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Leggi - I Cistercensi

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NOTIZIE<br />

CISTERCENSI<br />

3-4<br />

MAGGIO-AGOSTO<br />

1973<br />

ANNO VI<br />

Periodico bimestrale - Spedizione in Abbonamento Postale - Gruppo IV


NOTIZIE CISTERCENSI<br />

SOMMARIO<br />

Periodico bimestrale di vita cistercense<br />

P. MALACHIA FALLETTI, Il convito eucaristico cardine della<br />

vita di Comunità. Pago 125<br />

P. BENEDETTO FORNARI, Architettura cistercense nel Lazio<br />

Meridionale » 135<br />

Florilegio - San Bernardo: Epistola sulla carità.<br />

FR. SIGHARDO KLEINER, Lettera pastorale: L'ufficio pastorale<br />

dell'abate<br />

P. GOFFREDO VITI, Le origini dell'abbazia di Santa Maria<br />

di Sambucina alla luce della critica delle fonti .<br />

P. PLACIDO CAPUTO, I Carbonari nell'abbazia di Casamari<br />

durante i moti insurrezionali nel Regno delle Due Sicilie<br />

(8 marzo 1821) .<br />

JEAN DE LA CROIX BOUTON, Storia dell'Ordine Cistercense<br />

(quinclicesima puntata) .<br />

Recensioni<br />

Redattore capo:<br />

P. Goffredo Viti<br />

Consiglio di Redazione:<br />

P. Placido Caputo<br />

P. Malachia Falletti<br />

P. Vittorino Zanni<br />

Responsabile:<br />

Agostini Carlomagno<br />

» 143<br />

» 150<br />

» 163<br />

» 186<br />

» 200<br />

» 218<br />

Conto corrente postale 5/7219<br />

Abbonamento annuo: Italia L. 3.000<br />

Abbonamento annuo: Estero L. 4.000<br />

Monastero Cistercense - Certosa del Galluzzo - 50124 Firenze - Telefono 28.92.26


La facciata, rivolta ad occidente come si nota in quasi tutte le<br />

chiese del tempo, presenta un bel portale a sesto rialzato con archivolto<br />

a foglie d'acanto. I criteri di ricostruzione sono lodevoli, anche se nell'interno<br />

si crea una lieve dissonanza tra le finestre della facciata, la<br />

posizione del transetto e la nuova interpretazione della cattedra. Questa<br />

dovette essere costruita verso la fine del '300 e non differisce molto da<br />

quella della chiesa di Santa Maria di Amaseno. Le colonne e le colonnine<br />

ricordano anche in maniera nettissima, anche se il lavoro è meno<br />

raffinato, le colonne del chiostro di Fossanova.<br />

Non rimane purtroppo alcuna traccia degli affreschi che decoravano<br />

le pareti e le cappelle terminali. Alcuni di essi erano attribuiti a Giotto<br />

forse per il fatto che i cardinali Annibaldo da Ceccano e Jacopo Stefaneschi<br />

suo zio ebbero frequenti rapporti col pittore fiorentino e gli commissionarono<br />

molti lavori per la Basilica Vatican a 17.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ALONZI LUIGI, Arte in Cioceria, Frosinone 1967, pp. 66·67.<br />

ENLART CAMILLE, Origines de l'arcbitecture gothique en Italie, Paris 1894, pp. 116-122.<br />

MUNOZ S., Santa Maria del Fiume in Ceccano, in Rassegna d'arte, 1911.<br />

TAGLIAFERRIF., La chiesa di Santa Maria del Fiume a Ceccano e la sua architettura,<br />

Pergola 1947.<br />

MARCHETTI-LoNGHIG., La chiesa di Santa Maria del Fiume e i Cardinali Giordano e<br />

Annibaldo da Ceccano, in Soc. Rom. di Storia Patria, Bollettino della Sez. per il Lazio<br />

meridionale, Anagni 1, 1951, p. 89.<br />

PALLADIO,1954, p. 142.<br />

WAGNER-RIEGERRENATE, Die Italieniscbe Baukunst zu Beginn der Gotik, II Teil,<br />

Graz-Koln 1957, pp. 82-83.<br />

4. SAN NICOLA A CECCANO<br />

La chiesa di San Nicola, situata nella parte alta della città di Ceccano,<br />

è menzionata già nel 1196 dal « Chronicon Fossaenovae in occasione<br />

della consacrazione della consorella di Santa Maria ad Flumen<br />

ed era officiata dai Benedettini 18. Di pianta irregolare per i successivi<br />

ampliamenti e rifacimenti presenta nella volta i caratteri delle varie<br />

17 Cfr ALoNZI L., Arte in Cioceria, Frosinone 1967, p. 67.<br />

18 Chronicon Possaenouae, in UGHELLI, Italia Sacra, Venetiis 17.<br />

- 141-


epoche di costruzione: la parte a capriate è romanica, l'altra è di chiara<br />

impostazione cistercense-borgognone.<br />

All'esterno la parte più interessante è un portale a sesto acuto:<br />

« un archivolto a foglie d'acanto che ne incastona la sommità, e anelli<br />

ornati di viticci, basi attiche provviste di artigli, colonnine di bel profilo,<br />

il tutto ordinato in elegante armonia» 19.<br />

Il frontone occidentale invece, adorno di una piccola rosa, è la parte<br />

lasciata intatta del nobile edificio romanico primitivo.<br />

I nomi di due signori di Ceccano che hanno concorso alle spese<br />

per la costruzione del tempio, sono scolpiti sul pilone nord-est del transetto<br />

e su quello centrale della navata maggiore. Vi si legge rispettivamente:<br />

HANC COS SAM FECIT FIERI THOMASIUS ]UNIOR DE CECCANO e<br />

HANC COSSAM CUM UNO ARCU FECIT FIERI BERNARDUS DE CECCANO.<br />

Il termine «cossam» dal latino « coxa » significa naturalmente<br />

« coscia », e in questo caso, « pilastro ». In francese si ha un termine<br />

analogo: «jambe de force », per designare il pilastro 20.<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ALONZI LUIGI, Arte in Cioceria, Frosinone 1967.<br />

ENLART CAMILLE, Origines [rançaises de l'arcbitecture gothique en Italie, Paris 1894.<br />

WAGNER-RrEGER RENATE, Die Italienische Baukunst zu Beginn der Gotik, 2 voll., Graz-<br />

Koln 1957, II parte, p. 83.<br />

19 ALONZI L., Arte in Cioceria, Frosinone 1967, p. 68.<br />

20 ENLART C., Origines..., p. 124.<br />

- 142-


FLORILEGIO<br />

EPISTOLA SULLA CARITÀ (San Bernardo)<br />

Prologo dell' epistola J<br />

1. Ricordo d'aver scritto, tempo addietro, una lettera ai santi confratelli<br />

della Certosa e d'aver parlato in quella, tra le altre cose, anche di<br />

questi gradi dell'amore di Dio. Per caso, poi, parlai in quella lettera<br />

anche di altre questioni riguardanti la carità, benché non estranee all'argomento.<br />

Non credo inutile perciò aggiungere alla presente dissertazione<br />

qualche tratto di questa lettera, specialmente perché è più facile trascrivere<br />

cose già dettate, che dettarne delle nuove.<br />

Epistola sulla carità, indirizzata ai santi confratelli della Certosa<br />

Ritengo sincera e vera quella carità - e dobbiamo riconoscere che<br />

procede da un cuore puro, da una buona coscienza, da una fede non<br />

fittizia - con la quale amiamo il bene degli altri come fosse il nostro.<br />

Infatti, chi ama più ciò che è suo, o ama solamente ciò che è suo, può<br />

esser certo di non amare castamente il bene, perché lo ama non perché<br />

è bene ma per il vantaggio che ne riceve. Chi fa cosi non obbedisce<br />

certamente al profeta, che dice: Lodate il Signore, percbe è buono 2.<br />

Lo loda forse perché è buono con lui, non perché è buono in sé. Sappia<br />

costui che quel rimprovero dello stesso profeta: Ti loderà, quando tu lo<br />

avrai beneficato l, è diretto contro di lui. C'è chi loda il Signore perché<br />

è potente, c'è chi lo loda perché è buono con lui; e c'è infine chi lo loda<br />

semplicemente perché è buono. Il primo è il servo, e teme per sé; il<br />

secondo è il mercenario, e pensa prima di tutto a sé; il terzo è il figlio,<br />

e dà onore al padre. Sia chi teme per sé, sia chi pensa a sé, agisce solamente<br />

per suo interesse. Solo la carità che è nel figlio non cerca i suoi<br />

interessi. Ecco perché io credo che è di essa che è detto: La legge del<br />

1 Questa lettera famosa, nota come l'Epistola de caritate, fu scritta da San Bernardo<br />

prima del 1125 (cfr VACANDARD, Vie de S. Bernard, I, p. 183), e fu dedicata a Guigone I<br />

il certosino e ai fratelli della Grande Certosa, in risposta a delle Meditationes (cfr PL 153,<br />

604 e 610) piene di amor di Dio indirizzategli dallo stesso Guigone. Fu inserita in un secondo<br />

tempo da Bernardo nel De diligendo Deo.<br />

2 Sal. 117, 1.<br />

3 Sal. 48, 19.<br />

- 143-


Signore è perfetta, e converte le anime 4; è lei sola infatti che può volgere<br />

l'anima dall'amore di sé e del mondo, e dirigerla verso Dio. Né il timore,<br />

sicuramente, né l'amor proprio convertendo l'anima. Essi possono cambiare<br />

a volte il volto o le azioni, ma mai il cuore.<br />

Anche il servo fa qualche volta le opere di Dio; ma poiché non le<br />

fa spontaneamente, mostra a sufficenza di restare nella durezza del suo<br />

cuore. Le fa anche il mercenario, ma poiché non le fa disinteressatamente,<br />

fa capire che le fa spinto solo dalla propria cupidigia. Dove c'è amor<br />

proprio, c'è, senza dubbio, egoismo; dove c'è egoismo, ci sono angoli;<br />

e dove ci sono angoli, c'è sporcizia e ruggine. Ammettiamo che il servo<br />

abbia la sua legge - lo stesso timore dal quale è forzato ad agire - e<br />

che il mercenario abbia la sua, la cupidigia dalla quale è costretto ad<br />

agire quando viene da essa allettato e tentato. Ma né l'una né l'altra è<br />

senza macchia, e né l'una né l'altra può convertire le anime. La carità,<br />

al contrario, converte le anime e le rende veramente spontanee.<br />

2. Proprio per questo io chiamerei la carità immacolata, perché è<br />

abituata a non trattenere per sé niente di suo. Ora, evidentemente, se<br />

non ha niente di suo, tutto quanto ha è di Dio; e ciò che appartiene a<br />

Dio non può certamente essere impuro. La legge di Dio che è detta immacolata,<br />

è dunque la carità. Essa non cerca ciò che è utile a sé, ma<br />

quello che è vantaggioso a molti altri. È chiamata legge del Signore,<br />

sia perché il Signore stesso vive di lei, sia perché nessuno può possederla<br />

se non per suo dono. Non sembri assurda l'affermazione che anche Dio<br />

vive secondo una legge, perché ho detto che questa legge non è altro<br />

che la carità. Che cos'altro alimenta quell'altissima e ineffabile unità<br />

nell'altissima e beata Trinità se non la carità? La carità è quindi una<br />

legge, ed è la legge del Signore: essa tiene insieme, in qualche modo,<br />

e collega la Trinità nell'unità, nel vincolo della pace. Nessuno comunque<br />

pensi che io consideri qui la carità come una qualità o come qualche<br />

accidente, altrimenti direi - Dio non voglia - che in Dio c'è qualcosa<br />

che non è Dio. lo invece affermo che la carità è la sostanza stessa di<br />

Dio, e dico così una cosa che non è né nuova né insolita, poiché lo stesso<br />

Giovanni dice: Dio è carità 5.<br />

Si dice dunque giustamente che la carità è Dio, e che è anche un<br />

dono di Dio. La Carità dà la carità, la Carità sostanziale dona quella<br />

accidentale. Quando significa il donotore, allora il termine carità è il<br />

4 Sal. 18, 8.<br />

5 1 Gv. 4, 8.<br />

- 144-


nome della sostanza; quando significa il dono, allora è il nome della<br />

qualità. ~ lei la legge eterna, creatrice e reggitrice dell'universo. Perché<br />

da lei sono state create tutte le cose con il loro peso, la loro misura e<br />

il loro numero; e niente è lasciato senza legge, non essendo senza legge<br />

la stessa Legge che governa tutte le cose. La sua legge,però, non è altro<br />

che lei stessa, e mediante questa legge essa non si è creata, ma si regge.<br />

3. Anche ilservo e ilmercenario hanno la loro legge, non dal Signore,<br />

ma quella che si sono fatta loro stessi: il primo non amando Dio, il<br />

secondo amando le altre cose più di Dio. Essi hanno, io dico, una loro<br />

legge, che non deriva dal Signore. Epperò è anch'essa soggetta alla legge<br />

del Signore. E invero ciascuno di essi ha potuto ben farsi una legge per<br />

sé, ma non ha potuto sottrarla all'ordine immutabile della legge eterna.<br />

Intendo dire che ciascuno s'è fatto per sé una sua propria legge, quando<br />

ha anteposto la propria volontà alla legge comune ed eterna, volendo<br />

così imitare in modo perverso il suo creatore. Come Dio è legge a se<br />

medesimo ed è padrone di sé, così costui ha voluto governare se stesso<br />

e fare della sua volontà la sua legge. Questo è il gioco pesante e intollerabile<br />

che opprime tutti i figli di Adamo, e che, piega e incurva le<br />

nostre cervici a tal punto che la nostra vita somiglia ad un inferno.<br />

Sono un uomo infelice, chi mi libererà da questo corpo di morte 6, dal<br />

quale sono oppresso e quasi schiacciato? Se il Signore non mi aiutasse,<br />

fra poco la mia anima giacerebbe nell'inferno! 7<br />

Oppresso da questo peso, gemeva colui che diceva: Perché m'hai<br />

posto contro di te, e così son divenuto insopportabile a me stesso? 8<br />

Quando Giobbe disse: Son divenuto insopportabile a me stesso 9, mostrò<br />

di essere legge a se stesso, e che nessun altro lo aveva reso tale se non<br />

lui. Ma poiché aveva detto prima, rivolgendosi a Dio: Mi hai posto contro<br />

di te lO mostrò anche di non essere sfuggito alla legge di Dio. Perché<br />

è proprio dell'eterna e giusta legge di Dio disporre che chi non ha<br />

voluto essere governato soavemente da lei, debba essere per pena governato<br />

da se stesso; e che chi ha respinto volontariamente il giogo soave<br />

e il peso leggero della carità sopporti poi contro voglia il peso intollerabile<br />

della sua volontà. E così l'eterna legge, in modo ammirevole e giusto,<br />

da una parte rende ostile a se stesso colui che si sottrae a lei, dall'al-<br />

6 Rom 7, 24.<br />

7 Sal. 93, 17.<br />

8 Giob. 7, 20.<br />

9 Giob. 7, 20.<br />

lO Giob. 7, 20.<br />

- .145 -


tra continua a tenerlo soggetto. Poiché costui non evase dalla legge di<br />

giustizia per giusti motivi, e non rimase con Dio nella sua luce, nella sua<br />

pace, nella sua gloria, rimane ora soggetto al suo potere, ma lontano dalla<br />

sua gioia. O Signore Dio mio, perché non togli il mio peccato, e perché<br />

non cancelli la mia iniquità 11, affinché, liberato dal pesante fardello della<br />

mia volontà, possa respirare sotto il lieve peso della carità? Così non<br />

sarei più costretto da timore servile, né da una cupidigia da mercenario,<br />

ma verrei mosso dal tuo Spirito, dallo spirito di libertà, dal quale sono<br />

mossi i tuoi figli, e il quale rende testimonianza al mio spirito che anch'io<br />

sono uno dei figli, perché è divenuta mia la stessa legge che è la tua.<br />

Anch'io potrei allora stare in questo mondo come tu ci sei. Perché quelli<br />

che fanno ciò che raccomanda l'Apostolo: Non abbiate altro debito con<br />

nessuno, se non quello d'amarvi l'un l'altro 12, stanno veramente in questo<br />

mondo come ci sta Dio: essi non sono né servi né mercenari, ma sono<br />

figli.<br />

4. Dunque neppure i figli sono senza legge, a meno che qualcuno non<br />

la pensi diversamente, per il fatto che sta scritto: La legge non è stata<br />

posta per i giusti 13. Ma dobbiamo intendere qui che altra è la legge<br />

promulgata dallo spirito di servitù, nel timore, altra la legge promulgata<br />

dallo spirito di libertà, in soavità. I figli di Dio non possono essere costretti<br />

sotto la prima, come non possono sopportare di vivere senza la<br />

seconda. Vuoi sapere in che senso ai giusti non è imposta la legge?<br />

Voi, dice l'Apostolo, non avete ricevuto lo spirito di servitù per ricadere<br />

di nuovo nel timore 14. E vuoi sapere ancora perché essi tuttavia non<br />

r.imangono senza la legge della carità? Ma voi, aggiunge l'Apostolo, avete<br />

ricevuto lo spirito d'adozione come figli 15 Ascolta infine un giusto che<br />

conferma, nei propri riguardi, l'una e l'altra cosa, che cioè non è sotto<br />

la legge, e che non è per altro senza legge. Mi sono fatto, egli dice, con<br />

quelli che erano sotto la legge, come se io pure fossi sotto la legge, quantunque<br />

io non sia sotto la legge,.con quelli che erano senza legge, come se<br />

anch'io fossi senza legge, quantunque non fossi senza la legge di Dio,<br />

essendo nella legge di Cristo 16 .Ecco perché non è giusto dire: «I giusti<br />

non hanno legge », o: «I giusti sono senza legge », ma si deve dire in-<br />

Il Giob. 7, 21.<br />

u Rom. 13, 8.<br />

13 1 Tim. l, 9. La Volgata porta: lex iusto non est posita.<br />

14 Rom. 8, 15.<br />

15 Rom. 8, 15.<br />

16 1 Coro 9, 20-21. La Volgata porta: iis qui sub lege sunt, ut eos qui sub lege erant<br />

lucrijacerem; iis qui...<br />

- 146-


vece: La legge non è stata posta per i giusti 17, cioè non è imposta come<br />

a persone che non la vogliono, ma come a persone che volontariamente<br />

l'accettano, ed è offerta tanto più in uno spirito di libertà in quanto è<br />

infusa con uno spirito di dolcezza. Per questo il Signore dice amabilmente:<br />

Prendete su di voi il mio giogo 18, come se dicesse: «Non ve-lo<br />

impongo contro la vostra volontà, ma prendetelo voi stessi, se volete;<br />

in altro modo non troverete ristoro, ma solo fatica per le anime vostre ».<br />

5. Buona è la legge della carità, legge soave, che non solo viene portata<br />

con leggerezza e soavità, ma rende leggere e sopportabili persino le<br />

leggi degli schiavi e dei mercenari. Essa non le abolisce, ma fa in modo<br />

che vengano adempiute, come dice il Signore: Non sono venuto per abolire<br />

la legge) ma per compierla 19 Tempera la legge degli schiavi, ordina<br />

quella dei mercenari, e le rende ambedue più leggere.<br />

Non vi sarà mai carità senza timore, ma sarà timore santo; non<br />

senza desideri, ma questi saranno ordinati. Per cui la carità compie sia<br />

la legge del servo, infondendovi l'amore devoto verso Dio, sia quella del<br />

mercenario, ordinando le sue cupidigie. L'amore devoto verso Dio, unito<br />

al timore, non l'annulla, ma lo rende santo. Al timore viene tolta solamente<br />

la pena, senza la quale non poteva stare finché era servile; ma il<br />

timore rimane per sempre anche nell'eternità, santo e filiale. Infatti,<br />

quando si legge:La carità perfetta caccia via il timore 20, per timore si<br />

deve intendere la pena che accompagna sempre il timore servile, come<br />

abbiamo detto usando un modo di esprimerci secondo il quale si dice<br />

spesso la causa invece dell'effetto. E infine, quando c'è la carità, la cupidigia<br />

si ordina giustamente, le cose cattive vengono totalmente respinte,<br />

a quelle buone vengono preferite le migliori, e non desideriamo quelle<br />

buone che in vista di quelle migliori. Quando, per la grazia di Dio, si<br />

sarà raggiunto questo stato, si amerà il corpo e tutti i beni corporali solo<br />

per l'anima, l'anima per Dio, e Dio per se stesso.<br />

6. Ma tuttavia, poiché siamo esseri carnali e nasciamo dalla concupiscenza<br />

della carne, è necessario che il nostro desiderio e il nostro amore<br />

abbiano un movente iniziale nella carne. Se sono diretti secondo un retto<br />

ordine, sotto la guida della grazia essi progrediranno per alcuni propri<br />

gradi, finché saranno condotti alla piena perfezione dello spirito. Infatti,<br />

17 l Tim. l, 9.<br />

18 Mt. 11, 29.<br />

19 Mt. 5, 17.<br />

20 l Gv. 4, 18.<br />

- 147-


non viene prima ciò che è spirituale, ma ciò che è animale, seguito poi<br />

da ciò che è spirituale 21. È inevitabile che dapprima noi portiamo l'immagine<br />

dell'uomo terreno, poi di quello divino.<br />

Al principio dunque l'uomo ama sé per sé stesso; egli è carne e non<br />

può gustare niente altro che la carne. Quando si rende conto che non<br />

può sussistere per sé, allora comincia e a cercare per mezzo della fede<br />

Dio come colui che gli è molto necessario, e ad amarlo. Nel secondo<br />

grado, ama dunque Dio, ma per sé, non per lui. Ma quando, spinto dalla<br />

sua necessità, comincia ad onorarlo e a rivolgersi frequentemente a lui<br />

col pensiero, la lettura, la preghiera, la sottomissione alla sua volontà,<br />

a poco a poco e gradatamente, in virtù di questa familiarità, Dio gli si<br />

fa conoscere e gli si rende dolce e soave. Così, avendo gustato quanto è<br />

soave il Signore, l'uomo sale al terzo grado dell'amore, nel quale ama<br />

Dio non per sé ma per lui. A dire il vero, in questo grado si rimane a<br />

lungo. Ed io non so se il quarto grado dell'amore per cui l'uomo ama se<br />

stesso solamente per Dio, possa essere perfettamente raggiunto in questa<br />

vita da qualcuno degli uomini. Se alcuni ne hanno fatto l'esperienza, lo<br />

affermino. Quanto a me, lo confesso, sembra impossibile. Però avverrà,<br />

senza dubbio, quando il servo buono e fedele verrà introdotto nel gaudio<br />

del suo Signore e si sarà inebriato dell'abbondanza della casa di Dio.<br />

Allora quasi dimentico di sé in modo mirabile, e quasi staccandosi totalmente<br />

da se stesso, si volgerà tutto a Dio, e unendosi poi a lui, diverrà<br />

con lui un solo spirito. Credo che il profeta pensasse proprio a questo,<br />

quando diceva: Entrerò nelle potenze del Signore; Signore, mi ricorderò<br />

solo della tua santità 22. Egli certamente sapeva che quando fosse nella<br />

potenza del Signore, si sarebbe spogliato di tutte le miserie della carne,<br />

e non avrebbe più dovuto pensare alle cose della carne, ma il suo essere,<br />

vivente tutto nello spirito, avrebbe ricordato solo la santità di Dio.<br />

7. Solo allora le singole membra di Cristo potranno dire di sé stesse<br />

ciò che Paolo diceva del loro copo: Anche se abbiamo conosciuto Cristo<br />

secondo la carne, ora non lo conosciamo più così 23. In cielo nessuno si<br />

conoscerà secondo la carne, perché la carne e il sangue non possederanno<br />

il regno di Dio 24, Ciò non perché Il non vi sarà anche la sostanza della<br />

carne, ma perché non vi sarà più alcuna necessità carnale, e l'amore della<br />

carne dovrà essere assorbito dall'amore dello spirito, i deboli sentimen-<br />

21 l Coro 15, 46.<br />

22 Sal. 70, 16.<br />

23 2 Coro 5, 16.<br />

24 l Cor. 15, 50. La Volgata porta: Dei possidere non possunt,<br />

- 148-


ti umani che ora abbiamo si dovranno mutare, in certo modo, in sentimenti<br />

divini. La rete della carità, che ora, trascinata in questo mare grande<br />

e spazioso, non cessa di raccogliere ogni sorta di pesci, quando un<br />

giorno sarà portata alla riva, metterà fuori quelli cattivi, tratterà solo<br />

quelli buoni. Appunto perché in questa vita la rete della carità raccoglieva<br />

nel suo largo seno pesci d'ogni genere, conformandosi a tutti secondo le<br />

circostanze del momento, essa prendeva su di sé sia i dolori che le gioie<br />

di tutti, e facendoli in qualche modo suoi, era abituata non solo a gioire<br />

con chi gioiva, ma anche a piangere con chi piangeva. Quando però sarà<br />

portata alla riva, essa porrà fuori, quali pesci cattivi, tutto ciò che è sofferenza,<br />

e tratterrà solamente la felicità e la gioia. Si può forse pensare<br />

che allora Paolo continuerà a sentirsi debole coi deboli, oppure brucerà di<br />

sdegno per chi è stato scandalizzato, dal momento che ormai gli scandali<br />

e le debolezze saranno lontani? Oppure che egli piangerà ancora per<br />

quelli che non si sono pentiti, quando ormai è certo che non vi saranno<br />

più né peccatori, né penitenti? Lungi da noi pensare che, in quella città<br />

celeste, allietata dall'impeto del torrente, si continui a piangere e a gemere<br />

per coloro che sono stati ritenuti degni del fuoco eterno insieme col<br />

diavolo e gli angeli suoi. Il Signore ama le sue porte più di tutte le tende<br />

di Giacobbe 25, perché nelle tende, anche se qualche volta c'è allegria<br />

per la vittoria, si fatica tuttavia per la battaglia, e il più delle volte si<br />

mette in pericolo la vita. In quella patria, al contrario, non possono entrare<br />

né avversità né tristezze. Canta di lei il salmista: In te è come la<br />

dimora di tutti quelli che sono lieti 26, e ancora: La loro gioia sarà<br />

eterna 27.<br />

Infine, come si potrebbe ricordare la misericordia, dal momento che<br />

ci si ricorderà della sola santità di Dio? Dove non ci sarà posto per il<br />

peccato, né tempo per la misericordia, non vi potrà essere alcun sentimento<br />

di commiserazione.<br />

25 Cfr Sal. 86, 2.<br />

26 Sal. 86, 7.<br />

27 Is. 61, 7.<br />

- 149-


LETTERA PASTORALE<br />

Fr. Sighardo K1einer<br />

Abate Generale Cistercense<br />

agli Abati) alle Abadesse) ai Priori e alle Priore conventuali e a tutti i<br />

confratelli e le consorelle nel Signore, salute e benedizione copiosa.<br />

Il 18 gennaio 1174 il Santo Pontefice Alessandro III ha iscritto il<br />

nome di San Bernardo, Abate di Chiaravalle nell'albo dei Santi.<br />

Non è necessario in questa sede di tessere il curriculum e le opere<br />

del nostro Padre in parole e scritti. Tutti noi sappiamo che fu un grande<br />

Abate, un pescatore di uomini, un incomparabile padre di monaci e il<br />

fondatore di moltissimi monasteri. Uomo forte e dolce che agli occhi<br />

del superno Veggente era coerente a se stesso (cfr I dial. di San Gregorio<br />

Magno che parla di San Benedetto ),e ad un tempo insigne nella sua opera,<br />

lucerna lucente ed ardente, che attirò molti affinché entrassero con passo<br />

alacre nella via del Signore.<br />

Amò talmente i suoi monaci che questi desideravano di ritornare<br />

al più presto possibile a Chiaravalle e dal Padre, quando per alcun tempo<br />

erano staccati da lui perché dovevano attendere a degli incarichi. Da ogni<br />

parte a Chiaravalle convennero uomini che cercavano Dio perché ivi,<br />

per mezzo dell'amore del Dottor mellifluo compresero i misteri del dolcissimo<br />

amore divino e impararono ad abbandonare i beni terreni e ad<br />

amare i celesti.<br />

Il centenario della canonizzazione di San Bernardo non ci offre<br />

forse un'occasione propizia di meditare sull'ufficio dell'Abate? Il rinnovato<br />

ricordo di un Padre cosi grande ci può indurre validamente a rinnovare<br />

la riostra vita. Perciò l'immagine e la supplice intercessione di<br />

San Bernardo sia direttiva alle parole che seguono, poiché egli nella sua<br />

vita compi mirabilmente quanto San Benedetto desiderava si realizzasse<br />

nell'Abate.<br />

L'UFFICIO PASTORALE DELL'ABATE<br />

San Benedetto che conosceva per esperienza la vita eremitica e non<br />

ignorava le altre specie di monaci, lasciandoli da parte, si accinse ad<br />

organizzare la vita dei cenobiti. Già all'inizio della sua descrizione si<br />

deve notare che lui comincia il suo discorso partendo dall'Abate, e tanto<br />

- 150-


più perché secondo la concezione di taluni si dovrebbe parlare dei diritti<br />

e dei doveri del Superiore solo alla fine. In tal modo essi intendono significare<br />

che il Superiore è eletto perché renda il suo servizio ai fratelli e<br />

non al contrario. Ciò non sfugge però a San Benedetto. Infatti dal tenore<br />

di tutta la Regola risulta chiaro che l'Abate deve servire a molti caratteri<br />

(Regola, cap. 2, 31: I testi della Santa Regola si citano secondo le edizioni<br />

curate da P. Lentini, da Hanslik e da P. Neufville) e che egli stesso se<br />

« bene avrà servito» (cap. 64, 21) potrà udire ciò che è stato promesso<br />

al buon servo nel Vangelo.<br />

Ma l'Abate secondo il senso della Regola non è semplicemente<br />

superiore o rettore o preposto o guardiano; l'Abate è il nucleo della<br />

Comunità attorno al quale si aduna la schiera dei fratelli e perciò<br />

è la base e il capo della stessa. Inoltre San Benedetto scrivendo la Regola<br />

non considera l'Abate solo in modo prevalentemente giuridico, cioè<br />

avente diritti e doveri, ma nella luce dell'ufficio pastorale che include<br />

certamente sia i diritti che i doveri. L'immagine dell'Abate offerta dalla<br />

Regola è dunque delineata particolarmente nel suo aspetto spirituale;<br />

da essa si deducono organicamente la di lui potestà e il suo servizio,<br />

anzi per dirlo più ovviamente, la dedizione di tutto il suo essere al servizio<br />

delle anime che gli sono affidate.<br />

Tale servizio si divide e si suddivide in molte parti speciali, perché,<br />

come vedremo, San Benedetto vuole che «dipenda dal discernimento<br />

dell'Abate l'ordinamento del suo monastero» (cap. 65, Il). San Benedetto<br />

vuole cioè che l'Abate non sia solo maestro (cf cap. 2, 4) e pastore<br />

delle anime (cf cap. 2, 8), ma moderatore dell'intera vita del cenobio<br />

(cf cap. 65, Il ecc.), anzi anche amministratore dei beni temporali (cf cap.<br />

