4000 m di profondità, hanno una particolarità in quanto presentano<br />

sempre valori di circa 12-13°C.<br />

La temperatura superficiale varia sostanzialmente con la latitudine e alle medie latitudini<br />

anche con le stagioni. Il Mediterraneo presenta delle stagioni in ritardo rispetto<br />

alla terraferma: l’estate si prolunga fino ad ottobre, mentre l’inverno sino ad<br />

aprile. Questo ritardo stagionale si verifica in quanto il mare si riscalda molto più lentamente<br />

che non l’aria, ed altrettanto lentamente cede questo calore ricevuto rendendo<br />

molto piacevole il clima delle regioni rivierasche nei mesi autunnali ed invernali.<br />

Alle medie latitudini, come nel caso del Mediterraneo, la temperatura delle acque superficiali<br />

è legata alle stagioni anche se l’elevata capacità termica dell’acqua fa si che<br />

la temperatura vari molto lentamente: in mare non si hanno le escursioni termiche a<br />

cui siamo abituati in atmosfera. In primavera soprattutto lungo le coste la temperatura<br />

dell’acqua inizia ad aumentare a partire dalla superficie grazie ai raggi solari.<br />

Si forma quindi uno strato superficiale via via più caldo e di spessore sempre maggiore<br />

mentre in profondità la temperatura rimane quasi costante. Si formano così due masse<br />

d’acqua separate da un termoclino estivo che impedisce lo scambio dei nutrienti e il<br />

passaggio degli organismi più piccoli da una zona all’altra. Il termoclino è un sottile<br />

strato (Fig. 3) in una grande massa d’acqua nel quale la temperatura diminuisce, in<br />

funzione della profondità, più velocemente rispetto ad altri strati. Al di sopra del termoclino<br />

lo strato si dice superficiale e la temperatura dell’acqua è maggiore.


Fig. 3 - Diagramma della temperatura<br />

In autunno le prime mareggiate rimescolano i due strati e la temperatura si uniforma<br />

rapidamente su tutta la colonna d’acqua. A questo punto inizia il raffreddamento delle<br />

acque superficiali e l’andamento si inverte (Fig. 4).<br />

Fig. 4 - Andamento delle masse di acque superficiali più calde che sprofondano<br />

a causa della differenza di T .<br />

Nel nostro Mediterraneo, al contrario che negli altri mari, la temperatura anche a<br />

profondità di 4000-5000 metri, non scende al di sotto dei 12-13 °C, questo perchè lo<br />

stretto di Gibilterra (tra Spagna e Africa Settentrionale, collegamento tra le fredde<br />

acque dell’Atlantico e quelle del Mediterraneo) forma una soglia alla profondità di<br />

circa 300 metri che lascia entrare le correnti calde superficiali e fa uscire con le correnti<br />

di fondo, le acque fredde.


Il controllo della T sugli organismi si spiega in quanto essa influenza diversi processi<br />

fisiologici (metabolismo, respirazione, crescita, riproduzione). Infatti, molti processi<br />

fisiologici si basano su reazioni chimiche che che vengono rallentate o accelerate da<br />

diminuzioni od aumenti rispettivamente di T (Regola di rispettivamente di T (Regola<br />

di van t’Hoff).<br />

E’ facilmente osservabile in ambiente marino che gli organismi migrino verticalmente<br />

per trovare la loro temperatura ottimale: ad esempio molte forme di invertebrati boreali<br />

(eostracodi e molluschi) a latitudini più basse vivono a maggiori profondità.<br />

Ma i pesci sentono freddo?<br />

Tutti i pesci e gli invertebrati marini sono a sangue freddo, ossia la loro temperatura<br />

è equilibrata a quella dell’ambiente in cui si trovano. I mammiferi marini invece sono<br />

omeotermi, ossia mantengono stabile la temperatura corporea, indipendentemente<br />

dalla temperatura dell’ambiente dove vivono, questo comporta particolari adattamenti<br />

per conservare il calore (per non sentire freddo) come ad esempio la presenza di uno<br />

spesso strato di grasso sottocutaneo e, per il motivo opposto, dei radiatori termici nelle<br />

pinne.


LA DENSITÀ<br />

L’acqua di mare per la sua composizione (35 parti di sali su 965 parti di acqua dolce)<br />

è più densa dell’atomosfera. Ciò determina nel mondo acquatico la minore esigenza<br />

funzionale di un apparato scheletrico o di analoghe strutture portanti (si confronti ad<br />

esempio la diversa capacità meccanica di sostegno dello scheletro in un pesce con<br />

quella di un mammifero, o di una pianta acquatica con quella di terrestre).<br />

La maggiore densità dell’acqua ha però anche degli aspetti negativi per quanto riguarda<br />

le possibilità di moto. La viscosità è di oltre cento volte maggiore nell’acqua che<br />

nell’aria, e quindi il dispendio energetico richiesto ad un organismo acquatico è molto<br />

superiore (si confronti anche qui il diverso rapporto che le masse muscolari assumono,<br />

rispetto al peso totale dell’organismo, in un pesce e in un organismo terrestre). E’<br />

questo anche il motivo per cui gli organismi che si muovono attivamente nell’acqua,<br />

o che vivono in presenza di correnti apprezzabili, devono necessariamente avere una<br />

forma idrodinamica molto spinta.<br />

I principali fattori che determinano la densità dell’acqua marina sono: la temperatura,<br />

la salinità ed in una certa misura la profondità la cui influenza si fa sentire in mare<br />

aperto o negli oceani. La densità delle acque è mediamente pari a 1,026 Kg/dm3.<br />

La densità non è uniforme ma aumenta con l’aumentare della salinità e diminuisce<br />

all’aumentare della temperatura. L’acqua più densa tende a stratificarsi in profondità,<br />

mentre l’acqua meno densa tende a mantenersi in superficie. Per capire praticamente<br />

che cosa è la densità e quale importanza riveste nei fenomeni marini, vediamo cosa<br />

accade al mutare della salinità e della temperatura.<br />

In acque con alti valori di salinità anche la densità sarà elevata, in quanto, in un certo<br />

volume d’acqua troveremo una maggiore concentrazione di sali; inoltre là dove si<br />

registrano basse temperature aumenterà la densità poiché le singole particelle d’acqua<br />

tendono ad addensarsi. E cosa succede all’acqua marina al mutare di densità e temperatura?


Durante la stagione invernale quando il mare si raffredda i valori di densità aumentano<br />

provocando uno sprofondamento delle acque superficiali che vengono a mescolarsi<br />

con quelle profonde, si viene a creare una condizione in cui l’acqua dalla superficie al<br />

fondo, ha la stessa temperatura (omotermia). Al contrario, nei mesi più caldi, l’acqua<br />

superficiale si riscalda maggiormente, restando meno densa in superficie e separata<br />

dall’acqua più fredda sottostante.<br />

Si registra quindi una stratificazione tra i due corpi idrici a temperatura differente:<br />

calda sopra e fredda sotto. I due corpi idrici sono separati da uno strato chiamato termoclino.<br />

Pachygrapsus marmoratus<br />

Granchio corridore


L’ACQUA COME SOLVENTE<br />

Tra le proprietà dell’acqua vi è quella di sciogliere i gas ed i minerali necessari alla<br />

vita. Essa è un ottimo solvente, infatti può sciogliere un numero di sostanze superiore<br />

a qualsiasi altro liquido. L’acqua assorbe due gas molto importanti: l’ossigeno (O 2 )<br />

e l’anidride carbonica (CO 2 ) . L’ossigeno serve alla respirazione mentre l’anidride<br />

carbonica è il materiale che gli organismi vegetali trasformano in zuccheri nel<br />

processo senza cui la vita sul nostro pianeta non potrebbe avere luogo: la fotosintesi<br />

clorofilliana.<br />

I gas atmosferici si sciolgono nel mare attraverso la superficie di contatto aria-acqua.<br />

La loro penetrazione nel mare dipende in maniera inversamente proporzionale dalla<br />

salinità: quando la salinità è molto elevata lo scioglimento dei gas si riduce. Lo stesso<br />

andamento si registra in funzione della temperatura: a basse temperature corrisponde<br />

una elevata penetrazione e viceversa.<br />

Un altro fattore da considerare è la turbolenza superficiale: tanto essa è maggiore,<br />

tanto più gas passa dall’atmosfera al mare; mari molto agitati permettono un grande<br />

passaggio di elementi gassosi dall’aria all’acqua e sono in linea di principio quelli più<br />

ossigenati e produttivi.<br />

Accenniamo ora brevemente a quei composti dell’azoto (simbolo chimico N) e del<br />

fosforo (simbolo chimico P) che vengono chiamati nutrienti e che rivestono una grande<br />

importanza per il ciclo della vita. I nutrienti sono sostanze inorganiche che derivano<br />

in parte dalla decomposizione della materia vivente, ed in parte vengono portate<br />

dalle acque continentali e/o dall’atmosfera. La qualità dei nutrienti varia da regione a<br />

regione, e da stagione a stagione. In relazione alla profondità i nutrienti sono in<br />

genere più abbondanti nelle acque profonde e presso i fondali. Vengono portati verso<br />

la superficie da correnti ascensionali o da upwelling, le zone superficiali così arricchite<br />

risultano essere le più redditizie dal punto di vista della pesca.


LA LUCE<br />

La penetrazione e la propagazione della luce nell’acqua di mare svolgono un importante<br />

ruolo per tutti i processi della vita. Abbiamo già parlato dell’energia luminosa<br />

come motore della fotosintesi clorofi lliana compiuta da tutti gli organismi dotati di<br />

clorofilla (alghe, piante e batteri). Ma vediamo cosa succede ad un raggio di luce che,<br />

attraversando l’aria, giunge sulla superficie liquida del mare. Il nostro raggio subirà un<br />

duplice fenomeno: una parte attraverserà la superficie marina diffondendosi (rifrazione),<br />

l’altra verrà riflessa come se il mare fosse uno specchio; ed è proprio questa<br />

riflessione che fa luccicare l’acqua (Fig. 5).<br />

Fig. 5 – Penetrazione di un raggio<br />

luminoso nelle acque marine.<br />

Quando il sole è alla massima altezza sull’orizzonte, noteremo che solo una<br />

piccolissima parte della luce verrà riflessa mentre la maggior parte si diffonderà<br />

nell’acqua; viceversa quando il sole è basso sull’orizzonte sarà la maggior parte<br />

della luce ad essere riflessa e solo pochissima riuscirà a penetrare sotto la superficie.<br />

Da queste semplici osservazioni potremo capire che il giorno subacqueo è più breve<br />

di quello subaereo. A mare l’attività di tutti le specie animali e vegetali ed i cicli<br />

biogeochimici sono regolati da questo fenomeno. La penetrazione della luce in<br />

profondità è massima in acque molto limpide, ed è parzialmente limitata quando sono<br />

presenti particelle di materiale sospeso.


Nel Mediterraneo, che ha acque abbastanza limpide, le radiazioni blu riescono a<br />

raggiungere la profondità di circa 400 mt, mentre quelle ancora utilizzabili per il<br />

processo di fotosintesi si arrestano a circa 150 mt., limite massimo di proliferazione<br />

della vita algale.<br />

In relazione alla luminosità dell’ambiente, il mare è suddiviso in tre zone (Fig. 6):<br />

eufotica (fortemente illuminata), olifotica o disfotica (fino a dove giunge la luce) e<br />

afotica (priva di luce).<br />

La luce infl uenza il mimetismo cromatico ed i periodi di caccia di molti organismi, i<br />

cicli giornalieri di migrazione verticale del plancton, i cicli riproduttivi e le migrazioni<br />

stagionali.<br />

Fig. 6 - Zonazione dell’ambiente marino in<br />

funzione della luce.<br />

A questo punto chiediamoci perché l’acqua di mare è blu!<br />

Se siete degli amanti del mare e delle immersioni avrete notato che già a 15<br />

metri i colori spariscono, come sopraffatti dal mare. Però, basta semplicemente<br />

accendere una torcia e i colori, come per magia, si riaccendono. Il primo che<br />

cercò di dare una spiegazione scientifica del fenomeno fu il fisico indiano<br />

Chandrasekhara Venkata Raman. Durante una traversata che dall’Inghilterra lo<br />

avrebbe portato alla terra natia, osservò che, anche con le onde e il cielo nuvoloso,<br />

il colore del mare, comunque, non cambiava. Formulò l’ipotesi che le molecole<br />

dell’acqua diffondessero la luce, dando così al mare il suo colore caratteristico.


