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racconti adulti - Comune di Trichiana

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Premio Letterario Nazionale<br />

“<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Antologia<br />

dei <strong>racconti</strong> finalisti<br />

Sezione Adulti<br />

XX e<strong>di</strong>zione - 2010<br />

Medaglia del Presidente della Repubblica


<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong><br />

Assessorato alla Cultura<br />

Biblioteca civica<br />

nell’ambito dell’accordo <strong>di</strong> programma<br />

Regione Veneto-<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong><br />

Pro Loco<br />

<strong>Trichiana</strong><br />

E<strong>di</strong>tori del Veneto<br />

Feder. Naz. E<strong>di</strong>tori In<strong>di</strong>pendenti<br />

©<strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong>, 2010<br />

Le foto <strong>di</strong> copertina sono <strong>di</strong> musashi.bl<br />

Elaborazione grafica: kellermanncreativo<br />

2010 KELLERMANN EDITORE<br />

PIAZZA SAN MICHELE, 29<br />

31029 VITTORIO VENETO (TV)<br />

tel. 0438.940903 - fax 0438.947653<br />

www.kellermanne<strong>di</strong>tore.it<br />

info@kellermanne<strong>di</strong>tore.it


L’appuntamento<br />

Con la XX E<strong>di</strong>zione del Premio Letterario Nazionale<br />

“<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro” si festeggiano vent’anni <strong>di</strong><br />

impegno culturale che ha coinvolto migliaia <strong>di</strong> scrittori da<br />

tutta Italia.<br />

Il Ventennale ci ha visti attenti nel costruire sinergie con Enti<br />

e Istituzioni importanti, prima fra tutte la Regione Veneto<br />

che ha stretto un accordo <strong>di</strong> programma con il <strong>Comune</strong>,<br />

collegando il nostro Premio agli altri concorsi letterari<br />

del Veneto e, in modo particolare, al prestigioso Premio<br />

“Settembrini”, che incorona ogni anno scrittori che già<br />

hanno all’attivo delle pubblicazioni.<br />

Si è voluto costruire una sorta <strong>di</strong> trampolino sul futuro,<br />

immaginando che un domani autori passati per il nostro<br />

Premio potranno produrre carriere artistiche importanti e<br />

sod<strong>di</strong>sfacenti.<br />

In questo senso, importante e significativa è stata anche<br />

la presenza del Premio Letterario <strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong> al Salone<br />

Internazionale del Libro (Torino, 13 -17 maggio 2010).<br />

Sotto l’attenta regia dell’Assessorato alla Cultura del <strong>Comune</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong>, si è messa in azione la Segreteria del Premio, in<br />

stretta collaborazione con la Biblioteca civica, si sono attivati<br />

oltre 270 scrittori, si sono messe al lavoro le pre-giurie e la<br />

giuria, sono state coinvolte da protagoniste le Associazioni <strong>di</strong><br />

<strong>Trichiana</strong>, prima fra tutte la Pro loco.<br />

5


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

In questo libretto, proponiamo una raccolta <strong>di</strong> storie, frutto<br />

della gara letteraria de<strong>di</strong>cata al tema dell’appuntamento, che<br />

parlano dell’uomo e della sua vita, dei suoi ricor<strong>di</strong>, delle sue<br />

attese, delle sue paure e speranze. Un tesoro che consegniamo<br />

all’attenzione <strong>di</strong> chi vorrà leggere e stupirsi <strong>di</strong> fronte<br />

all’ingegno umano, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> e piccoli.<br />

Il mio ringraziamento va all’Assessorato alla Cultura, alla<br />

Segreteria del Premio, alla Biblioteca Civica, alla Regione<br />

Veneto, alle Associazioni che hanno lavorato intensamente,<br />

ai singoli citta<strong>di</strong>ni che hanno contribuito, agli scrittori che<br />

hanno messo in gara i loro scritti, agli sponsor pubblici e<br />

privati. Senza il contributo <strong>di</strong> tutti questi soggetti, oggi il<br />

Premio non esisterebbe e non sarebbero stati possibili gli<br />

eventi culturali proposti.<br />

Mi auguro che il Ventennale del Premio possa aver segnato<br />

un appuntamento importante, un momento, per la nostra<br />

Comunità, <strong>di</strong> ritrovarsi e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre occasioni <strong>di</strong><br />

relazione, <strong>di</strong> stimoli attuali e per continuare a guardare con<br />

fiducia e serenità al futuro.<br />

L’appuntamento alla prossima e<strong>di</strong>zione!<br />

Giorgio Cavallet<br />

Sindaco del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Trichiana</strong><br />

6


L’appuntamento<br />

L’APPUNTAMENTO<br />

-Giovanni, come era solito fare, ogni mese aveva<br />

appuntamento dal barbiere. Non che la cosa gli piacesse<br />

molto in quanto Mario, il barbiere, mentre tagliava i<br />

capelli tagliava anche sentenze su fatti e persone.<br />

Infatti, l’ultima volta che si era recato da lui, si sentì<br />

ripetere più volte che i capelli erano sbiancati, che era<br />

sul viale del tramonto e così via. La qual cosa gli seccò in<br />

quanto si sentiva ancora in piena forma ed in salute anche<br />

se, stranamente, aveva avuto in questi ultimi mesi qualche<br />

problema <strong>di</strong> equilibrio.<br />

Per fugare ogni dubbio, dopo alcune visite dal proprio<br />

me<strong>di</strong>co, si era sottoposto alla TAC ed il primario lo aveva<br />

convocato per quella mattina alle ore un<strong>di</strong>ci e trenta.<br />

Ora era lì, seduto sulla scomoda, rigida panca della sala<br />

d’aspetto dell’ospedale. D’un tratto si apre la porta ed<br />

appare un’infermiera che con tono professionale chiama:<br />

”Il sig. Giovanni? Prego s’accomo<strong>di</strong> che il professore arriva<br />

subito” Un nodo in gola ...<br />

-Quel giorno ad Angelo sembrava che il tempo non<br />

passasse più; guardava nervosamente e continuamente<br />

l’orologio. Mancavano ancora trenta minuti<br />

all’appuntamento con Camilla, una ragazza che aveva<br />

7


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

conosciuto in <strong>di</strong>scoteca il sabato precedente. Da allora<br />

non riusciva più a stu<strong>di</strong>are, era svogliato e non aveva<br />

più appetito. Dentro <strong>di</strong> sé rimuginava domande alle<br />

quali non sapeva che risposta dare: “Cosa le <strong>di</strong>rò? Come<br />

farò a manifestarle la “cotta” che mi sono preso per lei?<br />

Cosa penserà <strong>di</strong> me? Sarò all’altezza?” La sua agitazione<br />

aumentava man mano che il grande orologio della<br />

stazione spostava lentamente la lancetta dei minuti. E poi<br />

l’annuncio gracchiante dell’autoparlante: “È in arrivo sul<br />

binario due il treno proveniente da….”<br />

-Seduto in macchina a fari spenti, Antonio era agitato<br />

mentre aspettava l’incontro con Samantha, la ragazza<br />

dell’inserzione. Era la prima volta che cercava una<br />

relazione al <strong>di</strong> fuori del suo matrimonio. Sua moglie,<br />

Francesca, non sapeva nulla <strong>di</strong> ciò che stava facendo.<br />

Il loro era stato un matrimonio come tanti, con la<br />

cerimonia in chiesa, i confetti, i brin<strong>di</strong>si e gli stupi<strong>di</strong><br />

scherzi degli amici. Poi in questi anni Francesca, dopo<br />

due figli, si era ingrossata e si era lasciata andare. Era, <strong>di</strong><br />

fatto, <strong>di</strong>ventata sciatta, con i bigo<strong>di</strong>ni in testa il sabato,<br />

le sue manie dell’or<strong>di</strong>ne che gli rendevano sempre più<br />

fasti<strong>di</strong>oso il rimanere a casa. Così Antonio si fermava<br />

sempre più spesso al bar ed in uno dei suoi ormai abituali<br />

giri all’osteria, scorse una rivista <strong>di</strong> annunci. Le ultime<br />

8


L’appuntamento<br />

pagine della pubblicazione contenevano una rubrica<br />

per “Cuori solitari”. Scorrendo le inserzioni la sua<br />

attenzione si soffermò su una in particolare: “Separata<br />

quarantenne, giovanile, amante dello sport e del tempo<br />

libero incontrerebbe pari requisiti per simpatica amicizia.<br />

Cell nr.”. Messosi in tasca la pagina strappata della rivista,<br />

Antonio pagò la consumazione ed usci frettolosamente<br />

dal locale. Quella sera non ebbe però il coraggio <strong>di</strong><br />

telefonare. Da quel momento non smise <strong>di</strong> pensare a<br />

questa opportunità e fu così che il martedì sera, quando<br />

sua moglie si allontanò da casa per andare al corso <strong>di</strong><br />

ginnastica, solo in casa, telefonò. Pronto sono …<br />

Tutti noi abbiamo inevitabilmente, ogni giorno, dei<br />

piccoli o gran<strong>di</strong> appuntamenti che influenzano, nel bene<br />

o male, l’evolvere della nostra vita. Come, ad esempio<br />

l’appuntamento con la parrucchiera o con il dentista, con<br />

il meccanico o con l’amico o con il me<strong>di</strong>co. C’è chi, poi,<br />

si aspetta appuntamenti apocalittici come, ad esempio,<br />

quello dato dall’interpretazione del calendario Maja.<br />

Appuntamenti che potrebbero cambiare il corso delle cose<br />

per noi o per altre persone.<br />

E fu così che in quel giorno…<br />

9<br />

Edoardo Comiotto<br />

Segretario del Premio


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

VERBALE DELLA GIURIA<br />

La Giuria, composta da Francesco Piero Franchi, Presidente,<br />

italianista, Teresa Bernar<strong>di</strong>, e<strong>di</strong>tor Kellermann e<strong>di</strong>tore, Silvia<br />

Cason, insegnante, Elisa Di Benedetto, giornalista, Giovanni<br />

Grazioli, responsabile Biblioteca civica <strong>di</strong> Belluno, Isabella<br />

Mariotto, giornalista, Leo Pizzol, presidente comitato Mostra<br />

internazionale dell’illustrazione per l’infanzia <strong>di</strong> Sarmede,<br />

Werther Romani, docente universitario, Rosy Silvestini,<br />

Aurelia E<strong>di</strong>zioni, Vice Presidente Associazione E<strong>di</strong>tori del<br />