2, 33). Però affinché tale molteplicità di uffici non sia dannosa all'ufficio<br />

pastorale, San Benedetto abbraccia sotto l'unico aspetto della salvezza<br />

delle anime tutte le manifestazioni della vita claustrale, e le considera<br />

e le ordina in questa potente luce. L'Abate sappia e « sempre sia consapevole<br />

che ha assunto il compito di guidare anime di cui dovrà dare rendiconto»<br />

(cap. 2, 34).<br />

Per tale motivo la Regola presenta l'Abate semplicemente come<br />

padre del monastero (cf cap. 33, 5) da cui si può sperare tutto (ivi). Il<br />

compito del padre di famiglia è unico ed indivisibile: non vogliamo enumerare<br />

dettagliatamente a quanto deve provvedere il Padre. Il suo ufficio<br />

nell'ambito della famiglia claustrale non ha limiti. Perciò anche nei riguardi<br />

del Cellerario, di cui San Benedetto dice che « dev'essere come un<br />

padre per tutta la comunità» (cap. 31, 2), egli aggiunge: «Abbia cura<br />

di tutto », anche se sotto la guida dell'Abate (cf cap. 31, 3): l'Abate<br />

- 151-


dunque, essendo « padre del monastero », deve provvedere allo svolgimento<br />

di tutta la vita claustrale.<br />

La Santa Regola si astiene dall'enumerazione per cosi dire, giuridica<br />

dei doveri dell'Abate. Una tale enumerazione restringe infatti la sua attività<br />

pastorale e ne deforma il compito spirituale.<br />

Di conseguenza la cura dell'Abate si deve estendere a tutti i compiti<br />

del monastero, per la sua finalità, cioè la salvezza delle anime. Gli uomini<br />

bisognosi di salvezza vivono in situazioni concrete che li aiutano o li impediscono<br />

nell'opera di salvezza la quale non avviene senza la loro collaborazione.<br />

Però nel cenobio che è totalmente indirizzato a promuovere<br />

l'opera di redenzione di coloro che vengono incorporati alla sua famiglia,<br />

tutti gli elementi di vita devono essere disposti in modo da concorrere<br />

ad ovviare alla salvezza delle anime. Siccome l'Abate è destinato proprio<br />

allo scopo, cioè « a regolare e a disporre tutto in modo che le anime si<br />

salvino» (cap. 41, 5), deve avere la possibilità e la volontà di provvedere<br />

a tutto ciò che può influenzare la salvezza delle anime a lui affidate.<br />

E in verità, tutto, siano le persone che le cose e gli interessi economici<br />

che determinano o costituiscono la vita del monastero, tutti hanno<br />

la loro importanza e il loro posto, « sub specie aeternitatis » nell'opera<br />

della salvezza di coloro che hanno deciso di condurre questa vita « sotto<br />

una Regola e sotto un Abate» (cap. 1, 2). Il ministro principale e responsabile<br />

della salvezza delle anime nel monastero è l'Abate, che sotto questo<br />

titolo partecipa all'ufficio di Cristo Mediatore, di cui egli fa le veci (cf cap.<br />

2, 2). L'ufficio offre dunque all'Abate una certa conoscenza di tutte le<br />

questioni.<br />

Perciò San Benedetto affida alla sollecitudine ed alla vigilanza dell'Abate<br />

la disposizione di tutta la vita del suo monastero; cioè egli dirige<br />

le celebrazioni liturgiche prescritte dalla Regola, può cambiare l'ordine<br />

di precedenza della comunità, (cf cap. 63, 1; 2, 19), dispone il lavoro<br />

manuale e l'ordine del giorno (cf cap. 41), vigilia sull'amministrazione<br />

dei beni temporali (cf cap. 31, 4) e si cura specialmente del progresso<br />

spirituale delle anime, per enumerare solo alcuni dei compiti dell' Abate<br />

in generale.<br />

II. Affinché l'Abate possa corrispondere sempre meglio al suo ufficio<br />

e specialmente alle nuove esigenze dei tempi, deve ponderare continuamente<br />

tutto con sé al cospetto di Dio, non solo « per non perdere nessuna<br />

delle pecorelle a lui affidate» (cap. 27, 5) in quanto ciò dipende<br />

dalla sua « diligenza» (cap. 2, 2) ma anche per poter « giovare» veramente<br />

(cap. 64, 8) ai fratelli nelle diverse circostanze.<br />

- 152-


Per poter giungere sempre a tale deliberazione, sia permesso dare<br />

alcuni consigli:<br />

1. Anche se l'Abate deve provvedere a tutto, alle persone ed ai beni,<br />

e in molte circostanze, lo fa più convenientemente per mezzo di altri che<br />

per se stesso. L'arte del governo consta in gran parte nel saper scegliere<br />

e formare i collaboratori, « con cui l'Abate può dividere con tranquilla<br />

coscenza i sui oneri» (cap. 21, 3). Certamente nelle anguste condizioni<br />

del monastero spesso è difficile trovare le persone adatte per i singoli<br />

uffici, e talvolta ai collaboratori manca la volontà di cooperare. D'altra<br />

parte l'ufficio dell'Abate si adempie specificamente in quanto egli sa<br />

trarre dalle concrete circostanze delle cose e delle persone i benefici e i<br />

vantaggi spirituali relativamente migliori per il progresso della comunità.<br />

Ad ogni coadiutore della cui sincerità e devozione egli può fare affidamento,<br />

egli può concedere largamente una libertà proporzionata alle<br />

sue forze. Affinché l'uomo possa svilupparsi pienamente, deve disporre<br />

di una ragionevole autonomia d'azione, che tuttavia è limitata dal bene<br />

comune su cui l'Abate deve vegliare ed anche dal bene personale del coadiutore<br />

stesso (cap. 57, 2 s.). L'Abate dunque si astiene da ogni specie di<br />

« dirigismo », in modo che i suoi coadiutori si sentano veramente responsabili<br />

con l'Abate. Del resto i coadiutori, sicuri della fiducia dell'Abate<br />

raddoppiano spesso le proprie forze. San Benedetto non ha stabilito nulla<br />

riguardo ai limiti delle competenze dei singoli coadiutori, lasciandolo alla<br />

prudente decisione dell'Abate che deve distribuire gli oneri con cautela<br />

ma anche fiduciosamente, riservandosi la libertà di commutare gli uffici<br />

per l'utilità del monastero.<br />

2. C'è un ufficio solo che l'Abate non può affidare agli altri senza<br />

cessare dall'essere Abate, cioè l'ufficio del pastore e del padre. Mentre<br />

anche negli Istituti religiosi di più recente fondazione i fratelli esigono<br />

sempre più che il Superiore li tratti principalmente come personalità e<br />

come fratelli e solo in seconda linea sotto l'aspetto dell'efficenza o dell'operosità,<br />

nell'Ordine monastico tale considerazione fu sempre prevalente.<br />

Si diventa monaci per cercare veramente Dio (cf cap. 58, 7) e per<br />

essere aiutati in questa ricerca dai fratelli e particolarmente dall' Abate.<br />

L'Abate dunque, posponendo tutte le altre considerazioni, deve vedere<br />

in ognuno dei suoi monaci un fratello, eletto in modo tutto particolare<br />

da Dio e da Lui prediletto, che il Padre affida alla sua diligente cura in<br />

questo tempo, per i suoi fratelli, in vista della vita eterna. « L'Abate sappia<br />

che ricade sul pastore se il Padre di famiglia potrà trovare poca utilità<br />

nelle sue pecore» (cap. 2, 7). L'utilità di cui la Regola parla a questo<br />

punto è rappresentata da vantaggi di natura spirituale o sociale o mate-<br />

- 153-


iale che gli apportano i membri della comunità, considerati però sotto<br />

l'aspetto dei valori eterni che «il fratello utile» (cap. 7, 18), sostenuto<br />

dall'amore dell'Abate, tesoreggia nel proprio cuore, nella sua personalità,<br />

per mezzo del servizio che egli presta ai fratelli.<br />

L'Abate dunque deve rivolgere ogni cura ai singoli fratelli (cf cap.<br />

2, 38), senza omettere nemmeno uno (cf cap. 27, 8), conscio che solo<br />

in un modo potrà porgere loro aiuto, cioè amandoli sinceramente e generosamente.<br />

San Benedetto lo ammonisce succintamente: «ami i fratelli »<br />

(cap. 64, Il). Come le piante crescono col calore del sole, così gli uomini<br />

e le personalità maturano nel calore dell'amore.<br />

3. L'Abate non attinge l'amore dall'affetto, ma da Dio che per il<br />

Suo spirito diffonde la carità nei nostri cuori (cf Rom. 5, 5). Egli stesso,<br />

cercando Dio (cf cap. 58, 7) e camminando per le vie di Dio (cf Pro!. 21)<br />

potrà mostrare le vie della vita (cf Prol, 20). Unito a Dio, di cui è amministratore<br />

(cf cap. 64, 7) potrà convincere i suoi a progredire sempre più<br />

verso Dio (cf cap. 62, 4). Egli stesso, uomo di Dio, uomo dell'orazione<br />

e della lectio divina, potrà infondere ai discepoli il senso di Cristo (cf L<br />

Coro 2, 16), il senso di Dio (cf L Giov. 5, 20), ed anche il senso della<br />

perfezione della propria natura ed individualità. Egli amando l'Amore,<br />

imparerà l'amore e lo irradierà di nascosto si, ma efficacemente. Trasformato<br />

lentamente ma sicuramente dall'amore, sostenuto dalla grazia, potrà<br />

trasformare i fratelli secondo quell'immagine che negli eterni disegni di<br />

Dio è propria di ciascuno.<br />

Per essere felice ed equilibrato, l'uomo ha bisogno della soddisfazione<br />

di poter raggiungere la pienezza della sua personalità. In questo<br />

senso, essere completi nel proprio essere, per il monaco significa essere<br />

uomo completo nel suo genere, cioè quello di uomo veramente religioso<br />

o di vero monaco. L'Abate, amando i sui e servendo al carattere di ciascuno<br />

(cf cap. 2, 31), potrà giovare ai singoli a completare la loro personalità<br />

umana e religiosa, anche prestando loro il suo aiuto nelle loro<br />

buone opere.<br />

4. L'Abate sa d'essere più tenuto a servire i fratelli infermi - sia<br />

che la loro malattia colpisca il corpo sia l'anima - che i fratelli<br />

in buona salute (cf cap. 27, 6); perciò a volte può sembrare che<br />

ami più i malati che i sani. In tale caso tutti dovrebbero ricordare che<br />

non sono i sani che abbisognano del medico, ma gli ammalati (Mt. 9, 12).<br />

In linea generale l'Abate deve guardarsi dall'aderire più ad un gruppo<br />

che ad un altro, perché in tal modo ecciterebbe dissensi ed odio fra i<br />

fratelli. Osservando l'aurea regola: «Non si ami l'uno più dell'altro »,<br />

se non colui che, conosciute le sue buone opere possibilmente anche da<br />

- 154-


altri fratelli, sia riconosciuto migliore (cf cap. 2, 17), l'Abate si asterrà<br />

completamente, sia all'interno sia fuori del suo monastero, da giudizi<br />

spregevoli sui suoi fratelli e da lagnanze a loro riguardo, eccetto che, per<br />

mantenere la pace e la carità, sia necessario procedere assieme agli altri<br />

fratelli contro il fratello che ha mancato o turbato l'ordine. L'uomo dei<br />

nostri tempi stima moltissimo il suo diritto ad una buona reputazione<br />

e il rispetto verso la sua persona, sopportandone a gran pena una lesione.<br />

Se l'Abate agisce da buon padre di famiglia e dimostra verso tutti,<br />

anche verso i caratteri più difficiliun uguale affetto, si guadagna, in quanto<br />

sta in lui, la fiducia di tutti e semina fra i fratelli la pace, favorendo<br />

l'unità della famiglia. In verità, cosi portiamo, sotto lo stesso Signore più<br />

o meno felicemente lo stesso peso di servitù ed in Cristo siano uno (cf<br />

cap. 2, 30). Bisogna dunque che l'Abate, facendo le veci di Cristo, sia<br />

il principale fautore dell'amore e dell'unità di Cristo stesso.<br />

5. Da quanto fu detto, appaiono chiaramente alcuni aspetti degni<br />

di considerazione riguardanti il modo con cui l'Abate esercita la sua autorità,<br />

che si fonda specialmente sul principio che « nel monastero egli è<br />

riguardato come il rappresentante di Cristo» (cap. 2, 2). Rinunciare a<br />

quest'autorità o distruggerla, sarebbe quindi una grave ingiuria verso<br />

Cristo di cui egli rappresenta l'autorità presso i fratelli e a cui « egli<br />

dovrà render conto della sua amministrazione» (cap. 64, 7); nello stesso<br />

tempo sarebbe una grave offesa verso i fratelli che lo elessero fra tutti<br />

per promuovere il bene comune. Oggi per i superiori sussiste una<br />

non piccola tentazione, e cioè quella che, cedendo alla pressione d'un<br />

« democratismo» esagerato, disprezzano la propria autorità che sono<br />

obbligati ad esercitare, sia per mancanza di fortezza d'animo, sia per<br />

concessione a false ideologie sia per insufficente comprensione del loro<br />

ufficio. Qui sono da evitarsi non solo il paternalismo che fa trattare i<br />

fratelli come dei soggetti alla propria benevolenza e il modo di esercitare<br />

l'ufficio autocraticamente cosi che al posto della ragione oggettiva<br />

subentra la volontà del Superiore, ma anche quello spirito di dimissione<br />

che oggi è qiù frequente e che per falsa umiltà ed impotenza o per apparente<br />

mansuetudine rimette alla coscienza dei singoli l'ufficio di giudicare<br />

sulle azioni ed omissioni o lasciano dipendere tutto dalla maggioranza<br />

dei voti dei membri della comunità. Vi sono coloro i quali reputano<br />

l'autorità morale dell'Abate cosi grande che non debba abbisognare<br />

né di diritti né di leggi. Nessuno dubita che l'autorità del Superiore<br />

dev'essere morale. Se però la sua autorità non godesse del diritto di<br />

comandare, di biasimare, di non accettare e, se il caso lo richiede, di<br />

punire, sarebbe presto oggetto di derisione.<br />

- 155-


Del resto oggigiorno l'esercizio dell'autorità è reso molto difficile<br />

specialmente a causa delle nuove concezioni sulla dignità e la libertà dell'uomo,<br />

concezioni che non concordano con la professione monastica o<br />

che finora non sono sufficientemente coordinate. Tanto più l'Abate abbisogna<br />

di principi chiari che non si radicano soltanto nel senso comune<br />

e nelle deliberazioni della ragione, ma nella fede e nell'intima persuasione<br />

della sua santa missione. In quella misura con cui l'Abate sa con certezza<br />

di non essere soltanto il direttore di una qualsiasi associazione umana o<br />

di un'impresa di carattere religioso, ma il pastore delle anime che guida<br />

in nome e col potere di Cristo, la sua autorità si fonda sulla pietra che<br />

che è Cristo stesso. Anche i fratelli non si persuaderanno diversamente<br />

del vero senso dell'autorità del loro Abate, se non vedranno l'Abate<br />

stesso persuaso della sua divina missione per il bene dei fratelli, in spirito<br />

di fede e consapevolezza della propria debolezza.<br />

6. Da quando fu detto, si dimostra chiaramente che l'Abate non<br />

può esercitare la sua autorità indipendentemente e da solo, anche se è<br />

radicata nell'ordine di Dio. L'Abate deve esercitare la sua potestà non<br />

solo per i fratelli, ma anche coi fratelli. In ultima analisi si tratta sempre<br />

della loro salvezza. Però come Dio non ci salva senza di noi, così anche<br />

l'Abate non procura la salvezza delle anime a lui affidate senza di loro.<br />

Perciò l'Abate, quando si tratta del bene dei singoli o del monastero<br />

deve risvegliare la corresponsabilità dei fratelli in un duplice campo:<br />

in quello della consultazione ed in quello dell'azione. Dell'azione ne<br />

abbiamo già parlato sopra. Qui tratteremo ilproblema della consultazione<br />

la quale suppone certamente che l'Abate nella frequente conversazione<br />

coi fratelli fornisca loro quelle notizie che sono necessarie a formare<br />

un giudizio sano ed equilibrato.<br />

Dunque prima che l'Abate passi all'azione, bisogna che lasci trascorrere<br />

uno spazio di tempo per la decisione. Se si tratta d'un problema<br />

che riguarda i singoli, San Benedetto vuole che gli stessi, se si presta<br />

l'occasione, « possano esporre le cause della loro impossibilità» (cf cap.<br />

68, 2) di assumere l'impegno; il che però deve avvenire « pazientemente<br />

e in modo opportuno» (ivi) e con disposizione all'obbedienza (ivi, 5).<br />

Invece, ogni qualvolta nel monastero si tratta di cose importanti, l'Abate<br />

deve convocare tutta la comunità, e dire lui stesso di che cosa si tratta<br />

(cap. 3, 1). « Invece se si tratta di questioni di minore importanza per<br />

l'utilità del monastero, ascoltati solo il consiglio degli anziani» (ivi, 12).<br />

In linea generale San Benedetto suggerisce all'Abate: «Fa tutto con<br />

consiglio» (ivi,13).<br />

- 156-


La Regola incomincia con le parole: Ascolta. Il principio fondamentale<br />

della Regola è che il monaco impari a percepire la parola di Dio<br />

per rinnovare la sua vita. L'Abate, nelle cui mani è riposto il bene di<br />

tutti, deve investigare la voce di Dio, ascoltando specialmente quelli<br />

dalla cui voce può conoscere la volontà di Dio ossia « ciò che è meglio»<br />

(cap. 3, 3). San Benedetto stesso conferma che, scrivendo il terzo capitolo<br />

della sua Regola, si è proposto precisamente questo fine, che cioè l'Abate<br />

ascolti la voce di Dio attraverso la voce dei fratelli: «Perciò abbiamo<br />

detto che tutti devono essere chiamati al consiglio, perché spesso (!) il<br />

Signore rivela ad un giovane ciò che è meglio » (cap. 3, 3). Quello che<br />

il Signore nei singoli casi « rivela », ispirando argomenti buoni e giusti,<br />

l'Abate lo deve discernere poi da solo.<br />

L'Abate dunque ascolterà diligentemente i suoi fratelli, provocando<br />

la loro partecipazione nei consigli e negli affari, invitandoli a prendere<br />

parte alle vicissitudini ed alle avversità, risvegliando la loro corresponsabilità<br />

e « creatività ». Dopo averli volentieri ascoltati, « deve esaminare<br />

la questione da solo, e poi faccia ciò che gli sembrerà più utile» (cap.<br />

3, 2), tuttavia in modo che anche nell'esecuzione degli ordini i fratelli<br />

abbiano una parte attiva e responsabile. Il senso di questo modo d'agire<br />

non è di allentare l'obbedienza, ma di renderla più libera e matura.<br />

L'arte di dialogare è certamente difficile, ma è necessario che sia<br />

appresa da tutti. Per esperienza, in occasione del dialogo sorgono non<br />

di rado delle aspre discussioni, e perfino delle risse. La maturità di spirito<br />

esige dai fratelli che sappiano tollerare il pluralismo delle opinioni<br />

in seno alla comunità, la cui unità non è da ricercarsi nel consenso dell'intelletto<br />

ma nella carità dei cuori. Come in un monastero non è conveniente<br />

che uno dica: lo sono per Paolo, un altro: lo invece per Apollo,<br />

un altro: lo sono per Pietro (cf L Coro 1, 12) perché Cristo che è<br />

l'anima e tutta la ragione d'una comunità monastica, non può essere<br />

diviso (cf ivi, 13), cosl, pur persistendo le diversità d'opinione, essa<br />

dev'essere una sola famiglia in Cristo, la cui unione sarà procurata sapientemente<br />

e prudente mente dall'Abate, che anche a questo riguardo fa<br />

le veci di Cristo.<br />

7. In tale nesso è anche chiaro che l'Abate deve esere un amatore<br />

della Regola, non .solo perché in essa si fonda il suo ufficio, ma anche<br />

perché dalla sua fedeltà verso la Regola dipende in massima parte la sua<br />

autorità e credibilità. In questo senso San Benedetto ammonisce l'Abate<br />

« a mostrare ogni opera buona e santa più a fatti che a parole» (cap. 2,<br />

12) e « a fare tutto osservando la Regola» (cap. 3, Il; cf cap. 64, 20).<br />

'L'autorità dell'Abate può essere messa in dubbio quando prescive l'osser-<br />

- 157-


vanza di cose contrarie alla Regola; egli stesso può anche essere reputato<br />

dispregiatore della Regola. Ma non lo si può respingere o contestare<br />

con giusta ragione se la sua dottrina si appoggia alla Regola. Con ciò non<br />

intendiamo dire certamente che l'Abate oltre le consuete osservanze<br />

debba imporre delle consuetudini della Regola benedettina ormai cadute<br />

in disuso, eccetto il caso che qualcuna di loro nel suo monastero per<br />

incuria o abuso sia stata tralasciata o venga osservata male. In tal caso<br />

però dovrà agire con ogni prudenza e discrezione. Bisogna confessare<br />

che il vecchio stile della Regola e le sue prescrizioni offuscano per molti<br />

il valore esimio della Regola stessa. Ciò però non deve impedire a noi,<br />

che siamo discepoli di un tale Maestro di ricercare la sapienza perenne<br />

della sua dottrina,anche se si nasconde in certe pagine già antiquate<br />

della Regola. Non è qui il luogo d'esaltare il valore della Regola di fronte<br />

a tante ed importanti Costituzioni di Ordini e Congregazioni più recenti<br />

che forse col tempo passeranno a cagione dei mutamenti che vi furono<br />

aggiunti, mentre invece la Regola rimarrà.<br />

L'Abate amatore della Regola sarà anche l'imitatore dello spirito<br />

a cui servirono i nostri Fondatori. In verità una dannosissima distruzione<br />

proviene dal disprezzo o dalla noncuranza di ciò che i nostri padri amarono<br />

e promisero. È una legge della fragilità umana che tende alla comodità<br />

ed alla mollezza. Perciò lo Spirito risveglia talvolta nella Chiesa<br />

uomini e donne che mostrano la via alle vette. In questo senso si può<br />

citare per l'intuizione dei nostri Fondatori una paroletta della Regola:<br />

Per chi s'affretta a raggiungere la perfezione della vita monastica, ci<br />

sono le dottrine dei santi padri, la cui osservanza conduce l'uomo all'altezza<br />

della perfezione (cf cap. 72, 2). Perciò la fedeltà verso i nostri<br />

Padri, non è soltanto una fedeltà platonica, non è soltanto una cosidetta<br />

fedeltà trionfale, ma consiste nell'attuazione pratica, adeguata alla vita<br />

moderna, che può dare impulso ai vari aspetti della nostra vita cistercense.<br />

8. Da quanto ora detto, potrebbe nascere l'opinione come se<br />

l'Abate dovesse attingere gli spunti per il suo modo d'agire specialmente<br />

dai valori del tempo decorso. In realtà l'Abate non deve vivere né nel<br />

passato né nel futuro, ma nel presente e deve impegnare le sue forze<br />

per i fra telli come sono e per gli affari urgenti nel miglior modo che può,<br />

avvertendo le necessità e le aspirazioni attuali e alleviandole. Ma ciò che<br />

oggi è presente, domani è passato, tanto più che la vita odierna si svolge<br />

con ritmo veloce. In questo senso l'Abate deve continuamente abbandonare<br />

ciò che rimane indietro e protendersi verso il futuro, non dimenticando<br />

però l'antico, ma distinguendo il nuovo e integrandolo con quanto<br />

c'è di buono, per essere capace di trarre dal suo tesoro ilnuovo e il vecchio<br />

- 158-


(cf cap. 64, 9). L'Abate potrà essere così il vero interprete dei segni dei<br />

tempi e potrà in questo modo penetrare nelle aspirazioni dei giovani,<br />

nei loro dubbi e nelle loro incertezze. Solo difficilmente può governare<br />

il suo gregge, se non si sforza ad indagare e scrutare sempre di nuovo<br />

gli attuali fenomeni dell'umanizzazione e secolarizzazione ed altri inclusi<br />

o ad essi inerenti e ad avvertire le conseguenze.<br />

Munito di questa scienza, l'Abate è capace di esercitare la funzione<br />

profetica del suo ufficio, cioè quella di provvedere e di predicare la via<br />

di Dio e le vie degli uomini e di mostrare ai suoi fratelli le porte e gli<br />

itinerari per i quali anche loro potranno progredire nelle vie di Dio e<br />

degli uomini, e dai quali può procedere un'opportuna evoluzione della<br />

comunità e il suo passaggio alle nuove situazioni. Tali effetti però non<br />

si possono ottenere senza il comune sforzo dei fratelli.<br />

Ben ardua è una tale funzione per l'Abate. Ma i precetti e i consigli<br />

del Vangelo non superano e non precedono forse per caso i nostri<br />

tentativi? Bisogna che questo dinamismo del Vangelo animi l'Abate<br />

affinché, per modo di dire, come un buon pastore, egli possa precedere<br />

di un passo o dell'altro il suo gregge, senza però stancarlo troppo nel<br />

camminare (cf cap. 64, 18) affinché non venga meno lungo la strada.<br />

D'altra parte bisogna evitare una stagnazione che ammette il presente<br />

stato di cose come un fatto e promuove tale fatto a legge per non<br />

rimestare quello che è quieto. Il rinnovamento richiede talvolta un tentativo<br />

audace benché prudente, per dirlo figuratamente perfino un'uscita<br />

dalla propria terra e parentela (cf Gen. 12, 1). Nell'Ordine nostro, bisogna<br />

confessarlo, finora fu favorita più l'opera di adattamento guidata<br />

dalla temperanza che l'opera di rinnovamento che invece è sorretta dalla<br />

virtù della fortezza. Perché dunque il proprio monastero possa sopravvivere,<br />

l'Abate e tutti gli Abati assieme devono dedicarsi con ogni sagacia<br />

a quelle attività che contribuiscono al raggiungimento della nuova<br />

vitalità.<br />

9. Sbrigati gli affari quotidiani, all'Abate non dovrebbe essere tedioso<br />

lo sforzo di studiare frequentemente le questioni che oggi affaccendano<br />

gli uomini per formarsi in tal modo un giudizio su di loro e a<br />

riformarselo sempre di nuovo. Anzitutto però egli ha bisogno di un<br />

quotidiano confronto e colloquio con la parola di Dio. Egli non potrà<br />

comprendere giustamente i segni dei tempi né conservare il senso genuino<br />

della vocazione religiosa, né potrà dare alle anime dei suoi fratelli<br />

delle utili direttive se non attingendo molto di frequente la sapienza<br />

dalle fonti del Salvatore. Quantunque egli debba commentare con lettura<br />

e studio proprio l'evoluzione attuale dell'umanità, tuttavia non sarà in<br />

- 159-


grado di coordinare bene e di comprendere chiaramente le cognizioni<br />

acquisite senza ever preso un amoroso contatto col Vangelo. Stando sulla<br />

vedetta del Signore (cf Is., 8) diverrà un sicuro indagatore dei fatti e<br />

degli eventi e potrà distinguere i segni dei tempi. Sotto la guida della<br />

parola di Dio egli potrà esaminare spesso se stesso ed anche le sue aspirazioni<br />

e i suoi giudizi, perché, allo specchio dell'eterna verità, egli possa<br />

essere sempre più un Abate secondo il cuore di Dio e la dottrina della<br />

Regola. Raccogliendosi abitualmente con Gesù che parla con gli Apostoli,<br />

imparerà anche lui ad intrattenersi abitualmente e familiarmente coi<br />

fratelli.<br />

E cosi sarà il vero pastore delle sue pecore e le riconoscerà con gli<br />

occhi del suo cuore. E quelle ascolteranno la sua voce e la seguiranno.<br />

III. Alla fine mi sia permesso di fare da quanto detto dalle deduzioni<br />

riguardanti l'ufficio dell'Abate generale, che per ferma esperienza<br />

di vent'anni di abaziato generale, mi sembrano di grandissima importanza<br />

e che dico più ai miei successori che a me stesso: Si tratta dell'aspetto<br />

spirituale dell'ufficio dell'abate generale, il quale supera in ogni riguardo<br />

l'aspetto amministrativo del suo ufficio. Ed in quanto sotto tale aspetto<br />

sono venuto meno nell'adempimento del mio dovere, mi sento accusato<br />

e non scusato.<br />

Come dice il suo nome, e con le debiti mutazioni l'Abate generale<br />

per l'Ordine è quello che i singoli Abati devono essere per la<br />

propria comunità. La «Dichiarazione» della vita cistercense odierna,<br />

emanata dal Capitolo generale, anche se con altre parole lo esprime a<br />

sufficenza e ben chiaramente. Al nostro tempo furono scritte delle dotte<br />

dissertazioni e specialmente sotto l'aspetto storico-giuridico. Una di loro<br />

è giunta alla conclusione che il titolo « Abate generale» è stato solo un<br />

mero titolo. Una tale considerazione non ha riguardo per l'aspetto spirituale<br />

e le sue conseguenze nell'Ordine è spesso prevalsa questa difettosa<br />

considerazione dell'ufficio supremo, non solo da parte dei contestatori<br />

dell'Abate generale, ma, in quanto appare negli atti e dai fatti, anche<br />

da parte di alcuni abati generali. Da ciò ebbero inizio anche gravi turbamenti<br />

dell'Ordine e lo divisero non di rado in due partiti fra loro contrari.<br />

I primi Padri dell'Ordine, stando al senso della Santa Regola, stimarono<br />

altamente l'ufficio dell'Abate di Citeaux ed estendevano il suo<br />

influsso anche alle fondazioni dei monasteri che chiamavano in senso<br />

spirituale e pieno le figlie della « Mater Cistercium ». Sotto questo punto<br />

di vista i primi Padri attribuirono alla comunità di Citeaux ed al suo<br />

Abate la cura pastorale degli altri monasteri. I Padri di Cìteaux non<br />

- 160-


vollero imporre ai monasteri di recente fondazione, l'esazione dei beni<br />

temporali, « però vogliamo ritenerci per amore la cura delle loro anime»<br />

(Charta caritatis, c.I.). Rivestiti di tale potere stabilirono: «vogliamo e<br />

comandiamo loro di osservare in tutto la Regola del beato Benedetto,<br />

come si osserva nel Nuovo Monastero» (ivi). I Padri di Citeaux si ritennero<br />

dunque la cura pastorale degli altri monasteri senza fare alcuna<br />

distinzioni fra filiazioni e filiazioni di filiazioni, cura che includeva però<br />

il potere di emanare precetti.<br />

La comunità di Citeaux, secondo l'intenzione dei nostri Fondatori,<br />

quale madre dell'Ordine -« Cistercium mater nostra» - doveva essere<br />

la forma esemplare nell'osservanza della Regola, cioè in una santa vita<br />

monastica e doveva esercitare la cura d'anime degli altri monasteri.<br />

All'Abate di quella comunità di Citeaux competeva l'ufficio di esercitare<br />

un influsso pastorale preponderante su tutto l'Ordine.<br />

Quali siano dunque le interpretazioni o le modifiche introdotte<br />

in tempo posteriore, secondo la prima delineazione dell'Ordine, l'Abate<br />

di Citeaux poté e dovette esercitare la cura pastorale su tutto l'Ordine.<br />

La comunità di Citeaux non esiste più, ma l'Abate generale del<br />

nostro Ordine è considerato giustamente il successore degli Abati di<br />

Citeaux, cosi che anche annoverato nella loro serie. Anche il suo ufficio,<br />

in quanto riguarda tutto l'Ordine, continua ad esistere.<br />

Oggi sembra che la figura dell'Abate generale riprenda felicemente<br />

nuova importanza, specialmente in funzione del suo compito pastorale<br />

e spirituale, non trascurando il suo compito amministrativo, in particolar<br />

modo perché l'uno e l'altro ufficio si compenetrano intimamente. Precisamente<br />

in questa luce si deve vedere e definire il potere dell'Abate Generale.<br />

Tale concezione del compito prevalentemente spirituale dell'Abate<br />

generale corrispondente sia - pur in senso traslato - alla figura dell'Abate<br />

che San Benedetto delinea nella Regola, sia all'idea primitiva<br />

che i nostri Padri <strong>Cistercensi</strong> ebbero dell' Abate di Citeaux.<br />

Anche l'ufficio degli Abati Presidi si" può chiamare similmente<br />

- in proporzione -, un ufficio in prevalenza pastorale.<br />

La stessa considerazione si deve fare, secondo il tenore della «Charta<br />

Caritatis », riguardo al Capitolo generale, in cui « trattino della salvezza<br />

delle loro anime; nell'osservanza della santa Regola e dell'Ordine, diano<br />

disposizioni se c'è qualcosa da correggere o incrementare, si riformino a<br />

vicenda nel bene della pace e della carità ». (l.c. II!.). Nelle Costituzioni<br />

dell'Ordine approvate nel 1934 si ha già un testo giuridico: «Lo stesso<br />

(Capitolo) tratta anche quei problemi che riguardano l'osservanza della<br />

Santa Regola e delle Costituzioni dell'Ordine» (Art. 3).<br />

- 161 -


Ai Capitoli delle Congregazioni dell'Ordine compete, nel loro<br />

ambito, un compito pastorale simile a quello del Capitolo generale.<br />

Insistendo in tal modo sull'ufficio pastorale del Capitolo generale<br />

non intendiamo certamente dire che le questioni trattate dai Capitoli<br />

generali in tempo più recente non abbiano avuto almeno indirettamente<br />

attinenza alla salvezza delle anime. Ma affinché il Capitolo generale possa<br />

veramente guidare il destino dell'Ordine e giovare alle anime dei fratelli,<br />