Dopo due anni di studi, scoprì quello che tutt’oggi viene chiamato “effetto Raman”.<br />

Uno dei risultati certi della diffusione della luce nel mare, causata dalle particelle<br />

in sospensione nel liquido, è quello di far sparire le ombre già da pochi metri di<br />

profondità. Quello che realmente determina il colore del mare è il fenomeno<br />

dell’assorbimento. La luce del sole, o radiazione luminosa, è formata da onde<br />

elettromagnetiche che costituiscono il cosiddetto spettro elettromagnetico (Fig. 7).<br />

Fig. 7- Lo spettro elettromagnetico.


IL MARE ED I SUOI MOVIMENTI<br />

Se siamo su una spiaggia ad osservare l’immensa distesa blu del mare, noteremo<br />

che questa è in continuo movimento: onde, correnti, maree rimescolano senza sosta<br />

l’acqua trasportando le sostanze utili alla vita dei milioni di organismi animali e<br />

vegetali, distribuendo l’energia solare, la salinità e la temperatura ai vari strati. Le<br />

principali cause di movimento delle acque marine sono: il vento, le variazioni di<br />

densità e l’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna. Di conseguenza i moti delle<br />

acque marine si possono distinguere in: irregolari (moto ondoso), periodici (maree) e<br />

costanti (correnti). Ma torniamo al vento…<br />

Il vento è la sorgente, l’origine e la causa di quasi tutto il moto ondoso: sia la leggera<br />

increspatura prodotta dalla brezza, sia le onde sollevate da un forte vento, o i cavalloni<br />

prodotti dalle tempeste. L’altezza delle onde dipende dalla velocità del vento, dalla<br />

durata delle raffiche e dall’estensione della superficie marina interessata. In mare<br />

aperto i primi soffi di vento provocano leggere increspature, che si dirigono in tutte le<br />

direzioni. A mano a mano che le onde si uniscono, si alzano e diventano sempre più<br />

grandi diventando maretta per poi formare i cavalloni. I venti possono farsi sentire, nel<br />

mare aperto, fino ad una profondità massima di 150 metri. Questo processo implica un<br />

grande movimento, ma in realtà l’acqua non si sposta in avanti essa trasmette soltanto<br />

il movimento. Facciamo alcune utili osservazioni per capire come funziona il moto<br />

ondoso. In estate, quando le spighe di grano sono belle alte e dorate, si può osservare<br />

il loro movimento sotto il soffio del vento. Guardandole si ha l’impressione che delle<br />

vere e proprie onde si spostino alla superficie con un moto violento, anche se ogni<br />

spiga rimane radicata al terreno.<br />

Se ora ci spostiamo su un tratto di mare, osserveremo che un oggetto galleggiante sale<br />

e scende al passaggio di un’ onda, ma non si sposta mai lateralmente perché durante il<br />

moto ondoso viene trasmessa solo la forma dell’onda. Quindi l’acqua rimane ferma:<br />

le singole particelle d’acqua si muovono secondo un disegno circolare senza spostarsi<br />

dalla posizione originaria.


Il moto ondoso non si diffonde in profondità, anzi ad una certa profondità un<br />

sommergibile si muove tranquillamente anche se in superfi cie c’è una forte tempesta.<br />

In pratica il vento, soffiando sulla superficie del mare spinge in su e in giù le particelle di<br />

acqua. Questa oscillazione si trasmette alle particelle vicine e il movimento si propaga:<br />

come in tutti i fenomeni ondosi, un movimento iniziato in un punto si trasmette molto<br />

lontano, anche dove non c’è vento. Ecco perché è difficile avere assenza totale di<br />

onde nel mare. Bisogna inoltre notar che non sono le masse d’acqua che si spostano,<br />

come accade nelle correnti marine. Quello che si trasmette è l’oscillazione, e l’energia<br />

collegata.<br />

L’effetto del vento provoca anche un piccolo movimento rotatorio dell’acqua; così,<br />

quando si avvicina alla riva e risente dell’effetto del fondale, l’onda si deforma, si<br />

“arrotola” e ricade su se stessa, con grande gioia dei bambini... e dei campioni di surf!<br />

Il moto ondoso può coprire grandi distanze. Alcuni studiosi hanno seguito il destino<br />

di onde formatesi nelle regioni antartiche ed hanno scoperto che queste, dopo avere<br />

attraversato l’oceano pacifico, sono andate ad infrangersi sulle coste dell’Alaska,<br />

nell’estremo nord del continente americano. E’ quindi possibile osservare l’arrivo di<br />

onde sulla spiaggia anche se la giornata è serena e senza vento. Esse probabilmente<br />

provengono da lontano, da regioni dove le condizioni meteorologiche sono<br />

completamente diverse da quelle dove noi ci troviamo.


I moti periodici dovuti alle maree<br />

L’affascinante ritmo delle maree con il periodico avanzare e retrocedere del mare, ha<br />

destato l’interesse dell’uomo sin dai tempi antichi.<br />

Le maree sono variazioni periodiche del livello del mare generate dall’attrazione<br />

gravitazionale che i corpi celesti Terra, Luna e Sole esercitano l’uno sull’altro.<br />

La causa delle maree è quindi la forza di gravità. La Terra, la Luna e il Sole sono tutti<br />

dotati di attrazione gravitazionale, cioè la capacità di attirare verso il proprio centro,<br />

un qualunque corpo. Pensate all’esempio della pallina che si faceva a scuola: se lascio<br />

andare una pallina, cade perché viene attratta verso il centro della Terra. Questa è la<br />

forza di gravità.<br />

Ne deduciamo che se la Luna è in grado di attirare a sé le acque degli oceani, ciò accade<br />

perché la acque subiscono la sua forza gravitazionale. Anche la Terra, però, esercita<br />

la sua forza di attrazione verso il proprio centro, lo abbiamo visto con l’esempio della<br />

pallina che cade per terra. Perché mai, allora, il mare si solleva verso la Luna e non<br />

rimane fermo al suo posto? Perché la forza centrifuga di rotazione terrestre è una<br />

forza contraria alla forza di gravità, che spinge i corpi (in questo caso l’acqua) verso<br />

l’esterno. Ricordate come funziona la centrifuga di una lavatrice? I panni sono spinti<br />

all’infuori, verso il bordo, mentre il centro dell’oblò rimane vuoto. La stessa cosa<br />

accade con gli oceani. Il mare, quindi, si espone e viene attratto dalla forza di gravità<br />

lunare.


Osserviamo il ciclo delle maree nel grafico che segue:<br />

1 2 3 4<br />

Fig. 8 - Maree sigiziali e di quadratura.<br />

Luna nuova (situazione 1 Fig. 8). La Luna e il Sole, esercitando una forza di attrazione<br />

gravitazionale combinata, attirano verso la loro posizione le acque che vi sono esposte.<br />

Dalla parte opposta del pianeta accade il medesimo fenomeno, con la differenza che qui<br />

non è provocato dall’attrazione gravitazionale del Sole e della Luna, perché appunto,<br />

queste acque ne sono molto lontane. La forza che lo provoca è la forza centrifuga, che<br />

agendo più forte di quella gravitazionale, spinge queste acque verso l’esterno.<br />

Primo quarto (situazione 2 Fig. 8). L’attrazione gravitazionale sulle maree è maggiore<br />

verso la Luna rispetto al Sole. Il motivo è che la Luna, pur essendo più piccola del Sole, è<br />

anche 400 volte più vicina alla Terra di quest’ultimo. Ecco perché esercita attrazione<br />

maggiore.<br />

Luna piena (situazione 3 Fig. 8). Sia la forza gravitazionale del Sole, sia quella della<br />

Luna, si collocano agli opposti e si combinano alla forza centrifuga. Qui la dinamica<br />

delle maree assomiglia incredibilmente alla situazione che abbiamo incontrato di luna<br />

nuova, com’è evidente dal grafico.<br />

Ultimo quarto (situazione 4 Fig. 8). Anche qui, come nel primo quarto, la marea<br />

tende verso la Luna, piuttosto che verso il Sole. Il volume di acqua soggetto<br />

all’attrazione gravitazionale è però meno evidente, perché la forza della Luna e<br />

del Sole si sono parzialmente contrapposte e quindi anche parzialmente annullate.


Il primo caso e il terzo, quelli con attrazione gravitazionale più evidente,<br />

prendono il nome di: marea sigiziale, perché si evidenzia che l’acqua attirata dal<br />

Sole e dalla Luna, ha un’estensione maggiore. Il secondo caso e il quarto, dove<br />

l’attrazione gravitazionale è minore, prendono il nome di: marea di quadratura,<br />

perché come abbiamo visto, si verificano al primo e all’ultimo quarto di Luna.<br />

La marea si solleva fino a due volte al giorno. Con la luna nuova o la luna<br />

piena, accade che la marea s’innalza da una a due volte nell’arco delle 24 ore,<br />

raggiungendo in questi momenti del giorno il suo punto massimo: in una sarà<br />

esposta alla Luna, nell’altra si troverà dalla parte opposta. Da un giorno all’altro,<br />

però, quel punto massimo d’innalzamento non si presenterà alla stessa ora, perché<br />

ogni giorno, la rotazione della luna guadagna 50 minuti sulla rotazione della Terra.<br />

Vuol dire che anche le maree slittano di 50 minuti rispetto al giorno precedente.<br />

Ci sono anche altre cause, tuttavia, oltre all’attrazione gravitazionale, che influiscono<br />

sulle maree. Ogni marea, infatti, deriva da una serie di combinazioni ambientali non<br />

solo gravitazionali.<br />

Ad esempio l’attrito delle acque col fondale aiuta l’attrazione dell’acqua verso la Luna.<br />

Oppure, in altri casi, interviene l’effetto Coriolis, ma questa è un’altra storia che<br />

riguarda l’azione dei venti sugli oceani.<br />

Le escursioni massime si hanno durante le sizigie, ovvero quando Terra, Luna e Sole<br />

si allineano fra loro. In generale si nota che l’ampiezza di marea va aumentando a<br />

partire dal primo giorno dopo il primo e l’ultimo quarto di luna, fino ad un<br />

massimo coincidente con il primo giorno dopo la luna piena e la luna nuova.<br />

A complicare il tutto poi ci pensano la morfologia delle coste, con i golfi gli stretti ed i<br />

canali e il differente profilo ed estensione della piattaforma continentale, che possono<br />

accentuare o deprimere notevolmente l’escursione delle maree.<br />

Le più incisive che si conoscano sono quelle della baia di Fundy nella Nuova Scozia,<br />

che possono raggiungere una quindicina di metri di dislivello, mentre lungo le coste<br />

italiane generalmente le escursioni non superano il metro.