Veneto, Simonetta Simoni, giornalista RAI<br />

preso atto<br />

- che l’e<strong>di</strong>zione 2010 del Premio Letterario Nazionale<br />

“<strong>Trichiana</strong> Paese del libro” è riservata ad un racconto<br />

ine<strong>di</strong>to, in lingua italiana, sul tema: “L’appuntamento”;<br />

- che entro i termini stabiliti sono giunti n. 96 <strong>racconti</strong><br />

provenienti da tutte le regioni d’Italia;<br />

- che l’apposita Commissione selezionatrice, composta<br />

da Denis Barp, Francesco Buzzatti, Maria Giuseppina<br />

De Barba, Teresa D’Incà, Franca Franco, Maria Franco,<br />

Danilo Gusatto, Paola Tazzara ha effettuato una cernita<br />

selezionando una rosa <strong>di</strong> 11 <strong>racconti</strong> finalisti (due ex aequo)<br />

10


e precisamente:<br />

L’appuntamento<br />

Appuntamento al buio nella luce <strong>di</strong> Gianluca Ascione<br />

(Treviso)<br />

Il pianoforte <strong>di</strong> Francesco Bristot (Belluno)<br />

Concetta <strong>di</strong> Ketty Chiarelli (Belluno)<br />

Maria Solinas <strong>di</strong> Maricla Di Dio Morgano (Calascibetta<br />

– Enna)<br />

Senza appuntamento <strong>di</strong> Renata Di Samo (Caserta)<br />

Una lettera per Lella <strong>di</strong> Gianfranco Inguanotto (Venezia)<br />

Appuntamento al caffè degli specchi <strong>di</strong> Miriam Kornfeind<br />

(Trieste)<br />

Una giornata (stra)or<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> Paolo Munarin (Ponte<br />

nelle Alpi – Belluno)<br />

L’avvenimento <strong>di</strong> Mario A. Rumor (Santa Giustina –<br />

Belluno)<br />

Bon Voyage <strong>di</strong> Serena Stringher (San Fior – Treviso)<br />

Metamorfosi <strong>di</strong> Katia Tormen (<strong>Trichiana</strong> – Belluno)<br />

delibera, dopo aver effettuato ponderata lettura dei <strong>racconti</strong><br />

finalisti,<br />

<strong>di</strong> classificare all’un<strong>di</strong>cesimo posto il racconto Metamorfosi<br />

<strong>di</strong> Katia Tormen;<br />

11


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

<strong>di</strong> classificare al decimo posto il racconto Il pianoforte <strong>di</strong><br />

Francesco Bristot;<br />

<strong>di</strong> classificare al nono posto il racconto Senza appuntamento<br />

<strong>di</strong> Renata Di Samo;<br />

<strong>di</strong> classificare all’ottavo posto il racconto Una lettera per<br />

Lella <strong>di</strong> Gianfranco Inguanotto;<br />

<strong>di</strong> classificare al settimo posto il racconto Appuntamento<br />

al buio nella luce <strong>di</strong> Gianluca Ascione;<br />

<strong>di</strong> classificare al sesto posto il racconto <strong>di</strong> L’avvenimento<br />

Mario A. Rumor;<br />

<strong>di</strong> classificare al quinto posto il racconto Appuntamento al<br />

caffè degli specchi <strong>di</strong> Miriam Kornfeind;<br />

<strong>di</strong> classificare al quarto posto il racconto Concetta <strong>di</strong> Ketty<br />

Chiarelli;<br />

<strong>di</strong> classificare al terzo posto il racconto Una giornata (stra)<br />

or<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> Paolo Munarin;<br />

<strong>di</strong> classificare al secondo posto il racconto Bon Voyage <strong>di</strong><br />

12


Serena Stringher;<br />

L’appuntamento<br />

<strong>di</strong> classificare al primo posto e proclamare vincitore della<br />

20a e<strong>di</strong>zione del Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong><br />

Paese del libro” il racconto Maria Solinas <strong>di</strong> Maricla Di<br />

Dio Morgano.<br />

Francesco Piero Franchi, Teresa Bernar<strong>di</strong>, Silvia Cason,<br />

Elisa Di Benedetto, Giovanni Grazioli, Isabella Mariotto,<br />

Leo Pizzol, Werther Romani, Rosy Silvestrin, Simonetta<br />

Simoni.<br />

13<br />

Il segretario del Premio<br />

Edoardo Comiotto<br />

<strong>Trichiana</strong>, 5 giugno 2010


L’appuntamento<br />

MARIA SOLINAS<br />

<strong>di</strong> Maricla Di Dio Morgano<br />

“Malaittu tando, malaittu chi siasa…”. Mio padre, Santeddu<br />

Piras, borbottava. Toglieva il berretto per grattarsi. Se lo<br />

ricacciava in testa, spingendolo tutto sulla nuca, il che gli<br />

dava un’aria scanzonata. Da ragazzo. Se la prendeva con<br />

tutto e tutti ma con un che <strong>di</strong> pacato, rassegnato, convinto<br />

com’era, <strong>di</strong> aver fatto la scelta giusta.<br />

*<br />

C’erano voluti due giorni per fare i fagotti e caricare tutto<br />

sul groppone magro e spelacchiato dell’asino che sembrava<br />

sul punto <strong>di</strong> tirare le cuoia ad ogni passo.<br />

Oltre quattro ore <strong>di</strong> marcia. I respiri grossi avevano, così<br />

insieme, un suono breve e rauco. Una sorta <strong>di</strong> lamento<br />

flebile, che si scioglieva nell’aria arsa. Il sudore era una<br />

seconda, viscida pelle, sotto il sole. Anche le vene bruciavano<br />

e la gola pareva attraversata da spine. Una carovana <strong>di</strong><br />

fuggiaschi rigorosamente in fila, perché le vecchie mulattiere,<br />

erano strette e contorte come serpi in fuga. Almeno fino a<br />

un certo punto. Poi anche il più grezzo segno <strong>di</strong> civiltà,<br />

sparì. La montagna sembrò ingigantire a ogni passo. Erbe<br />

bruciate dal vento. Rocce. Boschi, Mio padre <strong>di</strong>etro tutti,<br />

15


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

con la sua faccia <strong>di</strong> terra appena rivoltata. I solchi della<br />

pelle stanca che lo attraversavano dalla fronte al mento. Il<br />

corpo tozzo, leggermente sbilanciato in avanti nella salita,<br />

a causa <strong>di</strong> una gamba più corta dell’altra. Dieci anni prima,<br />

una brutta caduta da un <strong>di</strong>rupo, l’aveva reso zoppo e ciò lo<br />

aveva sollevato dal reclutamento. A noi ragazzi, nonostante<br />

quella menomazione, pareva gigantesco. Solo negli anni a<br />

<strong>di</strong>venire si sarebbe piegato come una tamerice sotto il peso<br />

del vento.<br />

Con le re<strong>di</strong>ni dell’asino in mano, chiudeva per ultimo<br />

la fila e <strong>di</strong> lui sentivo il ritmo degli stivali sullo sterrato,<br />

all’unisono con lo scalpitio degli zoccoli. Un ritmo uguale.<br />

Sicuro. Conosciuto. Pedru, io, mia madre Inisedda, e mia<br />

nonna, stavamo poco più avanti. Non era ancora vecchia,<br />

mia nonna: Maria Solinas. Camminava con passo sicuro<br />

Aveva un corpo secco, corto e lucido come un pezzo <strong>di</strong><br />

carbone. Una faccia da capra lunga, con la man<strong>di</strong>bola che<br />

sporgeva e un mento dove affioravano esili peli bianchi,<br />

rigi<strong>di</strong> come piccole antenne<br />

Nei momenti in cui ci ritrovavamo sole, certi tar<strong>di</strong><br />

pomeriggi d’inverno quando l’ultima luce scarnificava gli<br />

alberi più del vento e del freddo, il gelo uncinava la carne,<br />

e tutti erano già nei letti resi cal<strong>di</strong> dai bracieri, persi in<br />

un sonno profondo, mia nonna preparava un caffè dolce<br />

e profumato. “Il nostro segreto” ammiccava, e mi faceva<br />

16


L’appuntamento<br />

un cenno come a <strong>di</strong>re: aspetta. Non andare a dormire. Io,<br />

felice, l’aspettavo. M’incollavo accanto al fuoco. Spalancavo<br />

la bocca simile a un pesce fuori dall’acqua, per far si che il<br />

calore mi scendesse fin dentro.<br />

*<br />

Maria Solinas accatastava le stoviglie nella credenza, poi si<br />

accucciava con me ai pie<strong>di</strong> del camino. Quella tazza <strong>di</strong> caffè<br />

tra le mani. Un pezzo <strong>di</strong> mustazzeddu o papasinnas.<br />

Con una coperta <strong>di</strong> lana sulle gambe guardavamo il fuoco<br />

senza parlare, perdendo la cognizione del tempo. Avevano<br />

un che <strong>di</strong> magico quelle sere in cui il silenzio scendeva<br />

come uno scialle <strong>di</strong> seta sulle nostre teste. Lasciavamo<br />

all’oppio della bevanda, allo sfrigolio del legno contorto,<br />

alle scintille che raggiungevano i nostri pie<strong>di</strong>, la parola. Tra<br />

l’oscurità e quella bocca ardente, apparivamo abbozzate e<br />

incompiute come grossi feti. Solo a tratti ci rivelava il guizzo<br />

della fiamma. Il volto lungo <strong>di</strong> mia nonna si accendeva.<br />

Lasciava trapelare una inaspettata bellezza antica, lontana.<br />

Eravamo sole e colme della consapevolezza <strong>di</strong> quella<br />

solitu<strong>di</strong>ne. Di quel gusto pastoso ancora sulle labbra, che ci<br />

univa. Assaporavamo le stesse cose. Annusavamo gli stessi<br />

odori. Percepivamo le stesse, intense sensazioni. Poi mi<br />

raggiungeva la sua voce.<br />

Parlava <strong>di</strong> sé. Brevi cenni. Piccole, preziose gemme <strong>di</strong>velte<br />