è necessario che il suo ufficio pastorale ne compenetri i membri e le loro<br />

deliberazioni.<br />

Vogliamo sperare che in futuro il Capitolo generale si dedichi sempre<br />

più a questo suo nobile ufficio, da cui si potrà aspettare il vero rinnovamento<br />

dell'Ordine e la sua rigenerazione.<br />

Roma, dalla Curia Generalizia, 26 aprile 1973<br />

Fr. Sighardo Kleiner<br />

Abate generale<br />

- 162-


LE ORIGINI DELL'ABBAZIA DI<br />

SANTA MARIA DI SAMBUCINA<br />

ALLA LUCE DELLA CRITICA DELLE FONTI*<br />

di P. Goffredo Viti<br />

Durante le laboriose indagini intorno all'abbazia di Sambucina si<br />

sono incontrati molti problemi controversi, specie per quanto riguarda<br />

l'origine dell'abbazia stessa. Si è sentito quindi il bisogno di ricorrere<br />

ad uno studio critico per chiarire in qualche modo la situazione. Molti<br />

e autorevoli scrittori non convengono su diverse questioni, per cui, sulle<br />

basi di una accurata critica delle fonti, si è cercato di determinare meglio<br />

la complessa problematica, allo scopo di poterla risolvere nel più ragionevole<br />

e scientifico dei modi. In ultima analisi si tratta di determinare<br />

se l'abbazia di Santa Maria di Sambucina sia stata o no la prima abbazia<br />

fondata da Casamari nel periodo Cistercense. Molti autori e tavole cronologiche<br />

lo asseriscono, mentre altri sostengono che l'abbazia di Sambucina<br />

sia entrata alle dipendenze di Casamari solo in tempo posteriore<br />

con la bolla di Celestino III del 6 maggio 1192. Perciò lo scopo oreciso<br />

del presente articolo è voler risolvere quali siano state le vere origini<br />

dell'abbazia di Sambucina. Due volumi, che del resto sono dello stesso<br />

autore, illustrano detta abbazia:<br />

MARCHSE GIUSEPPE, La Badia di Sambucina, sguardo storico sul<br />

movimento cistercense nel mezzogiorno d'Italia, Lecce 1932;<br />

MARCHESE GIUSEPPE, Tebe Lucana, Val di Crati e l'odierna Luzzi,<br />

studio storico con documenti inediti e rari, Napoli 1957.<br />

Un serio esame di questi volumi, potrà offrire forse risultati più precisi<br />

e determinanti.<br />

SGUARDO GENERALE ALL'OPERA DI G. MARCHESE<br />

« LA BADIA DI SAMBUCINA ».<br />

Una attenta lettura del volume in questione, mostra che l'intenzione<br />

dell'autore è visibilmente polemica e faziosa. La tesi fondamentale<br />

del Marchese è di volere assolutamente dimostrare che Sambucina non<br />

è stata fondata da Casamari, ma direttamente da San Bernardo nel 1141<br />

* Il presente studio è un capitolo della mia tesi di laurea in S. Teologia, Le abbazie<br />

dipendenti da Casamari nei secoli XI-XIII, difesa all'Angelicum il 4 giugno 1969.<br />

Per le indicazioni bibliografiche complete vd. GOFFREDO VITI, Storia dell'abbazia di Casamari<br />

dalle origini ai nostri giorni, in Not. Cist., IV, 1971, pp. 235-248..<br />

- 163-


e solo nel 1192 per intrighi dell'abate Gerardo di Casamari fu sottomessa<br />

alla giurisdizione di Casamari. L'intento dell'autore e il suo animo<br />

polemico, a nostro parere, risultano da alcuni rilievi che saranno messi<br />

in luce in seguito e si fondano su un pregiudizio giuridico. Infatti l'autore<br />

asserisce: «Fu dunque questa figlia bastarda di Citeaux, che a causa<br />

delle sue origni, sottopostasi sin dall'inizio alla Santa Sede, riuscì ad<br />

attrarre nella stessa orbita le badie dipendenti dell'Italia meridionale e<br />

della Sicilia » 1.<br />

La prima osservazione da fare all'espressione su riportata è che<br />

Casamari non è figlia di Citeaux ma di Clairvaux.<br />

La seconda è di indole giuridica, contenuta chiaramente nella espressione<br />

figlia bastarda. Per comprendere il giusto senso giuridico di<br />

questa espressione, che a prima vista potrebbe sembrare innocua, ma<br />

denota già con sufficiente chiarezza l'animosità dell'autore, è necessario<br />

riassumere brevemente lo stato della questione. Dagli anni 1170 al 1221<br />

furono emanate dai Papi tre bolle: Alessandro III (1170), Innocenzo III<br />

(1198), Onorio III (1221) che concedevano diversi privilegi all'abbazia<br />

di Casamari. Tra gli altri privilegi i pontefici posero Casamari sotto la<br />

protezione di San Pietro e la loro. Questi papi chiamarono Casamari<br />

[us et proprietas beati Petri. I pontefici successivi non fecero altro che<br />

confermare di tanto in tanto quanto era stato concesso dai loro predecessori<br />

2. Il canonico Luigi De Persiis 3, dal tenore delle prime tre bolle<br />

prova che il senso vero e genuino delle espressioni papali sia che Casamari<br />

non è mai stata unita e incardinata all'ordine di Citeaux, che non<br />

ha mai avuto visita e correzione - de iure proprio - dagli abati di<br />

Clairvaux, ma solo de iure extraordinario et commissariali. Quindi,<br />

secondo il De Persiis, Casamari ebbe con l'esenzione completa da qualsiasi<br />

giurisdizione dell'Ordine, la dipendenza diretta ed esclusiva dai pontefici.<br />

Il De Persiis non poteva conoscere l'opera del Canivez 4, cioè gli<br />

statuti dell'Ordine Cistercense, pubblicati solamente da un trentennio.<br />

Ecco perché il De Persiis giunse ad una conclusione che oggi più nessuno<br />

osa sostenere. Infatti nella collezione del Canivez, dall'anno 1191 al<br />

1623, si trovano moltissimi statuti che riguardano Casamari. In questi<br />

statuti si vede chiaramente quale era la posizione di Casamari nell'Ordine<br />

Cistercense. Ci dispensiamo dal riferirli nella loro stesura, perché con-<br />

l G. MARCHESE, La Badia di Sambucina..., p. 77.<br />

2 Cfr L. DE BENEDETTI, 1 Regesti dei Romani Pontefici per l'Abbazia di Casamari,<br />

pp. 329-340.<br />

3 L. DE PERSIIS, La Trappa di Casamari nel suo doppio aspetto monumentale e storico,<br />

pp. 66-73.<br />

4 ]. M. CANlVEZ, Statuta Capitulorum generalium, voI. VIII, Louvain, 1933-1939.<br />

- 164-


porterebbe una lunga pausa nella nostra trattazione. In nota invece ne<br />

indicheremo solamente alcuni, citando l'anno e il numero di statuto,<br />

per favorire chi volesse personalmente rendersene conto s. Ci si permetta<br />

un cenno ad una lettera dell'Il maggio 1223 che Onorio III inviò al<br />

Capitolo Generale per corroborare hic et nunc la nostra tesi: Casamari<br />

ha sempre fatto parte della grande famiglia Cistercense. La lettera inizia:<br />

Cum sciatis nos unioersum Ordinem uestrum sincera charitate diligere 6,<br />

ed è diretta agli abati cistercensi riuniti in Capitolo generale. Il Papa<br />

comunica loro l'unione del monastero di San Domenico di Sora con<br />

Casamari; li esorta a non prendere decisioni contrarie a quanto egli<br />

stesso ha stabilito. Così pure li invita a rispettare le concessioni che ha<br />

fatto per quanto riguarda il culto nella chiesa di Casamari, anche se<br />

per caso fossero contrarie agli usi e costituzioni dell'Ordine. Il papa<br />

dovette assolutamente fare questo passo perché tali questioni erano<br />

tra i compiti specifici del Capitolo generale.<br />

Il Marchese senza riferirsi al De Persiis, che in simile circostanza<br />

non cita, con l'espressione «figlia bastarda» incappa nello stesso pregiudizio<br />

giuridico. L'attenuante che abbiamo portato per il De Persiis,<br />

vale anche per il Marchese, in quanto l'opera del Canivez fu pubblicata<br />

dopo il lavoro sull'abbazia di Sambucina. Un appunto invece può essere<br />

fatto al Marchese perché, nel pubblicare il secondo volume nel 1957,<br />

non parla minimamente di questo argomento di capitale importanza.<br />

Dissipato il pregiudizio giuridico della presunta esenzione completa di<br />

Casamari nei confronti dell'autorità dell'Ordine Cistercense, perdono<br />

valore, di conseguenza, gli intrighi che il Marchese immagina operati<br />

dall'abate Gerardo con Celestino III, per sottrarre Sambucina dalla<br />

sfera dell'Ordine e incorporarla a Casamari. Facciamo ora altri rilievi<br />

che ci permetteranno di comprendere più a fondo l'animo dell'autore e<br />

ci faranno vedere che la dimostrazione della tesi del Marchese appare<br />

fondata su basi non del tutto solide. Infatti:<br />

Il Marchese ritiene 7 che l'anno 1192 fu per Sambucina un anno<br />

fatale e che con la bolla di Celestino III, un gran colpo toccò a Sambucina<br />

8. Ma egli stesso, poco dopo, asserisce che sotto il governo di Luca<br />

5 Ibidem, 1191, 4 - 1197, 33 - 1198, 21, 47 - 1199, 16 - 1205, 31 - 1206, 26 - 1207,<br />

28 - 1216, 16 - 1217, 16 - 1218, 54 - 1219, 24 - 1220, 22 - 1232, 30 - 1235, 29, 43 -<br />

1238, 42 - 1261, 25 - 1271, 37 . 1272, 32 - 1273, 11 - 1276, 14 - 1276, 26, 53 - 1277,<br />

17 - 1278, 31 - 1282, 35,51 - 1291, 48 - 1294, 32 - 1613, 26.<br />

6 Reg. Vat. Honorii III, lib. 7, ep. 151, foI. 42; Cod. ms. I, 53, Biblioteca Vallicelliana;<br />

P. PRESSUTTI, Regesta Honorii Papae III, voI. II, p. 133, n. 4346.<br />

7 G. MARCHESE, La badia di Sambucina..., p. 79.<br />

8 Ibidem, p. 73.<br />

- 165-


Campano, già priore di Casamari, che governò l'Abbazia di Sambucina<br />

dal 1193 al 1204 e fu poi consacrato arcivescovo di Cosenza, Sambucina<br />

raggiunse un grande splendore 9. Queste asserzioni contengono già un'l<br />

certa contraddizione.<br />

Ancora il Marchese asserisce che il celebre annalista Cistercense<br />

Angelo Manrique bisogna accettarlo con riserva poiché le conclusioni<br />

dell'annalista sono soggettive, essendo parte interessata, in quanto il<br />

Marchese lo ritiene abate di Casamari lO. In realtà il Manrique fu<br />

abate ma non di Casamari. Nonostante la diffidenza espressamente manifestata<br />

nei riguardi del Manrique, il Marchese ricorre all'annalista, nei<br />

suoi volumi per almeno due volte. Queste due citazioni per di più non<br />

sono esatte.<br />

La prima volta il Marchese cita il Manrique nel volume « La Badia<br />

di Sambucina... » alla pagina 57, in nota. La nota in cui è citato il<br />

Manrique dice: San Bernardo, Opere, Lettera 208, Manrique tomo I,<br />

foglio 378. In questa citazione non si trova ciò che il Marchese indica.<br />

La seconda volta il Manrique si trova citato nell'altro volume<br />

« Tebe Lucana, Val di Crati e l'odierna Luzzi... » alla pagina 283, nota<br />

72. Il testo della nota è identico a quello già riportato: Manrique, tomo<br />

I, foglio 378. La nota del Marchese è usata per confermare la fondazione<br />

di Sambucina. Ma, come prima, nell'opera e nel punto citato non si trova<br />

nulla che riguarda la fondazione di Sambucina. Vi si legge, tra l'altro<br />

la fondazione del Monastero di Grata Dei situato nella diocesi bisuntinensi<br />

in Burgandia. Sambucina si trova invece nella diocesi bisinianensi<br />

in Calabria. Forse il Marchese sarà stato tratto in inganno<br />

dalla forte assonanza tra i due nomi latini delle diocesi: bisuntinensi e<br />

bisinianensi.<br />

Infine analizzando le due liste dei primi abati di Sambucina che<br />

l'autore riferisce nei suoi due volumi vi appare una notevole differenza.<br />

Nel primo volume l'elenco degli abati 11 è quello che integrato<br />

anche noi riteniamo giusto. Nel secondo volume l'elenco appare differente<br />

nel secondo e quarto nome 12. Queste ed altre imprecisioni ci<br />

lasciano supporre anche una certa superficialità di lavoro.<br />

Entriamo ora nel vivo della questione: quando e da chi fu fondata<br />

l'Abbazia di Sambucina? Gli autori sono molto discordi. Dai diversi<br />

9 Ibidem, pp. 79-83.<br />

lO Ibidem, pp. 60-61.<br />

11 Ibidem, pp. 69-83.<br />

12 G. MARCHESE, Tebe Lucana..., pp. 283-292.<br />

- 166-


studi risulta che sei anni sono in questione e cioè il 1141; un anno<br />

non determinato ma dopo il 1141; il 1148; 1157; 1159; 1160 13 •<br />

L'anno 1141 è presentato dal Marchese come unica possibilità<br />

corrispondente a documenti che egli stesso ha trovato in diversi archivi<br />

locali. Esamineremo attentamente i documenti-base dello studioso calabrese<br />

per determinare se le cose si svolsero realmente nel modo che<br />

egli riferisce. Vari ed insistenti interrogativi ci hanno indotto alla presente<br />

ricerca. Perché molti autori hanno voluto sostenere posizioni<br />

diverse da quelle che storicamente sono accadute? Perché gli autori precedenti<br />

al Marchese hanno sostenuto altre opinioni? Limiteremo il<br />

nostro studio unicamente alla posizione del Marchese che oggi sembra<br />

la più diffussa.<br />

Il Marchese rimette tutta la forza dei suoi argomenti su tre questioni:<br />

1" L'amicizia tra Ruggero II e San Bernardo;<br />

2" Valore dell'atto di donazione del conte Goffredo del 18 maggio 1141;<br />

Y Importanza della Bolla di Celestino III del 6 maggio 1192.<br />

Analizzeremo questi tre punti per vedere l'insufficenza degli argomenti<br />

del Marchese.<br />

1. L'AMICIZIA TRA RUGGERO II E SAN BERNARDO<br />

Fino al 1139 le relazioni tra Ruggero II e San Bernardo furono<br />

sensibilmente ostili. L'ostilità fu provocata nel 1137 quando il re normanno<br />

aveva difeso apertamente l'antipapa Anacleto II. Ma, dopo l'accordo<br />

di Mignano del 25 luglio 1139, in cui Ruggero II riconobbe la<br />

legittimità di Innocenzo II, non vi fu più tra i due motivo di discordia.<br />

Dopo questo importante fatto San Bernardo indirizzò al sovrano normanno<br />

una lettera di elogio 14.<br />

Il Marchese sottoscrive una espressione dello Chalandron dove si<br />

asserisce « Ruggero per trarre a se San Bernardo, lo prega di stabilire<br />

delle colonie di monaci nei suoi stati 15. Il Marchese dimostra che la<br />

proposta di Ruggero fu realmente accolta da San Bernardo e che San<br />

Bernardo tra il 1140-1141 inviò i monaci in Sambucina. A noi questa<br />

dimostrazione non ci sembra convincente. Infatti pur essendo chiaro che<br />

13 G. MARCHESE, La badia di Sambucina..., p. 60, dove sono enumerati gli autori che<br />

sostengono i diversi anni.<br />

14 SAN BERNARDO, Epistola 207, ed. G. MABILLON, voI. I, Pars Prior, collo 435436.<br />

15 G. MARCHESE, La badia di Sambucina..., pp. 39-40.<br />

- 167-


Ruggero II desiderasse i monaci <strong>Cistercensi</strong> nel proprio regno, bisogna<br />

precisare che San Bernardo in un altra lettera 16 chiaramente afferma<br />

che Ruggero per il momento desidera solo due monaci che prendano<br />

visione del luogo dove dovrà sorgere il monastero.<br />

La lettera 447 fu indirizzata ad Amedeo, abate di Altacomba. In<br />

essa San Bernardo si rivolge all'abate chiedendo di inviare due monaci<br />

(tanti ne desiderava Ruggero II) che si portassero presso il monte Pessula,<br />

dove nell'Ottava dell'assunzione del 1140 avrebbero dovuto imbarcarsi<br />

col nunzio di Ruggero II e con la principessa Elisabetta figlia<br />

di Teobaldo, promessa sposa di Ruggero. Nella stessa lettera San Bernardo<br />

asserisce anche che i monaci erano pronti per la partenza in Calabria,<br />

ma Alfano, nunzio di Ruggero II, disse che il sovrano richiedeva<br />

per il momento solo due monaci per prendere visione del luogo 17. È<br />

spontaneo ora domandarci: L'Abate Amedeo inviò realmente i due monaci<br />

che Bernardo chiedeva? Siamo del parere che in quella occasione<br />

Amedeo non inviò i due monaci; forse perché distolto dalle ultime parole<br />

della lettera dove San Bernardo afferma che è pericoloso per l'Ordine,<br />

inviare due religiosi in terra straniera senza la vigilanza dell'abate 18.<br />

La nostra opinione non è fondata solo su una riflessione di ordine morale<br />

insinuataci dalla stessa lettera di San Bernardo, ma è solidamente basata<br />

su un altro documento 19 in cui troviamo che nel 1145 Alfano (forse lo<br />

stesso del 1140) nunzio del re Ruggero II si reca in Ispagna da dove<br />

porta con se a Sambucina cinque abati.<br />

Secondo la nostra opinione questi cinque abati non sono altro che<br />

quei monaci di cui San Bernardo parlava nella lettera ad Amedeo per<br />

prendere visione del luogo. Ciò lo deduciamo dal fatto che, secondo la<br />

consuetudine cistercense, rigorosamente vigente in quell'epoca, per una<br />

fondazione erano necessari dodici monaci con un abate. Nel presente documento<br />

si parla invece di cinque persone e per di più di cinque abati.<br />

Un altra prova contro questa affermazione e a favore della nostra tesi<br />

la ricaviamo dal fatto che in quell'epoca gli abati erano eletti a vita,<br />

quindi bisognerebbe concludere che i cinque abati provenissero da cin-<br />

16 SANBERNARDO, Epistola 447, ed. G. MABILLON, voI. I, Pars Prior, collo 750-751.<br />

17 Ibidem: «Fratres quidem parati erant et abbatia ordinata, sed dominus Alfanus,<br />

nuntius domini regis Siciliae dixit quia rex non requirebat nisi duos fratres, qui praecederant<br />

alios, ad videndum Iocum ».<br />

18 Ibidem: «Nam periculum est religionis et ordinis, sicut vestra providentia novit,<br />

fratres, sine disciplina, sine custodia vel abbatis vel aliorum fratrum suorum versari in<br />

terra aliena ».<br />

19 Cfr Tabulario Lucii, Archivio Luzzi-Lutris, Roma a. 1145, fascicolo II, incarto<br />

quarto dove si asserisce: « Sigismundus, Eligius, Petrus, Brunonis, et B. Ugo abbates ad<br />

quod monasterium Sambucinae ex Hispania Transfertati cum domino Alfano ».<br />

- 168-


que abbazie diverse, mentre il Marchese sostiene 20 che i primi religiosi<br />

di Sambucina, che del resto non possono essere altri che i cinque abati,<br />

provenissero dall'Abbazia di Moreruola, abbazia spagnola fondata nel<br />

1132. Concludiamo per ora che almeno fino al 1145 i monaci <strong>Cistercensi</strong><br />

non erano ancora a Sambucina. Come spiegare la donazione a favore dei<br />

<strong>Cistercensi</strong> del 18 maggio 1141? Entriamo ora in un punto molto delicata,<br />

e crediamo che la seguente considerazione ci darà una sufficiente<br />

risposta.<br />

2. L'ATTO DI DONAZIONE DEL 18 MAGGIO 1141 DEL<br />

CONTE GOFFREDO DE LUCI]S E, RELATIVE QUESTIONI<br />

Intorno al contenuto del presente atto esiste una discreta letteratura<br />

e le opinioni sono contrastanti. Alcuni ritengono che l'atto sia un falso<br />

del secolo XIV; altri invece ritengono che sia autentico spiegandone il<br />

contenuto in modo diverso dal Marchese. Personalmente, ponderate<br />

le ragioni degli uni e degli altri siamo per la falsità, poiché certi<br />

elementi non possono essere spiegati se non riconoscendo il documento<br />

falso.<br />

Il documento afferma chiaramente che il conte Goffredo dona ai<br />

<strong>Cistercensi</strong> il suo monastero di Sambucina con tutti i relativi possedimenti<br />

21. Poiché nel documento si parla del Nostrum monasterium de<br />

Sambucina ci sembra non corrispondente a verità l'asserzione del Marchese:<br />

«Dopo l'accordo di Mignano, introdotti i <strong>Cistercensi</strong> nel ricostruito<br />

monastero benedettino de Nucis in possesso dei Lucij, questo<br />

prese il nome di Sambucina 22. Secondo il Marchese quindi Sambucina<br />

si chiamò così quando vi furono introdotti i <strong>Cistercensi</strong> nel 1141. L'atto<br />

di donazione invece parla espressamente che prima ancora della venuta<br />

dei <strong>Cistercensi</strong> il monastero aveva già il nome di Sambucina. Perciò in<br />

un primo tempo quando il monastero prese il nome di Sambucina (antecedentemente<br />

secondo il Marchese, si chiamava Santa Maria de Nucis)<br />

forse fu abitato ancora dai Benedettini, come meglio illustreremo in<br />

seguito. Infatti nella Cronaca dell'Anonimo Cassinese 23 troviamo l'abate<br />

Domenico, secondo abate di Sambucina, eletto nel 1156 abate di Montecassino.<br />

20<br />

21<br />

G. MARCHESE,Tebe Lucana..., p. 283.<br />

G. MACHESE,La badia di Sambucina..., pp. 47-50: atto di donazione: « ... Venerabili<br />

monasterio et fratribus religionis Cisterciensis domini abbatis Bernardi, nostra gratuita<br />

et libera voluntate donamus et concedimus<br />

Sambucina cum onnibus tenimentibus ... ».<br />

22 G. MARCHESE,Tebe Lucana..., p. 281.<br />

nostrum monasterium S. Mariae de<br />

23 CRONACADELL'ANONIMOCASSINESE,ed. CARACCIOLO, p. 143.<br />

- 169-


Se teniamo presenti le condizioni storiche e la mutua diffidenza<br />

che intercorreva tra i <strong>Cistercensi</strong> e Benedettini precisamente in questo<br />

periodo (verso la metà del secolo XII) ci sembra impossibile ammettere<br />

che un abate di Sambucina del periodo Cistercense fosse eletto abate<br />

di Montecassino 24. Marchese preoccupato di dimostrare l'origine di Sambucina<br />

direttamente da San Bernardo, non fa caso a significative sottigliezze,<br />

confondendo le due liste di abati di Sambucina, cioè la lista<br />

del periodo Benedettino con quella del periodo Cistercense. Riteniamo<br />

che nel 1156 questa abbazia fosse abitata dai Benedettini.<br />

Prima di inoltrarci nella descrizione dei due periodi è opportuno<br />

fare una precisazione sul monastero precedente a Sambucina, che ci<br />

apre la via per concludere sulla falsità dell'atto di donazione.<br />

Il Marchese, come abbiamo già notato, asserisce che prima di<br />

essere ricostruito, il monastero di Sambucina si chiamava Santa Maria<br />

de Nucis. Con una documentazione molto accurata, ci sembra non accettabile<br />

la tesi del Marchese. Riteniamo che il monastero precedente<br />

a Sambucina si chiamasse Santa Maria Requisita 25. Il primo documento<br />

a nostra disposizione 26 è del dicembre 1145, dove si attesta che la<br />

Contessa Berta di Loritello dona alla chiesa di Santa Maria Requisita<br />

e al suo abate Sigismondo un terreno su cui la stessa chiesa « noviter<br />

construitur ».<br />

Seguendo il succedersi dei documenti pubblicati da Pratesi è chiaramente<br />

provato che la chiesa di Santa Maria Requisita e l'omonimo<br />

monastero sono in stretta relazione, o se si vuole, sono da identificarsi<br />

col monastero di Sambucina. Nell'edizione del Pratesi troviamo alcuni<br />

documenti molto eloquenti.<br />

Il primo documento è un privilegio di Eugenio III del 28 settembre<br />

1150 diretto all'abate Sigismondo e al monastero di Santa Maria<br />

Requisita TI.<br />

Il secondo documento è di Alessandro III, purtroppo smarrito, la<br />

di cui esistenza risulta dal seguente.<br />

Il terzo documento è un nuovo privilegio di Clemente III del 29<br />

dicembre 1188 diretto all'abate Guglielmo e al monastero di Santa<br />

Maria Requisita 28. In esso si cita il nome di Eugenio III, autore<br />

24 Cfr. O. VITAL, Historia Ecclesiastica, pars, III, Liber VIII, PL, voI. 188, colI.<br />

636 sg.; R. DE TORIGNY, De Immutatione Monachorum, PL, vol. 202, collo 1131 sg.<br />

25 A. PRATESI, Carte Latine di Abbazie calabresi provenienti dall'Archivio Aldobrandini,<br />

pp. XXIII-XXVII.<br />

26 Ibidem, doc. 14, pp. 4142.<br />

27 Ibidem, doc. 15, pp. 43-45.<br />

28 Ibidem, doc. 36, pp. 86-90.<br />

170


del primo privilegio, e anche il nome di Alessandro III, autore del<br />

secondo privilegio purtroppo smarrito.<br />

Il quarto documento è un privilegio di Celestino III, pubblicato il<br />

21 dicembre 1196, diretto all'abate Luca e al monastero di Sarnbucina<br />

29.<br />

Il quarto documento diretto a Sambucina è strettamente legato<br />

agli altri, poiché Celestino III conferma le donazioni fatte dai due<br />

predecessori e ne aggiunge altre. La conferma delle donazioni precedenti<br />

presuppone che sia stata fatta sempre allo stesso ente, che nei primi<br />

tre casi si chiama Santa Maria Requisita, nel quarto invece è chiamata<br />

Santa Maria di Sambucina.<br />

Pertanto si deve concludere che tra il monastero di Santa Maria<br />

Requisita e l'abbazia di Sambucina esiste un legame di continuità sia<br />

se supponiamo una identificazione per un mutamento di denominazione,<br />

sia se supponiamo un trasferimento non solo dei beni, ma anche<br />

della comunità monastica di Santa Maria Requisita a Sambucina.<br />

Di conseguenza: quando il monastero di Santa Maria Requisita<br />

si chiamò Santa Maria di Sambucina?<br />

Il nome di Sambucina non lo troviamo esclusivamente con il documento<br />

di Celestino III del 21 dicembre del 1196. Un documento del<br />

settembre 1163 30 presenta per la prima volta la dicitura: «Sanctae<br />

Mariae quae dicitur de Sambucinae ». Questa stessa dicitura la troviamo<br />

in seguito costantemente sia nei documenti pubblici che privati, con<br />

la sola eccezione del privilegio di Clemente III del 29 dicembre 1188.<br />

La presenza del vecchio titolo forse è dovuta alla iscrizione dello smarrito<br />

documento di Alessandro III (forse anteriore al 1163, probabilmente<br />

nel 1159 o 1160) esibito nella cancelleria apostolica e usato per la<br />

compilazione del privilegio di Celestino III.<br />

Riteniamo probabile che il mutamento del nome da Santa Maria<br />

Requisita in Sambucina dovette realizzarsi quando vennero i <strong>Cistercensi</strong><br />

di Casamari e cioè nel 1160 come asseriscono vari storici parlando della<br />

fondazione di Sambucina, da parte dell'abbazia di Casamari:<br />

- Sambucina Clareuallis lineam auxit, {dia Casaemarii, unde abbates<br />

et monachos suscepit 31.<br />

- Mater Sambucinae Casaemarium de linea Clarauallis [uit, cuius<br />

29 Ibidem, doc. 49, pp. 116-122.<br />

30 Ibidem, doc. 21, pp. 56-58.<br />

31 A. MANRIQUE, Annales Cistercienses, tomo II, a. 1160, cap. VI, n. 7, p. 343.<br />

- 171-


monacbi, secundum Rizzum.: et pleraque tabulas a. 1160 aduenerunt<br />

32.<br />

- Abbas Fromundus, postquam oidit primam plantationem in Calabriam,<br />

consecratus est anno 1161 a Pontefice Alexandro III, qui<br />

Verulis morabatur, in episcopum uerulanum 33.<br />

Ego Lucas... vidi virum nomine [oacbini tunc abbatem curatii, filium<br />

Sambucinae filiae Casaemarii 34.<br />

Varie sono le ragioni apportate per accusare di falsità l'atto di donazione<br />

del 1141. Abbiamo visto che nel 1145 un documento attesta che il<br />

monastero in questione si chiama Santa Maria di Requisita e cosi fino<br />

al 1155 53 almeno da quanto risulta per documentazione, che probabilmente<br />

bisogna estendere fino al 1160. Come dunque nel 1141 poteva<br />

già essere chiamata Sambucina?<br />

Il Duprè 36 esprime molte riserve circa i documenti riferiti dal<br />

Marchese ed afferma che il problema « richiede, come prima cosa, l'attenta<br />

valutazione critica in sede paleografica e diplomatica ».<br />

Il Pratesi invece parlando specificatamente dell'atto di fondazione<br />

di Sambucina e delle ragioni addotte dal Marchese per attribuire a<br />

Ruggero II e a San Bernardo l'onore della prima fondazione cistercense<br />

nel Regno di Sicilia si esprime: «Il suo quadro (del Marchese) è senza<br />

dubbio seducente, ma inficiato dalla assoluta impossibilità di prestare<br />

fede ad un documento che alla luce della critica diplomatica risulta<br />

senza alcun dubbio, una tardiva falsificazione» 37.<br />

Il Marchese stesso ha precisato al Pratesi per mezzo di una lettera<br />

del 24 aprile 1956 che il documento di fondazione di Sambucina è<br />

stato edito da una copia del 1310 che si conserva nell'archivio Firrao-<br />

Sanseverino del palazzo di Bisignano. Però in seguito sia l'atto di fondazione<br />

che altri documenti citati dal Marchese sono stati smarriti<br />

durante i vari traslochi del medesimo archivio sicché non figurano nell'inventario<br />

dell'archivio Firrao-Sanseverino di Bisignano pubblicato da<br />

Jolanda Donsì Gentile 38.<br />

32 L. ]ANAUSCHEK, Origin-Cist., tomo I, p. 143.<br />

33 F. UGHELLI, Italia Sacra, Cbronicae Fossaenouae, voI. I, a. 1161, col. 376.<br />

34 Ibidem, tomo IX, collo 202 sg.<br />

35 A. PRATESI, Carte Latine ..., doc. 19, pp. 51-52: di sospetta genuinità!<br />

36 DUPRÈ THESEIDER, Sugli inizi dello stanztamento dei <strong>Cistercensi</strong> nel Regno di<br />

Sicilia, Studi in onore di A. De Stefano, Palermo 1956, pp. 216·217, D. 1.<br />

37 A. PRATESI, Carte Latine,.., pp. XXII sg.<br />

38 Ibidem, p. XX, n. 4.<br />

- 172


Il Pratesi 39 basandosi su argomenti molto solidi conclude che<br />

Patto di donazione è un falso di epoca tardiva e imprecisabile.<br />

L'indicazione non concorda con l'era di Cristo, segnando una unità<br />

in meno. li 1141, anno dell'atto di donazione, coincideva con l'indizione<br />

quarta, mentre il documento riferisce l'indizione terza.<br />

Il conte Goffredo 40 è detto « fundador Sambucinae », ma il nome<br />

di Sambucina non si incontra, a proposito dell'abbazia, prima del 1163.<br />

Tra gli offerenti figura anche Goffredo da Carbonara, pronipote<br />

del conte Goffredo, il quale molto probabilmente nel 1141 o non era<br />

ancora nato oppure era ancora bambino da risultare giuridicamente<br />

incapace di fare una donazione e sottoscriverla: certo egli non risulta<br />

ancora tra i benefattori del monastero nel privilegio di Clemente III<br />

del 29 dicembre del 1188, mentre è ricordato in quello di Celestino III<br />

del 21 dicembre 1196 per una donazione fatta due mesi prima 41.<br />

L'intera frase della « dispositio » con cui si enuncia il dono del<br />

« nostrum monasterium Sanctae Mariae de Sambucina » (dunque preesistente)<br />

è effettuato non già ad un abate e alla sua comunità che prendono<br />

possesso di un locus per un nuovo stanziamento, bensì « venerabili monasterio<br />

et fratribus religionis Cisterciensis domini abbatis Bernardi »,<br />

dunque la donazione è fatta ad un complesso edilizio monastico pur esso<br />

preesistente. Questo modo di procedere è difforme dal formulario consueto<br />

e pieno di incongruenze. Notare l'uso anacronistico - almeno in<br />

territorio calabrese - del termine « religio » nel significato di « Ordine<br />

monastico ». Strana appare anche la designazione dei <strong>Cistercensi</strong> dal<br />

nome del loro più famoso rappresentante: San Bernardo (l'esempio<br />

più antico, tra le carte del fondo studiato e pubblicato dal Pratesi),<br />

risale alla fine del secolo XV.<br />

- La « datatio » asserisce «Actum Sambucina» quindi bisogna concludere<br />

che il documento fu rogato nell'abbazia di Sambucina e di conseguenza<br />

risultano incompetenti per territorio sia il giudice che è della<br />

« civitatis Besidiensi » (forse dovrà leggersi Bisinianensis?), sia il notaio<br />

che ha la sua giurisdizione limitata «in castrum Cosentiae ». Eppure<br />

nel documento non appare nessun accenno al «consensus partium»<br />

per derogare al requisito della competenza, come era richiesto dalla prassi<br />