Le maree condizionano soprattutto la vita degli organismi che vivono nella fascia<br />

compresa fra i livelli dell’alta e della bassa marea (mesolitorale) e subito al di sopra<br />

delle alte maree (sopralitorale).<br />

Questi organismi sono esposti ad emersioni prolungate dalle quali si difendono grazie<br />

a gusci protettivi che impediscono la disidratazione. Fra gli esempi più famosi per il<br />

Mediterraneo vi sono i gasteropodi Littorina e Patella e i crostacei Ctamali.<br />

I moti di marea possono dare origine a forti correnti in prossimità di stretti o canali<br />

che, grazie al trasporto di alimenti, di gameti, larve e spore, favoriscono enormemente<br />

lo sviluppo di tutti gli organismi bentonici sessili e filtratori. In alcune zone però<br />

queste correnti possono essere tanto impetuose da richiedere ai subacquei un’attenta<br />

programmazione dell’orario di immersione. Un esempio per tutti è lo stretto di<br />

Messina, le cui acque sono tanto ricche di vita quanto insidiose per gli sprovveduti.<br />

È importante ricordare che per gli usi nautici e diportistici vengono annualmente<br />

pubblicate, a cura della Istituto Idrografico della Marina, le Tavole di Marea che con<br />

semplici calcoli permettono un’ottima previsione per le zone prossime ai porti italiani<br />

e a quelli principali del Mediterraneo.


LE CORRENTI<br />

Le correnti hanno una notevole importanza biologica perché oltre a condizionare<br />

e ad essere condizionate dalla distribuzione dei parametri chimico-fisici<br />

(temperatura, salinità, densità, ecc.) assicurano il ricambio dell’acqua, l’apporto<br />

di nutrienti ai vegetali e di cibo agli animali sospensivori. Le correnti svolgono<br />

anche un ruolo fondamentale nella riproduzione e distribuzione geografica delle<br />

specie trasportando i gameti, le spore, le larve e le fasi giovanili di molte specie.<br />

Una delle principali cause della formazione di correnti è la differenza di densità.<br />

Infatti le acque più dense e quindi più pesanti tendono a sprofondare e a disporsi<br />

sotto quelle meno dense. Quindi se fra le masse d’acqua di due bacini comunicanti<br />

vi sono differenze di densità queste masse si muoveranno l’una verso l’altra fino<br />

a distribuirsi sull’intera superficie, una sopra e l’altra sotto. I due tipi di acque<br />

tenderanno comunque a rimanere distinti e il rimescolamento sarà minimo.<br />

Queste differenze di densità sono legate a due parametri già visti: la temperatura e<br />

la salinità. È noto infatti che la densità decresce con l’aumentare della temperatura<br />

e aumenta con l’aumentare dei sali disciolti. La temperatura fondamentalmente<br />

varia con la latitudine, la salinità invece dipende dall’evaporazione, dalla piovosità<br />

e dall’apporto dei fiumi. Queste differenze si osservano sia fra bacini distinti<br />

comunicanti per mezzo di “stretti” sia all’interno dello stesso bacino e i moti<br />

orizzontali e verticali che ne derivano vengono indicati come circolazione termoalina.<br />

Un esempio aiuterà a comprendere il fenomeno. Nel Mediterraneo orientale la<br />

forte evaporazione, non bilanciata da un sufficiente apporto d’acque dolci, causa<br />

un innalzamento della salinità e l’acqua diventa più densa e tende a sprofondare.<br />

In questo modo vengono richiamate, attraverso lo Stretto di Gibilterra, le<br />

acque superficiali, meno dense, dell’Oceano Atlantico. Le acque dense del<br />

Mediterraneo invece tornano in Atlantico passando sotto alla corrente in entrata.


Una volta in movimento, la massa d’acqua verrà deviata nel suo percorso dalla<br />

forza di Coriolis. Questa è una forza apparente, causata dalla rotazione del Pianeta<br />

su se stesso ed è proporzionale alla velocità del moto. Nell’emisfero boreale tale<br />

forza provoca una deviazione verso destra della direzione di avanzamento viceversa<br />

nell’emisfero australe verso sinistra. All’equatore la forza di Coriolis è nulla.<br />

A causa di questa deviazione le correnti dell’Oceano Atlantico centrale formano, ad<br />

esempio, una circolazione oraria (anticiclonica). Le acque possono essere mosse anche<br />

dal vento che genera attrito sulla superfi cie del mare producendo le cosiddette correnti<br />

di deriva. Anche in questo caso la forza di Coriolis devia verso destra (nell’emisfero<br />

boreale) la direzione della corrente rispetto a quella del vento che l’ha generata.<br />

L’effetto del vento in prossimità delle coste provoca anche particolari correnti verticali.<br />

Infatti quando il vento spira tendenzialmente verso costa l’acqua, incontrando la riva,<br />

tende a sprofondare (downwelling); al contrario se il vento spira da terra lo strato d’acqua<br />

superficiale, spostato verso il largo, richiama le acque di profondità (upwelling; Fig.<br />

9). Quest’ultime sono spesso ricche di nutrienti e favoriscono un notevole sviluppo<br />

del plancton vegetale. Il caso più famoso è quello delle pescosissime coste del Cile e<br />

del Perù dove i venti Alisei, provenienti da Sud - Est, creano un costante upwelling.<br />

In ultima analisi il vero motore delle correnti è sempre il sole: agendo in modo<br />

differenziato sulla superfi cie terrestre e sui mari, alle diverse latitudini e nelle diverse<br />

stagioni, determina sia la circolazione termoalina dei mari che la circolazione<br />

atmosferica (venti) che, a sua volta, agisce sulla superficie marina. È da notare che le<br />

correnti, trasportando con le acque il calore in esse racchiuso, determinano a loro volta<br />

importanti effetti sul clima. Le correnti sono provocate dall’azione dei venti costanti,<br />

o da differenze di densità. A seconda della loro direzione le correnti si distinguono<br />

in orizzontali (superficiali o profonde) e verticali (ascendenti e discendenti), le quali<br />

fungono da collegamento tra le correnti superficiali e profonde. Le correnti superficiali<br />

sono alimentate dai venti costanti, soprattutto quelli della fascia intertropicale:<br />

i venti alisei.


Fig. 9 - Relazione tra direzione del vento e corrente superfi ciale e di fondo<br />

Esse vengono poi deviate dalla rotazione terrestre (forza di Coriolis) e dall’ostacolo<br />

dei continenti, formando così dei circuiti chiusi. La forza di Coriolis agisce deviando<br />

le correnti verso destra nell’emisfero settentrionale e verso sinistra nell’emisfero<br />

meridionale; pertanto, i circuiti delle correnti ruotano in senso orario nell’emisfero<br />

settentrionale ed in senso antiorario nell’emisfero meridionale.<br />

Le correnti, se provengono dalle alte latitudini saranno fredde, se provengono dalle<br />

basse latitudini saranno calde. Le correnti superficiali hanno importanti effetti sul<br />

clima delle regioni che lambiscono (per esempio la Corrente del Golfo) e permettono<br />

di trasferire calore dalle basse alle alte latitudini. Le correnti oceaniche profonde sono<br />

generate dalle acque fredde e salate dei poli che per la loro densità sprofondano verso<br />

i fondali oceanici e poi scorrono orizzontalmente verso l’equatore.<br />

Un’altra corrente mediamente profonda è la corrente del Mediterraneo. In<br />

corrispondenza dello Stretto di Gibilterra, si incontrano acque a diversa salinità: le<br />

acque del mediterraneo, più salate e più dense, scendono in profondità, mentre le<br />

acque dell’Atlantico formano una corrente di superficie.


I FONDALI MARINI<br />

L’Africa, l’America, l’Asia, l’Oceania e l’Europa sono i continenti. Questi,<br />

circondati dal mare, sembrano grosse zattere di terra sospese su di un liquido azzurro.<br />

Tantissimi milioni di anni fa, in un periodo chiamato Cambriano (570 - 510 milioni<br />

a.c.) esisteva un unico supercontinente battezzato Pangea (tutta terra) ed un unico<br />

superoceano, Panthalassa (tutto mare). Secondo la teoria della Deriva dei Continenti,<br />

formulata dal geologo tedesco Alfred Wegener nel 1912, 200.000.000 di anni fa<br />

questo supercontinente incominciò a frammentarsi in due grossi continenti chiamati<br />

Laurasia e Gondwana. Ulteriori frammentazioni si sono succedute fino alla<br />

conformazione attuale del pianeta. Lo scienziato tedesco era rimasto colpito dalla<br />

complementarietà dei bordi dell’Africa e del Sud America e dalla concordanza di<br />

strutture geologiche e composizione delle rocce tra continenti ora separati. Wegener<br />

non seppe dare una spiegazione sul meccanismo di spostamento dei continenti né<br />

disponeva di strumenti in grado di provare la veridicità della sua teoria, che venne<br />

presto abbandonata. Soltanto negli Anni ’50 ripresero le ricerche scientifi che, dotate<br />

di nuovi strumenti che portarono all’elaborazione della teoria delle tettonica a placche,<br />

la quale fornisce valide prove per la teoria della deriva dei continenti. Ci sono diverse<br />

prove che dimostrano che teoria della deriva dei continenti è vera:<br />

1. La prova del puzzle: le coste dei continenti combaciano tra di loro e si potrebbero<br />

unire come in un grande puzzle;<br />

2. La prova delle rocce: le rocce che si trovano lungo la costa occidentale dell’ Africa<br />

sono uguali a quelle della costa orientale dell’America del sud;<br />

3. La prova vivente: i fossili di una felce e del rettile mesosauro si trovano in fasce che<br />

attraversano i continenti;<br />

4. La prova di velocità: anche adesso l’America si allontana dall’Africa e dall’ Europa<br />

con una velocità di circa 2 cm. ogni anno.


Come avrete facilmente intuito i continenti non finiscono dove comincia il mare, non<br />

sono delle zattere sospinte dal vento, sono delle porzioni terrestri unite tra di loro.<br />

Sotto la superficie del mare si stendono le pianure, si ergono montagne, seguite da<br />

vallate, vere e proprie regioni abitate da milioni di organismi marini. La morfologia<br />

del fondale marino non è regolare, esistono regioni caratteristiche che danno vita<br />

ad ambienti particolari. Partendo dalla linea di costa dove finiscono le terre emerse,<br />

vengono distinte essenzialmente: la piattaforma continentale, la scarpata continentale<br />

ed il piano adale.<br />

Paramuricea clavata - Gorgonia rossa


La piattaforma continentale<br />

E’ la zona più soggetta all’azione esterna (moto ondoso, apporti fluviali, etc) per la<br />

sua relativa vicinanza con le terre emerse. Generalmente il suo confine raggiunge la<br />

profondità dei 200 metri (Fig. 10). La piattaforma si può protendere pochissimo oltre<br />

la linea di costa (coste cilene, algerine), oppure estendersi per centinaia di chilometri<br />

(Terranova, Patagonia). La piattaforma, come dice il nome stesso, è praticamente<br />

una pianura con pendenza modesta (circa 1%) su cui si accumula la maggior parte<br />

del materiale trasportato dalle acque fluviali. Le acque che ricoprono questa regione<br />

hanno temperatura e salinità variabile. La piattaforma, detta anche platea continentale,<br />

è una porzione di fondale marino particolarmente importante in quanto, cingendo le<br />

masse continentali ed estendendosi dalla costa verso il largo, è caratterizzata dalla<br />

presenza della luce e quindi da produzioni primarie bentoniche oltre che planctoniche.<br />

La capacità produttiva di questa area è quindi più elevata, e conseguentemente più<br />

elevate sono anche, ad esempio, le risorse ittiche utilizzabili da parte dell’uomo.<br />

Fig. 10 - Schematizzazione di un profilo marino in cui<br />

si riconoscono 3 zone fondamentali: 1) piattaforma 2)<br />

scarpata continentale e 3) piano batiale.


La scarpata continentale<br />

Ha inizio dove termina la piattaforma continentale (-200 m) e prosegue fino a 3.000<br />

- 4.000 m di profondità per terminare in corrispondenza delle piane abissali con una<br />

pendenza del fondale che può arrivare fino a 10° (Fig.11).<br />

La scarpata è spesso solcata da profondi canyons ed il materiale che è deposto al<br />

limite della piattaforma tende scivolare lungo la forte pendenza della scarpata,<br />

provocando delle correnti imponenti che raggiungono il fondo chiamate<br />

correnti di torbida. I sedimenti della scarpata sono essenzialmente fanghi e silt,<br />

derivanti dai processi di erosione delle terre emerse, che vengono trasportati<br />

attraverso la piattaforma, per poi venire deposti oltre il margine di quest’ultima.<br />

Fig. 11 - Schematizzazione della scarpata continentale.