17


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

dal profondo della memoria. Parlava del suo villaggio natio.<br />

Mi <strong>di</strong>ceva, agra: “Vattene, se puoi, da qui. Vai a Cagliari,<br />

pren<strong>di</strong> una barca e lasciati portare via dal mare. Oltre questa<br />

terra <strong>di</strong> sputi e sangue e dolori, ci sono posti dove si vive<br />

meglio. Dove gli uomini aprono la mente ai libri e trattano<br />

le donne come persone. Ah, sì, esistono posti così!” Maria<br />

Solinas sapeva bene che esistevano posti, oltre le vette del<br />

Gennargentu, che degradavano fino al mare. E lì, gran<strong>di</strong><br />

città e piccoli villaggi tra le insenature, appena sui declivi,<br />

dove i pescatori lasciavano sulle spiagge color avorio, le<br />

piccole barche <strong>di</strong>pinte <strong>di</strong> verde, col nome <strong>di</strong> una donna sul<br />

fianco. Un mondo d’acqua e cieli, sabbia e rocce lisciate da<br />

alghe e muschi. Vi era nata, Maria Solinas in quel villaggio<br />

<strong>di</strong> pescatori. Misere case l’una <strong>di</strong>stante dall’altra. Isolate e<br />

bianche come piccole perle nel verde <strong>di</strong> tamerici, eriche,<br />

rosmarini. Era figlia <strong>di</strong> Martinu Solinas, un cagliaritano.<br />

Selvaggio e ombroso come un sardo della Barbagia, ma le<br />

aveva insegnato ad amare il mare e il silenzio e tutto ciò che in<br />

esso si nascondeva. Sua madre era una donna chiara <strong>di</strong> pelle<br />

e dagli occhi del colore delle alghe che danzavano sul pelo<br />

d’acqua, o forse quello <strong>di</strong> piccoli pesci che raggiungevano la<br />

riva e si allontanavano veloci alla prima risacca. Maria aveva<br />

vissuto fino a quin<strong>di</strong>ci anni in quel suo solitario para<strong>di</strong>so.<br />

Libera come l’aria. Era padrona <strong>di</strong> correre, ridere, giocare.<br />

Raggiungere la luna, contare le stelle. Leggere i tre libri<br />

18


L’appuntamento<br />

che il padre custo<strong>di</strong>va come reliquie. Libri trovati per caso,<br />

da ragazzo, su una bella barca bianca che la corrente aveva<br />

trasportato abbandonata, a pochi metri dalla sua casa. Libri<br />

che mai avrebbe letto, non essendo in grado <strong>di</strong> farlo ma che<br />

gli erano sembrati un arcano, prezioso dono del suo mare.<br />

Una bibbia. Delitto e Castigo. L’uomo che ride.<br />

Maria aveva frequentato una scuola rurale vicina al suo<br />

villaggio imparando a leggere. Solo quando la notte perdeva<br />

la sua profon<strong>di</strong>tà, riponeva i libri, guardando il puntolino<br />

verde all’orizzonte. Suo padre tornava. Lei usciva sulla<br />

spiaggia. Lontano, nell’immensità dell’acqua, la lampara<br />

vibrava come una piccola lucciola tra le eriche.<br />

Ma un giorno, dalla Barbagia, era arrivato Jacu Ad<strong>di</strong>s.<br />

Aveva quin<strong>di</strong>ci anni.<br />

Non le era piaciuto neanche a prima vista. Mai avrebbe<br />

potuto piacerle con quell’aspetto sgradevole. Ruvido, cupo.<br />

Maria si <strong>di</strong>sperò. Pianse. Si strappò i capelli chiari. Tentò<br />

una fuga tra gli scogli setosi del suo mondo d’acqua e mare.<br />

Ma Jacu aveva terre e bestiame, oltre la collina e suo padre<br />

aveva altri figli da sfamare…<br />

Maria Solinas non cercò mai <strong>di</strong> vedere la Barbagia per<br />

quella che era. Non scoprì mai l’incanto della montagna.<br />

La sua anima perse la luce. Si abbuiò, si prosciugò come<br />

un rigagnolo d’acqua stantia, nel pieno dell’estate. Seppellì<br />

19


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

per sempre quella creatura <strong>di</strong> mare e sabbia. Divenne ben<br />

presto, quella che adesso era. I suoi ormoni impazzirono<br />

regalandole una peluria rossastra come il vello <strong>di</strong> un piccolo<br />

bruco che si annidava tra le pietre dell’orto. I capelli si<br />

oscurarono subito tra le nebbie, i venti e le nuvole <strong>di</strong> Punta<br />

Logos dove il sole nasceva tra i monti e languiva troppo<br />

spesso tra cirri e nembi. E le estati-quelle brevi, crudeli<br />

estati- arroventavano <strong>di</strong> botto l’aria. Bruciavano la pelle che<br />

s’inspessiva, per <strong>di</strong>fendersi, e si arrugava in fretta. Maria<br />

Solinas perse i suoi colori. I suoi sorrisi. La sua carne.<br />

Divenne nera e ossuta. Presa da un’insana inappetenza,<br />

tutto il corpo lasciò infatti ogni parvenza femminile. La<br />

sua faccia <strong>di</strong>menticò l’oro dell’ambra. La turgi<strong>di</strong>tà delle<br />

gote si sgonfiò e gli zigomi vuoti, rimasero alti e appuntiti.<br />

Le labbra persero l’acqua e il sangue che le gonfiavano.<br />

S’inari<strong>di</strong>rono violacee, secche. Il mento parve allungarsi,<br />

aguzzo, sotto le ossa.<br />

“Ho lasciato l’anima e la bellezza al mio villaggio sul mare”<br />

<strong>di</strong>ceva Maria. Ho lasciato la gioia. I sorrisi. I miei libri.<br />

Restano solo ricor<strong>di</strong> che sembrano solo sogni…”<br />

Ma anche il sogno, infine, le rubò, Jacu, poiché lui, con<br />

quei suoi pensieri miseri, <strong>di</strong>etro la fronte bassa, convessa;<br />

lui con quegli occhi piccoli e gialli, col suo corpo così colmo<br />

<strong>di</strong> olezzi e le sue quoti<strong>di</strong>ane violenze serali, le percosse,<br />

i mutismi (così <strong>di</strong>versi da quelli <strong>di</strong> suo padre) e i fiati <strong>di</strong><br />

20


L’appuntamento<br />

cipolla, gli sputi, i rutti, finì per colmare giorni e notti<br />

della sua presenza invadendo come un enorme ectoplasma<br />

ogni spazio del tempo vissuto. Tornava dai pascoli col suo<br />

tozzo corpo, colmo dei secreti delle pecore che accu<strong>di</strong>va.<br />

Ingurgitava il pasto che Maria prepara. Poi, la prendeva<br />

come una bestia quasi ogni sera, in quel letto <strong>di</strong> tavola<br />

e paglia, spalancandole con forza le gambe. Senza una<br />

parola, una carezza, nell’intimità <strong>di</strong> un angolo della stanza<br />

chiuso da una tendaccia appesa che attraversava il vano e lo<br />

tagliava per un quarto.<br />

In quegli amplessi notturni, Jacu, biasciava spesso: Aiò truu<br />

arbeche? Beni ai noghe, torra che ti devo mulghere. (Che fai,<br />

pecora? Vieni qua che ti devo mungere). Maria arrivò a<br />

pensare con un guizzo <strong>di</strong> folle ironia, che se avesse belato,<br />

una <strong>di</strong> quelle ripugnanti notti, il marito non si sarebbe<br />

meravigliato. Magari avrebbe goduto maggiormente.<br />

Era così, mia nonna. Io la vedevo sdoppiata nettamente<br />

in due. Come se la possibilità <strong>di</strong> un’altra vita, <strong>di</strong> un altro<br />

destino, fosse una cosa reale e quella donna che mi viveva<br />

accanto con i suoi ombrosi silenzi, la sua pena portata<br />

addosso come una coperta lacera, fosse solo la parte buia <strong>di</strong><br />

sé. Quella nascosta che ognuno <strong>di</strong> noi cela a se stessi e agli<br />

altri. Quel lato ambiguo, tortuoso che ci accompagna, nella<br />

vita, come una sorta <strong>di</strong> malevole doppione. Lei era tutto il<br />

21


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

contrario. Maria Solina, la vera Maria Solinas, dormiva tra<br />

le costole <strong>di</strong> quell’altra che tutti vedevano e conoscevano.<br />

Quella che era nata a quin<strong>di</strong>ci anni. Partorita nella sua<br />

fresca adolescenza, non da un utero, ma dal ventre nero e<br />

sanguigno <strong>di</strong> una bestia.<br />

*<br />

Su, su e ancora su. C’era, attorno, lo strano silenzio della<br />

Barbagia rotto solo dai passi dei nostri corpi stanchi. Dal<br />

grido <strong>di</strong> un falco pellegrino. Da un fruscio tra i sugheri,<br />

e l’elicriso. Da capre selvatiche e cinghiali <strong>di</strong>sturbati dalla<br />

nostra presenza. Il sole sfaccettava tra una fronda e l’altra,<br />

adesso che il bosco s’infittiva. Un sole giallo-rosso che si<br />

<strong>di</strong>panava in onde larghe qua e là e finalmente, si accucciò<br />

<strong>di</strong>etro la cima <strong>di</strong> una vetta a punta come il becco <strong>di</strong> un’<br />

aquila. L’aria subito, venne su frizzante. “Si respira” fece<br />

mia madre tirando via il sudore dalla fronte col dorso della<br />

mano. Ma mezz’ora dopo, oltre la cresta <strong>di</strong> vette dal colore<br />

del sangue, per i viottoli <strong>di</strong> un bosco che si abbrunava <strong>di</strong><br />

passo in passo, dopo piccoli torrenti nei quali avevamo<br />

rinfrescato le facce sudate e le gole aride come campi dopo<br />

una mietitura, dopo aggrottati e nuraghi abbandonati<br />

e rocce basse rotonde, e piccole radure, il freddo arrivò<br />

inatteso, aspro. Strinse il petto <strong>di</strong> tutti noi, lo punse con<br />

aghi d’acciaio,<br />

“Seguitemi in fila in<strong>di</strong>ana- <strong>di</strong>sse mio padre. - I passaggi<br />