39 Ibidem, pp. XXII-XXII, n. 4. Tutti gli argomenti li abbiamo estratti dalla presente<br />

nota.<br />

40 Per quanto riguarda il presente personaggio cfr PALANZA, Per un conte normanno,<br />

pp. 127-130; K. H. KLEWITZ, Die Anfange ..., p. 237 sg.; GARUFI, Note e documenti,<br />

p. 455 sg.; IDEM, Admiral Eugenius, p. 88, n. 2 e p. 347, n. 23. (Le citazloni<br />

nota sono state prese dal Pratesi, p. XXII, n. 4).<br />

di questa<br />

41 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 47, pp. 109-112.<br />

- 173-


in simili casi. Tutte le suddette osservazioni lasciano concludere che ci<br />

si trova di fronte ad un falso. Dal complesso sia della deformazione dei<br />

toponini e dei nomi delle persone non sono possibili identificazioni di<br />

sorta, sicché non è facile stabilire quando il falso fu perpretato. Il Pratesi<br />

propende per una data assai tarda per cui ritiene opera del falsificatore,<br />

o frutto di una svista di chi vide il documento, anche la notizia che<br />

la copia citata risalga al 1310.<br />

Primo periodo della storia di Sambucina<br />

Nel primo periodo l'abbazia di Sambucina, come risulta dalla tradizione<br />

documentaria, si chiamava Santa Maria Requisita ed era abitata<br />

dai Benedettini. Nel 1145 fu restaurata da Berta di Loritello e si chiama<br />

ancora Santa Maria di Requisita. Ci soffermeremo alquanto a trattare<br />

di detta abbazia dal 1145 fino al 1160. Nello spazio di questi quindici<br />

anni troviamo esplicitamente ricordati due abati benedettini:<br />

Sigismondo che è nominato in vari documenti 42. Il Marchese ritiene<br />

che Sigismondo sia stato il primo abate Cistercense 43. Forse il medesimo<br />

nome, che ritroveremo nella lista degli abati <strong>Cistercensi</strong> ha avuto un<br />

ruolo determinante per lo storico calabrese. Da quanto è stato detto<br />

precedentemente, non è possibile che nel 1145 Sigismondo fosse l'abate<br />

Cistercense di cui parla la donazione di Berta e la « Commemoratio »<br />

aggiunta ad un manoscritto della Regola di San Benedetto, scritta in<br />

Sambucina all'inizio del secolo XIII e attualmente conservata nell'archivio<br />

di Casamari. Nel 1145 troviamo un Sigismondo Cistercense in Calabria,<br />

ma è uno dei cinque abati che vennero dalla Spagna per prendere<br />

visione del luogo. Anche il Sigismondo che nel 1145 fu eletto consigliere<br />

di Ruggero II non può essere che Benedettino. Da quanto detto crediamo<br />

che anche gli altri documenti che il Marchese usa per provare la<br />

sua tesi, devono essere sempre presi e considerati con .molte riserve.<br />

Domenico, che secondo il Marchese 44 nel 1156 fu eletto abate di<br />

Montecassino. Quindi, per ragioni addotte precedentemente, riteniamo<br />

fino a questa data Santa Maria di Requisita fu abitata certamente da<br />

Benedettini.<br />

42 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 14, pp. 41-42; doc. 16, pp. 43-45.<br />

43 G. MARCHESE, Tebe Lucana..., p. 283 sg.<br />

44 Ibidem, p. 291.<br />

- 174-


Secondo periodo della storia di Sambucina<br />

Il monastero continua a chiamarsi Santa Maria di Requisita fino<br />

a data imprecisata. Il primo documento che porta il nome di Sambucina<br />

è del mese di settembre del 1163 45 • Il documento è un atto di concessione<br />

compiuta da Esaù, figlio di Sarlone da Luzzi alla chiesa di Santa<br />

Maria di Sambucina, nella persona di Lorenzo monaco, di un fondo<br />

situato nella zona di Campu. Abbiamo avanzato l'ipotesi che già nel<br />

1160 doveva chiamarsi Sambucina.<br />

Diamo ora i due elenchi degli Abati di Sambucina di questo secondo<br />

periodo. Il primo tratto dalla «Commemoratio », il secondo ricavato<br />

dai documenti del Pratesi. Infine daremo l'elenco integrato delle due<br />

liste:<br />

1. Abati <strong>Cistercensi</strong> di Sambucina secondo la « Commemoratio »<br />

1) Sigismondo;<br />

2) Antonio;<br />

3) Domenico;<br />

4) Simone;<br />

5) Guglielmo;<br />

6) Rodolfo.<br />

Certamente l'indice riportato e tratto dalla « Commemoratio » non<br />

è completo in quanto mancano due abati. Essi sono Luca Campano e<br />

Bernardo. Questi due abati non sono ricordati nella « Commemoratio »<br />

perché furono eletti e consacrati rispettivamente arcivescovo di Cosenza<br />

e vescovo di Geronda in Spagna. Non furono inseriti nella « Commemoratio<br />

» o perché erano ancora vivi, oppure se morti, venivano commemorati<br />

tra i vescovi dell'Ordine. La «Commemoratio» infatti dopo<br />

il nome di Rodolfo aggiunge: «necnon et omnium Episcoporum atque<br />

abbatum Ordinis nostri ».<br />

2. Abati <strong>Cistercensi</strong> di Sambucina secondo i documenti<br />

editi da Pratesi<br />

1) Domenico 46 (1166 dicembre) - 1169 febbraio - 1171 gennaio;<br />

2) Simone 47 1178 dicembre - 1181 febbraio;<br />

45 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 21, pp. 56-58.<br />

46 Ibidem, doc. 22 (lo abbiamo messo tra parentesi perché è ritenuto una falsificazione)<br />

cosi gli altri che seguono tra parentesi, pp. 58-60; doc. 23, pp. 60-62; doc. 27, pp. 69-71.<br />

47 Ibidem, doc. 28 sg., p. 71 sg.; p. 78 sg.<br />

- 175-


3) Guglielmo 48 1188 dicembre 29;<br />

4) Luca 49 1193 marzo - 1202 giugno;<br />

5) Rodolfo 50 1204 gennaio - 1204 febbraio;<br />

6) Bernardo 51 (1206 settembre 1 - 1208 marzo 24) 1209 aprile Il;<br />

7) Giovanni 1211 (?) dicembre - 1218 settembre;<br />

8) Bono 53 1221 giugno - 1222 febbraio.<br />

Ammesso che l'elenco integrato della « Commemoratio » sia giusto,<br />

per aver una serie completa di abati dal 1160 fino al 1221 si deve<br />

completare con gli ultimi tre abati dell'elenco di Pratesi. Seguendo<br />

questa linea è necessario che dal 1160 inseriamo due abati, il che<br />

costituisce una difficoltà in quanto proprio l'abate fondatore e il suo<br />

immediato successore abbiano governato appena sei anni. Non avendo<br />

però documenti di sorta fino ad ora, crediamo ritenere l'elenco degli<br />

abati di Sambucina secondo la nostra probabile ricostruzione.<br />

Elenco completo degli abati <strong>Cistercensi</strong> tratti dalla « Commemoratio » e<br />

dal Pratesi dal 1160 ca-1222<br />

1) Sigismondo<br />

2) Antonio<br />

3) Domenico (1166 - 1171)<br />

4) Simone (1178 - 1181)<br />

5) Guglielmo (1188)<br />

6) Luca (1193 - 1202)<br />

7) Rodolfo (1204 - 1204)<br />

8) Bernardo (1206 - 1209)<br />

9) Giovanni (1211 - 1218)<br />

lO) Bono (1221 - 1222)<br />

48 Ibidem, doc. 36, pp. 86-90.<br />

49 Ibidem, doc. 40, pp. 96-98; sg. P 100 sg.; doc. 45, pp. 106-108; doc. 47-52, pp.<br />

109-130; doc. 54, pp. 132-135 doc. 56, pp. 137-139; doc. 63 sg., P 160 sg. doc. 66-69,<br />

pp. 166-179; oltre ai documenti 60 sg., p. 146 sg.<br />

50 Ibidem, doc. 76 sg., p. 191 sg.<br />

51 Ibidem, doc. 85, p. 213; docc. 87-90, pp. 220-226; doc. 93, pp. 230-233; doc. 95<br />

sg., p. 235 sg.<br />

52 Ibidem, doc. 100, pp. 248-249; doc. 105 sg., p. 256 sg.; doc. 114, pp. 273-275.<br />

53 Ibidem, doc. 120, pp. 286-288; doc. 128, pp. 300-303.<br />

- 176-


3. IMPORTANZA DELLA BOLLA DI CELESTINO III DEL<br />

6 MAGGIO 1192<br />

Marchese ripone in questa bolla tutta la forza e la persuasione<br />

delle proprie conclusioni 54. Egli ritiene, come abbiamo già accennato,<br />

che Sambucina sia passata sotto la giurisdizione di Casamari solamente<br />

con la bolla di Celestino III del 6 maggio 1192 a causa degli intrighi<br />

operati dall'abate di Casamari Gerardo. Riferiamo il tenore della bolla<br />

nella sua parte essenziale che ha permesso a Marchese di giungere a<br />

nuove conclusioni:<br />

« ... Ea propter, dilecti in Domino filii, vestris iustis postulationibus<br />

clementer annuimus; et prefatum monasterium Sanctae<br />

Mariae de Sambucinae, bisinianensis diocesis, in quo<br />

divini estis mancipati obsequio, ad instar felicis recordationis<br />

Eugenii Papae III predecessoris nostri, sub beati Petri et<br />

nostra protectione suscipimus, et presentis scripti privilegio<br />

communimus. In primis siquidem statuentes, ut ordo monasticus<br />

Sanctae Mariae de Sambucinae subsit abbatiae Casaemarii<br />

qui secundum Deum et Beati Benedicti Regulam atque<br />

institutionem cistercensem divi Bernardi fratrum in eodem<br />

monasterio institutus esse dignoscitur, perpetuis ibidem temporibus<br />

inviolabiliter observetur » ss.<br />

Il tenore della bolla, secondo il parere di uno studioso, non dice alcunché<br />

di nuovo. Il KIewitz è pervenuto a questa conclusione basandosi<br />

sul tenore stesso della bolla, che egli ritiene autentica. La bolla infatti si<br />

riferisce, secondo quanto afferma lo stesso Celestino III, alle decisioni<br />

provenienti sia da Eugenio III che da Alessandro III. Nella bolla si<br />

asserisce: «Ad instar felicis recordationis Eugenii Papae III » e « Ad<br />

exemplar etiam fidelis recordationis Alexandri Papae III ». Perciò nel<br />

determinare il valore delle asserzioni e decisioni di Celestino III che<br />

sono nella bolla del 1192 bisogna conoscere con esattezza che cosa determinarono<br />

i due pontefici predecessori. Fino ad ora però non conosciamo<br />

nulla intorno agli scrittori di Eugenio III ed Alessandro III ai quali<br />

espressamente si riferisce la bolla di Celestino III. Il KIewitz scriveva<br />

nel 1934 e non si conoscevano questi documenti. Con la pubblicazione<br />

del Pratesi (vd. pp. 43-45) conosciamo il testo del privilegio di Eugenio<br />

III, e la situazione non muta. Infatti Eugenio III prende sotto la<br />

54 G. MARCHESE, La badia di Sambucina ..., pp. 75-79.<br />

ss H. W. KLEWlTZ, Die Anfange ..., STGBENO, 52 (1934), pp. 246-247.<br />

- 177-


sua protezione la chiesa di Santa Maria Requisita, nella persona di Sigismondo<br />

abate, ne conferma i possedimenti e concede immunità e diritti.<br />

Quindi il Klewitz giustamente asserisce che Celestino III confermò solamente<br />

ciò che precedentemente era stato concesso. Quindi le deduzioni<br />

di Marchese non sono tanto originali e determinanti per Sambucina.<br />

Le diverse relazioni intercorse tra Sambucina e Casamari, come<br />

in seguito vedremo, nel tempo anteriore al 1192 sono una testimonianza<br />

di rapporti di cui non possiamo precisare, secondo il Klewitz, la reale<br />

entità.<br />

Il Klewitz intanto, basandosi su questo argomento, perviene alla<br />

conclusione che Sambucina, anche se fondata da San Bernardo tuttavia<br />

passò sotto la giurisdizione di Casamari prima del 1192 ed è incline<br />

a determinare il periodo tra gli anni 1139-1156. Non condividiamo le<br />

affermazioni del Klewitz, specialmente in quest'ultimo punto. Ci sembra<br />

poco verosimile che sia Eugenio III oppure Alessandro III di propria<br />

iniziativa, senza interpellare il Capitolo Generale, abbiano potuto compiere<br />

una azione del genere sottraendo Sambucina dalla giurisdizione<br />

di Chiaravalle e sottoporla alla immediata dipendenza di Casamari. La<br />

nostra asserzione si fonda sul fatto che mai per quanto ci risulta nella<br />

storia dell'Ordine Cistercense si sia verificato un fatto analogo. Costituirebbe<br />

questo la prima ed unica deroga alla norma nell'ambito della<br />

filiazione costantemente vigilata tra i <strong>Cistercensi</strong>. Conosciamo poi da<br />

altra fonte quale fosse il grande interesse di Chiaravalle nel possedere<br />

la filiazione più numerosa delle altre Case-Madri. Ci sembra quindi<br />

strano che gli abati di Chiaravalle non abbiano reagito a simile ingerenza<br />

ed abuso di potere che le avrebbe sottratto in una sola volta circa dieci<br />

abbazie figlie!<br />

La questione della filiazione era abitualmente trattata nei Capitoli<br />

Generali. Abbiamo esaminato tutti gli statuti dei Capitoli Generali<br />

dell'Ordine Cistercense tra gli anni 1139-1193 e non abbiamo trovato<br />

riferimento alcuno all'avvenimento in questione. Strano appare quindi<br />

che una irregolarità senza precedenti non abbia avuto ripercussione<br />

alcuna nel vigile Capitolo Generale. Non ci è lecito supporre che sia<br />

stato un caso particolare sfuggito al Capitolo Generale, in quanto abbiamo<br />

diversi altri esempi in cui il Capitolo Generale, dopo aver ammonito<br />

una abbazia Madre per aver trascurato la cura e la visita di qualche<br />

abbazia Figlia, autoritativamente, con statuto capitolare abbia sottratto<br />

l'abbazia Figlia, trascurata dalla Madre, sottoponendola ad un altra abbazia<br />

che ne avesse maggior cura. Riferiamo un solo caso. Nel 1232 il<br />

-178 -


Capitolo Generale sottrasse alla filiazione di Sambucina l'abbazia di<br />

Santo Spirito di Palermo affid~ndola direttamente a Casamari.<br />

Date le difficoltà di carattere storico-giuridico è lecito domandarsi:<br />

la bolla di Celestino III del 6 maggio 1192 è autentica oppure ci si trova<br />

di fronte ad un altro falso. Con il Pratesi 56 riteniamo la bolla del 1192<br />

una falsificazione. Non è necessario un particolareggiato esame diplomatico<br />

per convincerne.<br />

:B sufficente fare un confronto tra la bolla del 1192 57 e il Privilegio<br />

di Celestino 111 58 per rendercene conto. Le cause che ci fanno propendere<br />

per la falsità le troviamo nella mescolanza di formule proprie di<br />

privilegi con altre (particolarmente la sanctio e la datatio) specifiche<br />

delle Litterae gratiosae. La stranissima inscriptio da cui il documento<br />

risulta indirizzato contemporaneamente a due abati dello stesso monastero<br />

(!), dei quali il primo, Rodolfo, figura soltanto nel 1204, mentre<br />

il secondo, Domenico, non risulta più dopo il gennaio 1171.Infine la<br />

menzione, certamente errata, tra i possedimenti di Sambucina e di Santa<br />

Maria della Marina, che sarebbe stata concessa da Alessandro III, quando<br />

invece la sottomissione del monastero matinense è documentata tra la<br />

fine del 1221 e l'inizio del 1222 59 •<br />

L'ABBAZIA DI SAMBUCINA ATTRAVERSO I SECOLI<br />

Nella prima parte ci siamo soffermati a lungo nel considerare le<br />

origini di Sambucina, ora tracceremo le vicende più importanti dell'abbazia<br />

che attraverso i secoli hanno caratterizzato la sua fluttuante esistenza<br />

60. Siamo riconoscenti prima di tutto a Pratesi, Bartoloni, all'Archivio<br />

storico per la Calabria e la Lucania e agli altri che hanno pubblicato<br />

con impegno critico-storico i documenti riguardanti Sambucina e le<br />

altre abbazie <strong>Cistercensi</strong> del meridione d'Italia. Le loro pubblicazioni<br />

ci hanno permesso di precisare molti avvenimenti che precedentemente<br />

avevano avuto una spiegazione errata. Alla luce di tutto il materiale a<br />

disposizione si potrebbe ora, con maggiore esattezza rifondere una nuova<br />

storia di Sambucina. Gli scritti e i documenti pubblicati precedente-<br />

56 A. PRATESI, Carte Latine..., p. XXVI, n. 4.<br />

51 G. MAROIESE, La badia di Sambucina..., pp. 252-254.<br />

58 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 49, pp. 116-122.<br />

59 Ibidem, p. XV; E. CoNTI, L'Abbazia della Matina, note storiche, Estratto dall'Archivio,<br />

St.Ca.Lu., Perugia 1967, p. 16.<br />

60 Molti eventi anche se con una relativa inesattezza sono ricordati da G. MARCHESE,<br />

La badia di Sambucina..., Lecce 1932.<br />

- 179-


mente bisogna accettarli con riserva (cfr il caso Marchese) perché basati<br />

su documenti per lo più falsi. Dovendo noi trattare l'abbazia di Sambucina<br />

in una dissertazione che è risultata tanto vasta, ci dispensiamo da un<br />

lavoro di rifusione, toccando solo i dati più importanti e significativi,<br />

lasciando la porta aperta ad ulteriori completamenti.<br />

La venuta dei <strong>Cistercensi</strong> da Casamari, intorno al 1160, portò in<br />

breve tempo l'abbazia di Sambucina ad una rapida fortuna e gloria<br />

dovuta sia al favore dei pontefici e all'enorme estensione dei possessi<br />

e sia anche alla fama di santità di vita dei monaci e alla risonanza di<br />

uomini illustri che vi dimorarono.<br />

Per quanto riguarda il favore dei pontefici e la estensione dei beni<br />

immobili ne abbiamo sufficentemente parlato nella prima parte del presente<br />

capitolo. Le pubblicazioni poi del Bartoloni e soprattutto del Pratesi<br />

sono una testimonianza indiscutibile per esattezza scientifica.<br />

Circa la santità di vita dei monaci considereremo solamente i due<br />

uomini più significativi: ilbeato Luca Campano e ilbeato Bernardo.<br />

Conosciamo qualcosa della vita giovanile di Luca dalla narrazione<br />

dell'anonimo autore dei miracoli di Gioacchino da Fiore 61. Fino a qual<br />

punto sia attendibile la narrazione dell'anonimo, la critica odierna, per<br />

quanto ci risulta, non ha data ancora la parola definitiva.<br />

Luca, secondo la narrazione dell'anonimo, rivestì I'abito monastico<br />

in Casamari. Da giovane monaco esercitò l'ufficio di segretario dell'abate<br />

Gerardo. Quando poi Gioacchino da Fiore dimorò a Casamari, non<br />

conosciamo precisamente il periodo, probabilmente prima del 1184,<br />

Luca fu ceduto dall'abate Gerardo in qualità di scriba a Gioacchino.<br />

Spesso si ritiravano nella Grangia di Sant'Angelo in Monte Corneto,<br />

dove il monaco « di spirito profetico dotato» dettava a Luca le riflessioni<br />

sull'Apocalisse e le concordanze dei due Testamenti.<br />

È incerto il tempo in cui Luca fu trasferito a Sambucina, ma è<br />

certo però che nel marzo del 1193 62 è già abate di Santa Maria di<br />

Sambucina. Innocenzo III stimò molto lo zelo religioso dell'abate Luca<br />

cosicché gli affidò l'incarico di predicare insieme all'arcivescovo di<br />

Siracusa nel 1199 la crociata per incitare i siciliani alla guerra contro<br />

i Turchi 63. Il pontefice stesso, dopo che Luca disimpegnò positivamente<br />

61 F. UGHELLI, t. Sac.., tomo IX, collo 202 sg.<br />

62 A. PUTESI, Carte Latine..., doc. 40. pp. 96-98: « ... trado in (vic)- aniam vobis<br />

domino Luce venerabili abbati monasterii Sambucinae unam petiam terre in pertinentiis<br />

Campi de Luciis... ».<br />

63 A. MANRIQUE, Ann. Cist..., tomo III, a. 1199, cap. 1, n. 2-3, p. 333.<br />

- 180-


l'ufficio affidatogli, gli scrisse una lettera di congratulazione per la pregevole<br />

opera svolta durante la predicazione della crociata 64.<br />

Durante l'apostolato di Luca Innocenzo III si preoccupò di scrivere<br />

al Capitolo Generale di Cistercio affinché scusassero l'assenza di<br />

Luca dal Capitolo stesso perché impegnato per il bene della chiesa 65.<br />

Quando Luca fu eletto abate di Sambucina non tutto procedeva<br />

favorevolmente. Un violento terremoto 66 nel 1184aveva distrutto buona<br />

parte degli edifici monastici compresa la Chiesa. Le conseguenze del<br />

fenomeno tellurico erano ancora ingenti e visibili quando Luca fu eletto<br />

abate. Infatti una donazione del 1196 afferma che la chiesa e il monastero<br />

erano ancora in ricostruzione. Il documento però non precisa<br />

l'entità del restauro 67.<br />

Anche il Capitolo Generale dell'Ordine Cistercense affidò alle cure<br />

di Luca alcuni delicati compiti 68.<br />

Quando nel 1203 fu consacrato Arcivescovo di Cosenza 69, tra le<br />

cure pastorali e le incombenze affidategli dai pontefici 70, non trascurò la<br />

sollecitudine per Sambucina. Possediamo infatti alcuni documenti relativi<br />

a contratti stipulati da lui stesso a favore di Sambucina 71. Tra le<br />

tante benemerenze di Luca, durante il suo arcivescovado, non possono<br />

passare sotto il silenzio alcuni avvenimenti:<br />

La costruzione dello stupendo duomo di Cosenza, che fu consacrato<br />

il 30 gennaio 1222 da Onorio III. Al rito della consacrazione fu<br />

presente anche l'imperatore Federico II.<br />

Durante il Concilio Lateranense IV si adoperò molto per non far<br />

64<br />

65<br />

Ibidem, a. 1200, cap. 1, n. 2, p. 349.<br />

Ibidem, a. 1199 cap. 1, n. 9, p. 334: «Ad haec, cum dilectum filium nostrum abbatem<br />

de Sambueina de frattum nostrorum consilio ad proponendum Verbum Domini populis<br />

Siciliae, ac eos incitandum ad obsequim Crucìfixi, duxerimus festinandum, ipsum<br />

habere vos rogamus et volumus excusatum, utpote quum causa Domini... mandatoris, ut<br />

utilitas communis, etiam sine litteris nosttis suficienter excusant ».<br />

66 C. CARUSO, L'arte e lo Spirito..., p. 62; G. MARCHESE, La badia di Sambucina...,<br />

p. 77.<br />

67 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 48, pp. 112-116: « ... Necessitatibus ipsius monasterii<br />

liberalitatis manus extenderem et in vicinitate loci quo basilica renovatur et totum<br />

monasterium consilio utiliori construitur, largitatem aliquam apte possessionis iuxta quod<br />

vera religio in circuitu pro quiete habere desiderat, providerem ... ».<br />

68 ]. M. CANIVEZ,Statuta ..., 1200, 56, 65.<br />

69 P. B. CAMS, Series Episcoporum ..., p. 878; C. EUBEL, Hierarcbia Catholica, vol. I,<br />

p. 220.<br />

70 A. POTTHAST,Regesta pontificum ..., nn. 3165, 4302, 4725, 5357 d. Reg. Vat. 9<br />

c. 256 A, HONORIIPAPAE III, Bullae, a. II, n. 1101; Ed. TACCONE-GALLUCCI, Regesti dei<br />

Romani pontefici, p. 125 sg., n. XCIX; Reg. Vat. 9 c. 279 B; HONORIPAPAE III, Bullae a;<br />

II, n. 1250; Ed. TACCONE-GALLUCCI, Regesti..., p. 126 sg., N.C. e P. PRESSUTTI, Regesta<br />

Honorii II!..., voI. I, p. 247, n. 1485.<br />

71 A. PRATESI,Carte Latine..., doc. 76, pp. 191-193; doc. 93, pp. 230-233.<br />

- 181-


condannare la persona di Gioacchino da Fiore, suo intimo anuco già<br />

dal tempo in cui si incontrarono a Casamari 72.<br />

- Nel 1206 Luca fu eletto visitatore apostolico di tutti i monasterri<br />

florensi visitandoli tutti insieme all'abate di Santo Spirito di Palermo<br />

prendendo saggi provvedimenti confermati poi da Innocenzo III con<br />

una lettera del 19 febbraio 1215.<br />

I molti documenti che si trovano nella raccolta di Pratesi, specie<br />

nell'ultimo decennio del secolo XII e nel primo del secolo XIII testimoniano<br />

abbondantemente il fervore e l'attività di Sambucina e degli altri<br />

monasteri da essa dipendenti.<br />

Bernardo fu certamente abate di Sambucina dopo Rodolfo tra il<br />

1206-1209 come risulta da documenti citati sopra. Crediamo che il suo<br />

abbaziato bisogna protrarlo fino al 1211 quando fu eletto e consacrato<br />

vescovo di Geronda in Spagna 73. Infatti il primo documento dell'abate<br />

successivo Giovanni lo troviamo solo nel dicembre 1211.<br />

Bernardo, secondo la testimonianza del Manrique, fu molto caro<br />

a Gioacchino da Fiore. Bernardo stesso insieme all'abate di Corazzo<br />

e di Santo Spirito di Palermo assistettero alla morte dell'abate profeta 74.<br />

Dopo la morte di Gioacchino nacque una lite tra i <strong>Cistercensi</strong> di Corazzo<br />

ed i Florensi per la paternità di Corazzo, perché i Florensi lo volevano<br />

considerare proprio, mentre i <strong>Cistercensi</strong> ne reclamavano a loro volta<br />

il possesso. Innocenzo III per comporre la lite designò in qualità di<br />

giudici l'abate di Sambucina Bernardo, i vescovi di Squillace e di Martirano.<br />