Il piano batiale<br />

Terminata la scarpata si aprono le pianure abissali. Ad una profondità compresa tra i<br />

2000 ed i 5000 metri, si trova il piano adale che occupa l’83% dei fondi oceanici. In esso<br />

vaste regioni spesso levigate e piatte ricevono il materiale che proviene dalla scarpata.<br />

Di tanto in tanto le pianure abissali sono interrotte da vette, vere e proprie montagne<br />

che possono presentarsi sia come monti isolati e sommersi o come cime emergenti<br />

dall’acqua (isole di Capo Verde). Possono emergere isole vulcaniche talvolta in<br />

attività (es. le Hawaii), e talvolta estinte e coperte quasi completamente da barriere<br />

coralline (es. gli atolli dell’Oceano Pacifico). Su fondo regna il buio perenne,<br />

scompaiono gli organismi vegetali e nonostante queste condizioni la vita procede.<br />

Gli animali si sono adattati al buio diventando spesso bioluminescenti, cioè in grado<br />

di produrre la luce, ed hanno imparato a convivere con le elevate pressioni e le basse<br />

temperature degli abissi.<br />

Al centro della piana abissale si estende la dorsale medio-oceanica, una grande catena<br />

montuosa sommersa che si prolunga attraverso tutti gli oceani e che in alcuni punti<br />

si innalza anche di 4000-5000 m dalle piane abissali fino ad emergere con isole<br />

vulcaniche in mezzo agli oceani( es. Islanda, Azzorre e varie isole dell’Atlantico).


IL PLANCTON<br />

IL BIOTA MARINO<br />

Il termine “plancton” deriva dal greco e significa “vagante”, ed è comprensivo di molti<br />

gruppi di esseri viventi e di particelle di varia natura.<br />

Generalmente, con questo termine si indica l’insieme degli organismi che vivono in<br />

sospensione nel mezzo acqueo incapaci di vincere, con movimenti propri, i moti del<br />

mare (correnti, onde, ecc.) e che pertanto vengono da questi trasportati passivamente.<br />

Questo non implica però che tutti gli organismi del plancton non siano in grado di<br />

eseguire, su piccola o media scala, movimenti di locomozione o spostamenti verticali<br />

nella colonna d’acqua…pensiamo al contrarsi del cappello di una medusa che questa<br />

usa per spostarsi lungo la colonna d’acqua.<br />

In base al posto occupato nella catena alimentare il plancton può essere suddiviso in<br />

fitoplancton (organismi vegetali, soprattutto alghe azzurre, diatomee, xantoficee, dinoflagellati),<br />

zooplancton (organismi animali, tipo protozoi, larve di crostacei, meduse,<br />

tunicati, spugne, anellidi, ecc.) e batterio plancton (batteri eterotrofi).<br />

Se consideriamo come criterio di classificazione il tempo che le specie trascorrono<br />

nella vita planctonica, possiamo parlare di olo, mero e tico-plancton. Avremo quindi<br />

un oloplancton, composto da quei organismi che trascorrono tutta la loro vita nella<br />

colonna d’acqua, e un meroplancton, composto da organismi (uova, stadi larvali e<br />

giovanili, spore o gameti) che passano una parte più o meno breve del loro ciclo vitale<br />

nella colonna d’acqua ma sono bentonici o nectonici da adulti.<br />

Il ticoplancton è formato da piccoli animali, principalmente bentonici, che rimangono<br />

sospesi nella colonna d’acqua a causa di correnti, comportamenti specifici, o altri meccanismi<br />

di adattamento.


Fig. 12 - Tre esempi di oloplancton Chironex sp., Beroe sp. ed il mollusco Glaucus<br />

atlanticus.<br />

Appartengono quindi all’oloplancton gli organismi che compiono tutto il loro ciclo<br />

vitale nell’ambiente pelagico e che possiamo distinguere ulteriormente uno protozooplancton,<br />

composto da microscopici animali unicellulari eterotrofi e un metazooplancton,<br />

composto da organismi pluricellulari animali. Il meroplancton è composto da organismi<br />

che temporaneamente fanno parte del plancton. Molti invertebrati bentonici o<br />

organismi del necton hanno larve che nuotano in acqua libera per un periodo di tempo<br />

variabile prima di insediarsi sul substrato ed effettuare la metamorfosi o di trasformarsi<br />

in specie del necton.<br />

In molti gruppi animali lo sviluppo passa attraverso un numero variabile di stadi larvali<br />

e, normalmente, la larva è in grado di ritardare la metamorfosi finale e l’insediamento<br />

fino a che non trova che le condizioni adatte.<br />

Gli animali che producono questo tipo di larva generalmente producono un grande<br />

numero di uova, con il vantaggio di aumentare le possibilità di sopravvivenza e di<br />

dispersione, ma anche con lo svantaggio di dipendere dal plancton per la loro alimentazione<br />

e di aumentare le possibilità di essere predate. Un classico esempio di larva di<br />

questo tipo è quella del mitilo (Mytilus): in questa specie i sessi sono separati e gli animali<br />

rilasciano uova e spermi nell’acqua; entro una decina di ore dalla fertilizzazione<br />

le larve sono completamente ciliate e sono forti nuotatrici. Entro 5-7 giorni si sviluppa<br />

una larva veliger in grado di alimentarsi. Normalmente la vita larvale è di circa 4 – 5<br />

settimane.


Se consideriamo il plancton in base al tipo di habitat occupato (Fig. 13) possiamo<br />

parlare di plancton neritico (che risiede prevalentemente nella provincia neritica);<br />

plancton oceanico (che risiede prevalentemente nella provincia oceanica); plancton<br />

epipelagico (che vive prevalentemente entro i 200 m di profondità) e mesopelagico<br />

(che vive prevalentemente tra i 200 m ed i 1000 m di profondità). Fanno infine parte<br />

del neuston tutti quegli organismi del plancton che vivono nell’interfaccia acqua-aria<br />

Fig. 13 - Raffigurazione del sistema pelagico e bentonico.<br />

Da un punto di vista funzionale nel plancton si distinguono, tradizionalmente, gli<br />

organismi autotrofi (fitoplancton) e quelli autotrofi (zooplancton e mixoplancton).


Fig. 14 - Visione d’insieme del plancton<br />

Il fitoplancton è composto da organismi a metabolismo autotrofo, protisti e vegetali,<br />

generalmente unicellulari o catene di cellule, dotati o meno di organi locomotori quali<br />

flagelli. Il loro movimento nell’acqua è completamente controllato dalla circolazione<br />

delle acque e dalla densità dell’organismo stesso.<br />

La maggior parte dei vegetali marini è rappresentata proprio da questi organismi<br />

unicellulari o coloniali microscopici e, analogamente all’ambiente terrestre, anche<br />

nell’ambiente marino la vita dipende dalla fotosintesi da essi effettuata. La fotosintesi<br />

è, in estrema sintesi, il processo che utilizza l’energia del sole per trasformare il<br />

biossido di carbonio in carboidrati, con liberazione di ossigeno.<br />

La fotosintesi è compiuta dagli organismi autotrofi. I carboidrati e l’ossigeno prodotti<br />

sono utilizzati per le funzioni vitali dei vegetali (accrescimento, riproduzione). Gli<br />

organismi che non sono in grado di utilizzare l’energia del sole e che ottengono la loro<br />

energia consumando organismi sia autotrofi che no, sono detti eterotrofi.


Fitoplancton e zooplancton: i primi anelli della catena alimentare a mare<br />

Fig. 15 - La piramide alimentare.<br />

In questa piramide (Fig. 15) si schematizza la catena alimentare legata all’ambiente<br />

marino. La base della piramide raffigura gli organismi presenti in numero maggiore<br />

in natura, mentre man mano che si procede verso l’alto, gli animali rappresentati sono<br />

via via più complessi, ma anche di disponibilità più limitata.<br />

Alla base della piramide, c’è il primo anello: gli organismi autotrofi del fitoplancton,<br />

che mediante fotosintesi, si auto-nutrono, fabbricandosi autonomamente il cibo.<br />

Il secondo anello, individuabile come il penultimo grado della piramide, rappresenta i<br />

minuscoli organismi dello zooplancton. Si tratta di animali molto piccoli, ma anche di<br />

ammassi di uova e forme larvali di altri pesci che da adulti hanno dimensioni maggiori.<br />

Questi piccoli animaletti si nutrono di fitoplancton.


Il terzo anello è meno densamente popolato degli altri due, ma ha anche una<br />

mobilità minore e meno rapida. E’ popolato da adulti appartenenti a specie di piccole<br />

dimensioni, oppure da forme giovanili di pesci più grossi. Per ogni chilogrammo di<br />

loro, ne occorrono 100 di plancton per sfamarli. Gli animali acquatici del quarto anello,<br />

hanno bisogno di quantità maggiori di nutrimento, poiché vi appartengono organismi<br />

decisamente più grossi e longevi. Il loro numero è di gran lunga minore rispetto ai<br />

precedenti perché la quantità di cibo che hanno a disposizione nell’oceano (costituita<br />

dagli organismi che compaiono nei livelli sottostanti della piramide), è più limitata.<br />

Al quinto anello (che corrisponde anche al secondo grado della piramide), appartengono<br />

gli animali acquatici più complessi e di dimensioni maggiori: i mammiferi e i pesci<br />

più grandi e voraci. Appartengono a questo anello pinnipedi, sirenidi, cetacei, squali<br />

e tonni.<br />

Nel sesto anello, quello al vertice della piramide: l’uomo, che sfrutta anche le risorse<br />

date dal quinto anello.<br />

Il ciclo ricomincia quando i batteri in mare aperto liberano i composti chimici contenuti<br />

nella materia organica, che sarà, a sua volta, trasformata in fi toplancton dalle alghe.<br />

Anche gli animali più grossi contribuiscono a fare in modo che il ciclo vitale ricominci,<br />

poiché essi non solo si nutrono di animali più piccoli, ma quando muoiono, diventano<br />

a loro volta, preda di alcuni piccoli divoratori di carogne.<br />

I gruppi principali che costituiscono il fitoplancton sono Diatomee, Dinoflagellati,<br />

Coccolitoforidi, Cianoficee.


Le Diatomee, spesso dominanti in acque superficiali temperate e alle alte latitudini,<br />

sono unicellulari e le loro dimensioni variano da 2 a 1000 µm. Le diatomee sono<br />

caratterizzate dalla presenza di un rivestimento siliceo esterno a doppia valva, detto<br />

frustulo, alcune formano catene. Con la caduta dei frustuli sul fondo si originano i fanghi<br />

a Diatomee. Le diatomee sono costituite da gel di silice idratata, del tipo dell’opale, che<br />

le rende dure e resistenti come il vetro e che costituisce la struttura della membrana avvolgendo<br />

il protoplasma con le due teche, in modo simile a una capsula di Petri. Le valve<br />

sono scolpite in modo incredibilmente vario, con linee, reticolati, fossette, verruche, ecc.<br />

I Dinoflagellati sono principalmente unicellulari, mobili, con due flagelli a frusta<br />

utilizzati per la propulsione in acqua. Possono essere autotrofi , eterotrofi, parassiti<br />

o simbionti (con zooxantelle). Spesso sono responsabili di vere e proprie esplosioni<br />

nel numero di individui di una o due specie (blooms). I Coccolitoforidi sono piccole<br />

alghe unicellulari (< 20 µm) dotate di placche esterne calcaree. Sono abbondanti nelle<br />

luminose acque tropicali; si accumulano nei sedimenti e danno origine a marmi.<br />

Le Silicoflagellate hanno uno scheletro interno di spicole silicee e dimensioni di 10-<br />

250 µm. Sono abbondanti nelle acque piu fredde.