22


L’appuntamento<br />

sono stretti e tenendovi uno <strong>di</strong>etro l’altro, non avrete<br />

bisogno <strong>di</strong> luce”.<br />

Infine eccolo lì, il Fortino, sotto una luna che si alzava come<br />

una lampada, accendendo un cortile <strong>di</strong>vorato dall’erba. Un<br />

qualcosa che avrebbe dovuto essere morto e sepolto, così<br />

abbandonato da anni, e che sembrò invece una grossa bestia<br />

risvegliata dal letargo, perché non appena ci fermammo a<br />

una ventina <strong>di</strong> metri, cominciò un frenetico squittio <strong>di</strong> topi<br />

e un frinire <strong>di</strong> grilli e uno sbattere d’ali e si alzò senza motivo<br />

un vento asciutto e algido che sollevò la polvere accomodata<br />

sulle panche <strong>di</strong> pietra che costeggiavano il cortile, arruffò<br />

chiome d’alberi neri e selvatici. Era un’antica costruzione<br />

infilata nella roccia. Il frontale del Fortino spuntava infatti<br />

dalla pancia <strong>di</strong> un costone come un enorme parassita dalla<br />

corteccia <strong>di</strong> un albero.<br />

Grosse feritoie erano state in qualche modo otturate.<br />

L’ingresso era chiuso da una porta sgangherata. Il suolo<br />

sterrato dell’abitazione era colmo <strong>di</strong> sterco ridotto in<br />

polvere. Ragnatele fitte, scure, sfilacciavano la vista e si<br />

aggrovigliavano tra loro.<br />

Avevo osservato mia nonna, appena giunti ai margini<br />

della proprietà: era rimasta impietrita. Guardava un punto<br />

indefinito. Mio fratello aveva dovuto scuoterla, per farle<br />

proseguire il cammino.<br />

23


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

*<br />

L’odore era <strong>di</strong> cose morte. Di gente che lì aveva vissuto<br />

lasciando sudori e umori avvinghiati alle pareti in un<br />

<strong>di</strong>sperato tentativo <strong>di</strong> ostinata presenza. Odore <strong>di</strong> uomini<br />

dalle giacche <strong>di</strong> velluto incrostate <strong>di</strong> fango e sterco. Di<br />

merda <strong>di</strong> bimbi, latte cagliato. Di donne la cui segreta<br />

femminilità, inzuppava gl’indumenti. Di vecchi dalla pelle<br />

stanca, dove tra le spesse rughe del corpo, si annidavano<br />

echi <strong>di</strong> dolorosi ricor<strong>di</strong> come moscerini sopra un frutto<br />

sfatto. Odore <strong>di</strong> verdure marce, <strong>di</strong> raspi d’uva appesi alle<br />

travi del soffitto.<br />

Quell’odore molle, viscido, <strong>di</strong> trapassato. Ma una sotterranea<br />

vita, palpitava sotto gli escrementi. Vermi. Ragni. Topi…<br />

Ci vollero ore per averla vinta sugli indesiderati inquilini<br />

e per togliere il grosso del su<strong>di</strong>ciume. La prima cosa che<br />

mia madre fece, fu <strong>di</strong> sussurrare un paio <strong>di</strong> scongiuri e<br />

appiccicare alla porta d’ingresso, palme intrecciate, aglio<br />

e una piccola falce. Poggiò, sopra il letto <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong><br />

noi, rami d’ulivo benedetto e depose qua e là, piccoli vasi<br />

<strong>di</strong> terracotta colmi <strong>di</strong> magiche erbe. Alle pareti appese<br />

l’immagine <strong>di</strong> un Sacro Cuore e poco <strong>di</strong>stante, in una<br />

nicchia, incastrò una piccola Vergine. Vi mise sotto un<br />

lumino che ne accese gli occhi grossi e ovali come le uova<br />

delle oche rimaste al villaggio. Mia nonna osservò tutto con<br />

un sorriso ironico. Non temeva, lei, gli spiriti della notte,<br />

24


L’appuntamento<br />

Né surbiles, né ombre <strong>di</strong> donne defunte. Era cresciuta<br />

senza superstizioni che avvelenavano la testa della gente,<br />

rendevano pavi<strong>di</strong> e stupi<strong>di</strong>. Ma sua figlia era cresciuta tra<br />

gli Ad<strong>di</strong>s. Non aveva preso nulla, <strong>di</strong> lei. Neppure la sua<br />

pelle, un tempo limpida, senza macchie.<br />

Finimmo a notte inoltrata <strong>di</strong> dare una sommaria rassettata<br />

a tutto e portare dentro quel po’ che avevamo trascinato<br />

fin lì.<br />

*<br />

La notizia arrivò con mio cugino Miliu, figlio <strong>di</strong> un fratello<br />

<strong>di</strong> mio padre. Un giovane roccioso e sanguigno, dal carattere<br />

lunatico che andava a spasso col tempo.<br />

Avevano bombardato Cagliari. La gente era sparpagliata<br />

per le campagne in cerca <strong>di</strong> un rifugio.<br />

-Abbiamo questa fortuna e la sfruttiamo. E ci porto, al<br />

sicuro, tutto quello che ho: la mia famiglia. Se vuoi puoi<br />

venire anche tu, come ti ho già detto- <strong>di</strong>sse mio padre a<br />

Miliu.<br />

-Non lascio il gregge ai briganti. Come puoi stare tranquillo<br />

abbandonando la tua casa, il tuo podere…-<br />

-La casa si può ricostruire. Il podere si può ricoltivare. Ma<br />

chi mi renderebbe mia moglie e i miei figli?-<br />

-Hai <strong>di</strong>menticato tua suocera! - ridacchiò Miliu.<br />

Mio padre che si stava pulendo gli scarponi con una pietra<br />

levigata, alzò la testa e lo guardò con un’occhiata che pareva<br />

25


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

un fulmine <strong>di</strong> marzo.<br />

-Ah, mia suocera non potrebbero abbatterla mille guerre<br />

insieme!-<br />

*<br />

Era assolutamente vietato allontanarsi dal fortino. Mia<br />

nonna se ne infischiava. Era scappata via nel primo<br />

pomeriggio, mentre tutti riposavano, con un nerbo in<br />

mano e una mantella buttata sulle spalle. L’avevo vista e<br />

la seguii. Pensai che andasse a verdure. Se mi avesse visto,<br />

mi avrebbe ricacciata in casa, così mi misi alle sue costole<br />

senza far rumore. C’era della paura, nei miei passi. Avevo,<br />

<strong>di</strong> Maria Solinas, l’avventatezza, ma non il coraggio. Le<br />

stavo <strong>di</strong>etro con un certo tremolio per le vene. Il fruscio<br />

delle felci. La coda <strong>di</strong> una volpe che spariva tra i rovi.<br />

Squittii, gri<strong>di</strong>, grugniti. Arbusti che ondeggiavano e quel<br />

cielo che ancora, <strong>di</strong> passo in passo, cambiava come l’umore<br />

<strong>di</strong> Miliu. Nuvole grosse e una fetta <strong>di</strong> sole e poi ancora<br />

vapore bianco che si addensava nell’aria e sfumava oltre<br />

l‘intreccio della vegetazione. Maria Solinas s’inerpicava<br />

tra le rocce irte e alberi selvatici, come una lepre. Andava<br />

spe<strong>di</strong>ta verso qualcosa. Mi chiedevo dove. Perché. Cosa la<br />

spingesse a quelle solitarie passeggiate che passeggiate non<br />

sembravano, vedendo il suo passo determinato, senza una<br />

fermata. Raggiunse infine, un rudere. Non l’avevo mai<br />

visto. Sembravano i resti <strong>di</strong> una casa o <strong>di</strong> una chiesa. Si<br />

26


L’appuntamento<br />

fermò <strong>di</strong> scatto a pochi metri dalle pietre ormai accatastate<br />

l’una sull’altra. Poggiò la schiena a un pino, poi si lasciò<br />

scivolare fino a sedersi sulla terra coperta <strong>di</strong> foglie secche.<br />

Fu allora che mi vide. Non si mosse. Si limitò a guardarmi<br />

con un certo cipiglio.<br />

-Che ci fai qui, picioca?-<br />

-E tu, che ci fai?-<br />

-Io sono tua nonna. Non sono una mocciosa che gironzola<br />

per le campagne. Se tuo padre ti pesca ti leva la pelle con<br />

la cinghia!-<br />

-Non mi ha mai picchiato. Non lo farà ora.-<br />

-E chi lo <strong>di</strong>ce? Ma insomma, perché mi hai seguito?-<br />

-Perché volevo capire dove andavi. Non è la prima volta<br />

che esci quando gli altri riposano.-<br />

-Certo. Se mi vedessero, mi verrebbe qualcuno <strong>di</strong>etro. Tu,<br />

infatti…-<br />

-Potresti sentirti male…cadere…-<br />

-Non sono abbastanza rimbambita. Né tanto vecchia. Ho<br />

ancora da patire qualche anno, lo so. Credo che fiuterò la<br />

morte non appena s’avvicinerà. Fiuto sempre la mala sorte,<br />

io. Ma forse, mala sorte non sarà, quando verrà il mio<br />

giorno. Forse sarò serena in qualche altro mondo-.<br />

-Perché parli così, nonna…-<br />

-Come dovrei parlare? Non hai più l’età delle filastrocche e<br />

delle leggende-.<br />

27


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

-Lo so benissimo, Però mi <strong>di</strong>ci perché sei qui?-<br />

Maria Solinas tirò fuori uno strano sorriso che le attraversò<br />

la faccia <strong>di</strong> sghimbescio.<br />

-Sono qui… davvero vuoi saperlo, Maria?-<br />

Annuii. Mi lasciai cadere sulle ginocchia acciambellandomi<br />

come un gatto, davanti a lei. Sentivo sotto le gambe, il<br />

solletico del frascame. Maria Solinas sospirò e chiuse gli<br />

occhi.<br />

-Non ho mai parlato con nessuno del mio segreto. Neppure<br />

con te. Che segreto sarebbe?-<br />

Lo <strong>di</strong>sse con una nota amara che mi chiuse il cuore. La<br />

sua tristezza era la piccola stanza scavata in un angolo del<br />

suo cuore, dove si rifugiava troppo spesso. La tristezza<br />

languida e assorta della rinuncia, della sottomissione.<br />

Dell’accettazione, malgrado tutto. Solo <strong>di</strong> tanto in tanto<br />

Maria Solinas si staccava da quel suo mondo nebuloso per<br />

tornare arida, brusca. A volte cattiva.<br />

Alzai le spalle e la guardai negli occhi.<br />

-Io sono tua nipote. Sono un po’ come te. E porto il tuo<br />

nome!-<br />

Ancora quel sorriso strano, storto.<br />

-Come me? Non augurartelo, piccola. Alle donne non<br />

occorre un cervello e un’anima. Anzi, è meglio che non ne<br />

abbiano affatto-.<br />

Io risi. -Nonna, non sono stupida come pensi. Ho<br />

28


L’appuntamento<br />

quattor<strong>di</strong>ci anni e le cose, le persone, cambiano. Anche la<br />