La lite fu risolta a favore dei Florensi come risulta da una lunga<br />

lettera di Innocenzo III del 22 agosto 1211 all'abate di Fiora 75. È incerta<br />

su la data della morte di Bernardo. Ricevette grande venerazione<br />

nella diocesi di Geronda di cui fu vescovo; molti storici calabresi lo inseriscono<br />

tra i beati della Calabria 76.<br />

Tra i personaggi più illustri che soggiornarono in Sambucina è<br />

ormai indiscussa la presenza di Gioacchino da Fiore 77. Nonostante la<br />

la nostra certezza nell'asserire tale presenza, tuttavia non è possibile<br />

72 Cfr Archivio di Casamari, documentazione per tesi di laurea, Casamari e gli imperatori<br />

nei secoli XII-XIII.<br />

73 P. B. CAMS, Series Episcoporum ..., p. 869; C. EUBEL, Hierarcbia Catbolica ...r<br />

.vol, I, p. 261.<br />

74 A. MANRIQUE, Cisterciensum ..., tomo III, a. 1211, cap. VI, n. 1, p. 546.<br />

75 Ibidem, cap. VIII; F. UGHELU, ltal. Sac., tomo IX, col. 479.<br />

76 D. WILLI, Papste, Kardinale und Biscoje, p. 35, n. 126. (Cosi citato in Pratesi<br />

p. XXIX).<br />

77 P. SILLANEO, [oacbin abbatis, pp. 37-40; A. MANRIQUE, Annal. Cist...., tomo II,<br />

a. 1160, cap. 6, n. 7, p. 343; ROUSSELOT, [oacbin de Flore, p. 17; F. FOBERTI, Gioacchino<br />

da Fiore, Firenze 1934, pp. 17-39. .<br />

- 182-


stabilirne l'epoca e la durata. Uno dei pochi che ha voluto determinarne<br />

l'epoca, Gregorio de Laude, è caduto nell'errore di far soggiornare Gioacchino<br />

in Sambucina prima ancora che il monastero fosse fondato 78.<br />

La grande difficoltà di voler determinare l'epoca è causata dalla falsità<br />

di molti documenti che, con un accurato esame paleografico, risultano<br />

tali.<br />

Riteniamo assolutamente destituita di fondamento la notizia del<br />

soggiorno e della sepoltura del celebre Pietro Lombardo e di Francesco<br />

Accursio nell'Abbazia di Sambucina 79.<br />

Da ciò che abbiamo sommariamente esposto risulta che celere fu<br />

l'ascesa di Sambucina tanto che, senza dubbio, si può ritenere la più<br />

celebre abbazia Cistercense della Calabria alla fine del secolo XII e<br />

all'inizio del sçcolo XIII. Ben presto iniziò anche il declino e, se vogliamo,<br />

la fine dell'illustre abbazia.<br />

Un fortuito ma increscioso episodio accadde nel 1218 all'abate di<br />

Sambucina Giovanni che determinò a nostro parere, l'inizio del declino<br />

e della reputazione di Sambucina. L'abate Giovanni, forse mentre si<br />

recava al Capitolo Generale del 1217, colpito da febbre fu costretto a<br />

sostare nell'abbazia di Eberbach in diocesi di Magonza. Durante il soggiorno<br />

in questa abbazia ebbe l'infelice idea di fare proselitismo tra i<br />

monaci tedeschi. L'opera di persuasione di Giovanni risultò efficace<br />

ed alcuni monaci lo seguirono in Calabria. Sfortunatamente, durante il<br />

viaggio di ritorno uno dei 'conquistati' morì. Il fatto fu discusso nel<br />

Capitolo Generale dell'anno seguente. L'operato di Giovanni fu severamente<br />

giudicato e si decretò l'immediata deposizione dello zelante<br />

abate so.<br />

Un nuovo terremoto intorno al 1221 recò danni molto gravi al<br />

complesso edilizio sicché i monaci si videro costretti a chiedere a Onorio<br />

III il trasferimento all'abbazia di Santa Maria della Matina, dove i<br />

pochi monaci benedettini, non erano in grado di attendere alla cura del<br />

monastero 81. Onorio III prima di accordare il proprio consenso chiese<br />

una relazione all'arcivescovo di Cosenza Luca, ex abate di Sambucina e<br />

al vescovo di San Marco sulle reali condizioni dei due monasteri 82.<br />

78 G. DE LAUDE,Magni dioinique Propbetae, p. 17 sg. Per le risposte alle affermazioni<br />

del DE LAUDE; cfr. L. ]ANAUSCHEK,Originum ..., vol. I, p. 143, n. CCCLXIII. (Cosi<br />

citati in Pratesi pp. XXVII-XXVIII).<br />

79 A. PRATESI, Carte LAtine..., pp. XXVII-XXVIII, n. 2, dove è esposta una abbondante<br />

e convincente documentazione.<br />

80 ]. M. CANIVEZ,Statuto ..., 1218, 79; 1219, 24.<br />

81 H. W. KLEWITZ, Die An/tinge..., p. 249.<br />

82 A. PRATESI, Carte LAtine..., doc. 127 pp. 298-300.<br />

- 183-


Il pontefice informato da Luca decretò sia il trasferimento dei monaci<br />

da Sambucina alla Matina che il dignitoso mantenimento dell'abate<br />

e monaci benedettini uscenti 83. Da questo avvenimento nasce la confusione,<br />

tanto frequente fra gli scrittori, tra i due monasteri. Molto spesso<br />

date, vicende e perfino il nome del primo monastero sono attribuiti al<br />

secondo e viceversa. Federico II, dietro richiesta dell'abate di Sambucina<br />

Bono, nel febbraio del 1222, riconosce all'abbazia di Santa Maria della<br />

Matina tutte le immunità e privilegi di Sambucina 84. Dopo il trasferimento<br />

dei monaci il nome di Sambucina appare separatamente in un<br />

documento dell'agosto 1222 85. In seguito si parlerà sempre del binomio<br />

« Santa Maria di Sambucina e di Santa Maria della Matina ». Per quanto<br />

riguarda l'aspetto giuridico della filiazione, il monastero di Matina in un<br />

primo tempo fu considerato come vera figlia di Casamari 86, successivamente<br />

invece solo come « subdita » 87.<br />

I nostalgici monaci <strong>Cistercensi</strong> della Matina nel 1235 chiesero ed<br />

ottennero dal Capitolo Generale di Citeaux di trasferirsi, durante i mesi<br />

estivi, nei pochi resti della costruzione di Sambucina scampati al terremoto<br />

del 1221 88.<br />

Quando la Matina il 18 maggio 1410, per ordine di Gregorio XII<br />

fu data in commenda al Cardinale Pietro de Venetiis, anche Sambucina<br />

seguì la triste sorte dell'oscuro periodo della commenda e gli abati<br />

commendatori presero il doppio titolo di «abbas Sanctae Mariae de<br />

Sambucinae et Sanctae Mariae de Matina ».<br />

L'abbazia di Sambucina e della Matina rimasero sotto la visita di<br />

Casamari fino al secolo XVI, come risulta da due carte di visita fino ad<br />

ora inedite. Un ulteriore terremoto nel 1562 si abbatté su Sambucina.<br />

Nel 1580 fu deciso il restauro e nel 1594 l'abbazia fu nuovamente<br />

abitata, presumibilmente da alcuni monaci della Matina.<br />

Il 12 agosto 1633, quando Urbano VIII eresse la Congregazione<br />

delle due Calabrie e della Lucania, Sambucina vi fece parte. Infine il<br />

83 22 maggio 1222:· Reg. Vat. 11, c. 243 A, HONORIl PAPAE III, Bullae, a. VI,<br />

n. 403; Ed. P. PRESSUTI'I, Regesta Honorii III, voL II, p. 73, n. 3999.<br />

84 A. PRATESI, Carte Latine..., doc. 128, pp. 300-303.<br />

85 Ibidem, doc. 131, pp. 308-309.<br />

86 J. M. CANIVEZ, Statuta ..., 1235, 29.<br />

87 A. PUTESI, Carte Latine..., pp. XVI-XVII. Lo stesso abate di Casamari in una<br />

lettera di visita del 1366 asserisce: «monasterium ... nobis subiectum ».<br />

88 J. M. CANIVEZ, Statuta ..., 1235, 29. Nel 1237 la concessione fu limitata al solo<br />

Abate: ibidem, 1237, 44.<br />

- 184-


ministro borbonico Tanucci, con un decreto di Ferdinando IV del 1780<br />

ottenne la soppressione dell'abbazia, devolendone i beni della Commenda<br />

a favore del demanio.<br />

Attualmente l'edificio medioevale è mutilo. La parte anteriore della<br />

Chiesa è stata troncata fino ai pilastri che precedono il transetto. Gli<br />

edifici del monastero sono più simili a ruderi che ad abitazioni. La chiesa<br />

restaurata alla buona serve per il culto agli abitanti di Luzzi 89.<br />

89 Per quanto riguarda la considerazione artistica di Sambucina è utile ricorrere a<br />

L. FRACCARO DE LoNGHI, L'architettura delle chiese <strong>Cistercensi</strong> in Italia, Milano 1958,<br />

pp. 277-280.<br />

- 185-


I CARBONARI NELL'ABBAZIA DI CASAMARI<br />

DURANTE I MOTI INSURREZIONALI<br />

NEL REGNO DELLE DUE SICILIE (8 marzo 1821)<br />

di P. Placido Caputo<br />

Il momento politico<br />

L'episodio di Carbonari in Casamari si inserisce nell'ultimo anno di<br />

vita dell'Abate D. Romualdo Pirelli che durante il suo lungo governo<br />

abbaziale, per tre volte vide il monastero saccheggiato o soppresso e<br />

alcuni suoi monaci trucidati e altri dispersi.<br />

Lasciando da parte l'invasione dell'Abbazia avvenuta nel 1799 per<br />

opera dei francesi e poi la soppressione decretata da Napoleone (1811-<br />

1814), le nostre ricerche mirano solamente ad inquadrare il monastero<br />

nei moti rivoluzionari del 1820-1821.<br />

Per comprendere i fatti che si svolsero in Casamari, bisogna risalire<br />

al luglio del 1820, quando, sotto l'impulso della Carboneria, era scoppiata<br />

a Napoli una rivoluzione, che costrinse il Re a dare al popolo la Costituzione.<br />

Un evento storico così rilevante, non ebbe alcuna ripercussione nei<br />

centri del Frusinate 1, però suscitò interesse e apprensione nella comunità<br />

di Casamari, governata allora dall'Abate PirelIi, dei Principi<br />

di Napoli, consigliere e padrino di Ferdinando 1 2 •<br />

La Costituzione di Napoli, imposta con la violenza della setta carbonara,<br />

ebbe una vita effimera, poiché la dinastia accettò la rivoluzione,<br />

ma poi tradì iniziando la politica dello spergiuro 3.<br />

Difatti il Re, invitato al congresso di Lubiana nel gennaio' del 1821,<br />

prima assicurò il parlamento rivoluzionario di Napoli che avrebbe difeso<br />

la Costituzione, ma subito dopo non tardò ad uniformarsi alle vedute<br />

delle grandi potenze. Inviò un appello al suo popolo, però era già<br />

scontato che il governo costituzionale lo avrebbe respinto. E così fu.<br />

La reazione dall'una e dall'altra parte fu immediata. Un esercito<br />

austriaco al comando del Gen. Frimont, nonostante le proteste di<br />

Pio VII, violando la neutralità dello Stato Pontificio, penetrò nel Regno<br />

di Napoli. Fu tentata una resistenza, ma 1 Carbonari comandati dal<br />

1 A. SACCHETTI SASSETTI, Storia di Alatri, Alatri 1967, p. 320.<br />

2 V. CAPER"Io'\, Storia di Veroli, 1907, p. 473; cfr Notizie <strong>Cistercensi</strong>, fase. nov-dic.<br />

1970, n. 6, p. 273.<br />

3 L. SALVATORELLI, Pensiero e azione del Risorgimento, 1943, pp. 97-101.<br />

- 186-


Gen. Guglielmo Pepe, furono sopraffatti presso Rieti il 7 marzo 1821 e<br />

il giorno 24 dello stesso mese gli austriaci entrarono in Napoli, riportando<br />

il Re sul trono 4.<br />

In realtà i moti del 1820-1821 si risolsero in un movimento di<br />

casta, con una tinta, abbastanza marcata, fatta di interessi particolaristici<br />

e con una base sociale molto ristretta. Né il popolo né le classi<br />

medie presero parte ai moti. È vero che la Carboneria era penetrata nell'esercito,<br />

ma non aveva rinnovato la coscienza del paese. Difatti quando<br />

la setta entrò in azione, il popolo rimase in disparte, e i pronunciamenti<br />

ebbero un certo carattere di imposizione al paese",<br />

I soldati « regnicoli » e i Carbonari nell'Abbazia di Casamari<br />

In questo quadro storico si innesta l'episodio dei Carbonari in Casamari.<br />

In quell'epoca l'Abbazia si trovava ancora in fase di ricostruzione,<br />

in seguito alla soppressione di Napoleone. Era il periodo in cui, sotto<br />

l'impulso dell'infaticabile Abate Pirelli, la comunità cominciava a rifiorire:<br />

il patrimonio terriero veniva riscattato, l'azienda agricola 6 e<br />

zootecnica 7 sistemata con i metodi più avanzati del tempo, il lanificio<br />

del monastero si metteva in linea e in concorrenza con i migliori della<br />

Valle del Liri 8 e finalmente la farmacia, annessa all'Abbazia, era aperta<br />

al pubblico e legalmente riconosciuta dal Governo Pontificio 9.<br />

I monaci, pur sapendo che la situazione politica dei diversi Stati<br />

italiani non era tranquilla, non immaginavano che da un momento all'altro<br />

si sarebbe abbattuto sull'abbazia un uragano, capace di spazzare<br />

tutto nel giro di poche ore.<br />

La mattina dell'8 marzo 1821 un corpo di circa 600-700 soldati del<br />

4 G. MORONI, Dizionario di Erudizione storico-ecclesiastica, voI. LXV, pp. 298-300.<br />

5 P. PIERI, Le società segrete e i moti del '21 e '31, Milano 1931; R. SORIGA, Le società<br />

segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, Modena 1942.<br />

6 Archivio di Casamari, Cartulario: «Bestiame dell'Abbazia », con documenti amministrativi<br />

che vanno dal 1719 al 1879, pp. 142-155. Vi è inserito un piccolo trattato manoscritto<br />

dal titolo: «Dei prati artificiali e altri pascoli che possono servire d'alimento<br />

al bestiame ». Cfr «Epistolario dell'Abate Pirelli », minuta di lettera del Pirelli al Duca<br />

di Miranda, p. 178, senza data, ma dal contenuto si deduce che fu scritta intorno al 1820.<br />

7 Archivio di Casamari, Cartulario: «Patrimonio zootecnico di Casamari », diviso<br />

in due parti sul «Jus pascendi »: il primo va dal 1569 al 1835, il secondo dal 1724 al<br />

1868. Cfr anche «Della fida e pascoli di Roma, Campagna e Marittima e, Patrimonio ».<br />

passim, in Archivio di Casamari.<br />

8 Archivio di Casamari, cfr i tre cartulari sul lanificio di Casamari.<br />

9 Archivio di Casamari, cfr i cartulari sulla farmacia e sugli speziali di Casamari;<br />

Cfr CAPUTO P. - TORRE D., L'assistenza ospedaliera e farmaceutica nell'Abbazia di Casamari,<br />

Casamari 1972.<br />

- 187-


Regno di Napoli, detti regnicoli, sotto il comando del Gen. Lorenzo<br />

De Consiliis lO, oltrepassarono i confini dello Stato Pontificio, occupano<br />

l'Abbazia di Casamari e la saccheggiano: il bestiame è depredato, la<br />

chiesa profanata, tutto vien messo a soqquadro, i monaci fuggono,<br />

« ... intimoriti<br />

in mano » 11.<br />

anche più da due drappelli di 30-40 carbonari con stili<br />

Infine il Gen. De Conciliis ordina al Priore del monastero, D. Antonio<br />

Strasser u, che il giorno seguente (9 marzo) fosse portato via quanto<br />

rimaneva, « e ciò per grazia », perché il giorno susseguente (lO marzo)<br />

sarebbero ritornati « ... per brugiare (sic) tutto ciò che vi avrebbero<br />

trovato e pur i tetti e la casa» 13.<br />

Dietro tali minacce, in un solo giorno furono dispersi tutti i monaci<br />

che chiesero asilo in diverse case religiose, « ... i generi e la roba fu<br />

tolta come si poté, dispensata, derubata e in ogni modo rovinata per non<br />

lasciarla alla voracità del fuoco. Questo non fu poi eseguito da chi<br />

l'aveva minacciato, ma il danno del monastero era già seguito, ed ora<br />

trovasi nello stato medesimo, privo dei suoi religiosi e spogliato di<br />

tutto il bisognevole, né possono quelli ritornerei se a questo non sia<br />

14<br />

provve duto<br />

... » .<br />

Nel «Memoriale» dell'Abate Pirelli diretto al Re di Napoli si<br />

leggono queste parole: «I due oggetti principali dell'invasione furono<br />

di togliere checché vi era alla truppa austriaca, già vicina, ed aver me<br />

nelle loro mani, perché contrario alla setta ed attaccato ai miei doveri<br />

verso Dio e la Maestà Vostra, come apertamente dichiararono, pro te-<br />

lO Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Abate Pirelli », minuta di un «Memoriale»<br />

del Pirelli a Ferdinando I, re di Napoli, pp. 176-177; cfr CAPERNA V., Storia di Veroli,<br />

p. 486.<br />

N.B. Lorenzo De Conciliis (1775-1860), nacque ad Avellino, fu più volte deputato al<br />

Parlamento di Napoli.<br />

11 Ibidem, minuta di una lettera a Mons. Uditore del 26 marzo 1821, p. 208.<br />

12 Ibidem, minuta di un «Memoriale» del Pirelli al Re di Napoli, senza data, p. 176.<br />

Diamo alcune notizie biografiche del Priore, D. Antonio Strasser: in battesimo Giovanni<br />

Battista, nacque a Onehinghen nel Principato di Firstenberg. Da giovane fu ufficiale dell'esercito.<br />

Ricevuto a Casamari il lO giugno 1800, a 36 anni di età, gli fu dato l'abito monastico<br />

dal Priore D. Silvano il 2 luglio dello stesso anno ed emise i voti semplici il 2 luglio<br />

1801. Per ordine del governo francese uscì da Casamari il 13 giugno 1810, perché<br />

tedesco, e si rifugiò nella Trappa di San Girolamo della Cervara nel Genovesato, dove emise<br />

i voti solenni nel luglio 1811. Dopo la soppressione napoleonica fu richiamato dall'abate<br />

Pirelli e fu il primo a prendere possesso di Casamari (13 settembre 1814) dopo tre<br />

anni di forzato abandono. Morì in Casamari il 26 gennaio 1823. Cfr Archivio di Casamari,<br />

«Registro Anagrafe» dal 1717 al 1854, ai seguenti nn.: 339, 450, 628, 662, 782,<br />

986, 996.<br />

13 Ibidem, minuta del «Memoriale» del Pirelli a Ferdinando I, p. 176.<br />

14 Ibidem, minuta di una lettera del Pirelli a Mons. Uditore del 26 marzo 1821,<br />

pp. 208-209.<br />

- 188-


standosi che in ogni modo sarei caduto nella loro rete e la mta testa<br />

portata in Napoli» 15.<br />

Non è la prima volta che l'Abate di Casamari viene minacciato di<br />

morte. Ogni volta che il trono di Napoli vacillava o veniva rovesciato,<br />

la vita del Pirelli era sempre in pericolo.<br />

Cosi nel 1799, dopo l'eccidio dei sei monaci di Casamari, i francesi<br />

tentarono di rapire l'Abate, con l'animo di farlo a pezzi 16, ma non<br />

lo trovarono perché era fuggito in esilio, a Palermo, presso il Re Ferdinando<br />

IV 17.<br />

Nel 1811, al tempo della soppressione napoleonica, fu arrestato in<br />

Casamari e deportato in Napoli, dove per vari mesi fu tenuto sotto<br />

stretta sorveglianza 18.<br />

Anche durante quest'ultima invasione (1821) sfugge al furore dei<br />

carbonari rivoluzionari, perché da tempo, ricoverato in un ospedale di<br />

Roma. In sua vece, il monastero era governato dal Priore Claustrale,<br />

D. Antonio Strasser, il quale, dopo la fuga dei monaci, rimase solo a<br />

custodire l'abbazia.<br />

In una situazione cosi precaria, fatta di rappresaglie, di saccheggi<br />

e di timori, partiti i Carbonari da Casamari, tutti attendevano l'esercito<br />

austriaco, proveniente dal nord, come un liberatore. In modo particolare<br />

lo aspettava il Priore di Casamari, che fra l'altro era un ex ufficiale<br />

tedesco.<br />

In una sua lettera al Cellerario del monastero, rifugiato in Veroli,<br />

il Priore esprimeva cosi i suoi sentimenti:<br />

«Dopo aver passato tanti guai e sofferto tanti strapazzi<br />

ed avuto tante inquietudini, non ho potuto avere il<br />

piacere di vedere un solo mio compatriota, perché quei pochissimi<br />

che sono passati per qui, sono passati di notte ed<br />

oramai ho rinunciato ad ogni speranza di vedere qualcheduno,<br />

giacché capisco che hanno cambiato manovra e tutti sono<br />

15 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », Memoriale del Pirelli al<br />

Re di Napoli, p. 177.<br />

16 C. LONGORIA,Memoria dell'occisione dei sei monaci di Casamari, eseguita dai<br />

Repubblicen! [rancesi..., Ms. in Archivio di Casamari, p. 1; P. LUGANO,I Martiri della<br />

Badia di Casamari secondo una relazione inedita, in Rio. Storico-Benedettina, ano L'fase, IV,<br />

ott.-dic. 1906, pp. 18-21; P. CAPUTO,D. Romualdo Pirelli, Abate di Casamari, Regio visitatore<br />

dei monaci cassinesi, nel Regno delle Due Sicilie, in Notizie <strong>Cistercensi</strong>, n. 34,<br />

1971, pp. 81-82.<br />

17 E. FUSCIARDI,Casamari e i Martiri dell'Eucaristia, ms. in Archivio di Casamari,<br />

p. 27, nota a). Notizie <strong>Cistercensi</strong>, n. 3-4, 1971, p. 82.<br />

18 Archivio di Casamari, Cartulario: Casamari e la soppressione napoleonica, (1811-<br />

1814), passim.<br />

- 189-


entrati e continuano ad entrare nel Regno, per Ceprano, Piperno,<br />

Velletri ecc.<br />

Se la Paternità Sua non fosse stata costretta a scriverei<br />

l'altra sera che gli austriaci avevano ordinato 12.000 razioni,<br />

noi, che sapevamo di già che Pesco Romanella aveva portato<br />

una lettera del Comandante di quella colonna che sboccò a<br />

Sora, pel Gen. Frimont, la quale cagionò tutto il cambiamento<br />

delle marce di dette truppe, eravamo già decisi di<br />

andar ieri mattina a Frosinone e cosi avremmo veduto passare<br />

quasi tutta la colonna; ma il Signore non ha voluto ch'io<br />

abbia questo gusto, poiché nol merito ed io sono contento.<br />

Fiat voluntas Dei semper » 19.<br />

Dispersione dei monaci<br />

Ilmattino dell'8 marzo 1821, l'Abate D. Romualdo Pirelli non era<br />

a Casamari. Dal lO febbraio 20 si trovava a Roma per affari riguardanti<br />

il monastero e per curare la sua salute, assai scaduta a causa di alcune<br />

malattie. Dai documenti non risulta chiaro quale fosse esattamente<br />

il suo male. Si accenna a un « incomodo del fluido» 21, a una « indisposizione<br />

straordinaria di stomaco contro i cibi» 22, mentre in una lettera<br />

al Duca di Miranda si parla di una « estrema debolezza ed asma di<br />

petto» 23.<br />

Nella sua corrispondenza con il Cellerario (amministratore) di Casamari<br />

riferisce che le cure proseguono regolarmente, « ... ma le mie sofferenze<br />

non sono poche, nulla di meno ringrazio il Signore ... Bramo di<br />

vedermi riunito con tutti al più presto nel chiostro, ma il Signore mt<br />

tiene ancor sospeso e crocefisso ... » 24.<br />

Il 30 aprile 1821, l'Abate subisce un'operazione 25.<br />

Qualche tempo dopo scrive: «Vo sempre bene colla cura, ma tut-<br />

19 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », lettera del Priore al Cellerario,<br />

in data 17 marzo 1821, p. 113.<br />

20 Ibidem, «Epistolario di G. De Jacobis », agente di Casamari in Roma (1820-1824),<br />

p. 15, dove si dice: « ... lO febbraio, mandato un lasciapassare a Porta Maggiore per l'arrivo<br />

di P. Abate a Roma».<br />

21 Ibidem, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », lettera del Priore al Cellerario, 30 marzo<br />

1821, p. 115 bis.<br />

22 Ibidem, minuta di lettera del Pirelli ad un ignoto, senza data, p. 180.<br />

23 Ibidem, minuta di lettera del Pirelli al Duca di Miranda, pp. 178-179.<br />

24 Ibidem, lettera del Pirelli al Cellerario, 12 maggio 1821, p. 148.<br />

25 Ibidem, lettera del p'riore al Cellerario, 30 aprile 1821, p. 133.<br />

- 190-


tora non senza ligature e sofferenze ... »26. E in seguito, comunica ai rifugiati<br />

in Veroli:<br />

« lo sono ristabilito a sufficenza, se l'antico male non<br />

trova mezzo da rinnovarsi. La cura è seguita benissimo ed il<br />

chirurgo sostiene che non debbo temerlo: faccia il Signore<br />

che sia così. Bramo ben di cuore di far riunire i religiosi e<br />

rendermi ad essi, ma soffro ancora vincoli e sospensioni per<br />

più titoli, e distruggere l'opera maligna che ha scomposto<br />

Casamari » 27.<br />

Intanto l'Abate Pirelli veniva continuamente informato di quanto<br />

accadeva in Casamari. Ecco come rispondeva da Roma al Cellerario,<br />

ricoverato nel convento di San Martino (Veroli) con alcuni monaci 28:<br />

Roma 14marzo 1821<br />

Caro P. Cellerario,<br />

Ringraziate il Signore che vi ha preservato da un pericolo<br />

personale, giacché l'avevano presa pur contro di voi, ed io fo<br />

lo stesso per me e per tutti, avendo tutti preservati il Signore<br />

medesimo da ogni danno nelle persone.<br />

Vedete però di situar quei che sono costi con voi, in<br />

luogo più proprio e lasciar libera la casa al Sig. Passeri; se<br />

poteste avere un'abitazione in San Martino e trattarvi da voi<br />

senz'aggravare quei religiosi, mi pare che andrebbe bene,<br />

del resto di qui non so che dire, e regolatevi con prudenza<br />

e consiglio.<br />

A Casamari non si può ritornare che quando lo consiglieranno<br />

le circostanze e la Provvidenza che abbia preparati<br />

i mezzi della futura sussistenza.<br />

Spero che il buon Dio riunirà i dispersi e ristabilirà<br />

il buon ordine a sua gloria e bene degli individui.<br />

Farò qui quel che posso ed il Signore ne faccia seguire<br />

quel che gli piaccia. La sua luce e la sua virtù vi dia<br />

grazia da temer meno e lasciar meco volentieri la nostra sorte<br />

26 Ibidem, lettera del Pirelli al Cellerario, 16 maggio 1821, p. 151.<br />

27 Ibidem, lettera del Pirelli al Cellerario, .30 maggio 1821, p. 153.<br />

28 Ibidem, p. 112.<br />

- 191-


nelle mani di Dio. Ricordatevi solo che capillus de capite vestro<br />

non peribit ...<br />

Sono aff.mo in Cristo.<br />

D. ROMUALDO PlRELLI, Abate di Casamari<br />

In base agli ordini ricevuti dal Gen. Lorenzo De Conciliis, il Priore<br />

Claustrale di Casamari, coadiuvato dai monaci, provvede a sgombrare il<br />

monastero da ogni suppellettile: i paramenti sacri della sacrestia vengono<br />

portati a Veroli, gli indumenti del vestiario sono riposti in casa<br />

di D. Giovanni Bucci in Collebarardi 29, mentre le botti di vino salvate<br />

dal saccheggio, vanno a male perché lasciate per molto tempo sturate.30.<br />

Si cercò di ricuperare quanto fu possibile, ma l'opera di sgombero<br />

si rendeva estremamente difficile, perché metteva in serio pericolo la<br />

vita dei religiosi.<br />

Eccetto il Priore e qualche monaco, tutti gli altri fuggirono dal monastero,<br />

con l'ordine da parte dell'Abate di non tornare fino a nuove<br />

disposizioni 31.<br />

La maggior parte dei monaci, sotto la guida del Cellerario, D. Giovanni<br />

della Croce, abbandonò l'abbazia rifugiandosi nel convento di<br />

Sana Martino in Veroli 32, altri trovarono ricovero nella Certosa di Trisulti<br />

e nel monastero di Santa Scolastica a Subiaco.<br />

Tuttavia gli effetti dell'invasione cominciarono a farsi sentire: ai<br />

monaci dispersi mancavano il vitto e vestiario, i debitori del monastero<br />

ritardavano a pagare per cui il Priore scriveva: « ... siam'intenzionati di<br />

andare nel Regno (di Napoli) per vedere se possiamo rimediare qualche<br />

baiocco » 33.<br />

29 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. PireIli », lettera del Priore al Cellerario,<br />

4 maggio 1821, pp. 137-138.<br />

.30 Ibidem, lettere del Priore al Cellerario, del 7 aprile 1821, p. 121; dell'8 aprile,<br />

p. 123 e del lO aprile, p. 126.<br />

31 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, 17 marzo 1821, p. 113.<br />

32 Il convento di San Martino fu fondato dal Vescovo di Veroli Leto e abitato per<br />

diversi secoli da monache benedettine. Per le vicende dei tempi, in seguito a saccheggi e<br />

incursioni, la comunità si era talmente ridotta che nel 1449, le Benedettine erano appena<br />

tre. Per interessamento dei Verolani per le facoltà accordate da Papa Niccolò V, il monastero<br />

passava ai Frati della Minore Osservanza. Il Vescovo, Clemente II chiamò a Veroli<br />

i due religiosi: San Giovanni da Capistrano e San Bernardino da Siena, i quali vi<br />

presero possesso, istituendo una comunità religiosa. Le tre monache benedettine occuparono<br />

la casa e la chiesa di Sant'Ippolito, appartenenti all'Abbazia di Casamari. (Cfr VECCI,Mss.<br />

Sàlome la Santa; cfr CAPERNAV., Storia di Veroli, Veroli 1907, pp. 383-384.<br />

33 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. PireIli », lettera del Priore al Cellerario,<br />

5 giugno 1821, p. 157.<br />

- 192-


Per far fronte ai generi di prima necessità si ricorse alla vendita<br />

di quanto era rimasto dal saccheggio: bestiame, calce, vino, medicine<br />

ecc. 34. Durante i tre mesi di esilio, i primi a risentire le conseguenze della<br />

dispersione furono i monaci vecchi e i malati, i quali, costretti dalle circostanze<br />

a stare fuori del monastero, sperimentarono più degli altri gli<br />

effetti dei disagi.<br />

In una sua lettera, il Priore di Casamari, a proposito di un converso<br />

malato, diceva:<br />

« ... qui non vi è più nessun comodo per gli infermi perché<br />

Fr. Giacobbe ha mandato tutte le medicine fuori e non<br />

vi è nemmeno un letto d'avanzo ... se Mons. facesse la carità<br />

di mandarlo a quell'ospedale, ove sono le camere separate,<br />

sotto il soffitto, là potrebbe star bene e non gli mancherebbero<br />

né medicine né alimenti.i. » 35,<br />

Dalla farmacia di Casamari erano state portate via tutte le medicine<br />

e non vi si trovava neppure una «Carafina-acqua di Scala» richiesta<br />

dai monaci ricoverati a San Martino in Veroli 36. A mala pena si<br />

riusd a reperire alcune «pillole aloetiche » per qualche monaco infermo<br />

37.<br />

Ad aggravare la situazione contribuì il fenomeno del brigantaggio<br />

nel territorio del Frusinate. Nelle selve tra Castelliri e Antera, quest'ultima<br />

grangia di Casamari, i briganti facevano razzia di bestiame, mentre<br />

altrove a un cittadino di Guarcino, amico dei monaci, veniva tagliato<br />

un orecchio durante una colluttazione con i briganti 38.<br />

Un altro monaco-sacerdote ospitato dai Certosini in Trisulti, veniva<br />

colpito da una febbre terzana doppia 39, Inoltre si è costretti a ritirare<br />

in Casamari alcuni religiosi che per diversi motivi, mal sopportavano i<br />

disagi dell'esilio e le incomprensioni di qualche comunità ospitante 40,<br />

Nel trambusto della dispersione, l'Abate di Casamari ebbe il dolore<br />

di vedere qualche defezione da parte di alcuni religiosi 41.<br />

34 Ibidem, lettere del Priore al Cellerario del 7 aprile 1821, p. 121; del 30 aprile,<br />

p. 131; e del 5 maggio, p. 141.<br />

35 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario del 17 marzo 1821, p. 113.<br />

36 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, 8 giugno 1821, p. 160.<br />

37 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, lO maggio 1821, p. 147.<br />

38 Ibidem, lettere del Priore al Cellerario, del 5 maggio 1821 e del 14 maggio, p. 150,<br />

dr. CAPERNAV., Storia di Veroli, Veroli 1907, pp. 486-488.<br />

39 Ibidem, lettere del Priore al Cellerario, 4 giugno 1821, p. 155 e 14 giugno, p. 166.<br />

40 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario del 30 aprile 1821, p. 132.<br />

.. 1 Ibidem, lettere del Priore al Cellerario, .3 maggio 1821, p. 136 e 8 giugno, p. 160.<br />

- 193-


Dal canto suo, il Priore dell'Abbazia non mancò di portare il conforto<br />

delle sue visite ai monaci rifugiati in Veroli, Trisulti e Subiaco.<br />

Dopo una di queste visite fatta negli ultimi due monasteri, il Priore<br />

scrive: «Ho trovato i nostri fratelli tanto in Trisulti che in Santa Scolastica,<br />

in buona salute ed ho avuto la consolazione di sentire dai rispettivi<br />

Superiori che si dipartano bene, anzi tutti ne restano edificati ... » 42.<br />

Restaurazione dell'Abbazia<br />

Qualche giorno dopo il saccheggio operato dai Carbonari nell' Abbazia<br />

di Casamari, la prima preoccupazione dell'Abate Pirelli fu quella<br />

di informare il Segretario di Stato di S. Santità, il Card. Ettore Consalvi,<br />

perché si rendesse interprete presso Papa Pio VII della situazione deI<br />

monastero e delle sue impellenti necessità.<br />

Ecco il testo della lettera 43:<br />

Roma 15 marzo 1821<br />

Eminentissimo Principe,<br />

Avrà ben intesa l'Em. V. lo spoglio del monastero di<br />

Casamari e la dispersione dei suoi religiosi, per la sorpresa<br />

ed invasione di circa 700 soldati del prossimo Regno ed altri<br />

corpi di Carbonari seguìta nel dì 8 corro mese, ed io povero<br />

abate, che di quello sono incaricato e che già per la terza<br />

volta mi trovo in simili circostanze di ripristinazione, vengo<br />

ad interessare la pietà dell'Em. V., perché dal Santo Padre,<br />

cui incumbit sollicitudo omnium ecclesiarum, ottenga gli<br />

ordini opportuni per un concreto riparo.<br />

Trenta religiosi dispersi hanno ben il diritto di essere<br />

alimentati dove sono e poi riuniti in Casamari, ma e con quali<br />

mezzi e provvedimenti? Quest'imploro umilmente e dal<br />

Santo Padre e dall'Em. V. cui bacio rispettosamente le<br />

SS. mani.<br />

D. ROMUALDO PIRELLI, Abate di Casamari<br />

Non sappiamo quale impressione abbia suscitato in Vaticano la<br />

notizia dell'invasione e del saccheggio di Casamari. Comunque il Pirelli<br />

42 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario del 30 aprile 1821, p. 132.<br />