I Coccolitoforidi sono protisti ad affinità vegetale noti sin dal Giurassico. Sono organismi<br />

unicellulari con uno scheletro di calcite. Le loro dimensioni sono comprese tra<br />

2 e 100 µm. I Coccolitoforidi sono racchiusi in un guscio più o meno sferico, la coccosfera,<br />

costituito da minuscole placchette calcaree dette coccoliti. Queste placchette,<br />

che nei viventi sono tenute insieme da una membrana sottilissima, possono essere<br />

perforate o imperforate. Dopo la morte dell’organismo si ha di solito il disfacimento<br />

della coccosfera e le varie placchette si disperdono sul fondo. Per questo motivo, nei<br />

sedimenti e nelle rocce vengono di norma ritrovati coccoliti isolati e solo occasionalmente<br />

è possibile trovare qualche coccosfera completa.<br />

Le Cianoficee sono alghe blu-verdi, frequentemente coloniali, filamentose.<br />

Lo zooplancton<br />

Gli organismi dello zooplancton hanno metabolismo eterotrofo, variano da semplici<br />

organismi unicellulari alle larve di pesci, sono capaci di piccoli movimenti, ma sono<br />

le correnti marine e le turbolenze dell’acqua a determinarne i principali movimenti.<br />

Alcuni organismi del plancton non rientrano però in nessuna di queste due classificazioni:<br />

alcuni protisti e batteri per esempio, possono essere fotosintetici, altri protisti<br />

e batteri possono essere eterotrofi. Questi organismi erano chiamati mixoplancton.<br />

Le classificazioni più recenti dello zooplancton utilizzano criteri funzionali, dimensionali<br />

(includendo così organismi appartenenti a gruppi sistematici diversi) e strutturali<br />

(con una classificazione di tipo tassonomica). Una prima classificazione può<br />

essere così fatta in base alla sua distribuzione spaziale, in un plancton che predilige le<br />

acque costiere (plancton neritico) o le acque del largo (plancton pelagico), anche se le<br />

correnti e altri movimenti del mare possono alterare tale modello. In base alla profondità<br />

che esso occupa nella colonna d’acqua, il plancton può essere ulteriormente diviso<br />

in pleuston (animali che abitano la superfi cie del mare, il loro trasporto è determinato<br />

principalmente dal vento), neuston (specie che vivono subito al di sotto della superficie,<br />

entro i primi mm di profondità), epipelagico (specie che vivono nella zona tra la<br />

superficie e i 200 m di profondità) e mesopelagico (al di sotto dei 200 m e fino a 1000<br />

m, dove vivono forme molto particolari di plancton.


Oltre questa profondità ritroviamo gli organismi del plancton profondo, della zona<br />

batipelagica (fino a 3000-4000 m), della abissopelagica (fino a 6000 m) e della adopelagica.<br />

Le correnti profonde e le onde possono anche trasferire organismi generalmente<br />

bentonici per le loro funzioni trofi che (anfipodi, isopodi, misidacei) nella colonna<br />

d’acqua; essi sono chiamati picoplancton.<br />

Da un punto di vista funzionale, gli organismi dello zooplancton possono essere<br />

distinti in quattro grandi gruppi in base alle loro funzioni trofiche:<br />

• un primo gruppo è costituito dagli erbivori (in genere crostacei ed in particolare<br />

copepodi ed eufausiacei), organismi che si nutrono prevalentemente di fi toplancton;<br />

• un secondo gruppo è costituito dai carnivori, che si nutrono principalmente di altri<br />

organismi dello zooplancton;<br />

• un terzo gruppo è costituito dai detritivori, che si nutrono principalmente su<br />

materiale organico morto (detrito);<br />

• un quarto gruppo è costituito dagli onnivori, specie che si nutrono su una dieta mista<br />

di vegetali, animali e detrito.<br />

Una ulteriore classificazione degli organismi del plancton viene fatta in base<br />

alle loro dimensioni.<br />

Queste variano dalle grandi meduse o catene di salpe, che possono arrivare al metro<br />

di lunghezza, ai batteri e ai protisti le cui dimensioni sono nell’ordine del micron.<br />

Suddivisioni del plancton in base alle dimensioni<br />

dimensioni categoria organismi<br />

< 2µm Picoplancton Batteri, Cianobatteri, Prasinoficee<br />

2-20µm Nanoplancton Fitofl agelati, Coanoflagellati<br />

20-200µm Microplancton Diatomee, Peridinee, Tintinnidi,<br />

Radiolari<br />

0,2-20mm Mesoplancton Copepodi, Eufasiacei, Cladoceri<br />

2-20 cm. Macroplancton Meduse, Salpe, Sifonofori, Pteropodi,<br />

Chetognati<br />

20-200 cm. Megaplancton Meduse, Colonie di Tunicati


Adattamenti alla vita planctonica<br />

Molte specie del plancton avendo una densità maggiore di quella dell’acqua<br />

di mare, tendono quindi ad affondare naturalmente per gravità in acque<br />

calme. Questo può essere pericoloso sia per il fito che per lo zooplancton.<br />

Il fitoplancton potrebbe affondare sotto la zona luminosa del mare, in una zona cioè<br />

dove non può svolgere la fotosintesi; lo zooplancton potrebbe affondare al di sotto<br />

dell’area dove è presente il fitoplancton, il suo cibo.<br />

Gli organismi del plancton hanno così adottato una serie di meccanismi per ridurre la<br />

loro velocità di affondamento, quali:<br />

1) Densità del corpo minore rispetto l’acqua di mare.<br />

2) Forma del corpo che aumenta la galleggiabilità e riduce la velocità di affondamento.<br />

3) Il nuoto.<br />

4) Lo sfruttamento dei movimenti delle acque.<br />

Il primo meccanismo consiste nella riduzione del proprio peso, ovvero della propria<br />

densità, e questo può avvenire, ad esempio, attraverso la variazione della composizione<br />

chimica degli ioni nei fluidi del corpo. Ecco quindi la sostituzione di ioni pesanti con<br />

altri più leggeri. Ciò permette all’animale di mantenere le stesse condizioni osmotiche<br />

ma di essere più leggero rispetto all’acqua di mare. Un esempio è il dinoflagellato<br />

Noctiluca che accumula ioni di basso peso specifico, quale il cloruro d’ammonio, per<br />

ridurre il proprio peso. Analogamente il cloruro d’ammonio è presente in molte specie<br />

di totani e calamari, concentrato in appositi organi grassi e bulbosi. Alcune salpe,<br />

-2<br />

ctenofori e eteropodi escludono attivamente dal loro corpo i pesanti ioni zolfo SO4 e magnesio Mg + 2 e li sostituiscono con i più leggeri ma osmoticamente uguali ioni<br />

cloruro Cl- e ammonio NH4 + .


La secrezione di gas è un altro meccanismo usato per mantenere un galleggiamento<br />

neutrale. Essendo il gas meno denso dell’acqua rispetto ad un simile volume di acqua,<br />

il galleggiamento è assicurato. Physalia physalis l’esempio più famoso è quello del sifonoforo<br />

caravella portoghese (Physalia) che usa un vero e proprio sacco galleggiante<br />

(un individuo modificato, lungo da 10 a 30 cm) riempito di aria che essa può regolare<br />

a piacere in volume al fine di variare la sua posizione nella colonna d’acqua.<br />

Physalia physalis<br />

Velella velella<br />

Fig. 17 – La caravella portoghese e la velella<br />

La Velella ha un’apposita struttura specializzata per il galleggiamento sopra la superficie<br />

dell’acqua che agisce da vera e propria vela sotto la spinta del vento. La base<br />

allargata di questa vela funge da stabilizzatore quando il vento agisce su questa vela.<br />

Porpita porpita, un altro sifonoforo, manca della vela, e una corona di tentacoli che<br />

pendono dalla campana ha funzione di stabilizzatore.<br />

Il mollusco Janthina secerne una serie di bolle sulla superficie dell’acqua che permette<br />

all’animale di galleggiare, capovolto, sotto la superficie stessa.<br />

Un altro mollusco, il nudibranco pelagico Glaucus galleggia appeso ad una bolla<br />

d’aria. Le diatomee hanno cavità e vacuoli ripieni di aria.


L’accumulo di olii o grassi nell’organismo è un altro metodo per diminuire la densità<br />

del corpo, oltre che un metodo per accumulare riserve per l’organismo. I lipidi, infatti,<br />

essendo meno densi dell’acqua, tendono a galleggiare. I copepodi per esempio spesso<br />

conservano gocce di olio al di sotto del carapace, le diatomee accumulano gocce d’olio<br />

e bolle di anidride carbonica nel citoplasma. Le uova di pesci contengono gocce di olio.<br />

Ancora, si ha la riduzione di parti scheletriche, quali ad esempio la conchiglia in alcuni<br />

molluschi planctonici, al fine di trasformarla in un leggero organo di galleggiamento.<br />

Il secondo meccanismo si basa sulle dimensioni dell’animale. Una osservazione generica<br />

del plancton rivela come le dimensioni del corpo degli organismi planctonici<br />

siano piccole.<br />

Una regola della fisica vuole che è il rapporto della superficie totale di un corpo<br />

sul volume totale dell’organismo, in altre parole è il rapporto superficie / volume<br />

o S/V che determina quanto velocemente un corpo affonda. Un’ elemento che determina<br />

il rapporto S/V è la dimensione dell’organismo. Rimanendo piccoli, gli<br />

organismi del plancton presentano così una superficie più ampia e quindi una resistenza<br />

maggiore all’affondamento, per unità di volume, di organismi più grandi.<br />

Inoltre, organismi di piccole dimensioni, specialmente unicellulari, possono effettuate<br />

lo scambio di sostanze varie semplicemente per diffusione attraverso la propria<br />

superficie mentre quelli più grossi hanno la necessità di mettere a punto meccanismi<br />

supplementari come sistemi respiratori ed escretori. Animali con massa simile ma di<br />

forma diversa tenderanno ad affondare con velocità diversa: una maggiore superficie<br />

corporea tende, infatti, ad avere una maggiore resistenza ed una minore velocità di affondamento.<br />

La forma del corpo aiuta quindi a ritardare l’affondamento. Se si prova<br />

ad affondare nell’acqua una sfera e una moneta piatta di uguale peso, si vede la sfera<br />

affondare più velocemente a causa della sua minore superficie di resistenza al fluido.<br />

Questa resistenza dipende sulla quantità di acqua che un organismo che si muove<br />

spinge davanti a se e dalla quantità di attrito tra l’acqua e la superficie dell’organismo<br />

stesso. Per piccoli organismi la resistenza dipende principalmente dalla superficie del<br />

corpo: più è alta la misura della superficie -» più è alta la resistenza dell’acqua -» più<br />

lentamente l’organismo affonda.


Gli organismi del plancton hanno così evoluto forme del corpo appiattite e vere e<br />

proprie strutture di galleggiamento, strutture che permettono cioè di ridurre la velocità<br />

di affondamento aumentando la superficie del corpo rispetto al volume.<br />

La forma a campana delle meduse è un evidente esempio. La contrazione ritmica espelle<br />

l’acqua dalla campana e spinge verso l’alto la medusa, ma la forma stessa della<br />

campana e dell’insieme dei tentacoli creano una resistenza all’affondamento. Il corpo<br />

appiattito della larva Phyllosoma, dei Palinuridi (aragoste) sono un vistoso esempio di<br />

appiattimento funzionale del corpo. Il polichete planctonico Tomopteris presenta, oltre<br />

ad un appiattimento del corpo, un appiattimento anche dei parapodi laterali, trasformati<br />

in veri e propri organi di galleggiamento. Ancora, da ricordare, la forma appiattita<br />

del corpo delle diatomee e di molti copepodi.<br />

Il nuoto è un altro efficace metodo di limitare l’affondamento. Nei pteropodi, per<br />

esempio, il piede ha due espansioni laterali a forma di ali che l’animale usa per<br />

‘planare’ nell’acqua. La medusa si muove attraverso rapide compressioni dei<br />

muscoli circolari che comprimono la campana e forzano l’acqua all’indietro.<br />

Crostacei quali i copepodi utilizzano le appendici per spingersi all’indietro e<br />

muoversi nell’acqua. Alcuni policheti nuotano attraverso ondulazioni del corpo.<br />

Contrazioni del corpo permettono anche il movimento ai chetognati. Le ciglia<br />

presenti sulle larve trocofore o sui ctenofori permettono a questi organismi una<br />

certa possibilità di movimento. Analoga funzione hanno i flagelli dei flagellati.