Sardegna, anche la Barbagia, cambierà. Dopo la guerra sarà<br />

un altro mondo.-<br />

-Me lo auguro. Anzi, te lo auguro, perché allora, quando e se<br />

quello che <strong>di</strong>ci si verificherà, sarò già morta e sepolta. Non<br />

credo che mi <strong>di</strong>spiacerà passare all’altro mondo. Quando si<br />

muore… quando si muore, forse si portano <strong>di</strong>etro le cose<br />

che ti sono rimaste dentro. Ah, sì, forse il nostro cuore è<br />

un grande contenitore dove abbiamo infilato quelle poche<br />

gioie della vita. Una persona amata. Un cielo senza nuvole.<br />

Un raggio <strong>di</strong> sole che ti entra fino alla pancia. La schiuma<br />

del mare. La scia della luna sulle onde. Il sapore <strong>di</strong> un caffè<br />

caldo e forte bevuto… in buona compagnia, davanti al<br />

fuoco.-<br />

Si scosse. Grattò la testa scuotendola. Abbassò gli occhi<br />

seguendo il corteo nero e lucido <strong>di</strong> formiche sulla terra<br />

arida.<br />

-Che stupidaggini mi fai <strong>di</strong>re, beneitta!-<br />

- Non sono stupidaggini. Mi piace sentirti parlare, lo sai.<br />

Allora, nonna me lo <strong>di</strong>ci sì o no, che ci fai, qui?-<br />

Maria Solinas tirò su le spalle e cacciò via dalla gonna un<br />

piccolo ragno. Annusò l’aria come un cane.<br />

-Crasa. Sicuramente pioede!- (domani sicuramente piove).<br />

-Dai, nonna, non cambiare argomento! Perché sei qui?<br />

-Uh…conca de mulu! Perché sono qui…perché sono qui…<br />

29


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Forse questo posto mi ricorda una persona…od<strong>di</strong>o, Maria,<br />

ma cosa vuoi sapere?-<br />

Si tirò su. Gironzolò un po’. Strappò una foglia <strong>di</strong> salvia,<br />

da un cespuglio. Strofinò i denti. Poi mi guardò dritta negli<br />

occhi:<br />

-Ho avuto un amore, un tempo.-<br />

Io sgranai gli occhi.<br />

-Come, un amore?-<br />

-Un amore, sì. Cosa cre<strong>di</strong> che tuo nonno sia stato il mio<br />

amore? No. Non lo era e lo sai benissimo. Non è vero che<br />

non mi conosci. Ne sai, ne sai, su <strong>di</strong> me. Anche quello che<br />

non ti ho mai detto. Indovini. Ah, Maghiarza! Maghiarza…-<br />

Rise. Si ficcò in bocca un’altra foglia d’alloro.<br />

-Era un <strong>di</strong>sertore. Sì, proprio un <strong>di</strong>sertore. C’era la prima,<br />

grande guerra…È successo durante l’epidemia. Nessuno<br />

ha mai capito cosa accade, in quel periodo, ma la gente<br />

cominciò a morire. Qualcuno <strong>di</strong>sse che era la Spagnola.<br />

Tremolii. Febbre. Diarrea. Le case avevano il tanfo <strong>di</strong><br />

sudore, vomito e merda che veniva su per chilometri. Bertu<br />

Ad<strong>di</strong>s, il padre <strong>di</strong> Jacu, volle trasferirsi qui, come avevano<br />

già fatto i suoi parenti per altre epidemie, altri fatti che<br />

avevano sconvolto la quieta vita <strong>di</strong> Punta Logos. E qui, <strong>di</strong><br />

fatto, nessuno <strong>di</strong> noi s’ammalò.<br />

Un pomeriggio…uno come questo, mi ero avventurata<br />

per far cicorie. Scoprii questo posto. Quella costruzione<br />

30


L’appuntamento<br />

là in fondo, non era del tutto a pezzi, allora. Era stata<br />

una chiesa, tantissimi anni fa. Era rimasto solo qualche<br />

vano intero, ma il tetto reggeva. Lui era nascosto qui. Dal<br />

Piemonte era riuscito a tornare in Sardegna. Per sfuggire<br />

a qualunque controllo, si era rifugiato sulle montagne in<br />

attesa dell’ormai prossima fine della guerra. Lo scoprii<br />

perché dormiva, altrimenti si sarebbe nascosto. Ci siamo<br />

incontrati quasi tutti i giorni per un intero mese…. Non<br />

so se me ne innamorai, ma avevo bisogno <strong>di</strong> credere che si<br />

trattasse d’amore, allora. Poi sono tornata al villaggio. Non<br />

l’ho più rivisto…-<br />

Ero affascinata. Spaventata. Ma non scandalizzata. Nelle<br />

mie vene scorreva lo stesso sangue <strong>di</strong> Maria Solinas. Niente<br />

poteva davvero meravigliarmi.<br />

-Ma nonna… perché…-<br />

-Perché… perché... perché… Potresti capirmi solo se ti<br />

capiterà la sventura <strong>di</strong> sposare un altro Jacu Ad<strong>di</strong>s. No,<br />

ragazza mia, no. Mettiti una corda al collo, piuttosto.<br />

Sali sulla vetta più alta del Gennargentu e fai l’eremita. O<br />

pren<strong>di</strong> il coltello <strong>di</strong> tuo padre e ficcatelo nella pancia. No!<br />

Matteo… Matteo… si chiamava così, quel soldato magro,<br />

con la fame negli occhi, nel cuore. Matteo…<br />

La guerra aveva invaso la sua vita come uno sciame <strong>di</strong><br />

cavallette sopra un campo <strong>di</strong> grano. S’affacciava in ogni<br />

poro della sua pelle grigia <strong>di</strong> fango e ferite purulente.<br />

31


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Matteo non era bello. No, non lo era per nulla. Pareva,<br />

piuttosto, un animale selvatico. Una lepre, forse, con<br />

quel muso appuntito, i capelli ritti e chiari. Le ossa che<br />

sbucavano da ogni dove. I vestiti stracciati. L’odore <strong>di</strong><br />

sfatto, <strong>di</strong> marcio, <strong>di</strong> morte che trapelava dal suo corpo. E<br />

avrebbe dovuto ripugnarmi anche per ciò che aveva fatto.<br />

Era un <strong>di</strong>sertore… ma lui mi parlò, Maria. Parlò con me.<br />

E la sua voce aveva toni dolci e lontani. Bastava chiudere<br />

gli occhi. Era colto. Uno studente! Mi spiegò d’aver lasciato<br />

gli stu<strong>di</strong> per una guerra che non gli apparteneva. Per gente<br />

che non conosceva. Per ideali che non capiva. Mi raccontò<br />

delle trincee. Del sangue. Della fame. Della sete. Del<br />

freddo. Dei cadaveri. Degli or<strong>di</strong>ni folli. Delle marce. Delle<br />

notti all’ad<strong>di</strong>accio.<br />

Mi parlò, Maria. Mi fece entrare nella sua anima. Allora,<br />

<strong>di</strong> lui vi<strong>di</strong> solo il ragazzo giovane, forte, sano, che era stato.<br />

Vedevo il suo cuore, sotto i vestiti lerci e il marciume della<br />

<strong>di</strong>sperazione.<br />

Io, forse ero ancora bella. O forse era solo la sua fame <strong>di</strong><br />

donne a rendermi desiderabile. Ma lui mi guardò come<br />

mai nessuno mi aveva guardata e per la prima volta nella<br />

mia vita io… io andai con un uomo tremando <strong>di</strong> emozione<br />

e fui felice delle sue mani sul mio corpo. Delle sue labbra<br />

sulle mie…delle sue frasi d’amore tenere, dolci come sos<br />

gueffus e pardulas... Pro sa prima olta, Maria.<br />

32


Per la prima volta...-<br />

L’appuntamento<br />

*<br />

Rimanemmo a lungo in silenzio. La mia bocca era una<br />

caverna. Davanti agli occhi, volteggiavano farfalle bianche.<br />

Per le vene, il sangue scorreva caldo. Un senso <strong>di</strong> benessere.<br />

Di appagamento mi prese, dalla testa ai pie<strong>di</strong>. Non le chiesi<br />

più niente. Poi ci alzammo scuotendo le gonne intrise degli<br />

aghi del pino. Ripercorremmo la strada <strong>di</strong> ritorno senza<br />

una parola. Solo il fruscio delle foglie secche sotto i pie<strong>di</strong>.<br />

Allungai una mano verso la sua. Era calda, morbida.<br />

Sembrava non appartenere a quel corpo rigido e buio.<br />

Mia nonna girò la testa verso me.<br />

-Ah, sì. Forse dovremo parlare ancora, io e te. Quando<br />

torneremo al villaggio saremo ancora sole, nelle sere<br />

d’inverno, mentre tutti saranno presi dal sonno.<br />

-Il nostro appuntamento…-<br />

Mia nonna mi guardò a lungo.<br />

-Sì, il nostro appuntamento…-<br />

Avvistammo il Fortino. Mio padre, davanti alla porta,<br />

guardava verso noi con l’aria minacciosa. Mia nonna<br />

sorrise. Mi strinse la mano. Ricambiai la sua stretta e sorrisi<br />

decisa anche io.<br />

******<br />

33


L’appuntamento<br />

BON VOyAge<br />

<strong>di</strong> Serena Stringer<br />

Per prima cosa, lo feci arrestare.<br />

Cosa avreste fatto voi se, tornando a casa dopo una lunga<br />

giornata <strong>di</strong> lavoro, aveste trovato un barbone che dormiva<br />

lungo <strong>di</strong>steso e logoro sotto il vostro portico? Appunto.<br />

Precisamente quello che ho fatto io.<br />

Barricata dentro l’auto, lo vi<strong>di</strong> guizzare in pie<strong>di</strong> attraversato<br />

da una scossa non appena sentita la sirena in lontananza.<br />

Ballerino vestito <strong>di</strong> stracci, con una piroetta saltò in pie<strong>di</strong><br />

calcandosi il cappello <strong>di</strong> paglia sugli occhi, pronto alla<br />

fuga.<br />

Ce l’avrebbe fatta, credo, se voltandosi per scappare non mi<br />

avesse scorta, seduta impietrita alla guida della macchina<br />

spenta. Vi<strong>di</strong> i suoi occhi allargarsi fino ad inghiottirmi tutta,<br />