43 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », minuta della relazione al<br />

Cardinale Consalvi, p. 207.<br />

- 194-


si rivolge anche a Mons. Tesoriere il quale promette di patrocinare la<br />

causa e di parlare al Card. Consalvi.<br />

Nel giro di pochi giorni, l'Abate si affretta ad inviare al Segretario<br />

di Stato un'altra lettera, in forma di supplica, nella quale espone più<br />

dettagliatamente le necessità della comunità e del monastero 44:<br />

Roma 22 marzo 1821<br />

Eminentissimo Principe,<br />

Mons. Tesoriere da me pregato per un opportuno riparo<br />

alle sciagure del monastero di Casamari, vedovo attualmente<br />

di religiosi e di roba, mi ha promesso sentirne l'oracolo<br />

di V. Em. per combinare.<br />

La prego dunque a farsi carico, che circa 30 sono i<br />

religiosi dispersi da riunirsi e a questi vi è bisogno provvedere<br />

nuovamente ogni necessario pel loro sostentamento; io<br />

non ho più mezzi da farlo, com'è seguito altre volte per<br />

l'addietro, ma ora ne sono affatto impotente per tutti i versi:<br />

ai religiosi debbono aggiungersi molti secolari di servizio per<br />

i bisogni « ab extra» ed a questi i poveri numerosi, cui non<br />

è possibile negare un quatidiano sussidio, non trovando in<br />

quel sito altro rifugio.<br />

I generi sono montati a un prezzo eccessivo, e tutto<br />

aumenta la necessità e la difficoltà.<br />

Credo necessaria al momento una somma di 300 scudi<br />

per la provvista de' generi e bisogni indispensabili e poi una<br />

somministrazione mensuale almeno di 100 scudi sino a tutto<br />

dicembre, quando si potrà contare sulla raccolta del vino e<br />

dell'olio, sebbene si abbia prima quella de' cereali che nei<br />

beni di quel monastero è ristrettissima.<br />

Per una comunità di 40 individui ordinarii ci vuole bene<br />

piucché il predetto; ma la S. Provvidenza e la carità di<br />

v. Em. faccia dare quel che si può ed i religiosi soffriranno<br />

doppiamente la povertà che professano.<br />

D. ROMUALDO PIRELLI, Abate di Casamari<br />

Dopo aver bussato a diverse porte, rimaste sempre chiuse, e constatato<br />

che in seguito a tante guerre e guerriglie, invasioni e mutamenti<br />

di governo, l'erario pubblico effettivamente era deficitario, l'Abate di<br />

44 Ibidem, minuta della Supplica del Pirelli al Cardinale Consalvi, p. 114 bis.<br />

- 195-


Casamari, non tardò ad accorgersi che bisognava abbandonare l'idea di<br />

ottenere sussidi a « titolo grazioso ».<br />

Del resto, anche il Card. Consalvi e il Tesoriere Generale, attese<br />

le circostanze del momento, suggerivano al Pirelli di orientarsi verso<br />

« prestiti o legati onerosi ».<br />

E difatti, venuto a conoscenza che un certo « Card. Forlivesi della<br />

Rotonda >~ aveva fatto un legato di circa 450 scudi, l'Abate sollecita<br />

Mons. Tesoriere, perché il Santo Padre disponga che tale legato venga<br />

devoluto in favore di Casamari 45: « ...coll'ingiungere un qualche peso di<br />

messe o altro che gli piaccia e così facilitare la riunione di detti poveri<br />

religiosi e la ripristinazione di detto monastero ».<br />

Ma anche quest'ultimo espediente, escogitato dal Pirelli, dovette<br />

risolversi in nulla di fatto.<br />

Da Casamari, il Priore suggeriva all'Abate, ancora in Roma, alcuni<br />

rimedi per rialzare le sorti del monastero, ma « ... il migliore, per altro, di<br />

quanti possano trovarsi, si è quello di pregar Dio acciò voglia degnarsi<br />

di metterei la sua 55. mano e difendere questa causa che finalmente è<br />

sua... » 46.<br />

Dai documenti risulta chiaro che dopo un mese dall'invasione del<br />

monastero l'Abate non riusciva ancora a trovare sussidi per ripristinare<br />

l'abbazia. D'altra parte « ... quasi tutte quelle case religiose che hanno<br />

dato ricovero alli nostri fratelli emigrati, cominciano a lagnarsi con<br />

dire, che la faccenda va troppo a lungo e che le circostanze attuali sono<br />

troppo critiche da poter caricare le loro case con questa sorta di aggravi<br />

straordinari» 47.<br />

Da Roma il Pirelli si rendeva perfettamento conto della situazione<br />

incresciosa in cui si trovavano i monaci, e, pertanto, scriveva 48:<br />

« Stò qui travagliando per avere i mezzi da rimettere la<br />

famiglia e l'osservanza in Casamari e non potendo averli<br />

graziosi dovrem contentarci degli onerosi facendo un debito<br />

su i stabili, come altre volte, e questo ha combinato Mons.<br />

Tesoriere col Card. Segretario di Stato.<br />

Ritornando al monastero bramo e spero di rimettere<br />

45 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », lettera a Mons. Uditore del<br />

26 marzo 1821, pp. 209-210.<br />

46 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, 4 aprile 1821, p. 117.<br />

47 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, 4 aprile 1821, p. 117.<br />

48 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli ». lettere: del Pirelli al Cellerario,<br />

7 aprile 1821, p. 119; del Priore al Cellerario, lO aprile 1821, p. 126; del Pirelli<br />

al Cellerario, 7 luglio 1821, p. 172.<br />

- 196-


tutto in miglior ordine e se vi darete la premura di concorrerei<br />

in ogni modo possibile e conveniente meriterete certo presso<br />

Dio, presso me e presso tutti, ed il contrario sarà se nol farete;<br />

ma il Signor ci dia grazia di riuscirei e cavar profitto<br />

dalle vicende sofferte ».<br />

Dalla sua residenza in Roma, l'Abate D. Romualdo Pirelli non si<br />

dà tregua per reperire i mezzi necessari alla sussistenza della comunità<br />

dispersa e per restaurare la vita cenobitica nell'Abbazia.<br />

Dalla corrispondenza tra il Priore del monastero e il Cellerario si<br />

rilevano queste espressioni 49:<br />

« L'Abate ha parlato col Re di Napoli, gli ha lasciato<br />

pure un memoriale, ma nulla sin'ora ne ha potuto cavare.<br />

Brama di poter ritornare in Casamari, ciò che per altro<br />

non può essere sin'a tanto che non ha assicurato in qualche<br />

maniera la ripristinazione di Casamari ».<br />

Allo scopo di conoscere la situazione critica in cui venne a trovarsi<br />

l'Abbazia dopo l'invasione dei soldati del Regno di Napoli e dei Carbonari,<br />

crediamo interessante riportare testualmente alcuni brani del « Memoriale»<br />

consegnato dall'Abate al Re Ferdinando I, dopo il colloquio<br />

avuto con lui. Tra l'altro il Pirelli dice S0:<br />

« Un forte sussidio è necessario per rimettervi la comunità<br />

e l'osservanza, ma tutte le premure qui fatte per averlo<br />

sono rimaste inutili per le circostanze dello Stato e dell'Erario<br />

e perché il danno è seguito per colpa di una truppa estera<br />

~ non proprIa ...<br />

Tutta la mia fiducia è riposta, Signore, nella pietà e liberalità<br />

veramente regale della Maestà Vostra e nei riguardi<br />

avuti mai sempre per quel luogo e per la mia povera persona...<br />

n Signore mi ha preservato da tal pericolo coll'assenza<br />

e dimora in Roma per affari del monastero e gravi incomodi<br />

corporali nel mio individuo, ma san rimasto già estinto per<br />

metà per la dispersione dei mei religiosi e desolazione di Ca-<br />

49 Ibidem, lettera del Priore al Cellerario, 30 aprile 1821, p. 133.<br />

50 Ibidem, minuta, senza data, del Memoriale del Pirelli al Re di Napoli, pp. 176-177.<br />

- 197-


samari e non ritornerà in piena vita sinché non sia ripristinato<br />

quel luogo e ricuperato i suoi individui.<br />

Questa grazia chiedo umilmente alla Maestà Vostra nelle<br />

cui mani ripongo le mie pene e le mie speranze e profondamente<br />

inchinato mi riprometto ... ».<br />

Pare che le richieste dell'Abate a Re Ferdinando I dovettero essere<br />

ascoltate. Si deduce da una missiva inviata da Napoli il 6 giugno<br />

1821, dal « Ministero di Stato per gli Affari Ecclesiastici», in cui<br />

si dice 51: «Il Sig. D. Benedetto Cognetti avrà la bontà di portarsi nella<br />

Contabilità della Reg. Segreteria di Stato degli Affari Ecclesiastici, affine<br />

di dare alcune notizie per un pagamento da farsi all'Abate Pirelli<br />

di Casamari ».<br />

Senza dubbio, il sussidio ottenuto dal Re di Napoli fu determinante<br />

per Casamari. I documenti non dicono altro, stà il fatto però, che, tre<br />

giorni dopo l'invito fatto al Sig. Cognetti di passare nell'Ufficio contabile<br />

della Regia Segreteria di Stato, l'Abate, da Roma, dava ordine al<br />

Priore di richiamare tutti i religiosi rifugiati a Veroli, Trisulti e Subiaco 52.<br />

Ristabilita la comunità nell'Abbazia dopo tre mesi di esilio, la vita<br />

monastica ritorna lentamente al suo ritmo normale: la farmacia viene<br />

riaperta al pubblico 53, il lanificio S4 riprende i suoi cicli di lavorazione,<br />

l'azienda agricola e zootecnica viene riordinata e condotta con sistemi<br />

nuovI.<br />

Ovviamente per dare slancio a queste iniziative occorrono dei<br />

fondi disponibili nel bilancio di tali aziende. Visto che non vi è altra via<br />

di uscita, l'Abate e i monaci ricorrono al « prestito oneroso ».<br />

Il 23 luglio 1821 viene rogato lo « Istrumento di credito fruttifero<br />

in sorte di scudi mille ». Le motivazioni vengono descritte all'inizio del<br />

documento, dove si afferma: « ... per riparare in parte le perdite e i<br />

danni cagionati al loro monastero nell'ultima recente aggressione di alcune<br />

male intenzionate orde di Costituzionali Napoletani ... » 55.<br />

Il prestito fu fatto dal Sig. Pietro Paolo Passeri e per garanzia del<br />

creditore fu ipotecato il fondo rustico di Antera, antica grangia di<br />

51 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », mlSSIVadel Ministero di<br />

Stato per gli affari ecclesiastici, p. 159.<br />

52 Ibidem, lettera del Pirelli al Cellerario, 9 giugno 1821, p. 168; lettere del Priore<br />

al Cellerario, 11 giugno 1821, p. 165 e del 14 giugno 1821, p. 166.<br />

53 Ibidem, Cartulari sulla farmacia e speziali di Casamari; Cfr CAPUTOP. - TOR-<br />

RE D., L'assistenza ospedaliera e farmaceutica nell'Abbazia di Casamari, Casamari 1972.<br />

54 Ibidem, cfr Cartulari sul lanificio di Casamari.<br />

55 Ibidem, Cartulario V: «Grangia di Antera» (1800-1828), p. 79 e ss.<br />

- 198-


Casamari. L'estensione del terreno, tra boschivo, seminativo e vignato<br />

"era di circa cento rubbia, confinante a levante con il Regno di Napoli,<br />

a ponente con un sito del Comune di Monte San Giovanni, a tramontana<br />

con la strada che porta a Monte Corneto e con altri beni stabili di Casamari<br />

56.<br />

Il debito fu contratto con il beneplacido della Sede Apostolica, che<br />

dopo la presentazione di una « Supplica» diretta a Pio VII, concedeva<br />

le necessarie faciltà con Rescritto del 20 giugno 1821, «ex audientia<br />

SS. » 57.<br />

Il 6 agosto il Pirelli lasciava definitivamente Roma e tornava a<br />

Casamari dopo sette mesi di assenza 58.<br />

La comunità, con atto capitolare del 20 agosto, confermava e approvava<br />

all'unanimità il prestito ottenuto dall'Abbazia di Casamari 59.<br />

Si chiudeva così un'altra parentesi drammatica della storia di<br />

questa Abbazia.<br />

L'anno seguente, 1822, moriva D. Romualdo Pirelli che durante i<br />

suoi 32 anni di governo abbaziale aveva visto per tre volte il monastero<br />

invaso, saccheggiato e soppresso, e che per la sua tenacia, era<br />

riuscito sempre a farlo risorgere a nuova vita 60.<br />

56 Ibidem, Cartulario V: «Grangia di Antera» (1880-1828), strumento di credito fruttifero<br />

del 23 luglio 1821, p. 90.<br />

57 Ibidem, Cartulario V: «Grangia di Antera », supplica a Pio VII e relativo rescritto,<br />

ottenuto «ex audientia SS. », pp. 93-94. Per ulteriori notizie circa l'ipoteca sul<br />

patrimonio terriero di Antera, consultare lo stesso Cartulario da p. 59 a 101.<br />

58 Archivio di Casamari, Epistolario di Giuseppe De jacobis, agente di Casamari in<br />

Roma (1820-1824), p. 137.<br />

59 Archivio di Casamari, Libro degli atti capitolari che va dal 1721 al 1821, pp. 85-86.<br />

60 Archivio di Casamari, «Epistolario dell'Ab. Pirelli », Supplica a Mons. Uditore,<br />

del 26 marzo 1821, p. 209.<br />

- 199-


Jean de La Croix Bouton, O.C.S.O.<br />

STORIA DELL'ORDINE CISTERCENSE<br />

(quindice sima puntata)<br />

SAN BERNARDO. SUO INFLUSSO SU CITEAUX.<br />

Il primo secolo cistercense è innegabilmente dominato dalla personalità<br />

di San Bernardo. L'Ordine ebbe un gran numero di santi e di<br />

maestri eminenti, ma nessuno ebbe sui contemporanei un influsso paragonabile<br />

a quello del primo abate di Clairvaux. « Il suo influsso religioso<br />

nei suoi tempi fu enorme. Tutti i mistici del medioevo dipendono da<br />

lui, e molti attingono da lui a piene mani. 10 si legge, lo si studia quasi<br />

come Sant'Agostino» (DANIEL-Rops,Quand un saint arbitrait l'Europe,<br />

p. 52). Il suo prestigio si estese molto al di là di Clairvaux, delle sue<br />

figlie e di tutto l'Ordine. È stato notato che in pieno secolo XV, nel 1464,<br />

i religiosi di un Terzo'Ordine Francescano, nei Paesi Bassi, chiesero di<br />

entrare nell'Ordine di Citeaux «in onore di San Bernardo» (EDM.<br />

MIKKERS,Brieuen uit Klein-Galilea, in Citeaux in de Nederlanden,<br />

III, 1952, p. 4).<br />

Il P. Camillo Hontoir ha rilevato che San Bernardo intese trasmettere<br />

ai suoi figli di Clairvaux nient' altro che quanto egli stesso aveva<br />

ricevuto. « Durante la sua esistenza a Clairvaux non pensò che a mettere<br />

in atto ciò che gli era stato insegnato a Citeaux. L'attività a cui sarà<br />

chiamato direttamente è quella dell'abate nel suo monastero; quando<br />

lavorerà nel mondo tra i popoli, i principi, il clero, col papa, egli farà<br />

in modo che questa attività esteriore tragga ispirazione, alimento e forza<br />

unicamente dalla vita interiore. Ed ogni aspetto della sua personalità è<br />

dominato dall'ideale cistercense; ed è in funzione di questo ideale, vissuto<br />

in tutte le sue esigenze, che bisogna giudicarlo» (Saint Bernard et<br />

l'Ordre de Citeaux, in Collectanea OCR, XV, 1953, p. 4). In diversi<br />

passi dei suoi trattati e delle sue lettere, San Bernardo afferma chiaramente<br />

che egli non ebbe altri ideali che quello di Citeaux (vedere il<br />

capitolo Negotia Ordinis, in Bernard de Clairuaux, Parigi, 1953, soprattutto<br />

le pagine 176-178).<br />

Ma - è stato notato pure - « una personalità spiccata come quella<br />

di Bernardo non poteva non lasciare anche in gioventù la sua impronta<br />

- 200-


sull'Ordine, la cui prodigiosa propagazione è dovuta in gran parte al<br />

suo prestigio ». È indiscutibile che pur senza tradire lo spirito dei fondatori,<br />

nel secolo di Bernardo l'Ordine ha subito una considerevole evoluzione.<br />

In che senso si è operata questa evoluzione? Quale parte di<br />

responsabilità è da attribuire all'abate di Clairvaux? Uno studio di questo<br />

genere porterebbe molto lontano. Per mancanza di un lavoro unitario<br />

che è ancora da farsi, ecco qualche punto più importante.<br />

San Bernardo e l'evoluzione della legislazione dell'Ordine.<br />

San Bernardo ha preso parte con altri abati all'elaborazione della<br />

Carta di Carità, ma quando si è fatto la prova a stabilire questa parte<br />

e quella che egli ha avuto anche nell'evoluzione della CC, si è giunti alla<br />

conclusione che le modifiche più significative del diritto fondamentale<br />

dell'Ordine sono state fatte tra il 1157 e il 1165, vale a dire dopo la sua<br />

morte. È stato altresì constatato, nello studio sulla proprietà di Clairvaux,<br />

che il primo attacco serio ai principi dell'Ordine in materia di economia<br />

si pone nel 1153-1154, vale a dire subito dopo la sua morte, o poco<br />

prima. Vediamo ancora San Bernardo nel 1152 segnalare a Pietro di<br />

Celle quel « genere di entrate che a noi non si addice » (Ep. 419). Era<br />

dichiaratamente contrario all'esenzione. Però «le critiche di San Bernardo<br />

soprattutto nel suo De Considerazione - nota J. B. Mahn -<br />

non si applicava al suo ordine, perché il meccanismo della visita dei<br />

quattro-abati, della correzione e dell'aiuto reciproco, sostituiva in modo<br />

più che sufficente ogni ingerenza episcopale. Tuttavia i suoi avvisi furono<br />

ascoltati e, finché visse San Bernardo, i <strong>Cistercensi</strong> non beneficiarono<br />

di alcun privilegio di esenzione» (L'Ordre cistercien et son gouuernement,<br />

pp. 135-136). Quest'ultima affermazione di J. B. Mahn va rettificata in<br />

seguito alla scoperta della CC prior; e la Sacrosanta di Eugenio III segna<br />

un passo importante verso l'esenzione. Ciò non toglie però che il passo<br />

sia tardivo, perché il ms. Laybach 31, che non prevedeva ancora alcuna<br />

esenzione dall'autorità episcopale, rappresenta la CC nel suo stato del<br />

1151.<br />

SAN BERNARDO E GLI USI CISTERCENSI<br />

Uno studio serio sulle modifiche apportate alle Consuetudines durante<br />

la vita di Bernardo potrà essere intrapreso solo dopo la pubblicazione<br />

del ms. Trento 1711. Secondo la testimonianza di Goffredo d'Auxerre<br />

- 201-


e di Elinando Di Froidmont, fu San Bernardo a istituire, probabilmente<br />

nel 1151, una processione nella festa dell'Ascensione (l'Ordine aveva<br />

allora due sole processioni: della Purificazione e delle Palme). Alberico<br />

di Trois-Fontaines ha attribuito a San Bernardo anche l'introduzione<br />

nell'Ordine della Salve Regina, che egli avrebbe udito cantare dagli angeli<br />

nell'abazia di Saint-Bénigne di Digione.<br />

Il trattato De Cantu che funge da prefazione all'antifonario cistercense<br />

è preceduto da una lettera di San Bernardo che così riassume la<br />

storia della riforma del canto fatta verso il 1140: «Tra le ragioni che<br />

hanno mosso i nostri Padri, fondatori dell'Ordine cistercense, ce n'è una<br />

su cui principalmente hanno rivolto il loro zelo e la loro pietà: quella di<br />

non cantare, nella celebrazione della lode di Dio, niente che non fosse<br />

della più grande autenticità. Mandarono dunque qualcuno a copiare<br />

l'antifonario di Metz ritenuto vero gregoriano... Le cose purtroppo<br />

stavano molto differentemente da come si era creduto ... Essi tuttavia lo<br />

adottarono e lo hanno conservato fino ai nostri giorni ... Finalmente i<br />

nostri fratelli, abati dell'Ordine, hanno deciso di correggerlo ed hanno<br />

affidato a noi l'incarico» ... Più tardi preciseremo la parte di San Bernardo<br />

in questo lavoro. Qui notiamo soltanto che il suo nome è rimasto legato<br />

alla riforma del canto. Qualche secolo dopo, ancora si attribuivano a<br />

San Bernardo dei distici del canto: Venerabilis Pater B. Bernardus Clarevallis<br />

abbas praecepit monachis hanc normam canendi tenere ... (ms. del<br />

XV secolo proveniente da Vadstena, nella Bibloteca dell'Università di<br />

Upsala, Svezia).<br />

L'architettura monastica ha dato luogo a molte discussioni e, in<br />

merito alla pianta delle chiese, si è sollevata la questione se esiste o no<br />

una pianta specificacistercense. È certo che nel XII secolo e spesso anche<br />

nel XIII i <strong>Cistercensi</strong> hanno manifestato una particolare preferenza per<br />

le chiese ad abside rettangolare e segnatamente per il tipo architettonico<br />

di cui la chiesa di Fontenay resta l'esempio più antico conosciuto. Il Dott.<br />

Esser di Mayence, che ha raccolto le piante delle chiese cominciate a<br />

costruire tra il 1135 - data di inizio di costruzione di Clairvaux - e<br />

il 1153, anno della morte di San Bernardo, ha rivelato che soltanto le<br />

chiese dipendenti da Clairvaux hanno adottato rigorosamente questa<br />

pianta; il che sembra denotare l'ispirazione, o per lo meno le preferenze<br />

del primo abate di Clairvaux. Ha proposto di conseguenza la sostituzione<br />

dell'espressione « pianta classica cistercense» con « pianta bernardina »<br />

(v. H. Evnoux, Les [ouilles de l'abbaziale d'Himmerod et la notion d'un<br />

« plan bernardin », in Bulletin monumental, CXI, 1953 pp. 29-36).<br />

Più certo è invece l'influsso di San Bernardo sull'arte. È noto infatti<br />

- 202-


come egli si sollevò contro il lusso nelle chiese (nell'Apologia). D'altra<br />

parte sappiamo che gli abati cistercensi approvarono in Capitolo generale<br />

il seguente statuto: «Vietiamo le sculture e le pitture nelle chiese e<br />

negli altri luoghi dei monasteri, perché guardandoli spesso si perde<br />

l'utilità di una buona meditazione e la disciplina della gravità monastica ».<br />

L'influsso dell'abate di Clairvaux è evidente, e la ragione che viene<br />

adotta per questa proibizione riproduce quasi verbalmente quel che<br />

diceva il santo nella sua Apologia (P. A. DIMIER,Saint Bernard et l'art,<br />

in Sint Bernardus van Clairuaux, Achel, 1953, p. 299). Ma non soltanto<br />

nell'architettura cistercense l'influsso di Bernardo si fece sentire. Lo si<br />

trova anche in una disposizione circa i manoscritti e le vetrate. È più<br />

probabile che le restrizioni apportate circa la decorazione nei manoscritti<br />

siano dovute all'influsso di San Bernardo. Si può pensare che le ragioni<br />

siano le stesse che dettarono lo statuto relativo alle sculture e alle pitture<br />

murali. Se infatti le sculture e pitture della chiesa e del chiostro potevano<br />

nuocere al raccoglimento dei monaci durante l'ufficio e la lettura, tanto<br />

più potevano distrarre i monaci nelle loro letture sante le miniature istoriate<br />

e con personaggi, distribuite a profusione nei manoscritti» (A.<br />

DIMER,op. cito, p. 300).<br />

San Bernardo e la teologia monastica.<br />

È soprattutto sul piano intellettuale e dottrinale che San Bernardo<br />

è passato alla storia. Però, se è relativamente facile fare una lista dei<br />

suoi interventi dottrinali, è un compito abbastanza arduo fissare l'eco<br />

che questi ebbero nei suoi contemporanei e l'influsso che esercitarono sui<br />

teologi della vita monastica e sugli scolastici. « Per quasi tutto un secolo,<br />

fino all'arrivo degli Ordini Mendicanti e dei grandi dottori dell'Università<br />

di Parigi, la teologia monastica fu coltivata da innumerevoli lettori<br />

di San Bernardo: i manoscritti delle sue opere che risalgono al XII<br />

secolo e che si conservano ancora - nonostante ripetute distruzioni di<br />

libri in tutti secoli - si contano a centinaia, provenienti da monasteri<br />

cistercensi, di Canonici Regolari, di Benedettini soprattutto. E gli autori<br />

cistercensi, che attestarono la vitalità spirituale del loro Ordine per<br />

qualche generazione ancora, dipesero tutti direttamente da San Bernardo.<br />

Florilegi in cui anch'essi figurano a fianco a San Bernardo trasmisero al<br />

secolo di San Tommaso e di San Bonaventura gli elementi di una informazione<br />

patristica arricchita di testi e di idee, alle quali fino allora non<br />

si era prestata attenzione: certi temi, frequenti negli scritti dei Padri,<br />

dagli scolastici furono copiati presso San Bernardo» (D. J. LECLERCQ,<br />

- 203-


S. Bernard et la Théologie monastique du XII' siècle, in Saint Bernard<br />

Théologien Analecta SOCI XI, 1953, pp. 21-22).<br />

In uno studio accurato, il P. Ireneo Valléry-Radot si stupiva che<br />

San Bernardo non fosse l'autore quasi esclusivo dei monaci « perché ci<br />

dischiude tutto il paradiso claustrale ». «È impossibile comprenderlo<br />

se lo si isola dall'esistenza monastica che egli volle condurre. Quando<br />

descrive il giardino della Sposa e le cantine dello Sposo nei sermoni sul<br />

Cantico dei Cantici, egli evoca non pie metafore ma il chiostro, le intime<br />

esperienze di cui Dio lo gratifica. È tanto intenso il profumo, per usare<br />

le sue stesse parole, da giungere fino a noi e destare in noi il desiderio di<br />

gustarne il frutto. Se egli attirò tante anime a Cìteaux e poi a Clairvaux<br />

è perché ascoltandolo e perfino guardandolo si respira la presenza stessa<br />

di Dio e non se ne poteva fare più a meno» (P. I. VALLERy-RADOT)<br />

L'écriuain, l'bumaniste. Poète de la vie claustrale) in Bernard de Clairuaux,<br />

p. 472).<br />

«Considerato in vita come l'interprete dello Spirito Santo, San<br />

Bernardo è dottore dell'Ordine di Citeaux. Dopo aver dato frutti nel<br />

suo tempo, Bernardo non cessa di darne ancora: i suoi esempi sono tuttora<br />

vivi tra noi, possediamo i suoi insegnamenti, la sua intercessione<br />

non può mancarci » (Nuovo Menologio Cistercense). Non sapremo dire<br />

di meglio.<br />

DIVERGENZE CON CLUNY NELL'INTERPRETAZIONE<br />

DELLA REGOLA<br />

Il «conflitto Citeaux-Cluny» è divenuto un luogo comune della<br />

storia monastica. La letteratura apparsa sull'argomento è abbondante e<br />

diciamolo pure - spesso ne ha travisato l'aspetto. Assieme a qualche<br />

episodio spettacolare di cui si è parlato molto, come il conflitto Gigny-<br />

Le Miroir o l'elezione di Langres, ce ne sono molti altri più pacifici<br />

di cui si sarebbe dovuto parlare di più, come gli interventi caritativi<br />

di tanti monaci neri a favore dei loro confratelli ' bianchi " e viceversa.<br />

Non vogliamo riprendere qui i due capitoli Bernard et l'Ordre de Cluny<br />

e Bernard et les monastères bénédictins non clunisiens pubblicati in<br />

Bernard de Clairuaux, pp. 193-249, ma è importante stabilire una distinzione<br />

fondamentale nella storia delle relazioni tra i figli di San Benedetto<br />

di diverse tendenze nel secolo XII. All'infuori di qualche divergenza<br />

reale, inevitabile del resto, nell'interpretazione della Regola, vi furono<br />

conflitti piuttosto numerosi in cui erano in gioco solo interessi materiali.<br />

Sotto questo aspetto, tali conflitti non sono propri né del secolo XII<br />

- 204-


né del monachesimo, e non meritano perciò di figurare nell'elenco di<br />

cui ci occupiamo. Litigi tra proprietari confinanti, gelosi dei loro diritti<br />

e talvolta troppo attaccati ai propri interessi, sono di tutti i tempi e di<br />

tutti i luoghi. Essendo per i monasteri la principale fonte di entrate i<br />

terreni coltivabili e i pascoli accessori, le fontane e le sorgenti, i confini<br />

delle terre, i diritti di abbeveramento e di uso delle foreste causarono<br />

spesso attriti che non si calmarono subito in uno spirito di concordia e<br />

di carità. In tutte queste faccende la Regola non era in causa. Così nella<br />

lite tra Bénisson-Dieu e Savigny (diocesi di Lione) circa i pascoli, vediamo<br />

San Bernardo scrivere all'arcivescovo di Lione: «Giudicate voi tra<br />

loro», cosa che egli non avrebbe fatto se fossero state in causa le osservanze.<br />

Per giudicare dunque con una certa oggettività le polemiche tra<br />

monaci neri e monaci bianchi, bisogna innanzi tutto distinguerle dagli<br />

episodi spesso violenti che denunciano interessi personali, gelosie di<br />

campanile, contingenze politiche. Fatta questa separazione, il clima diviene<br />

più sereno e la letteratura monastica viene a trovarsi arricchita di<br />

pezzi scelti. Tuttavia, « se bisogna reagire contro la tentazione di dare<br />

troppa importanza a questa polemica durante la vita dei due protagonisti<br />

e nella storia monastica del XII secolo, non bisogna per questo temere<br />

di ricordare che la discussione fu molto animata, che portò in ballo<br />

problemi fondamentali, e che diede a due degli uomini più grandi di<br />

quel tempo l'occasione di rilevare alcuni aspetti profondi della loro<br />

personalità» (D. J. LECLERcQ, Pierre le Vénérable et les limites du<br />

programme clunisien, in Collectanea OCRJ XVIII, 1956 p. 84). D'altro<br />

canto si corre sempre il rischio di commettere delle ingiustizie quando<br />

si vuoI presentare un 'dossier' di brani di questo genere. A fianco dunque,<br />

alle testimonianze in cui appaiono spesso l'acredine e l'ironia, o la satira<br />

(sotto la penna del più grande santo di quell'epoca), bisognerebbe per<br />

essere giusti, riportare anche tutti i testi in cui si rivela l'affetto fraterno<br />