Il quarto metodo, infine, non ha a che fare direttamente con gli organismi, ma con la<br />

natura dei movimenti dell’acqua. In mare, la turbolenza generalmente generata dal<br />

vento mescola la colonna d’acqua e previene l’affondamento del plancton, più denso<br />

dell’acqua di mare. Celle di convezione, create dal riscaldamento dell’acqua durante<br />

il giorno e dal suo raffreddamento durante la notte, cambiano la densità dell’acqua,<br />

spostando verso il basso o verso l’alto le masse d’acqua e trasportando gli organismi.<br />

Tutti questi meccanismi combinati impediscono al plancton di affondare rapidamente<br />

verso profondità maggiori di quelle alle quali essi possono sopravvivere.<br />

Cothyloriza tubercolata - Medusa cassiopea


IL BENTHOS<br />

Il benthos è l’insieme di animali e vegetali che si trovano sul fondo o in prossimità<br />

di esso. Anche tale termine deriva dal greco e significa “profondo” e comprende organismi<br />

che contraggono qualche rapporto con i fondali, perciò la loro distribuzione<br />

è condizionata dalle caratteristiche del substrato (durezza, mobilità, plasticità). Nella<br />

classificazione del benthos non si può non tenere conto del tipo di fondale marino.<br />

Questo è così importante che vengono distinti due tipi diversi di fondo o “substrato”:<br />

i fondi DURI e i fondi MOBILI o MOLLI. I primi sono costituiti da roccia, grossi<br />

massi, substrati artificiali; sono quelli a maggiore biodiversità perchè offrono rifugio e<br />

possibilità di ancoraggio a molti organismi. I secondi sono costituiti da ciottoli, sabbia,<br />

fango, cioè da detrito. I fondi molli ricoprono la maggior parte dei fondali, soprattutto<br />

oceanici.<br />

Come nel caso del plancton, la prima marcata divisione viene fatta in base<br />

all’appartenenza degli organismi al mondo animale o vegetale. A seconda dei casi si<br />

parlerà quindi o di ZOOBENTHOS o di FITOBENTHOS; inoltre molto abbondanti<br />

sono i batteri bentonici (decompositori), per cui nel benthos la catena alimentare è<br />

completa nelle sue tre componenti (produttori, consumatori, decompositori).<br />

Nello specifico il fitobenthos è costituito da protozoi, batteri autotrofi, alghe e piante.<br />

A seconda del tipo di substrato possiamo parlare di benthos di fondo duro e benthos di<br />

fondo molle o mobile. In relazione alla posizione che gli organismi intrattengono con<br />

il substrato duro si parla di organismi sessili endobionti (dentro) o epibionti<br />

(sopra) ed in particolare di epiflora o epifauna se siamo di fronte ad organismi vegetali o<br />

animali. Quindi gli organismi di EPIFLORA ed EPIFAUNA vivono sulla superficie del<br />

substrato roccioso; quelli di ENDOFLORA ed ENDOFAUNA vivono all’interno del<br />

substrato e presentano caratteristici adattamenti a tale ambiente (forme perforatrici di<br />

rocce calcaree o legno, forme che vivono infossate nella sabbia o nel fondo, emergendo<br />

con sifoni, ecc.). Gli organismi che vivono all’interno del substrato si dicono endobionti<br />

ed in particolare endolitici se sono in grado di penetrare nelle rocce o nei gusci calcarei.


Gli organismi che vivono sopra al substrato (attaccati o meno) vengono indicati col<br />

temine generale epibionti. Quando questi organismi colonizzano la superficie di altri<br />

vegetali o animali si parla di epifiti ed epizoi rispettivamente.<br />

In substrati molli si parla invece di epipsammon per quegli organismi che vivono<br />

sui fondali senza tuttavia penetrarvi; endopsammon per quella fauna che vive nelle<br />

gallerie o nelle buche scavate nel substrato e comunicanti con l’esterno ed infine di<br />

mesopsammon per la fauna interstiziale propriamente detta che si rinviene nei<br />

canalicoli delimitati da granelli di sabbia o elementi mobili di dimensione maggiore<br />

come la ghiaia e contenenti acqua di diversa origine.<br />

Il benthos può essere classifi cato anche in base alle dimensioni. Secondo questo criterio<br />

possiamo parlare di micro, meio, macro e megabenthos: microbenthos dimensioni<br />

0.063 mm e < 1 mm; macrobenthos dimensioni<br />

> 1 mm e megabenthos organismi che possono essere osservati ad occhio nudo.<br />

Fig. 18 - Epifauna e endofauna su fondo duro (a sinistra) e molle (a destra) (da Cognetti,<br />

Sarà & Magazzù, 1999).


Gli organismi bentonici possono essere definiti in base alla loro capacità di compiere<br />

dei movimenti.<br />

Il benthos è detto sessile, come nel caso di poriferi, antozoi, briozoi, ascidiacei,<br />

balanidi, ecc. quando è fissato al substrato per tutta la durata di vita dell’adulto,<br />

sedentario quando, pur aderendo al substrato è capace di compiere brevi spostamenti,<br />

come nel caso delle patelle e vagile (Fig. 19) quando si muove strisciando (come<br />

in vari gruppi di policheti e molluschi) oppure deambulando grazie ad appendici<br />

articolate (crostacei, ricci, stelle marine).<br />

Altri organismi, detti pivotanti, vivono normalmente infossati nel substrato mobile,<br />

ma sono in grado di staccarsi dal fondo, farsi trasportare dalle correnti e infossarsi<br />

nuovamente in un luogo più idoneo. E’ il caso, ad esempio, dei pennatulacei (Fig. 20).<br />

Esiste anche un benthos “natante”, rappresentato da quei pesci, crostacei, molluschi,<br />

ecc. che si spostano nuotando sul fondo, pur stazionando saltuariamente su di esso, e<br />

ne dipendono strettamente per l’alimento, il rifugio e la riproduzione.<br />

Fig. 19 - Il granchio Eriphia verrucosa e la stella marina<br />

Marthasterias glacialis: due esempi di invertebrati vagili.


Fig. 20 - Esempi di benthos sessile (la spugna e la gorgonia) e pivotante<br />

(pinnatulaceo a destra).<br />

Altro importante elemento di differenziazione della vita bentonica è rappresentato<br />

dalla profondità. Questa comporta la variazione di tutta una serie di fattori ecologici<br />

che influenzano in modo significativo le caratteristiche del benthos.<br />

In primo luogo è da considerare la luce. Abbiamo visto in un paragrafo precedente<br />

come, all’aumentare della profondità, diminuisce l’intensità luminosa e varia la<br />

composizione dello spettro luminoso. In relazione al grado di luminosità vi possono<br />

essere ambienti ben illuminati o ambienti scarsamente illuminati.<br />

A causa di un diverso adattamento all’intensità della luce gli animali ed i vegetali si<br />

distinguono in fotofili (che amano la luce) e sciafili (che preferiscono l’ombra Fig. 21).


Fig. 21 - Un ambiente superficiale luminoso, caratterizzato dalla presenza di specie<br />

fotofile (a sinistra) e uno più profondo, con una intensità luminosa inferiore, popolato<br />

da specie sciafile.<br />

La scarsa penetrazione della luce sotto i 200 m rende la vita vegetale impossibile,<br />

influendo in modo essenziale sulle caratteristiche dell’ecosistema marino.<br />

Altro fattore importante di differenziamento dei popolamenti bentonici legato<br />

alla profondità è rappresentato dall’idrodinamismo, che nella zona superficiale<br />

è intenso a causa del ritmo delle maree e del moto ondoso mentre in profondità<br />

i movimenti delle acque sono dovuti esclusivamente alle correnti.<br />

Anche in questo caso avremo organismi adattati a vivere in condizioni di forte moto<br />

ondoso (organismi cumatofi li) o di forti correnti (organismi reofili) oppure organismi<br />

amanti delle zone a minore idrodinamismo (organismi galenofi li).


Alcuni adattamenti degli organismi bentonici a queste condizioni ambientali saranno<br />

descritti più avanti.<br />

In profondità la temperatura decresce, diminuiscono le oscillazioni termiche e aumenta<br />

la pressione.<br />

Avremo così organismi in grado di sopportare ampie escursioni di temperatura (organismi<br />

euritermi), quali ad esempio le specie che vivono nelle zone più superficiali,<br />

nelle pozze di scogliera, nei laghi salmastri, oppure specie non in grado di sopportare<br />

variazioni di temperatura (specie stenoterme), quali le specie che vivono negli abissi.<br />

Analogamente avremo specie in grado di sopportare ampie variazioni di pressione<br />

(euribate) e specie invece che hanno bisogno di valori di pressione ben precisi e stabili<br />

(stenobate). Il benthos presenta quindi aspetti e composizione diversi a seconda della<br />

profondità: si determina pertanto una zonazione in fasce verticali il cui numero e la cui<br />

ampiezza varia a seconda dei criteri di descrizione adoperati. Un criterio che è stato<br />

largamente utilizzato è quello di Ekman che fissa nell’isobata di 200 m la separazione<br />

fra le formazioni litorali e quelle profonde.<br />

Il benthos è quindi suddiviso in due sistemi a sette piani. I sistemi sono il sistema<br />

litorale o fitale (arriva la luce che permette la vita vegetale e, di conseguenza, quella<br />

animale) e il sistema profondo o afitale (non giunge più la luce e c’è solo la vita<br />

animale). In base alla luce potremo quindi parlare di benthos sciafilo e/o fotofilo.<br />

Al sistema litorale appartengono i piani: sopralitorale, mesolitorale, infralitorale e circalitorale.<br />

Al sistema profondo appartengono i piani batiale, abissale, adale. I sette<br />

piani sono essenzialmente contraddistinti dall’umettamento, cioè la quantità d’acqua<br />

compresa tra gli spruzzi ai limiti superiori e inferiori della marea per il piano sopralitorale<br />

e mesolitorale;il piano infralitorale è caratterizzato dall’illuminazione;i piani più<br />

profondi sono distinti da caratteristiche geomorfologiche.<br />

Nel Mediterraneo, dove l’escursione della marea è piccola, il piano mesolitorale non<br />

supera i 30-40 cm e quello infralitorale i –30 –50 m nelle zone di acqua più limpida.


L’interesse del subacqueo che si immerge in apnea o con l’autorespiratore è rivolto<br />

sicuramente alle forme di vita che popolano il piano infralitorale, cioè da pochi centimetri<br />

al disotto del limite della bassa marea ad una profondità variabile a secondo<br />

della penetrazione della luce. L’infralitorale è caratterizzato biologicamente dallo sviluppo<br />

della grande maggioranza di alghe e di fanerogame marine, che, grazie allo<br />

considerevole penetrazione della luce del sole, compiono un’attiva fotosintesi.<br />

Le alghe si distribuiscono a una profondità diverse a seconda del tipo di luce che i loro<br />

pigmenti sono in grado di utilizzare: le radiazioni rosse riescono a penetrare solo gli<br />

strati superficiali dell’acqua, perciò le alghe verdi, che possiedono la clorofilla e utilizzano<br />

solo le radiazioni rosse, sono le più superficiali.<br />

A maggiore profondità sono diffuse le alghe brune, che possiedono, oltre alla clorofilla,<br />

anche altri pigmenti come la fucoxantina (bruna), in grado di utilizzare le<br />

radiazioni gialle e arancio, più penetranti di quelle rosse. A profondità ancora maggiore<br />

troviamo solo le alghe rosse, che possiedono al ficoeritrina (rossa), per l’utilizzazione<br />

delle radiazioni più penetranti, che vanno dal verde al violetto.<br />

Oltre le alghe il regno vegetale è rappresentato da fanerogame o piante con struttura<br />

vegetativa differenziata (radici, fusto, foglie) e un apparato riproduttivo evidente<br />

(fiore), a cui appartiene la Posidonia, che fora delle praterie di notevole interesse e<br />

importanza ecologica.