e poi richiudersi sotto le ciglia nere. Si fermò, afflosciandosi<br />

nel maglione troppo grande, e fece qualcosa che mai avrei<br />

immaginato.<br />

Camminando piano, in punta <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>, si avvicinò al<br />

finestrino, abbassandosi fino ad incontrare con il suo il mio<br />

volto terrorizzato. Poi mi sorrise.<br />

I carabinieri lo caricarono nella gazzella mansueto come<br />

un cane stanco. Mentre raccoglievano la mia deposizione<br />

35


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

sentivo i suoi occhi sulla nuca. Non avrei voluto affatto, ma<br />

mi dovetti voltare. E d’istinto capii che avevo commesso<br />

uno sbaglio, uno sbaglio bello grosso.<br />

Come <strong>di</strong>te? Oh, no. No no no. Nulla del genere. Non sono<br />

attratta dalle persone sporche, e credetemi, quel tizio era<br />

davvero lercio. Niente <strong>di</strong> romantico. Solo che incontrai per<br />

davvero il suo sguardo, capite?<br />

Lo guardai.<br />

Gli occhi più tersi e tristi che avessi mai visto. Ed erano<br />

buoni.<br />

Roger Buonbarbone, l’avrei soprannominato in seguito.<br />

Mi resi conto che avevo fatto arrestare un innocente. Piena<br />

<strong>di</strong> attenuanti, è vero: vivo sola, isolata, e tornando a casa<br />

trovo un uomo spaparanzato nella mia veranda. Che faccio?<br />

Chiamo la polizia. Ne accadono talmente tante, al giorno<br />

d’oggi, che non me la sentirei <strong>di</strong> rischiare per <strong>di</strong>mostrare a<br />

me stessa <strong>di</strong> avere un cuore grande… Ma quel giorno mi<br />

sbagliai. Quando scruti negli occhi <strong>di</strong> qualcuno e non ci<br />

ve<strong>di</strong> dentro nulla, se non un pozzo d’amore, non puoi che<br />

esserti sbagliato. E così alle <strong>di</strong>eci meno un quarto, dopo una<br />

zuppa che non era riuscita a sciogliere il nodo che avevo in<br />

gola e un bagno pieno <strong>di</strong> senso <strong>di</strong> colpa, mi ero infilata<br />

nelle scarpe e avevo guidato fino alla stazione <strong>di</strong> polizia.<br />

L’agente <strong>di</strong> turno aveva creduto che fossi sotto minaccia,<br />

quando mi ero offerta <strong>di</strong> pagare la cauzione allo stesso tizio<br />

36


L’appuntamento<br />

che meno <strong>di</strong> tre ore prima avevo fatto arrestare. Poi che<br />

fossi semplicemente pazza.<br />

Alla fine si era convinto della mia sanità mentale e mi aveva<br />

permesso <strong>di</strong> sborsare quelli che si sarebbero poi rivelati i<br />

migliori trecentotrentaeuro della mia vita.<br />

Fuori, alla luce tenue della luna, mi ringraziò.<br />

Fu una cosa sbrigativa e <strong>di</strong>retta, un grazie sincero come ne<br />

ho sentiti pochi nella mia vita. Anche più vero <strong>di</strong> quelli che<br />

<strong>di</strong>co <strong>di</strong> solito io.<br />

Lo portai a casa, guidando piano nel tiepido della notte.<br />

Ricordo che c’erano le stelle, e filari <strong>di</strong> viti fiancheggiavano<br />

la strada.<br />

Eh? Poetico, <strong>di</strong>te? Beh, poetico…non esageriamo. Tenni<br />

il finestrino abbassato tutto il tempo cercando <strong>di</strong> respirare<br />

molto, molto poco: il tizio puzzava mica male, in effetti.<br />

Credo che se ne rendesse conto, perché mi ricordo quel<br />

suo modo teso <strong>di</strong> sedermi accanto, dritto come un fuso,<br />

immobile.<br />

Ci togliemmo dall’imbarazzo non appena liberi dalla<br />

costrizione dell’abitacolo. Gli proposi un piatto <strong>di</strong> zuppa<br />

che accettò solo dopo lunghe insistenze. Gliela portai fuori<br />

insieme a cuscino e coperta, sotto il portico che sarebbe<br />

<strong>di</strong>ventato la sua casa per quasi un’estate.<br />

37


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

La più bella della mia vita.<br />

Mi ricordo che gli porsi il piatto, lui mi <strong>di</strong>sse «Roger»,<br />

ed io risposi «E<strong>di</strong>e», e poi insieme <strong>di</strong>cemmo «Piacere» .<br />

Rimanemmo un attimo così, sospesi tra i convenevoli, e<br />

poi lo lasciai solo con la mia zuppa e i suoi pensieri.<br />

Non voglio <strong>di</strong>lungarmi su tutti quei piccoli particolari<br />

che ci permisero <strong>di</strong> regolarizzare, per così <strong>di</strong>re, la nostra<br />

strampalata e gustosa quasiconvivenza. Sì, sapete, quelle<br />

cose del tipo lavarsi (nel bagnetto del piano <strong>di</strong> sotto,<br />

impossibile fargli salire le scale perché erano «troppo casa<br />

tua», <strong>di</strong>sse proprio così), rasarsi tagliarsi le unghie e vestire<br />

con gli abiti del mio ultimo ex.<br />

Dirò solo che accadde per gra<strong>di</strong>, e che una volta gli scappò<br />

che non era per sé stesso, se aveva fatto tutte quelle cose, se<br />

si era pulito insomma, a lui lo sporco non importava. Era<br />

per me, <strong>di</strong>sse. A furia <strong>di</strong> starmi così vicino.<br />

In realtà <strong>di</strong>sse una cosa molto più dolce, ma non so se<br />

<strong>di</strong>rvela o no: potreste fraintendere e credere che tra poco<br />

vi racconterò della nostra storia d’amore appassionata.<br />

Rimarreste delusi, perché Roger è stato forse l’unico amico<br />

uomo che abbia mai incontrato nella mia vita.<br />

Me lo promettete davvero? Non penserete male? Allora va<br />

bene, ve lo <strong>di</strong>rò.<br />

38


L’appuntamento<br />

Era <strong>di</strong> sera, circa una settimana dopo che ci eravamo<br />

conosciuti; sedevamo sotto il portico bevendo un bicchiere<br />

<strong>di</strong> vino rosso (perché il vino rosso scalda i cuori).<br />

Rasato e con addosso una maglietta azzurra, Roger<br />

<strong>di</strong>mostrava meno dei quarant’anni che sosteneva <strong>di</strong> avere.<br />

Glielo <strong>di</strong>ssi e lui rispose che fare il senzatetto gli piaceva<br />

perché ci si poteva permettere <strong>di</strong> stare nascosti. Niente<br />

in<strong>di</strong>rizzo, niente telefono, manco a <strong>di</strong>rlo, niente e-mail.<br />

Non si era costretti a fare quello che fanno gli altri. A subire<br />

la vita, <strong>di</strong>sse. E poi aggiunse che anche non lavarsi, per lui,<br />

era una protezione. «Sono un cavaliere solitario, e lo sporco<br />

è la mia corazza», mi rivelò. Nessuno gli si avvicinava ed era<br />

esattamente quello che lui voleva. Poi era arrivato a me, ed<br />

aveva acconsentito a lavarsi e radersi perché io ero «un fiore<br />

raro in un prato <strong>di</strong> erbaccia» e lui non voleva sporcarmi.<br />

Una frase dolce, non vi pare? La <strong>di</strong>sse nascondendosi <strong>di</strong>etro<br />

al bicchiere, e subito dopo arrossì. Il vino rosso li scalda<br />

davvero, i cuori.<br />

Era piacevole avere Roger per casa. Beh, fuori <strong>di</strong> casa, a <strong>di</strong>re<br />

il vero. Entrava <strong>di</strong> rado, bussando mille volte, e solamente<br />

se ne era proprio costretto. In cambio del portico dove<br />

lo lasciavo dormire, curava i miei fiori e faceva al mio<br />

posto tutti quelli che ci si ostina a chiamare lavoretti <strong>di</strong><br />

39


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

casa, ma che per me sono degli eventi catastrofici mandati<br />

dall’Universo per punirmi. Grondaie, per<strong>di</strong>te, tegole da<br />

sistemare. Maledetta quella volta che ho ceduto al fascino<br />

del rustico da ristrutturare, pensavo sempre, ma con Roger<br />

lì tutto <strong>di</strong>ventava più facile. Più sereno.<br />

Roger era un clochard voyageur, un barbone viaggiatore<br />

insomma. Sembrava essere stato dappertutto. Di giorno,<br />

quand’ero al lavoro, non facevo altro che pensare a quando<br />

ci saremmo incontrati la sera, sotto il mio portico. I nostri<br />

carnet <strong>di</strong> viaggio, li chiamavo dentro <strong>di</strong> me. Non so cosa<br />

facesse Roger quando io non c’ero, ma al mio rientro<br />

scorgevo sempre la sua sagoma scura stagliarsi contro la<br />

casa bianca, lo sguardo lanciato come un amo al <strong>di</strong> là delle<br />

colline: un pescatore <strong>di</strong> emozioni in cerca <strong>di</strong> appuntamenti<br />

con l’avventura.<br />

Credo che Roger abbia viaggiato più <strong>di</strong> chiunque altro<br />

conosca. Io? Oh, no, io non vado mai da nessuna parte,<br />

invece. “E<strong>di</strong>e eterno satellite <strong>di</strong> Pianeta Lavoro”. Non faccio<br />

un gran lavoro, a <strong>di</strong>re il vero. Piuttosto noioso, sempre<br />

uguale. Lunghe sfilze <strong>di</strong> numeri da inserire in lunghe sfilze<br />