., .<br />

plU sincero.<br />

Critiche dei <strong>Cistercensi</strong>.<br />

Molti Benedettini non nascosero la loro ammirazione per i monaci<br />

di Citeaux e San Bernardo, malgrado le oltranze dell'Apologia, afferma<br />

più d'una volta il suo affetto e il suo rispetto per l'Ordine di Cluny, A<br />

torto dunque un autore recente, interpretando in modo arbitrario le<br />

parole ceterosque monacbos nella frase Nam viri isti apud Molismum<br />

positi ... adimplerent, ha voluto vedere in questa espressione dell'Exor-<br />

- 205-


dium paruum una dichiarazione di guerra a « tutto il monachesimo precistercense»<br />

e nel Piccolo Esordio uno scritto di polemica nell'atmosfera<br />

di conflitto tra Citeaux e Cluny. In realtà, ceterosque monachos non<br />

indica tutto il monachesimo pre-cistercense bensl, in opposizione ai<br />

futuri <strong>Cistercensi</strong> (viri isti), gli altri monaci di Molesme, professi come<br />

loro ma tiepidi nell'osservanza della Regola. Nell'Exordium paroum,<br />

iniziato nel 1111-1112 si allude soltanto ai monaci di Molesme. Non<br />

può dunque figurare nel ( dossier' Citeaux-Cluny.<br />

È impossibile rifare qui tutta la storia di questa controversia.<br />

Ne noteremo semplicemente i punti principali. Sono quasi tutti esposti<br />

nella celebre lettera XXVII I di Pietro il Venerabile a San Bernardo<br />

(Migne, PL. 189, 112-159), che nel ms. Douai 211 porta questo titolo<br />

significativo: Liber Domni Petri Cluniacensis abbatis de questionibus<br />

cystellensium et de responsionibus cluniacensium. Ma ne troviamo anche<br />

altrove.<br />

Secondo Pietro il Venerabile, le critiche dei <strong>Cistercensi</strong> vertevano<br />

sui costumi seguiti a Cluny circa ilricevimento dei novizi (l'anno richiesto<br />

da San Benedetto talvolta veniva molto abbreviato), l'uso delle pellicce,<br />

delle femoralia e delle coperte nel letto, le pietanze nel refettorio al di<br />

là della Regola, la riaccettazione degli apostati, i digiuni molto alleggeriti,<br />

il lavoro manuale molto ridotto, la tavola dell'abate, il possesso di chiese<br />

e decime, molti altri punti infine che sono semplici dettagli: non si<br />

prostrano più dinanzi agli ospiti del monastero, il portiere non sempre è<br />

un monaco avanzato di età, non dice inoltre Deo gratias ai visitatori che<br />

bussano alla porta, l'abate non mantiene l'inventario degli strumenti e<br />

dei mobili del monastero ecc. Con saggezza e moderazione Pietro il Venerabile<br />

ribatte tutte queste obiezioni facendo notare che vi sono due tipi<br />

di precetti divini: gli uni sono immutabili, quelli che prescrivono la<br />

carità e le altre virtù; gli altri sono suscettibili di cambiamenti secondo<br />

i tempi e i luoghi purché restino sempre al servizio della carità. Un<br />

Ordine antico come Cluny s'è trovato obbligato ad adattarsi agli uomini,<br />

a mettere alla loro portata i vantaggi della vita religiosa. Se si pratica la<br />

carità, si può esser sicuri di osservare la Regola e di servire Dio. Con<br />

piena libertà si giudica cosa è più utile alle anime, e perché le condizioni<br />

umane sono mutate, si allevia la legge senza alcun patema d'animo.<br />

È nell'Apologia che San Bernardo stigmatizza il lusso nelle chiese.<br />

Bisogna però notare che al di fuori di questo scritto, la polemica occupa<br />

ben poco posto nelle opere di San Bernardo, il che gli valse l'accoglienza<br />

favorevole delle sue dottrine presso molti Benedettini.<br />

L'autore anonimo, cistercense, del Dialogus inter Cluniacensem et<br />

- 206-


Cisterciensem metterà in ballo altre questioni, quali le ricreazioni a<br />

Cluny, l'ora della celebrazione delle lodi, il canto, il colore dell'abito.<br />

Le critiche sono fatte sempre a nome della Regola, che i <strong>Cistercensi</strong><br />

pretendono di seguire fedelmente, con una fedeltà che non esclude una<br />

certa larghezza di vedute ma che talvolta vale loro i severi epiteti di<br />

, sindacatori di sillabe' o di ' farisei'.<br />

Anch'essi vanno soggetti a critiche.<br />

Critiche contro i <strong>Cistercensi</strong>.<br />

Non si parlerà qui di quelle che vertono sul problema San Roberto.<br />

I cronisti benedettini sembrano eccentuare l'esitazione, ma non si mostrano<br />

sfavorevoli. Se, stando a un'allusione dell'Exordium magnum, alcuni<br />

Benedettini tedeschi affermano che i primi <strong>Cistercensi</strong> avevano abbandonato<br />

Molesme senza il permesso dell'abate, o con più esattezza che<br />

gli avevano forzato la mano estorcendogli il permesso, Guglielmo di<br />

Malmesbury al contrario, benché molto severo nei riguardi di San<br />

Roberto, non nasconde la sua simpatia per i <strong>Cistercensi</strong> «modelli di<br />

tutti i monaci, specchi per i ferventi, tafani per i pigri» (Gesta regum<br />

anglo PL. 179, 1290). Più riservato è Ulderico Vital, la cui testimonianza<br />

ha tuttavia la sua importanza perché ci permette di farci un'idea di<br />

quel che si pensava dei <strong>Cistercensi</strong> nei chiostri benedettini.<br />

Nella risposta alle obiezioni ·dei <strong>Cistercensi</strong>, Pietro il Venerabile<br />

li rimproverava di appigliarsi ad inezie e di dimenticare i precetti essenaizli<br />

ed immutabili dell'umiltà e della carità. Abelardo li incolpa di introdurre<br />

novità nella liturgia a proposito degli inni ambrosiani, della soppressione<br />

delle Preces e dei suffragi (perfino in onore della Beata Vergine)<br />

alla fino dell'ufficio, della soppressione di quasi tutte le processioni,<br />

del Credo a Prima e a Compieta (mentre conservavano il simbolo di<br />

San Atanasio la domenica a Prima). Infine, contrariamente all'uso comune,<br />

mantenevano l'Alleluia fino alla Quaresima (compresa la prima<br />

domenica di Quaresima, ci dice Ruperto di Deutz) e il Gloria Patri nei<br />

Salmi e nei versetti durante gli ultimi tre giorni della Settimana Santa<br />

(Abelardo, ep. lO, PL. 178, 339-340).<br />

Ruperto di Deutz rimproverò loro il colore incerto dell'abito isubalbo<br />

dubioque et incerto colore) e soprattutto il difetto di zelo nella<br />

celebrazione della Messa, per via dei lavori da compiere e sotto pretesto<br />

che San Benedetto aveva prescritto il lavoro e non aveva fissato nulla<br />

riguardo alla Messa (RUPERTO,Super quaedam capitula Regulae, III, cap.<br />

I, PL. 170, 511).<br />

- 207-


Ugo d'Amiens criticò aspramente l'Apologia e difese 1'« umanesimo<br />

» di Cluny contro l'austerità cistercense. Quanto a Botho de Priìfening,<br />

se la prese con gli innova tori in generale, e le sue critiche prendevano<br />

di mira sia i Benedettini che i Cisterecnsi (De statu Domus Dei,<br />

Maxima Bibliotheca Patrum, Lione, t. XXI, 502).<br />

Anche altri capi di discussione furono agitati. Sotto la penna dell'autore<br />

del Dialo gus, si vedono i monaci di Cluny rivendicare la loro<br />

vita « contemplativa », che oppongono alla vita « attiva» dei <strong>Cistercensi</strong><br />

(per via del lavoro manuale). Ciò che colpi il premostratense Reimbaud<br />

di Liegi è che i Cluniacensi abitavano presso gli uomini, mentre i <strong>Cistercensi</strong><br />

si ritiravano lontano dal mondo nella solitudine (De diversis ordinibus<br />

Ecclesiae, PL. 213, 814 e 823).<br />

Da queste discussioni risulta, dunque, che i <strong>Cistercensi</strong> prendevano<br />

la Regola con tutta semplicità nel senso ovvio dei suoi termini, mentre<br />

i Cluniacensi la interpretavano in un modo, se non più largo, almeno più<br />

umano, e talvolta appellandosi a principi superiori. La cosa è palese<br />

quanto alla riammissione degli apostati. «Saranno riaccolti fino a tre<br />

volte» secondo la Regola, dicono i primi. « Saranno riaccolti non soltanto<br />

tre volte, ma settanta volte sette, se ce n'è bisogno» secondo la<br />

legge dell'amore promulgata dal Vangelo, replica Pietro il Venerabile.<br />

Apprezzamenti<br />

Queste controversie circa l'interpretazione della Regola sono indici<br />

di una realtà più importante: il progresso della vita religiosa nella prima<br />

metà del secolo XII. Provano il fervore e l'emulazione che regnavano<br />

nei chiostri e la premura di raggiungere, al di là della Regola, lo spirito<br />

di San Benedetto. E tutto è lì. È lo spirito autentico di San Benedetto<br />

che <strong>Cistercensi</strong> e Benedettini si studiano di raggiungere, gli uni obbedendo<br />

con tutta semplicità alla parola stessa del legislatore, gli altri<br />

ricordando che San Benedetto nella Regola, essieme a precise prescrizioni,<br />

ha inserito dichiarazioni esplicite sul rispetto delle differenze individuali,<br />

e sulle modalità rimesse al giudizio dell' abate nell' applicazione dei prin-<br />

CIpI.<br />

« Queste discussioni sono dimenticate. Ma non dobbiamo dolerci<br />

che tale controversia sia sorta. Essa purificò ed accrebbe l'amicizia tra<br />

San Bernardo e Pietro il Venerabile, e diede occasione a testi ricchi di<br />

contenuto» (D. J. LEcLERCQ, Pierre le V énérable, ed. di Fontanelle, p.<br />

183). Ma il risultato migliore fu che gli antagonisti si sentirono obbligati<br />

a rivedere le loro posizioni; il che fu tutto a vantaggio dello spirito<br />

- 208-


eligioso. Gli statuti di riforma di Pietro il Venerabile nel 1132 devono<br />

molto ai <strong>Cistercensi</strong>. San Bernardo stesso fu invitato ad assistere al<br />

Capitolo Generale dei monaci neri della provincia di Reims. Egli S1<br />

scusò di non potervi andare ma inviò agli abati giudiziosi consigli.<br />

FONDAZIONE DI UN'ABBAZIA CISTERCENSE<br />

Abbiamo notato più sopra il rapido e straordinario sviluppo dell'Ordine<br />

a cominciare dal 1118. Conosciamo attraverso carte e cronache<br />

contemporanee le circostanze della sistemazione di gran parte delle<br />

nuove abbazie. Qui esporremo qualche linea generale che ci permetterà<br />

di precisare i principi fondamentali dell'Ordine.Il Nuovo Monastero è<br />

la realizzazione concreta di un ideale,: separazione totale dal mondo<br />

al fine di vivere con Dio solo, nel quadro di vita tracciato da San Benedetto.<br />

Si tratta ora di far vedere come questo ideale informasse non<br />

soltanto Citeaux e le prime figlie, ma anche tutte quelle che seguirono.<br />

Passi preliminari.<br />

I principi dell'Ordine in materia di fondazione sono esposti nei<br />

primi Instituta Generalis Capitali. Sono già accennati negli Instituta<br />

monachorum de Molismo venientium: i monasteri saranno costituiti<br />

in luoghi lontani dagli abitanti, ad imitazione di San Benedetto che non<br />

costrui i suoi in città o in agglomerati, e per le fondazioni saranno inviati<br />

dodici monaci con un abate. Il testo del 1120 (Parigi Ste Gen. 1207 e<br />

Trento 1711) codifica le prime decisioni sotto la rubrica V I I I de construendis<br />

abbatiis (testo in Collectanea OCR, XVI, n. 2, aprile 1954, pp.<br />

101-102). Questo bel testo fu in seguito diviso in più statuti nella nuova<br />

collezione (Laybach 1152): statuti 1, 2, 12, 18,21. L'erezione di un'abbazia,<br />

la separazione dal mondo, il numero dei monaci, i libri liturgici,<br />

l'uniformità nell'osservanza della Regola. Il fondatore poteva essere un<br />

principe, un signore, un vescovo, un semplice proprietario. Ma l'arrivo<br />

Jei monaci era condizionato da più circostanze e da una serie di negoziati<br />

preliminari. È per questo che si spiega l'incertezza in diversi casi circa<br />

la data esatta di fondazione, o piuttosto la coesistenza di più date che<br />

rappresentano altrettante tappe dopo la prima offerta fino alla presa di<br />

possesso definitiva. Il donatore offriva sempre la terra su cui sarebbe<br />

sorta l'abbazia e talvolta assicurava il sostentamento dei monaci per i<br />

primi tempi. Ma dal punto di vista giuridico potevano presentarsi<br />

- 209-


diverse situazioni: 1° il proprietario del fondo su cui sarebbe sorto il<br />

monastero conservava interi i suoi diritti, ed allora il monastero si<br />

aggiungeva al patrimonio del proprietario e dei suoi eredi. - 2° Il<br />

proprietario del fondo rinunciava ai suoi diritti utili senza rinunciare<br />

al diritto di possesso, ed allora il suo diritto di proprietà si riduceva ad<br />

una semplice protezione. - 3° Il proprietario cedeva all'abbazia fondatrice<br />

l'intera proprietà del fondo, ed allora il monastero era del tutto<br />

indipendente. I <strong>Cistercensi</strong> non ammisero mai la prima situazione e<br />

rigettarono sempre il procuratore, ma pochissime volte furono le abbazie<br />

su cui i fondatori - o meglio i loro discendenti - non rivendicassero<br />

in seguito qualche diritto.<br />

Scelta della posizione<br />

Per quanto fosse importante, il punto di vista giuridico - salva<br />

sempre la solitudine - non sembra preoccupasse i <strong>Cistercensi</strong> quanto<br />

il punto di vista economico. Sia che i monaci fossero chiamati da un<br />

fondatore, il quale poteva essere più o meno liberale e disinteressato,<br />

sia che andassero in cerca di un luogo adatto a una nuova fondazione<br />

(ad es. La Ferté), la scelta giudiziosa della posizione era sempre una<br />

condizione di prim'ordine. Quanto a cominciare dal 1194 il Capitolo<br />

Generale prese l'abitudine di inviare due abati ad ispezionare i luoghi<br />

offerti a Citeaux per le nuove fondazioni, con il compito di verificare<br />

se presentavano le condizioni richieste dalla Regola, se la donazione era<br />

sufficente ad assicurare la vita della comunità, se non c'erano ostacoli<br />

da parte dell'Ordinario e dei vicini, di rendersi infine conto della<br />

situazione degli edifici, se erano già costruiti o in corso di costruzione<br />

(statuti del 1194 n. 59, 1196 n. 23 e 39, 1197 n. 17 e 35, 1198 n. 19<br />

ecc.), non fece altro che ratificare e imporre delle indagini previe che il<br />

Padre immediato faceva già ordinariamente (sopra abbiamo visto la<br />

sollecitudine di Stefano Harding su questo punto).<br />

«Benché non fosse nella Regola, almeno esplicitamente, scrive<br />

M. Aubert, si cercava innanzi tutto un luogo in cui l'acqua fosse abbondante,<br />

l'acqua necessaria alla vita e all'igiene di una comunità numerosa<br />

che viveva su uno spazio ristretto, l'acqua che azionava le ruote dei<br />

mulini, delle macchine, dei laboratori, che irrigava i prati, i frutteti e<br />

gli orti. Così le abbazie cistercensi si trovano di solito in fondo alle valli:<br />

Bernardus ualles, Benedictus montes amabat »<br />

Oppida Franciscus, celebres Ignatius urbes. (L'architecture cistercienne,<br />

I, p. 89). Quest'ultima regola non era comunque assolutamente<br />

- 210-


uniforme. M. Gratien Leblanc ha studiato «La ripartizione geografica<br />

delle abbazie cistercensi del sud-ovest della Francia» (in Mélanges géograpbiques<br />

offerts à M. Daniel Faucber, Tolosa, 1949, t. II, 583-608).<br />

Ecco alcune conclusioni dell'autore a proposito della ripartizione geografica<br />

di ventotto abbazie cistercensi in una regione delimitata. La<br />

ricerca della solitudine sembra la grande legge che presiede nell'erezione<br />

delle abbazie. In primo luogo, i monaci di Citeaux non si sono mai stabiliti<br />

sulle grandi vie di circolazione, fossero esse terrestri, fluviali o<br />

marittime. Non ce ne sono neppure su strade di media importanza, e<br />

quanto se ne trovano su qualche sentiero frequentato (come S. [acques<br />

de Compostelle), i pellegrini devono fare un giro per avviarsi verso il<br />

monastero dove intendono pregare e domandare ospitalità. Ciò spiega la<br />

rarità delle abbazie nei Pirenei dove tutte le valli erano già troppo<br />

popolate e la circolazione troppo intensa, e al contrario la loro abbondanza<br />

nel Massiccio Centrale dove le valli erano generalmente deserte<br />

e inesplorate. In. secondo luogo, la carta rivela una forte densità di<br />

monasteri nelle regioni umide e boscose, piccole vallate o depressioni<br />

verdeggianti. E l'autore cita i versi di Gaspardo Bruschius nella sua<br />

Chronologia Monasteriorum Germaniae illustrium (circa 15.50):<br />

Semper enim ualles, sylvestribus undique cunctas<br />

Arboribus, divus Bernhardus amoenaque prata<br />

Et fluviosj ;uga sed Benedictus amabat et arces<br />

Coelo surgentes, equo rum vertice late<br />

Prospectus petitur.<br />

Infine le abbazie si trovano di preferenza nelle pianure o nelle<br />

vallate dal suolo profondo e dove si può vivere facilmente grazie alla<br />

policoltura. Corrispondendo al tipo di abitato a fattorie sparse qua e là,<br />

un pò come le villae rustica e dei gallo-romani.<br />

Si è sostenuto, a causa di una lettera di Fastredo, terzo abate di<br />

Clairvaux (1157-1162), che i <strong>Cistercensi</strong> sceglievano di proposito posti<br />

umidi e paludosi per i loro monasteri allo scopo di mantenere i religiosi<br />

in uno stato malaticcio che tenesse costantemente dinanzi ai loro occhi<br />

l'immagine della morte. Questa leggenda è stata felicemente rigettata<br />

(Bibliografia presso Clteaux in de Nederlanden, VI, 1955. fase. 2, p.<br />

90 nota 7). In una lettera a una pia donna di nome Beatrice, San Bernardo<br />

scriveva a proposito del trasferimento di un monastero che « i religiosi<br />

son passati in un luogo dove nulla manca, sia edifici che amici, in una<br />

zona di una fertilità sbalorditiva e dal paesaggio delizioso ... lo li ho<br />

lasciati felici e tranquilli e son tornato con la gioia e la pace nell'anima»<br />

(ep. 118).<br />

- 211-


Trasferimenti di abbazie.<br />

Lungi dallo scegliere posti malsani, i <strong>Cistercensi</strong> non esitavano a<br />

trasferire le loro comunità in luoghi dal clima più sano e dalle condizioni<br />

più favorevoli alle esigenze della vita contemplativa. Tali trasferimenti<br />

di comunità sono stati abbastanza frequenti. Se ne trovano in<br />

tutti i paesi e in tutte le epoche. I motivi furono vari. Se nel periodo<br />

che va dal XII al XIV secolo i motivi furono per lo più d'ordine naturale<br />

ed effettuati poco dopo la fondazione, a cominciare dal XIV secolo furono<br />

soprattutto d'ordine economico e politico (abbazie rovinate dalla guerra<br />

o sul punto di esserlo), fin quando i decreti del Concilio di Trento non<br />

fecero obbligo ai monasteri di religiose lontani dagli abitanti di trasportarsi<br />

all'interno delle mura di città o di popolose bargate, per maggior<br />

sicurezza. Per il primo periodo bisogna d'altra parte distinguere tra il<br />

semplice spostamento locale nel medesimo sito, di qualche centinaio<br />

di metri, come Clairvaux, o anche di due chilometri come Citeaux, e<br />

gli spostamenti di sito implicanti lunghe distanze. Nei primi tempi, l'abate<br />

che per una giusta ragione voleva spostare il suo monastero in un luogo<br />

più conveniente, non doveva chiedere un'autorizzazione speciale: «Ogni<br />

abate a cui viene offerto dai secolari un luogo per spostarvi la sua abbazia,<br />

può accettare se lo crede opportuno, ed effettuare il trasferimento»'<br />

(st. XXIII della 2 a collezione del Laybach, con tracce di rimaneggiamento;<br />

non figura nella collezione del 1120). Per la prima volta nel 1152 troviamo<br />

la questione dei trasferimenti regolata ufficialmente. Il testo è<br />

aggiunto alla fine dello statuto che proibisce nuove fondazioni: «E<br />

consentito comunque a tutti gli abati di trasferire il proprio monastero<br />

in un luogo più conveniente, col permesso dell'abate-padre ». In tutti<br />

i casi la nuova costruzione doveva distare almeno dieci leghe delle altre<br />

abbazie dell'Ordine e due leghe dalle grangie. Il vecchio monastero sarà<br />

abbandonato o trasferito in grangia, se la distanza non è superiore a<br />

una giornata di cammino. Questa decisione sembra sia rimasta in vigore<br />

fino al 1214, data in cui fu deciso che ogni trasformazione (commutatio)<br />

o trasferimento (transmutatio) non poteva farsi senza l'autorizzazione del<br />

Capitolo Generale. È il Capitolo Generale che si riserva l'esame dei<br />

motivi che spingono a chiedere il trasferimento e che non sono più<br />

obbligatoriamente una incommoditas intolerabilis. Vedremo più avanti<br />

che durante tutto il secolo XIII queste domande di trasferimento furono<br />

molto numerose e .i motivi svariati, comprendenti sia cause naturali<br />

che esigenze dell'Ordine dal punto di vista della solitudine, sia contingenze<br />

economiche che la volontà dei benefattori. Ma nel «secolo di<br />

- 212-


Bernardo» soltanto i motivi d'ordine naturale sembrano aver costituito<br />

l'incommoditas intoleradilis richiesta nel 1152. La causa più frequente<br />

del trasferimento è la mancanza d'acqua. Talvolta si trova invece il pericolo<br />

di inondazione (è il caso di Epinoy trasferito a Bohéries per evitare<br />

le inondazioni dell'Oise, o di Foigny costruito in origine su un'isoletta).<br />

L'insalubrità dell'aria (spostamento di Saint-Acire a Bordeaux nel 1156),<br />

la sterilità della terre sono anch'esse cause di trasferimento, mentre<br />

l'insufficenza dei locali abbliga almeno allo spostamento degli edifici<br />

monastici. A volte più incomodità si trovano assieme, come a Belleperche<br />

che soffriva di mancanza d'acqua, di insalubrità dell'aria e di insufficenza<br />

di locali. Il trasferimento fu deciso sin dal 1147, dietro consiglio di<br />

San Bernardo. A Cantabos in Spagna i monaci soffrivano l'insalubrità<br />

dell'aria e la mancanza d'acqua e di legna. L'abate decise di trasferire<br />

la comunità a Huerta nel 1162. In qualche caso vi è il rigore eccessivo<br />

del clima, ad esempio per Cabadour nei Pirenei, fondata proprio in montagna,<br />

nella valle di Campan, a 1050 metri d'altezza. In questo posto<br />

dagli inverni rigidi il peggior nemico è ancor oggi il fulmine, che più<br />

d'una volta incendiò capanne di pastori e distrusse greggi di pecore.<br />

I monaci di Cabadour scesero e si stabilirono in un luogo più clemente,<br />

l'Escale Dieu, nel 1140. Ultimo motivo è il pericolo delle bestie feroci.<br />

Le monache del Suc-Ardu in Alvernia, infatti, nel 1200 si trasferiscono<br />

a Bellecombe. Ragione: lupi et alia [era vorabant aliquando [amiliares<br />

et servos et ancillas...<br />

QUADRO DELLA VITA MONASTICA<br />

Quando la posizione della nuova abbazia era stata scelta, veniva<br />

tracciato un recinto, il più delle volte di legno all'inizio. Una porta permetteva<br />

il contatto col mondo, ma era severamente custodita da un<br />

portiere, uomo di fiducia dell'abate e di solito senex sapiens. All'interno<br />

del recinto veniva delimitato lo spazio per la chiesa, presso la quale<br />

dovevano sorgere gli edifici monastici. Fin dal 1120 fu prescritto di<br />

non inviare alcun gruppo di monaci prima che il monastero fosse provvisto<br />

dei luoghi regolari: oratorio, refettorio, foresteria, porteria. Nessun<br />

edificio poteva trovarsi al di fuori del recinto, salvo la foresteria e le<br />

stalle.<br />

Disposizione dei luoghi regolari.<br />

I primi monasteri cistercensi furono molto semplici. Un testo<br />

citato più sopra ci informa che il primo di tutti, quello di San Roberto,<br />

- 213-


era composto di capanne fatte con i rami di alberi. Ma si organizzarono<br />

immediatamente in modo meno sommario. Secondo l'autore del Dialogus<br />

inter Cluniacensem et Cisterciensem monacbum, gli edifici all'interno del<br />

recinto formavano non uno ma due monasteri, uno per i monaci, l'altro<br />

per i conversi, Il primo era disposto attorno al chiostro che ne era<br />

veramente il centro. Una galleria del chiostro era sempre addossata al<br />

muro della chiesa, due delle altre tre davano eccesso ai luoghi comuni:<br />

capitolo, auditorium, colefattorio, refettorio, cucina ecc. L'ultima galleria<br />

era affiancata dal secondo monastero (dei conversi) da cui era separata<br />

da un corridoietto chiamato «passaggio dei conversi», che consentiva<br />

a questi ultimi di recarsi in chiesa senza passare per il chiostro<br />

dei monaci. I dormitori erano al primo piano e comunicavano direttamente<br />

con la chiesa. Quest'ultima era regolarmente rivolta ad oriente;<br />

le abitazioni dei monaci erano disposte ad est, e quelle dei conversi ad<br />

ovest. Ma la posizione del chiostro rispetto alla chiesa variava secondo<br />

i luoghi, e si trovava talvolta a nord e tal'altra a sud. M. Aubert<br />

elenca due serie di abbazie e nota che delle abbazie il cui chiostro è a<br />

sud della chiesa (e che hanno di conseguenza le abitazioni ben esposte<br />

al sole) sono più considerevoli che nel caso contrario (L'Architecture<br />

cistercienne, p. 112). Ma in entrambi i casi si può constatare che i <strong>Cistercensi</strong><br />

hanno inteso erigere la chiesa nel punto più alto del posto scelto,<br />

e all'opposto del punto più basso, in cui facevano scorrere una fogna<br />

all'estremità delle abitazioni dei monaci e dei conversi (questa fogna<br />

raccoglieva gli scoli dei lavandini, del refettorio, delle cucine ... ). In<br />

definitiva, l'acqua che aveva avuto una parte importante nella scelta<br />

del posto, determinava ancora la disposizione degli edifici rispetto al<br />

suolo. Essendo la chiesa sempre nel luogo più alto, e rivolta ad oriente,<br />

si comprende che il chiostro veniva costruito sia a nord che a sud, secondo<br />

il terreno. Questa prassi era seguita al punto che in certi casi<br />

prevaleva sulla legge dell'orientamento della chiesa (a Senanque, per esempio).<br />

Altre convenzioni locali, hanno potuto introdurre qualche variante<br />

sulla pianta regolare, ma mai sostanziali; ilche ha permesso a M. Aubert<br />

di concludere: «L'unità della pianta delle abbazie cistercensi è pressoché<br />

assoluta» (op. cit., p. 129).<br />

I « moines bdtisseurs ».<br />

Ulderico Vital attestava che i <strong>Cistercensi</strong> costruivano i loro monasteri<br />

con le proprie mani. Questa testimonianza è confermata da un<br />

disegno del Museo Germanico di Norimberga, che mostra i monaci<br />

- 214-


e i conversi del monastero di Schonau presso Heidelberg occupati nella<br />

costruzione della loro abbazia: le pietre vengono prese dalla vicina cava<br />

e sgrossate, poi trasportate a piè d'opera su carri trainati da buoi. I conversi<br />

le tagliano, mentre altri preparano la calcina, s'arrampicano sulle<br />

scale, portano su il materiale, costruiscono i muri, li rivestono di paramani;<br />

uno di essi, con il metro in una mano e la squadra nell'altra, sembra<br />

il capomastro del cantiere. Il cellerario parta da mangiare e da bere più<br />

abbondante di quello della comunità. Nessun laico vi figura; soltanto<br />

conversi con tonaca corta fermata alla vita, mantello che copre le spalle e<br />

il petto, scarpe e calze.<br />

Cosi i monaci e i conversi lavorano essi stessi, generalmente sotto<br />

la direzione del cellerario o di un monaco specializzato in lavori di architettura.<br />

Clairvaux al tempo di San Bernardo aveva architetti famosi:<br />

Achard, maestro dei novizi, che presiedette senza dubbio la costruzione<br />

del monastero e che, ancor giovane, diresse parecchi cantieri in cui lo<br />

aveva mandato San Bernardo; il celebre Goffredo d'Aignay, uno dei<br />

discepoli prediletti di San Bernardo e veterano di Clairvaux, che il suo<br />

abate incaricò più volte di costruire nuove abbazie, non soltanto in<br />

Francia, ma anche all'estero soprattutto in Inghilterra. Clairvaux del<br />

resto sembra considerata un'abbazia modello, a cui si ispiravano gli<br />

abati nei lavori di costruzione. Sappiamo inoltre che anche altre grandi<br />

abbazie, come Pontigny, inviarono talvolta alle loro figlie maestri ed<br />

operai specializzati.<br />

Qualche volta si dové ricorrere ad operai del luogo, diretti dai<br />

monaci (artifices conducti), e persino mercenari. A Clairvaux, per esempio,<br />

al momento della ricostruzione dell'abbazia, San Bernardo chiamò<br />

degli operai ad aiutare i monaci e i conversi per la costruzione dei nuovi<br />

edifici. Era invece severamente proibito ai monaci e ai conversi specialisti<br />

in lavori di architettura di lavorare in cantieri estranei all'Ordine. Sembra<br />

che nonostante la semplicità voluta dall'Ordine e l'utilizzazione di materiale<br />

preso il più vicino possibile al cantiere, la costruzione dei monasteri<br />

procedeva molto lentamente. « Questa lentezza dipende da molti fattori,<br />

e innanzittutto dalla mancanza di personale. I monaci, nei primi tempi<br />

della fondazione, non erano numerosi; bisognava dissodare e coltivare<br />

terre sufficienti ad assicurare un minimo indispensabile di nutrimento e,<br />

al tempo stesso, lavorare nella costruzione degli edifici, senza trascurare<br />

la celebrazione dell'Ufficio. I monaci di solito assumevano operai in loro<br />

aiuto, ma erano talmente lontani da ogni centro abitato che il più delle<br />

volte non riuscivano a trovarne che un piccolo numero. La lentezza dei<br />

lavori dipende pure dalla mancanza di materiale, dalla mancanza di denaro,<br />

- 215-


a volte anche dalle difficoltà create dalla gente circostante sempre inquieta<br />

per un nuovo vicinato, e sopratutto dai proprietari vicini con cui, per<br />

mancanza di accordi precisi... talvolta si era in discussione ». (M. Aubert,<br />

op. cit., pp. 101-102). D'altra parte, a dire il vero, i lavori non erano<br />

mai terminati, poiché nelle abbazie fiorenti - e lo erano quasi tutte<br />

nei secoli XII e XIII - i monaci erano senza posa occupati ad ingrandire<br />

o a ricostruire su proporzioni più vaste.<br />

Il laboratorio spirituale.<br />

Nella mente dei <strong>Cistercensi</strong> il monastero doveva essere un laboratorio<br />

in cui il monaco si dedicava all'arte spirituale, secondo l'espressione<br />

di San Benedetto. Doveva dunque essere in grado di rispondere a tutti<br />

i bisogni spirituali e corporali del monaco. Ora San Benedetto esigeva<br />

che fosse organizzato in modo che i monaci potessero trovare nella<br />

clausura tutto ciò che era necessario alla vita, al fine di evitare le uscite,<br />

dannose all'anima. Insomma bisognava che le anime si esercitassero in<br />

pace nell'arte spirituale - la ricerca di Dio - senza esserne impedite<br />

dai bisogni del corpo né distratte dalle contingenze materiali. La perfetta<br />

realizzazione di questo programma incontrava due ostacoli, a seconda<br />

che si concedeva ai sensi e allo spirito troppo o troppo poco. Bisognava<br />

salvare l'officina della preghiera, che è l'oratorio di tutto ciò che potesse<br />

distrarre i monaci dall'orazione, senza dimenticare che tutte le creature<br />

portano l'impronta di Dio che le ha rivestite della sua bellezza (SAN<br />

GIOVANNIDELLA CROCE, Cantico Spirituale, str. V) e che, come dice<br />

San Paolo, « l'anima perviene alla conoscenza del Dio invisibile con la<br />

contemplazione delle cose create» (Rom. I, 20).<br />

I <strong>Cistercensi</strong> hanno saputo combinare la semplicità e la povertà<br />

monastica con le realizzazioni più ingegnose (si pensi ai lavori di canalizzazione,<br />

all'abilità con cui gli architetti cistercensi hanno saputo utilizzare<br />

al massimo 'la luce del giorno - ut eum luee fiant omnia, Reg., cap.<br />

XLI - l'azione del sole, le risorse dell'irrigazione). Di più, il « pratico»<br />

e il « comodo» che sono riusciti a realizzare non sono mai stati in contrasto<br />

con la bellezza. Il cistercense Gilberto di Hoyland ha fatto notare<br />

quale dolce influsso la bellezza del luogo può esercitare sulla vita spirituale:<br />