IL NECTON<br />

Con il termine “necton” si intendono tutte quelle specie animali in grado di compiere<br />

movimenti indipendenti dalle masse d’acqua, ed in particolare ampi spostamenti orizzontali.<br />

Si tratta quindi di animali in grado di “nuotare”, di resistere e di opporsi alle<br />

correnti e ai movimenti delle acque e, a differenza degli organismi del plancton, di<br />

“scegliere dove andare”.<br />

Appartengono al necton una grande varietà di specie appartenenti a diversi phyla:<br />

pesci, cefalopodi, crostacei, mammiferi marini, rettili, uccelli. Tutti questi animali<br />

sono quindi in grado di sostenere una propulsione attiva nell’acqua e la struttura<br />

generale del loro corpo è determinata dallo sviluppo di complessi adattamenti<br />

funzionali associati con la diminuzione della resistenza idrodinamica e l’aumento<br />

della capacità di una propulsione attiva con il minimo dispendio di energia.<br />

Il grado di convergenza adattativa verso una ben precisa organizzazione funzionale –<br />

morfologica dei diversi gruppi animali appartenenti al necton è altissima.<br />

Vivere continuamente in mare aperto richiede lo sviluppo di tutta una serie di adattamenti<br />

associati con il mantenimento di un galleggiamento neutrale (i subacquei<br />

questo lo sanno benissimo) o quasi neutrale e di caratteristiche specifiche legate al<br />

mimetismo, alla ricezione e trasmissione di informazioni, alla ricerca del cibo, ecc.<br />

Da qui l’adozione di caratteristiche morfologiche e funzionale simili tra animali<br />

appartenenti a differenti, e a volte lontani, gruppi sistematici. Questa similarità appare<br />

soprattutto attraverso lo sviluppo dei complessi adattamenti legati al movimento (quali<br />

la forma del corpo, idrodinamica, adatta ad un nuoto veloce e a ridurre la creazione<br />

di ombre), alla colorazione (permette di mimetizzarsi nell’ambiente pelagico, di essere<br />

confusi con il fondo se visti dall’alto o con il cielo se visti dal basso), agli accorgimenti<br />

per alleggerire il corpo (come la sostituzione di ioni pesanti quali il sodio con<br />

quelli leggeri quale l’ammoniaca o la possibilità di variare la quantità di aria presente<br />

in apposite sacche di galleggiamento nei polmoni, il grasso nel fegato dei selaci), o ad<br />

adattamenti comportamentali, quali la formazione di branchi, e così via.<br />

Una distinzione che si usa fare riguardo gli organismi del necton è basata sulla loro<br />

distribuzione, soprattutto batimetrica.


Avremo così un epinecton (presente nella zona più costiera, fino ad una cinquantina di<br />

metri di profondità), un mesonecton (presente fino a 400 m di profondità), un batinecton<br />

(oltre i 400 m di profondità) e un abissonecton oltre i 4000 m. L’epinecton a sua volta è<br />

caratterizzato da una porzione costiera e una continentale nell’ambiente neritico (cioè<br />

al di sopra della piattaforma continentale) e da una porzione oceanica nelle acque oltre<br />

la platea continentale. Anche la zona mesonectonica si divide in una zona continentale,<br />

sopra la platea, e una zona oceanica mentre la batinectonica e la abissonectonica<br />

presenta solamente la zona oceanica. L’insieme delle specie che hanno un rapporto<br />

più o meno costante con il fondale è conosciuto sotto il nome di specie demersali.<br />

Lampris regius - Pesce re


Pesci<br />

I pesci pelagici hanno forma allungata, fusiforme e dispongono di una serie di adattamenti<br />

al nuoto veloce e costante. Il colore non è mai appariscente, in genere essi<br />

sono bruni o azzurri sul dorso e argentati-bianchi sul ventre come misura mimetica<br />

nell’ambiente marino. Depongono un gran numero di uova pelagiche in rapporto<br />

all’assenza di cure parentali. Sono per la maggior parte gregari, e molte specie compiono<br />

ampie migrazioni sia nell’ambito dell’ambiente marino sia dal mare alle acque<br />

dolci e viceversa. Pesci ossei nectonici per eccellenza sono i piccoli pelagici, quali i<br />

clupeidi, e i grandi pelagici, quali gli sgombridi. Anche i pesci cartilaginei nectonici<br />

presentano un corpo fusiforme e una coda eterocerca (Fig. 22).<br />

Fig. 22 - La coda eterocerca delle specie più primitive (a), eterocerca intermedia<br />

ridotta (b), omocerca dei teleostei (c).


Isurus oxyrinchus - Mako pinnacorta<br />

Prionace glauca - Verdesca


Per aumentare la loro capacità di ampi spostamenti verticali e orizzontali hanno perso<br />

la vescica natatoria. In più, hanno sviluppato tutta una serie di meccanismi per la<br />

riduzione del peso corporeo (come la presenza di grasso nel fegato), per aumentare le<br />

capacità recettorie (organi di senso particolarmente sviluppati, in particolare l’olfatto<br />

e la possibilità di captare le vibrazioni e i campi elettrici).<br />

Tipici squali nectonici sono lo squalo bianco (Carcharodon carcharias, Fig. 23), il<br />

mako pinnacorta (Isurus oxyrinchus) e la verdesca (Prionace glauca).<br />

Fig . 23 – Squalo bianco in perlustrazione


I Cefalopodi<br />

I molluschi che appartengono ai cefalopodi nectonici sono i calamari, i totani e le seppie.<br />

Si tratta di organismi che vanno dai 2 cm di lunghezza dei piccoli sepiolidi ai 20 m<br />

dell’Architeuthis. Le caratteristiche morfologiche e fisiologiche dei cefalopodi li rendono<br />

ottimi predatori: basti pensare alla capacità di nuoto, all’efficienza dell’apparato<br />

boccale (provvisto di radula e di robuste mascelle cornee, di braccia e tentacoli per la<br />

cattura del cibo, allo sviluppo di un sofisticato sistema nervoso e di organi di senso,<br />

agli adattamenti particolari come l’emissione di inchiostro e la presenza di cromatofori<br />

che consentono all’animale di mimetizzarsi. Il mantello delimita un’ampia cavità<br />

palleale in cui si trovano le branchie; l’acqua viene poi espulsa attraverso un imbuto,<br />

che corrisponde alla parte inferiore del piede degli altri molluschi, facendo di questo<br />

apparato un efficace sistema di spinta dell’acqua e quindi di propulsione. Tipici cefalopodi<br />

pelagici sono i calamari che presentano corpo allungato, terminante con due<br />

lunghe ali laterali. La differenza fra totano e calamaro (Fig. 24) è ben riconoscibile<br />

dalle 2 “ali” che affiancano il corpo. Mentre nel calamaro sono lunghe ed affusolate<br />

ed attaccate lungo quasi tutto il corpo, nel totano hanno forma più piccola, triangolare<br />

e sono attaccate alla parte posteriore: la coda. Il calamaro è senza alcun dubbio più<br />

pregiato del totano e quando andiamo in pescheria è giusto saper riconoscere quello<br />

che acquistiamo.<br />

Totano Calamaro<br />

Fig. 24


Espellendo l’acqua dalla cavità pallelale attraverso l’imbuto con una forte contrazione,<br />

l’animale si spinge rapidamente all’indietro realizzando così una sorta di<br />

meccanismo di propulsione a reazione.<br />

Talvolta si riuniscono in gruppi numerosi per seguire i branchi di pesci nectonici di cui si<br />

nutrono.Aloro volta i calamari sono predati da numerosi specie di pesci e di odontoceti.<br />

Comune nelle nostre acque è il calamaro comune Loligo vulgaris.<br />

I totani presentano invece due ali di forma triangolare o cuoriforme al termine del<br />

corpo allungato.<br />

Nelle nostre acque sono comuni Todarodes sagittatus e Illex coindetii. Altro gruppo di<br />

specie di cefalopodi nectonici è quello delle seppie, dal corpo più tozzo e meno adattate<br />

ad una vita in acque aperte. Esse vivono, infatti, in prossimità del fondale dove<br />

predano pesci, crostacei e altri cefalopodi. Comune nel Mediterraneo la seppia, Sepia<br />

officinalis.<br />

Sepia officinalis - Seppia


Stenella striata<br />

Tursiops truncatus - Tursiope


I mammiferi marini<br />

I cetacei sono dei mammiferi marini che hanno subito, in rapporto al loro ritorno<br />

al mare, profonde modificazioni dell’architettura e dell’organizzazione del corpo.<br />

Essi sono perfettamente adattati alla vita pelagica: il corpo è allungato, fusiforme,<br />

con collo accorciato e immobile, coda slargata con pinne espanse orizzontalmente,<br />

arti conformati a pinne, polmoni ampi per consentire lunghe immersioni, narici<br />

situate alla sommità del capo per poter respirare quando sono in superficie. Essi si<br />

sono completamente svincolati dall’ambiente terrestre per la riproduzione: si accoppiano,<br />

partoriscono e allattano i propri piccoli nell’acqua. La produzione e la ricezione<br />

dei suoni sono altamente sviluppati e rappresentano un importate strumento di adattamento<br />

alla vita pelagica. Le onde sonore prodotte da questi animali permettono un<br />

rapido riconoscimento sia degli individui della stessa specie sia di altre specie o di<br />

determinate situazioni. Permettono inoltre di valutare le distanze e la velocità degli<br />

oggetti in movimento. I cetacei si dividono in Misticeti (o balene con fanoni), dotati<br />

appunti dei fanoni, lamine cornee verticali alle mascelle, idonee a filtrare grandi<br />

quantitativi di acqua e trattenere il plancton. Nel Mediterraneo abbiamo 1 famiglia<br />

di Balenidae (balene, pelle del ventre liscia, muso lungo e convesso) e 6 famiglie<br />

di Balaenopteridae (pelle del ventre con solchi longitudinali, muso appiattito). Gli<br />

Odontoceti (o balene con denti), presentano da 2 a 250 denti uguali, conici.<br />

Presentano modificazioni particolari sulla testa e nel sistema respiratorio che permettono<br />

loro di emettere e ricevere onde sonore con una vasta gamma di frequenze.<br />

I suoni, prodotti dal movimento dell’aria attraverso sfiatatoio e sacchi aerei, grazie<br />

all’azione di una loro speciale muscolatura, sono utilizzati sia per la ecolocalizzazione<br />

che per i rapporti sociali (richiami, canti, ecc.).<br />

Nel Mediterraneo sono presenti 10 famiglie di Delphinidae (delfini) e 1 di Physeretidae<br />

(capodoglio).<br />

Ai Pinnipedi appartengono le otarie (con arti posteriori per sollevarsi e camminare<br />

a terra, dotate di padiglioni auricolari), le foche (con arti posteriori immobili, senza<br />

padiglioni auricolari), i trichechi (con arti posteriori per camminare a terra, senza<br />

padiglioni auricolari e con sviluppati canini) e i sirenidi (dugonghi e lamantini).