<strong>di</strong> colonne, un panino a mezzogiorno, mezz’ora <strong>di</strong> traffico<br />

la sera per tornare a casa. Quell’estate Roger <strong>di</strong>venne il<br />

mio passaporto per il mondo. Insieme a lui, nei nostri<br />

40


L’appuntamento<br />

appuntamenti al fresco della veranda, senza muovermi da<br />

casa vedevo tutte le cose lontane che i suoi occhi avevano<br />

ammirato.<br />

Ti ho mai parlato <strong>di</strong> Bali? Fu subito dopo Londra. A quell’epoca<br />

i sol<strong>di</strong> non erano ancora finiti. Un viaggio lunghissimo, arrivai<br />

nel cuore della notte. C’era questo silenzio... Strade <strong>di</strong> polvere<br />

e profumo <strong>di</strong> mare.<br />

Mi sono accampato su una spiaggia nera nera, ascoltando il<br />

calmo respiro dell’oceano. Ero felice, credo. Ero dentro ad un<br />

sogno, <strong>di</strong> quelli che si fanno guardando le cartoline <strong>di</strong> viaggio.<br />

Mi ricordo che alzai gli occhi al cielo e vi<strong>di</strong> tutte queste stelle<br />

sconosciute. Quella notte ho dormito sotto un cielo nuovo. Ti<br />

piacerebbe molto andarci, davvero...<br />

A volte mangiavamo insieme, la domenica. Mai in casa,<br />

mai al ristorante. Sempre in veranda, il nostro non-luogo<br />

pieno <strong>di</strong> parole. Non parlava sempre lui. Mi chiedeva <strong>di</strong><br />

me, anche. All’inizio, capite, me ne stavo lì, presa da un<br />

imbarazzo silenzioso: che cosa potevo avere io, segretaria <strong>di</strong><br />

provincia, <strong>di</strong> interessante da raccontare ad un giramondo<br />

come lui?<br />

Ma poi, pian piano, non so come, mi rilassai. A colpi <strong>di</strong><br />

41


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

risate e <strong>di</strong> autoironia, Roger riuscì ad aprirsi un varco nel<br />

fitto dei miei pensieri e così gli raccontai della famiglia<br />

che non avevo più, dei miei figli immaginari, del principe<br />

azzurro che pensavo morto annegato in una buia palude.<br />

Lo facevo sorridere, <strong>di</strong>ceva, ma anche riflettere: per lui<br />

«familiare» non era più nulla, se non una parola che faceva<br />

rima con <strong>di</strong>seredare. I particolari della sua storia non li ho<br />

mai chiesti, erano troppo appuntiti e conficcati troppo<br />

in profon<strong>di</strong>tà dentro <strong>di</strong> lui perché potessi tirarglieli fuori<br />

senza farlo morire <strong>di</strong>ssanguato.<br />

Invece mi raccontava spesso dei suoi amici sparsi per il<br />

mondo come briciole: erano la sua famiglia, <strong>di</strong>ceva. Il suo<br />

abbraccio lungo quanto l’equatore. Adesso anche io ne<br />

facevo parte, con le mie braccia bianche ed esili allacciavo<br />

Pablo in Argentina e Johanna a Mosca. Era bello sentirsi<br />

parte <strong>di</strong> questo.<br />

Perché viaggiare?! Oh, E<strong>di</strong>e! Devi provarlo tu stessa! Sotto i<br />

tuoi pie<strong>di</strong>, nelle tue narici. Devi sentirlo, il perché. Sentire il<br />

freddo <strong>di</strong> San Pietroburgo imbottita <strong>di</strong> neve, a braccia <strong>di</strong>stese<br />

respirare l’odore gelido sulla Piazza del Palazzo. Toccare il<br />

sudore che ti cola lungo la schiena come una biscia a Salvador<br />

de Bahia, mentre bevi una birra gelata in mezzo a una babele<br />

<strong>di</strong> lingue.<br />

42


L’appuntamento<br />

Oh, E<strong>di</strong>e!! Non puoi non viaggiare. È la cosa più bella del<br />

mondo, amica mia. Promettimi che lo farai. Promettimelo!<br />

Te lo prometto.<br />

Quando non dormiva, passeggiava, spariva o suonava<br />

una specie <strong>di</strong> xilofono regalatogli da una principessa<br />

nepalese (sospetto che fosse bella come una principessa,<br />

più che <strong>di</strong> sangue realmente reale...), Roger passava lunghi<br />

momenti scrivendo sul suo <strong>di</strong>ario. A onor del vero la parola<br />

«<strong>di</strong>ario» era vietatissima perché Roger, che da quanto<br />

potei apprendere una sera <strong>di</strong> luglio vantava illustri origini<br />

d’Oltralpe, preferiva il termine journal: un vezzo che non<br />

ho mai capito, ma sul quale non si poteva transigere.<br />

Il suo journal era un tomo enciclope<strong>di</strong>co del peso, a<br />

occhio e croce, <strong>di</strong> una decina <strong>di</strong> chili almeno. Come? Oh,<br />

nossignori! Non potevo nemmeno nominarlo, figuriamoci<br />

avvicinarmi per toccarlo... Roger non se ne separava mai,<br />

e quando una volta gliene chiesi il perché, mi rispose<br />

domandandomi se avrei permesso a chiunque <strong>di</strong> frugarmi<br />

sotto i vestiti, o dentro le mutande. Proprio così. A volte<br />

poeta e a volte beh... prosatore, <strong>di</strong>ciamo.<br />

Mi ricordo che questo journal aveva una copertina rossa<br />

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Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

con una riga nera, e foglietti tenuti insieme da elastici<br />

colorati, e le cuciture consumate e luride, naturalmente.<br />

-Tieni.<br />

-Cos’è? Un regalo? Per me?!<br />

-Per te. Casomai dovessi vivere più dei cinquantun’anni<br />

predetti dall’oracolo a Delfi.<br />

Crepitio emozionato <strong>di</strong> carta che viene strappata.<br />

Silenzio.<br />

-Un nuovo journal!!<br />

-Ho pensato che potresti avere ancora tante cose da vedere.<br />

Tante, ecco, mutande nuove da nascondere sotto la tua<br />

corazza.<br />

Risata. Silenzio.<br />

-Grazie, E<strong>di</strong>e. È il più bel regalo che abbia mai ricevuto.<br />

“Quest’estate è il più bel regalo, per me”.<br />

Ma non lo <strong>di</strong>ssi ad alta voce.<br />

E poi cominciarono i temporali. Agosto volgeva in<br />

44


L’appuntamento<br />

settembre, verde che si colorava <strong>di</strong> bruno. I giorni si<br />

sfilacciavano dentro a sere piene <strong>di</strong> un vento frizzante che<br />

annunciava il cambiamento. Fui presa da un’inquietu<strong>di</strong>ne<br />

tagliente, abitata da una frenesia che non mi apparteneva.<br />

Lo sentivo. Roger era vicino alla partenza.<br />

Non faceva nulla <strong>di</strong> così <strong>di</strong>verso da prima; suonava,<br />

passeggiava, potava le mie rose e dormiva sotto le stelle.<br />

Ma aveva cominciato a scrivere <strong>di</strong> più, a sfogliare il suo<br />

journal ogni giorno, come se dovesse riallacciare le fila<br />

del suo viaggio e prepararsi ad una nuova avventura. Fu<br />

graduale, delicato.<br />

Il mio amico si <strong>di</strong>mostrò tenero anche nella crudele arte<br />

della partenza.<br />

Prima preparò il suo zaino e spolverò il cappello <strong>di</strong> paglia,<br />

poi si spogliò dei vestiti che gli avevo prestato, ad uno ad<br />

uno. Tenne solamente un foulard verde scuro che lo pregai<br />

<strong>di</strong> accettare, pena un’offesa mortale. Aveva il colore dei<br />

suoi occhi, gli copriva una buona porzione <strong>di</strong> pelle e così<br />

pensavo lo proteggesse un pochino in più. Una impalpabile<br />

corazza <strong>di</strong> seta che si sarebbe portato in giro per il mondo.<br />

L’ultima sera gli preparai una pastasciutta coi pomodorini<br />

freschi ed il basilico. Il suo piatto italiano preferito, insieme<br />

al couscous marocchino <strong>di</strong> Youssoufa e alle galantines<br />

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Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

della bella parigina senza nome <strong>di</strong> cui si era perdutamente<br />

innamorato cinque anni prima. Fu una serata struggente e<br />

perfetta. Il nostro ultimo atto, illuminato dalle candele e<br />

dalle stelle e dagli occhi luci<strong>di</strong> che cercavo <strong>di</strong> nascondere<br />

sotto le ciglia. Non parlammo <strong>di</strong> ad<strong>di</strong>i e nemmeno <strong>di</strong><br />

possibili ritorni. Non parlammo quasi, perché stando con<br />

Roger avevo imparato che a volte le parole non aggiungono<br />

nulla, ma servono solo a confondere l’imbarazzo del<br />

silenzio. Ma noi non eravamo affatto imbarazzati e così<br />

ce ne rimanemmo là, leggeri, creandoci una nicchia <strong>di</strong><br />

persempre nel tempo che passava, ad ascoltare il coro dei<br />

grilli che colorava la notte.<br />

Devo farvi una confessione.<br />

Una volta, una volta sola, lo giuro, mentre Roger dormiva<br />

sul suo sacco a pelo, sfilai pianissimo il suo journal da sotto<br />

lo zaino e lo portai in casa. Oh, no!! Non per leggerlo, non<br />

vorrete scherzare?! Io non sono una giramondo, ma avevo<br />

cominciato a volergli bene davvero. Volevo che potesse<br />

raggiungermi, se mai avesse avuto bisogno <strong>di</strong> me, e allora<br />

sull’ultima pagina scrissi il mio nome ed il mio numero <strong>di</strong><br />

telefono, con la matita. Poi chiusi tutto e lo rimisi al suo<br />

posto, appena prima che lui aprisse gli occhi.<br />

Ora mi sentivo più tranquilla, come una chioccia che<br />

46


L’appuntamento<br />

dorme coi suoi pulcini. O una bambina che riattacca da<br />

sola l’occhio del suo peluche fatto <strong>di</strong> un vecchio bottone.<br />