«Il luogo nascosto e fitto di alberi, irrigato e fertile, e la valle<br />

boscosa che a primavera risuona del canto degli uccelli, tutto questo<br />

ridona vita allo spirito che muore, libera l'anima che languisce dalla sua<br />

stanchezza e rende tenero il cuore duro e senza devozione» (Traet. esc.,<br />

in PL 184, col. 282-283). La rudezza architettonica della chiesa e degli<br />

- 216-


edifici monastici è tutt' altro che sinonimo di imperfezione. Il monastero<br />

è la casa del Signore, e tutto vi deve essere perfetto. Il brutto, il deforme,<br />

come avrebbero potuto esaltare la suprema Bellezza? I <strong>Cistercensi</strong> sapevano<br />

che il bello consiste nell'ordine generale, nelle proporzioni e nella<br />

disposizione armoniosa delle parti. Tutti gli artisti, gli archeologi e<br />

gli storici che hanno esaminato i monumenti cistercensi sono unanimi<br />

nell'apprezzarne la qualità e la bellezza. Nel più piccolo dettaglio come<br />

nei più grandi problemi di architettura, hanno dimostrato di possedere<br />

doni che li classificano al vertice dell'arte: bellezza, nobiltà, distinzione<br />

da una parte; scienza approfondita, tecnica rigorosa, materiale scelto<br />

benché poveri, dall'altra: ecco come sono riusciti a dare una grandezza<br />

particolare alle loro chiese e luoghi comuni, dove non erano ammessi<br />

che gli oggetti strettamente necessari al culto e alla vita quotidiana.<br />

M. Gilson, parlando di San Bernardo e dei primi scrittori cistercensi,<br />

ha detto giustamente: Hanno rinunciato a tutto fuorché all'arte di ben<br />

scrivere. Dopo aver visitato le loro chiese e i loro monasteri, nota il P.<br />

Anselme Dimier, bisogna ammettere che i primi <strong>Cistercensi</strong> non avevano<br />

rinunciato affatto all'arte di ben costruire ...<br />

Gilberto di Hoyland pensò di rispondere a un'obiezione. «Gli antichi<br />

Padri cercarono dei posti foschi e aridi per poter praticare l'astinenza<br />

ed evitare di distrarre l'anima con le preoccupazioni di quaggiù. Si diedero<br />

con più alacrità al lavoro corporale per acquistare la libertà del cuore,<br />

per evitare la leggerezza dell'anima e la curiosità dello spirito. Si dedicarono<br />

infine più al lavoro manuale che alla coltivazione dei campi »...<br />

E Gilberto rispondeva: «Essi obbedivano alloro tempo, noi obbediamo<br />

al nostro. La nostra epoca ha stabilito nuovi costumi. Bisogna provvedere<br />

cose abbondanti per quelli che perseverano, e cose atte ad attirare per<br />

quelli che iniziano» (ibid. col. 283). Ma Gilberto di Hoyland condannò<br />

non meno severamente di San Bernardo e dei primi <strong>Cistercensi</strong> tutto<br />

ciò che nel quadro della vita monastica sapesse di lusso e di vanità<br />

mondana.<br />

(traduzione dal francese di P. IGINOVONA,o. CIST.)<br />

- 217-


RECENSIONI<br />

R. N. VASATURO - G. MOROZZI - G.<br />

MARCHINI - U. BA LDINI , Vallombrosa<br />

nel centenario della morte del<br />

fondatore Giovanni Gualberto - 12<br />

luglio 1073, Giorgi & Gambi Editori,<br />

Firenze 1973.<br />

A. SAVIOLI - P. SPOTORNO, Incisioni di<br />

cinque secoli per San Giovanni Gualberta,<br />

Abbazia di Vallombrosa 1973.<br />

Due' pubblicazioni per il centenario<br />

del fondatore dei Vallombrosani, San<br />

Giovanni Gualberto: tre studiosi religiosi<br />

e tre laici, visione dunque non<br />

unilaterale, ma ampia e soprattutto visto<br />

l'ordine e il fondatore attraverso<br />

la storia religiosa artistica e civile.<br />

Il primo volume ci presenta il sorgere<br />

e il cammino della famiglia vallombrosana<br />

attraverso la costruzione<br />

del cenobio che da il nome alla congregazione<br />

stessa: sono avvenimenti<br />

che richiamano via via momenti storici<br />

della Toscana religiosa e artistica; cenni<br />

brevi ma documentati e vivi di persone<br />

legate all'Ordine o con esso alla<br />

più ampia pagina della storia della<br />

Chiesa.<br />

Il Vasaturo ci pone davanti ad avvenimenti<br />

e fatti che sviluppati per<br />

l'ampia documentazione nelle note di<br />

ogni capitolo crea una fonte ricca per<br />

coloro che si accingono a rivedere la<br />

storia della chiesa in una più vasta visione,<br />

vale a dire valutando documenti<br />

finora sotterrati nei ricchi archivi e<br />

non solo della Toscana. Lo studio del<br />

Vasaturo contiene ben 1058 note.<br />

Vallombrosa, Monte Senario, Monte<br />

Oliveto sono i centri irradiatori della<br />

vita religiosa, culturale e sociale della<br />

Toscana; tre centri che in poco tempo<br />

si diffusero nel mondo come fari di<br />

fede.<br />

218 -<br />

L'Ordine Vallombrosano nasce e lo<br />

nota il Vasaturo all'inizio del suo lavoro<br />

citando la prima data storica riguardante<br />

l'importante avvenimento:<br />

«27 gennaio 1037 », anno che consente<br />

di stabilire l'inizio dei lavori<br />

della chiesa e del monastero di Vallombrosa:<br />

il tutto sorgerà per un atto<br />

di donazione.<br />

Tale data, la prima, da quindi per<br />

certa, secondo il Vasaturo, l'esistenza<br />

di una comunità monastica a capo della<br />

quale si trova Giovanni Gualberto<br />

che con alcuni compagni era salito sui<br />

colli del Mugello dal monastero di San<br />

Miniato al Monte di Firenze « per condurre<br />

una vita più santa ».<br />

L'esodo fiorentino dei monaci e il<br />

documento dell'inizio del1a costruzione<br />

della chiesa forniscono all'autore il filo<br />

conduttore per tutto il suo studio che<br />

è veramente imperniato con serietà di<br />

ricerca (abbiamo visto dal numero delle<br />

note) e con l'amore di figlio non ultimo,<br />

di Giovanni Gualberto.<br />

Vallombrosa ha due momenti storici<br />

della Toscana, il suo sorgere ed il suo<br />

risorgede con i restauri dei quali nel<br />

libro scrive Guido Morozzi, l'artefice<br />

primo e amoroso di detti restauri.<br />

Vasaturo non ci tiene legati solo alla<br />

storia del suo Ordine ma con questa<br />

ci inserisce in un vasto campo di studi<br />

storici: egli tocca problemi vivi, alcune<br />

volte anche scottanti di nove<br />

secoli di cammino della chiesa, della<br />

grande famiglia della chiesa, dei suoi<br />

gerarchi, dei suoi sudditi ma soprattutto<br />

dei suoi santi. L'A. del prezioso<br />

volume cita e documenta tutti i rapporti<br />

dei membri del suo Ordine col<br />

cammino della chiesa stessa: quello<br />

tra i Vallombrosani e le riforme che in<br />

seno alla chiesa erano necessarie': i legami<br />

coi vari Concili ai quali uomini


di santità e cultura parteciparono per<br />

estirpare gli abusi umani introdottisi,<br />

frutti delle varie eresie o pseudoeresie.<br />

10 studio ci fa conoscere le lotte, i<br />

dolori del fondatore e dei suoi figli<br />

nei primordi di Vallombrosa; basti citare<br />

le accorate ma sincere parole del<br />

Vasaturo circa il momento più cruciale<br />

della loro fondazione, la lotta contro<br />

la simonia: «Il cardinal Pier Damiani,<br />

legato Pontificio, recatosi a Firenze<br />

dimostrò ancora una volta la<br />

propria incapacità a valutare la situazione<br />

come appare dalle sue roventi<br />

parole contro i Vallombrosani nel Sinodo<br />

Romano, apertosi il 22 aprile<br />

1067, nel quale i monaci di Vallombrosa,<br />

guidati da Rodolfo, abate di Moscheta,<br />

rinnovarono le accuse contro il<br />

vescovo di Firenze, accuse valide purtroppo<br />

contro la maggior parte dei<br />

prelati presenti. Contro l'eremita di<br />

Fonte Avellana si levò a difendere i<br />

Vallombrosani il grande Ildebrando,<br />

l'unico che aveva intuito nel movimento<br />

monastico vallombrosano non una<br />

minaccia, ma un appoggio incondizionato<br />

alla Santa Sede nel suo gigantesco<br />

sforzo di riacquistare la propria<br />

autonomia e sottrarsi all'influsso laico»<br />

(p. 28). L'A. non è acre, pone vicini<br />

due grandi uomini che per visioni<br />

diverse vogliono però valutare l'opera<br />

dei Vallombrosani: Pier Damiani e Ildebrando.<br />

Non sono nuovi nella vita<br />

terrena della Chiesa i contrasti di opinioni,<br />

di interpretazione, vedi San Girolamo<br />

e Sant'Agostino, ma vince sempre<br />

la verità e vive ciò che per l'umanità<br />

è salvezza.<br />

Seguendo attentamente l'opera del<br />

Vasaturo incontriamo documenti critici<br />

per il cammino che l'Ordine ha fatto<br />

donando alla chiesa cardinali come<br />

Pietro Igneo, Bernardo degli Uberti,<br />

e vescovi come Ildebrando e Atto entrambi<br />

della sede vescovile di Pistoia e<br />

Ambrogio a Firenze: né l'A. si lascia<br />

prendere dal filiale desiderio di anno-<br />

219 -<br />

verare tra i suoi confratelli del passato<br />

un papa, Clemente III, perché, per la<br />

sua precisione nelle ricerche non ha<br />

trovato sussidio all'accenno che il<br />

papa appartenesse «ab ospitio Sancti<br />

Pauli de Ripa Arni ».<br />

Il volume è ricco anche di appunti<br />

e note che possono servire ad una<br />

storia agiografica, non solo italiana e<br />

vollombrosana: vi si incontrano santi<br />

e beati che hanno con la loro santità<br />

e con la loro forza contribuito a conservare<br />

la chiesa sempre più strettamente<br />

vitale nel portare al mondo la<br />

Parola di Dio.<br />

E la Congregazione Vallombrosana<br />

sorta come saldamente dimostra il Vasaturo<br />

tra lotte e incomprensioni si dirama<br />

subito in tutta l'Italia; fioriscono<br />

monasteri nuovi, si trasformano monasteri<br />

vecchi che assorbono quel desiderio<br />

di santità e tutta la cultura e arte<br />

della quale i santi fiorentini donarono<br />

alla loro città. Il Vasaturo che<br />

era partito dal desiderio di documentare<br />

la vita della sua Congregazione<br />

dai vari periodi della costruzione dell'abbazia<br />

ha raccolto tanto materiale da<br />

poter scrivere una vera e documentata<br />

storia dell'Ordine e della chiesa in vari<br />

volumi, opera molto desiderata e<br />

che l'A. potrebbe presiedere con vasta<br />

competenza.<br />

Lo studio del Vasaturo inizia scrivendo<br />

« I documenti a noi pervenuti, e<br />

le iscrizioni che decorano il complesso<br />

monumentale, ci consentono di identificare<br />

le varie trasformazioni, ricostruzioni<br />

e aggiunte realizzate nel monastero<br />

di Vallombrosa dal secolo XI ai<br />

nostri giorni» (p. 1): vuol dire seguire<br />

le fasi della costruzione con i<br />

momenti della crescita e dei maggiori<br />

avvenimenti della Congregazione. Infatti<br />

la prima parte dell'opera è tutta<br />

dedicata a questa ricerca, era dunque<br />

doveroso che studiosi ben preparati collaborassero<br />

al volume avendo validamente<br />

lavorato perché il cenobio val-


lombrosano tornasse al suo valore primitivo.<br />

Primo di questi collaboratori, Guido<br />

Morozzi con il saggio su Il restauro<br />

dell'Abbazia. Al Morozzi va dato atto<br />

di quanto ha lavorato affinché a Firenze<br />

non rimanesse degli antichi monumenti<br />

che poveri ruderi: basti ricordare,<br />

per mantenersi nel campo dell'arte<br />

religiosa, il Convento della Santissima<br />

Annunziata dei Servi di Maria,<br />

San Miniato al Monte degli Olivetani,<br />

antichissimo, con Settimo centro monastico<br />

e infine l'imponente restauro<br />

della Certosa di Firenze, ora resa ancor<br />

più viva dalla presenza dei monaci<br />

cistercensi.<br />

Il Morozzi apre il suo saggio documentando<br />

i motivi degli interventi della<br />

Soprintendenza ai Monumenti (della<br />

quale fu validamente a capo sino a<br />

pochi mesi fa, quando per raggiunti<br />

limiti di età andò in pensione, e fu sostituti<br />

dall'Arch. Nello Bemporad, conoscitore<br />

profondo dei valori di Firenze):<br />

apre scrivendo tecnica valida e<br />

diremmo amorosa la descrizione di<br />

quanto con senso storico è stato eseguito<br />

per riportare il monumento monastico<br />

al suo primitivo valore. Descrizione<br />

molto interessante per i particolari<br />

che incontrandoli ci portano<br />

a vivere tante vicende che il cenobio<br />

ha subì to e sta ancora a dimostrare<br />

quanto gli Ordini religiosi curassero<br />

che le loro dimore dimostrino sempre<br />

un momento religioso e artistico della<br />

storia.<br />

Importante lo studia di Giuseppe<br />

Marchini, già Soprintendente ai Musei<br />

e alle Gallerie e che ha al suo attivo<br />

lunghi anni urbinati; con una esposizione<br />

facile ma di una precisione critica<br />

elenca Le opere d'arte provenienti<br />

da Vallombrosa esistenti nelle raccolte<br />

fiorentine, soffermandosi in modo particolare<br />

sulla tavola del Perugino,<br />

« L'Assunta col Padre Eterno », tavola<br />

portata prima a Parigi dalle rapine na-<br />

220 -<br />

poleonicbe, ed ora, dopo una breve<br />

collocazione agli Uffizi, si trova nella<br />

Galleria dell'Accademia; e sulla pala<br />

dei «quattro santi» di Andrea del<br />

Sarto degli Ufìizi. Altre opere al Museo<br />

di San Marco e al Museo delle<br />

Pietre Dure. Di tutte le opere ne fa<br />

una minuziosa e critica descrizione.<br />

Ultimo, solo in ordine cronologico,<br />

l'elenco delle Schede fotografiche del<br />

patrimonio artistico attuale di Umberto<br />

Baldini, compilato con la perizia nota<br />

del Direttore del Laboratorio Restauri<br />

della Soprintendenza della Toscana.<br />

Il Baldini presenta criticamente le<br />

schede con notizie di artisti e di collocazione<br />

delle opere stesse: una guida<br />

utile per la completa conoscenza dell'abbazia.<br />

Chiude il volume una serie di illustrazioni<br />

sia dei locali restaurati che<br />

di stampe antiche, foto di documenti<br />

relativi al cammino del cenobio e di<br />

pitture varie.<br />

Diceva Giovanni Papini che l'editore<br />

è il migliore accompagnatore del lettore:<br />

il volume edito dalla Giorgi<br />

& Gambi di Firenze ne è la riprova.<br />

Il volume del Vasaturo - Morozzi -<br />

Marchini - Baldini ha per scopo lo<br />

studio dell'abbazia Vallombrosana attraverso<br />

la costruzione e i suoi sviluppi.<br />

Il volume di Savioli e Spotorno<br />

Incisioni di cinque secoli per San Giovanni<br />

Gualberto vuole illustrare, attraverso<br />

i secoli le varie fasi delle incisioni,<br />

la vita del santo e soprattutto,<br />

a nostro avviso, la continuità dell'interesse<br />

e della devozione al santo fondatore<br />

di Vallombrosa.<br />

Volutamente, e lo dicono nella presentazione<br />

del volume gli estensori,<br />

hanno tralasciato di prendere come base<br />

l'iconografia pittorica e scultorica<br />

del santo, lavoro più ampio e in parte<br />

molto conosciuto attraverso il nome e<br />

il valore degli artisti (p. 7). Il raggruppare<br />

in modo critico storico il mate-


iale reperito principalmente nei fondi<br />

della biblioteca del Cenobio Vallombrosano,<br />

dato che le incisioni di grandi<br />

artisti sono facilmente reperibili in<br />

molte raccolte iconografiche, queste,<br />

presentate nel volume, sono sconosciute<br />

anche alla maggior parte degli studiosi.<br />

Il lavoro dei religiosi vallombrosani<br />

è stato arduo sia nella valutazione che<br />

nella catalogazione: lavoro che aggiunge<br />

degnamente una pagina alla<br />

storia dell'incisione per ben cinque secoli.<br />

Il lavoro è risultato senza dubbio<br />

faticoso nel dover stabilire l'epoca di<br />

alcune incisioni quando anche non era<br />

facile reperire il nome dell'autore e affidarsi,<br />

con valore critico al valore stilistico<br />

stipagrafico. Dopo la presentazione<br />

un capitolo è dedicato con senso<br />

critico alle fonti iconografiche con una<br />

selezione accurata delle vite del santo,<br />

scegliendo quelle i cui dati sicuri della<br />

vita di San Giovanni Gualberto, sono<br />

liberi dalla leggenda.<br />

Lo studio entra nella sua fase critica<br />

ed espositiva col capitolo che elenca<br />

gli attributi qualificanti e generici che<br />

si trovano nella iconografia del santo:<br />

gruccia, croce, mostro, il demonio;<br />

esposti con senso critico di ottimo valore.<br />

Seguono gli attributi secondari e<br />

l'iconografia a scena, le particolarità<br />

iconografiche. Con due capitoli ben<br />

condensati e validi per una ricerca più<br />

vasta sono il Contributo alla storia dell'incisione<br />

che può completare i vari<br />

studi già fatti con le fonti e le incisioni<br />

inedite, come Incisori e disegnatori<br />

Vallombrosani ove troviamo artisti validi<br />

nel campo dell'incisione.<br />

Precede l'elenco degli incisori che<br />

sono illustrati nell'opera, un breve studio<br />

espositivo dell'Archivio calcografico<br />

Vallombrosano: 57 incisioni provenienti<br />

dall'abbazia sono ora nell'Archivio<br />

di Stato di Firenze - Conventi soppressi<br />

260/ A 04 che porta il titolo: Nota<br />

di rami da stampare mandati a Firenze<br />

221 -<br />

a richiesta del R.mo P.re Ab. Vis.re D.<br />

Aurelio Casari questo dì 22 febbraio<br />

1712 e nel capitolo vengono elencate<br />

le 57 opere.<br />

Vi troviamo ancora Riferimenti iconografici<br />

della raccolta.<br />

Infine gli autori affrontano le biografie<br />

degli incisori classificandoli in<br />

Anonimi silografi per i quali sono estesi<br />

gli appunti della loro vita e attività;<br />

seguono Maestri del Messale, dell'Epistole,<br />

del Salterio e quindi tutti<br />

gli altri incisori rappresentati nell'opera.<br />

Lo studio è ricco di 91 riproduzioni<br />

e termina con una Consultazione bibliografica<br />

e con indici molto utili e<br />

condotti con validissima critica.<br />

Paolo Cherubelli<br />

AA. VV. La Certosa di Pavia, «Madonna<br />

delle grazie », Ed. artistiche<br />

F.lli Muzio, Milano 1972, pp. 59,<br />

s.i.p.<br />

La Certosa di Pavia, famosa in tutto<br />

il mondo per lo splendore della sua<br />

arte e per il fascino dell'istituzione<br />

monastica che le ha dato il nome,<br />

non manca certo di pubblicazioni, anche<br />

di un certo valore, che la illustrano<br />

nei suoi diversi aspetti, non<br />

ultima il meraviglioso volume edito<br />

dalla Cassa di Risparmio delle Province<br />

Lombarde. Ciò nonostante abbiamo<br />

accolto con gioia e gratitudine<br />

il piccolo libretto-guida edito dai fratelli<br />

Muzio con la consueta perizia<br />

in questo genere di pubblicazioni, e<br />

curata dall'intelligente amore dei Padri<br />

<strong>Cistercensi</strong> che alla Certosa da qualche<br />

anno sostituiscono i Padri Certosini.<br />

Pur nella sua voluta limitatezza questo<br />

volumetto riesce a dare un ottimo<br />

prospetto della Certosa: dalle fotografie<br />

che non indugiano, come di solito,<br />

sulla anche troppo conosciuta<br />

facciata della Chiesa, ma ci presentano,


assieme alle parti più note e alla panoramica<br />

dall'alto delle prime pagine, i<br />

particolari meno conosciuti: dalla bellissima<br />

Madonna del Borgognone sul<br />

soffitto del Refettorio, riprodotta anche<br />

sulla copertina, ai particolari degli<br />

intarsi lignei del coro, ed eburnei del<br />

famoso trittico della sacrestia vecchia,<br />

dal lavabo con il grazioso pozzetto<br />

dell'Amedeo, al rilievo del medesimo<br />

sulla porta di ingresso dal chiostro<br />

e ai particolari delle terrecotte del<br />

grande chiostro. Il testo, poi riporta<br />

tutte le notizie essenziali coi riferimenti<br />

più sicuri, conclusioni di studio accurato<br />

e amoroso.<br />

Al termine del libro, infine, ci vengono<br />

date poche ma dense pagine ben<br />

collegate in cui l'Ordine Certosino,<br />

che per secoli fu l'anima della Certosa<br />

e l'Ordine Cistercense che ora seguita<br />

ad essere per la Certosa quello che<br />

sono stati i Certosini nel passato, vengono<br />

brevemente tratteggiati il primo<br />

nel suo spirito e il secondo nella sua<br />

origine e spiritualità. Queste pagine<br />

ci fanno penetrare il vero animo della<br />

Certosa, dando così al visitatore la possibilità<br />

di penetrare la più intima dimensione<br />

e di comprendere che la Certosa<br />

non è essenzialmente né principalmente<br />

un capolavoro dell'arte, ma<br />

prima di tutto un monumento dello<br />

spirito che, attraverso la bellezza esteriore<br />

continua ad animare il mondo,<br />

anche in questa refrattaria civiltà dei<br />

consumi.<br />

P. Malachia Falletti<br />

Il dialogo che ci salva, Lettura dei<br />

padri 1, Ed. Marietti, Torino 1973,<br />

Val. I: Avvento, tempo di Natale,<br />

Quaresima, tempo di pasqua, pp.<br />

336, L. 2000.<br />

Dopo i quattro volumi del « Dialogo<br />

che ci salva» editi antecedentemente,<br />

nei quali ci venivano presentati<br />

222 -<br />

In bella traduzione con ottimi commenti<br />

e svariate notizie circa feste,<br />

santi e autori, ecco il primo volume<br />

del «Dialogo» con le letture patristico-monastiche.<br />

Il mondo monastico,<br />

e non solo quello, devono essere grati<br />

al P. Abate Bovo e ai suoi collaboratori<br />

per questa fatica che ci mette a<br />

disposizione una scelta di letture per<br />

l'officium Lectionis e per la lettura<br />

privata, tratte dalle opere dei monaci<br />

che hanno lasciato una miniera di scritti<br />

preziosi per lo sviluppo di una spiritualità<br />

autenticamente cristiana. Assieme<br />

alle opere dei più famosi monaci<br />

dell'antichità cristiana: Teodoro studita,<br />

Giovanni Crisostomo, Gregorio di<br />

Nazianzo e di Nissa, abbiamo una larga<br />

raccolta di scritti di autori-monaci<br />

più recenti della grande famiglia benedettina,<br />

sei dei quali cistercensi: San<br />

Bernardo (15 letture) Guerrico di Igny<br />

(lO letture), il non ancora abbastanza<br />

riscoperto Elredo di Rievaulx, scrittore<br />

di una modernità stupefacente (7 letture),<br />

Adamo di Perseigne (6 letture),<br />

Isacco della Stella (5 letture) e Alchero<br />

di Chiaravalle (2 letture). Il breviario<br />

monastico comincia così a delinearsi<br />

in una delle sue componenti più<br />

importanti che sono le letture. I monaci<br />

sono così messi a contatto più vivo<br />

colla loro tradizione autentica, alla spiritualità<br />

dei loro padri, e anche i non<br />

monaci possono scoprire questo filone<br />

della letteratura cristiana ancora troppo<br />

sconosciuto. Auguriamo quindi una<br />

larga diffusione a questo libretto e al<br />

volume che deve ancora uscire.<br />

P. Malachia Falletti<br />

Anticipare l'aurora, « Venticinque anni<br />

di vita religiosa nel diario spirituale<br />

di una suora », Ed. Gribaudi, Torino<br />

1973, pp. 160, L. 1500.<br />

Siamo nell'era dei «diari ». Non si<br />

riesce più a contare quanti ne vengano


pubblicati. Sono per lo più di giovani,<br />

o così si intende far credere. Ma non<br />

sempre questi diari sono... diari. Troppo<br />

artificiali, troppo ricercati per poter<br />

essere appunti buttati giù giorno per<br />

giorno, dettati dai fatti del momento e<br />

deUa vita quotidiana. Le stesse situazioni<br />

un po' fittizie fanno pensare molto<br />

spesso ad un artificio letterario.<br />

Anche Anticipare l'aurora ci viene presentato<br />

come un diario, non di una<br />

ragazza alle prese coi suoi primi problemi,<br />

ma di una religiosa. Una suora,<br />

prima «suddita », se ancora si può<br />

usare questa parola, poi superiora, poi<br />

di nuovo suddita mette in evidenza nel<br />

suo diario i vari problemi che agitano<br />

oggi la vita religiosa: relazione sudditi-superiori,<br />

relazioni tra consorelle, relazioni<br />

con il mondo esterno e la sua<br />

mentalità, la relazione crocifiggente della<br />

vita comunitaria. Sono delle pagine<br />

vive e ben congegnate e, se sono veramente<br />

un diario, hanno subito un profondo<br />

ritocco « per la stampa ».<br />

Checché ne sia si tratta di un libro<br />

interessante per coloro che vivono la<br />

vita religiosa o che desiderano in qualche<br />

modo avvicinarsi ad essa, ci sono<br />

molti spunti stimolanti che invitano<br />

alla meditazione sudditi e superiori e<br />

che possono aiutare in momenti di<br />

difficoltà. La vita religiosa, infatti non<br />

appare come un idillio in cui i problemi<br />

e i dolori dei comuni mortali<br />

non entrano più a farvi parte, ma nella<br />

sua realtà più cruda e più vera:<br />

« Tutte le superiore - scrive - conoscono,<br />

la gravità della mia crisi) ma<br />

nessuna muove un dito per aiutarmi.<br />

Sto annegando, chiedo disperatamente<br />

aiuto, ma nessuno mi stende la mano.<br />

Allora sento sgorgare in me un'amarezza<br />

profonda, un senso di ripulsione<br />

per la mia Congregazione ». Ma, nonostante<br />

questa demitizzazione cruda della<br />

vita religiosa, essa rimane sempre<br />

una cosa meravigliosa in se stessa: gli<br />

223 -<br />

uomini possono coUa loro miseria<br />

offuscarne lo splendore, ma mai estinguerlo:<br />

«Troppo facilmente dall'esterno<br />

si giudica la vita religiosa da alcune<br />

persone che, non essendo mai riuscite<br />

ad elevarsi ad un determinato livello<br />

spirituale, non dovrebbero trovarsi in<br />

convento, e si ignorano invece i tesori<br />

di generosità, di abnegazione e d'amore<br />

della maggioranza delle suore ».<br />

Ci sono sparsi in tutto il volumetto<br />

sprazzi di luce che non si possono<br />

facilmente dimenticare: quello della<br />

religiosa al passo in tutto coi tempi,<br />

« al primo momento la religiosa mondana<br />

può essere trovata simpatica (lo<br />

so per esperienza) ma non costruisce.<br />

Con la persona simpatica si va a fare<br />

la chiaccheratina, ma poi la si trova<br />

talmente come gli altri, sullo stesso<br />

piano, che non si va a cercarla per le<br />

cose serie ». Ci sono osservazioni di<br />

psicologia pratica: «quel che non cessa<br />

di stupirmi è vedere che sono le<br />

suore più accanitamente conservatrici<br />

a dimostrarsi le più ostili alla tanto<br />

decantata e difesa "autorità", appena<br />

questa, invece di appagarle, si permette<br />

di contraddirle! ». Il che, evidentemente<br />

non vale solo per la vita religiosa!<br />

Chiudo questa recensione con un<br />

invito e due citazioni. L'invito è quello<br />

di leggere il libretto, che in forma<br />

nuova e viva mette a contatto con<br />

la vita religiosa nella sua autenticità,<br />

senza fronzoli e poesia. Le due citazioni<br />

riguardano da vicino la vita monastica.<br />

La prima è una osservazione<br />

sulla vita liturgica e sul canto gregoriano:<br />

«mi chiedi cos'è diventato<br />

il mio amore per il canto gregoriano<br />

dopo la riforma liturgica! Ti confesso<br />

che, senza nessuna difficoltà, la<br />

preoccupazione pastorale ha avuto il<br />

soprovvento sul mio gusto personale...<br />

Da giardino chiuso e sigillato, nel quale<br />

erano introdotti solo gli iniziati, ci


siamo finalmente aperte a tutti. Abbiamo<br />

così scoperto, tra l'altro la<br />

gioia di pregare in mezzo al popolo<br />

di Dio. E questo, è chiaro, richiede<br />

ilsacrificio di un canto per "specialisti"<br />

qual'è il gregoriano, in favore di un<br />

canto meno armonioso, se vuoi. ma<br />

al quale partecipano tutti. Ormai<br />

sono talmente abituata a questa nostra<br />

preghiera, immersa forse in un po'<br />

di confusione, ma tanto più vera e<br />

spontanea, che le cerimonie compassate<br />

di un tempo, nelle quali la coreografia<br />

aveva molta parte, mi darebbero<br />

fastidio».<br />

La seconda è la riformulazione spontanea<br />

di una verità, dimenticata un<br />

po' nella vita religiosa e non del tutto<br />

- 224-<br />

neppure oggi riscoperta, ma già contenuta<br />

a tutte lettere nella Regola di<br />

San Benedetto, e che i monaci avrebbero<br />

il dovere di predicare al mondo<br />

non tanto colla parola ma piuttosto<br />

con l'esempio: «Si parla molto di<br />

vita religiosa "democratica". Anche se,<br />

sotto numerosi aspetti ciò è esatto,<br />

sotto altri è un errore. In regime<br />

democratico la maggioranza schiaccia<br />

la minoranza, perché chi governa è il<br />

popolo. Da noi governa lo Spirito<br />

Santo, che può manifestarsi anche attraverso<br />

la minoranza. Perciò è il valore<br />

del contenuto che conta, non il<br />

numero che lo esprime ».<br />

P. Malachia Falletti

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