Nel Mediterraneo l’unica specie presente è la foca monaca Monachus monachus. Altri<br />

taxa oltre ai cetacei e ai pinnipedi ci sono altri animali di origine terrestre che si sono<br />

adattati a vivere nelle acque aperte, subendo una serie di modificazioni e adattamenti.<br />

Si tratta di serpenti e tartarughe che, a differenza dei cetacei, non si sono mai completamente<br />

svincolati dall’ambiente terrestre. I serpenti marini (idrofidi), dal corpo<br />

anguilliforme, dotati di grandi polmoni che permettono all’animale di stare a lungo<br />

sott’acqua senza respirare e di regolare il proprio assetto. Presenti nelle acque tropicali<br />

della zona indo-pacifica, sono predatori, alcuni anche molto velenosi.<br />

Anche le tartarughe nuotano agilmente in mare nonostante le dimensioni e il peso<br />

grazie a modificazioni degli arti in pinne e alla capacità di immagazzinare aria nei sacchi<br />

polmonari. Non sono completamente indipendenti dall’ambiente terrestre sicché<br />

devono tornare a riva, sulle spiagge, per la deposizione delle uova.<br />

La più grande tartaruga marina che si incontra nel Mediterraneo è la Dermochelys<br />

coriacea, che arriva fin ad un peso di 5 q. La più comune è invece la Caretta caretta.<br />

Dermochelys coriacea - Tartaruga liuto


Caretta caretta - Tartaruga comune


FUNZIONAMENTO DEGLI ECOSISTEMI MARINI<br />

Funzionamento ecosistema marino<br />

Per comprendere le principali relazioni che avvengono all’interno degli ecosistemi, in<br />

questo caso quelli marini, è importante analizzare la loro struttura trofica cioè come<br />

il nutrimento e l’energia in essi racchiusa passi da un livello ad un altro. In pratica<br />

possiamo distinguere vari livelli nutrizionali, da quello di base in cui viene prodotta<br />

nuova sostanza organica a partire da composti inorganici fino ai livelli più alti dove<br />

la sostanza organica serve da alimento per produrre altra sostanza organica o viene<br />

degradata nuovamente a sostanza inorganica per riprendere il ciclo.<br />

Fig. 25 – Relazioni tra produttori primari, consumatori primari e secondari e<br />

decompositori.


Produttori<br />

Sono rappresentati da tutti quegli organismi vegetali in grado di “organicare” la<br />

sostanza inorganica, sono cioè in grado di crearsi il proprio cibo da soli e per questo<br />

sono chiamati autotrofi. Il processo, definito produzione primaria, avviene, attraverso<br />

la fotosintesi clorofilliana e la conseguente formazione di biomassa vegetale.<br />

Il processo con cui le piante si fabbricano il proprio nutrimento è chiamato “fotosintesi<br />

clorofilliana” Il processo fotosintetico fa si che delle fotocellule costituite da clorofilla<br />

e altri elementi riescano a sfruttare l’energia luminosa per far reagire l’acqua (H 2 O)<br />

dei tessuti e l’anidride carbonica (CO 2 ) dal mezzo acqueo e/o dall’atmosfera per produrre<br />

composti del carbonio come lo zucchero (glucosio) e gas come l’ossigeno (O 2 ).<br />

Gli zuccheri prodotti vengono immagazzinati come scorte di energia e servono per la<br />

crescita. La crescita di nuova materia organica si chiama produttività primaria netta.<br />

La clorofilla è inoltre l’elemento che colora di verde le foglie o i talli dei vegetali.<br />

I vegetali possono essere considerati dei laboratori chimici anche per altri motivi: solo<br />

loro riescono a sintetizzare le proteine e i grassi da semplici sali nutrienti costituendo<br />

così la vera e propria biomassa vegetale. In questo modo i vegetali diventano fondamentali<br />

per la prima colonizzazione dell’ambiente.<br />

Fig. 26 - Processo fotosintetico.


In mare la maggior produzione di biomassa è data dalle microalghe che costituiscono<br />

il plancton vegetale (fitoplancton) ma non va dimenticato l’importantissimo contributo<br />

delle macroalghe e delle piante bentoniche lungo le fasce costiere.<br />

I fattori che limitano maggiormente la fotosintesi in mare e quindi la produzione di<br />

biomassa sono da una parte la temperatura e la luce (che penetra solo negli strati superficiali)<br />

e dall’altra la scarsa disponibilità di nutrienti (azoto, fosforo, silicio, ecc.).<br />

È da notare che, nei nostri mari, il ciclo del fitoplancton presenta due picchi<br />

di crescita, uno primaverile e l’altro autunnale, infatti durante l’inverno<br />

la bassa temperatura e la scarsa illuminazione costituiscono i fattori limitanti<br />

per l’accrescimento del fitoplancton. Al contrario i nutrienti sono largamente<br />

disponibili perché derivanti dalle spoglie decomposte degli organismi nonché<br />

dagli apporti fluviali, maggiori durante le piene primaverili e autunnali.<br />

Durante l’estate, in superficie, i nutrienti tendono ad esaurirsi mentre generalmente<br />

continuano ad abbondare nelle zone più profonde. Lungo le zone costiere saranno poi<br />

le mareggiate autunnali a rimescolare gli strati “fertilizzando” le acque superficiali.<br />

Infine in inverno il freddo farà morire gran parte del fitoplancton e tutte le specie bentoniche<br />

annuali. Forme di resistenza in grado di attraversare questo periodo, consentiranno<br />

la riesplosione primaverile del plancton.


Consumatori primari<br />

Comprendono tutti quegli organismi che si alimentano di sostanze prodotte da altri<br />

organismi e perciò sono detti eterotrofi. Sono prevalentemente animali, che si nutrono<br />

di vegetali e costituiscono il secondo anello della catena trofica.<br />

Qui troviamo rappresentanti di quasi tutti i gruppi sistematici ma in mare i consumatori<br />

primari più importanti sono quelli appartenenti allo zooplancton.<br />

Moltissime infatti sono le specie che si nutrono di fitoplancton catturandolo sia per<br />

filtrazione sia per predazione.<br />

Il ciclo vitale dello zooplancton rispecchia circa gli stessi picchi di crescita del fitoplancton<br />

ma con un leggero ritardo.<br />

Gli organismi filtratori bentonici che riescono a trattenere il fitoplancton sono<br />

anch’essi importanti consumatori primari così come tutti quelli che “brucano” le<br />

macroalghe e le piante bentoniche o raschiano le pellicole microalgali che si formano<br />

sulle rocce e sugli altri organismi.<br />

Consumatori secondari<br />

Comprendono tutti gli animali che si nutrono di consumatori primari. Spesso però si<br />

generalizza includendo anche quelli che si nutrono di altri consumatori secondari e<br />

così via fino agli ultimi anelli della catena.<br />

In mare questa categoria è costituita da quasi tutti i pesci e più in generale da tutti i<br />

grandi predatori. Vanno però inclusi in questa categoria anche tutti i filtratori che trattengono<br />

lo zooplancton.<br />

È da notare però che molti di questi non riescono a discriminare fra zoo- e<br />

fitoplancton e hanno una dieta mista: sono quindi contemporaneamente anche consumatori<br />

primari.<br />

La biomassa accumulata nel tempo dai consumatori viene spesso indicata col termine<br />

di produzione secondaria.


Decompositori e Detritivori<br />

La catena alimentare si conclude con la decomposizione della sostanza organica in<br />

sostanza inorganica. Gran parte di questa decomposizione avviene in tutti i livelli<br />

precedentemente visti ad opera della respirazione. Ma tutte le spoglie dei vegetali e<br />

degli animali che muoiono senza essere ingeriti da altri organismi, così come tutte le<br />

deiezioni prodotte, vengono ingerite da detritivori e decomposte da funghi, batteri e<br />

altri microrganismi che vivono nei terreni, nei sedimenti marini e simbionti all’interno<br />

degli intestini dei detritivori stessi.<br />

Il sedimento marino è generalmente rappresentabile con un profilo stratificato in cui<br />

il livello superiore o fascia ossidante, generalmente di colore chiaro, ospita batteri<br />

aerobi che attaccano la materia organica morta utilizzando ossigeno e restituendo i<br />

prodotti mineralizzati: ossigeno (O ), acqua (H O), anidride carbonica (CO ), nitriti<br />

2 2 2<br />

(NO2- - ) e nitrati (NO ). 3<br />

Il secondo livello o fascia riducente, più scuro, ospita i batteri anaerobi (che non utilizzano<br />

ossigeno) che producono i gas ridotti che diffondono verso gli strati superiori:<br />

acido solfidrico (H S), metano (CH ), ammoniaca (NH ).<br />

2 4 3<br />

A loro volta i microrganismi decompositori possono costituire alimento per altri<br />

consumatori, compresi i detritivori che li ingeriscono insieme al sedimento, e così<br />

il ciclo continua. Date le innumerevoli relazioni fra i vari organismi, qui solo accennate,<br />

appare evidente che le varie catene si legano fra loro formando quella che<br />

normalmente viene definita rete trofica. Ad ogni livello trofico l’energia ingerita con<br />

l’alimento (o catturata con la fotosintesi) viene spesa in vari modi. La maggior parte<br />

viene persa sotto forma di calore, attraverso la respirazione e tutti i tipi di “lavoro”<br />

compiuti dall’organismo, e comunque non si rende più disponibile. Una parte di energia<br />

viene eliminata sotto forma di escrementi, secrezioni e perdite di parti corporee<br />

(foglie, esoscheletri, ecc.) ma in questo modo diventa in parte disponibile per i decompositori<br />

e i detritivori. Solo una piccola percentuale di energia (5-20%) può passare<br />

al livello trofico superiore. Ma mentre si continua a perdere energia alcune sostanze<br />

possono essere concentrate (bioaccumulo); questo purtroppo è anche il caso di alcune<br />

sostanze tossiche di cui i vari organismi non sono in grado di disfarsi.


Così da concentrazioni anche modeste nell’ambiente si può giungere, attraverso la<br />

catena trofica (biomagnitudo), a concentrazioni elevate negli organismi, tanto da<br />

essere pericolose per i consumatori finali come i pesci e i mammiferi, compreso<br />

l’uomo (Fig. 27).<br />

Fig. 27 - Schematizzazione del processo di biomagnificazione nelle reti trofiche marine.


Il funzionamento dell’ecosistema è legato a un continuo rifornimento di energia.<br />

Infatti, mentre le sostanze vengono continuamente riciclate, ad ogni passaggio parte<br />

dall’energia chimica immagazzinata con la fotosintesi clorofi lliana viene trasformata<br />

in energia termica, non utilizzabile da parte degli organismi viventi.<br />

Una delle conseguenze di ciò è che solo una frazione di dell’energia fissata dalle piante<br />

è disponibile per i consumatori di 1’ ordine, una porzione ancora inferiore per quelli<br />

di 2’ ordine e così via.<br />

Occorrerà quindi una grossa quantità (in peso) di piante per nutrire una quantità<br />

minore di erbivori, che a loro volta potranno nutrire una massa di carnivori ancora<br />

minore. Questa situazione può essere visualizzata come una piramide, alla cui base<br />

stanno i piccoli e numerosissimi vegetali, che costituiscono la maggior parte della<br />

materia viventi (biomassa), e al cui vertice si trovano i carnivori, in numero tanto più<br />

limitato quanto maggiori sono le loro dimensioni.<br />

Facciamo un altro esempio... Una megattera (Megaptera nodosa) che non è per nulla<br />

la balena più grossa, per sentirsi sazia deve avere nello stomaco una tonnellata di<br />

aringhe, pari a circa 5000 pesci. Ogni aringa a sua volta, ha nello stomaco forse sei<br />

o settemila crostacei, dei quali ognuno contiene circa 130000 alghe diatomee. In altre<br />

parole: circa 400 miliardi di alghe sono sufficienti al massimo per alcune ore a<br />

saziare la fame di una balena di media grandezza, lunga 11-16 m e pesante circa 50 t”.


Fig. 28 - La piramide dell’energia.

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