Mi chiamarono nel cuore più profondo delle tenebre,<br />

come si conviene ad una <strong>di</strong>sgrazia vera. Ho dei ricor<strong>di</strong><br />

confusi <strong>di</strong> me che annaspo cercando a tentoni il ricevitore,<br />

della voce pacata e sconosciuta che mi parla, del viaggio<br />

senza emozioni fino all’ospedale. E un solo ricordo vivido,<br />

profondo come un taglio chirurgico nel petto. Se chiudo gli<br />

occhi vedo ancora il lungo corridoio del reparto urgenze,<br />

il pavimento azzurro spento, un colore <strong>di</strong> cielo sporco. Le<br />

macchie <strong>di</strong> ruggine.<br />

E un foulard verde scuro abbandonato per terra come un<br />

canotto sgonfio, senza nessun sopravvissuto da portare a<br />

riva.<br />

Per tutto il tempo che rimase accanto a me, non sospettai<br />

mai, mai che Roger fosse malato. Era magro, certo, e forse<br />

un po’ pallido, a volte. Pensavo che un clochard fosse così,<br />

che facesse tutto parte del personaggio, che fosse incluso<br />

nel pacchetto del Buonbarbone.<br />

E invece, come sempre, mi sbagliavo. Da piccola mia madre<br />

<strong>di</strong>ceva sempre che ero troppo ingenua per stare al mondo,<br />

e anche Roger una volta mi <strong>di</strong>sse scherzando che ero una<br />

«portatrice sana <strong>di</strong> ingenuità». Ma lo <strong>di</strong>sse con la voce dolce,<br />

47


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

come se fosse un complimento. Avrebbe dovuto aggiungere<br />

che lui era un portatore malato <strong>di</strong> cancro, sarebbe stata una<br />

rivelazione nel suo genere, del tipo leggiadra gravità.<br />

A lungo non gli ho perdonato il suo segreto.<br />

Una volta non ho mangiato per quasi due mesi, perché volevo<br />

volare in Giappone e assistere alla fioritura dei ciliegi. Ci<br />

arrivai che ero mezzo morto, e affamatissimo, e quasi quasi<br />

pentito. Quella volta l’ho rischiata davvero brutta, durante<br />

tutta la strada fino a Kyoto mi chiedevo se ne fosse valsa<br />

davvero la pena.<br />

Ma, Dio, E<strong>di</strong>e, quando sono arrivato! Ho smesso <strong>di</strong> sentirmi<br />

affamato e stanco, <strong>di</strong> chiedermi qualunque cosa. Ho smesso del<br />

tutto <strong>di</strong> pensare.<br />

È stato come entrare dentro ad una poesia. Come... come<br />

toccare un’anima con le <strong>di</strong>ta. Un’anima bianca e rosa come<br />

una pelle <strong>di</strong> madre infinitamente profumata.<br />

L’infermiere che quella notte lo aveva vegliato fino alla fine<br />

mi raggiunse correndo, fuori dall’obitorio. Aveva paura che<br />

me ne fossi andata. Mi <strong>di</strong>sse che Roger aveva continuato a<br />

gridare che chiamassero E<strong>di</strong>e, E<strong>di</strong>e nel journal. Fino alla<br />

morfina. Poi lo sapevo, che non poteva aver detto più nulla.<br />

48


L’appuntamento<br />

Per fortuna lui parlava un pochino <strong>di</strong> francese, <strong>di</strong>sse, così<br />

aveva capito che intendeva <strong>di</strong>re il suo <strong>di</strong>ario.<br />

Gli chiesi come avesse fatto a trovare il mio numero, perso<br />

dentro a quell’enormità <strong>di</strong> nomi, numeri, biglietti colorati<br />

che parlavano tutte le lingue del mondo. Guardandomi<br />

con fare interrogativo, mi porse il journal <strong>di</strong> Roger.<br />

-C’è solo il suo <strong>di</strong> nome là dentro, signora.<br />

Poesie. Qualche verso famoso, qualche altro inventato da<br />

lui, che si firmava H. R., Habituel Roger. Ricette, segreti<br />

per far crescere fiori rigogliosi. Appunti <strong>di</strong> filosofia, <strong>di</strong><br />

storia, <strong>di</strong>gressioni letterarie su qualche libro che lo aveva<br />

colpito. Classifiche dei suoi film preferiti (I soliti sospetti,<br />

Bellissima, Sunset Boulevard), dei suoi romanzi preferiti<br />

(Alla ricerca del tempo perduto, Chie<strong>di</strong> alla polvere,<br />

Madame Bovary), brani <strong>di</strong> canzoni.<br />

Ma furono le foto, a farmi <strong>di</strong>sperare <strong>di</strong> pianto. A farmi<br />

capire, illuminando come lo squarcio affilato <strong>di</strong> un lampo<br />

tutto il suo dolore solitario.<br />

Cartoline mai scritte che raffiguravano posti esotici,<br />

sgualcite agli angoli e ingiallite dall’usura e dal tempo.<br />

Santo Domingo, Manila, Bahia, una spiaggia <strong>di</strong> Bali al<br />

tramonto e un asterisco nella pagina, in basso, con un<br />

appunto vicino: da fare.<br />

Ritagli <strong>di</strong> giornali spiegazzati, incollati sui giorni del <strong>di</strong>ario<br />

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Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

come tanti promemoria d’avventura. Parigi, Londra,<br />

Marrakech, New York.<br />

Da fare, da fare, da fare, da fare ASSOLUTAMENTE!<br />

Un’immagine <strong>di</strong> Katmandu all’alba, coi bor<strong>di</strong> strappati<br />

come se fosse stata rubata. E poi i ciliegi <strong>di</strong> Kyoto in fiore,<br />

una foto bellissima con a fianco una citazione <strong>di</strong> Walser che<br />

forse doveva essere amaramente comica:<br />

È così dolce restare. Forse che la natura va all’estero?<br />

E degli strani segni vicini, dei cerchi concentrici che<br />

assomigliavano a lacrime d’inchiostro.<br />

Sono quasi le <strong>di</strong>eci, siamo vicini a Zurigo credo. L’atterraggio<br />

è un momento brusco come <strong>di</strong>cono? Oh, oh bene. Meno<br />

male che non c’è vento allora. Voi vi fermerete lì? Ah,<br />

parenti, capisco. Io invece no. Proseguo per il Giappone.<br />

Dicono che sia uno splendore, con tutti quei fiori, in questo<br />

periodo dell’anno. Lo so, è vero, per il mio primo viaggio<br />

ho scelto una meta bella lontana.<br />

Ma, capite, devo onorare una promessa.<br />

Un uomo sta seduto presso <strong>di</strong> lei, lo sguardo buono <strong>di</strong> chi ha già<br />

50


L’appuntamento<br />

sofferto. Petali come note <strong>di</strong> profumo, sulle pagine aperte del suo<br />

journal. C’è silenzio e odore <strong>di</strong> pace, nel giar<strong>di</strong>no dei ciliegi.<br />

Non si guardano, ma stanno là, vicini, pronti a sfiorarsi. Non<br />

si conoscono, eppure è come se oggi si fossero dati il loro primo<br />

appuntamento. C’è una leggera brezza, una carezza materna<br />

che muove le fronde e la fa rabbrivi<strong>di</strong>re leggermente.<br />

Lui se ne accorge, e delicatamente, chiedendo il permesso con<br />

gli occhi, le copre le spalle con il suo foulard verde <strong>di</strong> seta.<br />

51


L’appuntamento<br />

SeNZA APPUNTAMeNTO<br />

<strong>di</strong> Renata Di Sano<br />

Si era accorto <strong>di</strong> lei quando era arrivata, quando il furgone<br />

bianco aveva scaricato i pochi mobili spaiati e quattro<br />

scatole <strong>di</strong> cartone <strong>di</strong> seconda mano. Con lei dentro, la<br />

mansarda era rinata. E anche lui.<br />

Erano giornate nuove, con lei al piano <strong>di</strong> sopra, come averci<br />

un usignolo in gabbia per compagnia. La ragazza trillava<br />

dalla mattina alla sera, a modo suo cinguettava, cianciava,<br />

gorgheggiava, cantava e tutta la casa risuonava della sua<br />

presenza in<strong>di</strong>screta: il vedovo la sistemò presto nella propria<br />

esistenza solitaria, con la sua roba spostata, i passi, gli squilli<br />

e le canzoni d’amore. Ascoltava lei per <strong>di</strong>menticare il tempo<br />

e la malinconia, nel condominio taciturno e <strong>di</strong>sabitato tutto<br />

il giorno, dove gli altri tornavano la sera solo per mettersi<br />

a dormire.<br />

Ma dopo un po’, un an<strong>di</strong>rivieni <strong>di</strong> sconosciuti era<br />

cominciato appresso a lei per quelle rampe. Il vecchio non<br />

si dava pace, e si mise, da un giorno all’altro, a tenerle il<br />

conto <strong>di</strong> presunti clienti.<br />

Sapeva il rumore dei suoi tacchi quando scendeva le scale,<br />

il ritmo <strong>di</strong> quei passi stu<strong>di</strong>ato per sembrare una musica.<br />

Curioso e stizzito metteva l’occhio migliore nello spioncino<br />

53


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

per vederla passare e, ogni volta, quel modo <strong>di</strong> andare<br />

sfrontato gli levava la pazienza da dosso. Allora si faceva<br />

il segno della croce, donnaccia, che donnaccia, <strong>di</strong>ceva, e<br />

tornava a sedersi nella poltrona, apparentemente pacificato<br />

con <strong>di</strong>o, nella testa ancora l’orlo indecente <strong>di</strong> quella gonna<br />

rossa.<br />

Finché decise: l’avrebbe cacciata via <strong>di</strong> là, se necessario con<br />

le sue stesse mani.<br />

Forse si chiama Vera, forse no. Può essere anche un nome<br />

falso. Ai citofoni sta scritto così, Vera e basta, l’unica donna<br />

sola in un lungo elenco <strong>di</strong> famiglie normali: impossibile<br />

non notarla. Impossibile non notarla quando va per le scale,<br />

tutto l’androne riecheggia del suo camminare, sembra il<br />

richiamo <strong>di</strong> una sirena su due pie<strong>di</strong>, sembra farlo apposta.<br />

- Dicono che è una brava ragazza, ma una che sta tutto il<br />

giorno a casa, che razza <strong>di</strong> lavoro può essere?<br />

Parla a se stesso il vedovo, come fanno quelli rimasti<br />

soli troppo presto. E come tanti vecchi senza nessuno<br />

accanto, ripassa ad alta voce le cose da fare, per tenersi in<br />

or<strong>di</strong>ne giornate troppo uguali. E troppo vuote perché, a<br />

ottant’anni, la vita gli ha levato quasi tutto.<br />

- Riceve gente in casa, uomini soprattutto, a fare che?<br />

Uomini <strong>di</strong> mattina, che vanno in giro in giacca e cravatta,<br />

che vengono a fare, a sbavare nell’ascensore? Sarta, <strong>di</strong>ce.<br />

54


L’appuntamento<br />

Taglia abiti da uomo. Pieghe ai pantaloni, cravatte <strong>di</strong> seta<br />

confezionate a mano. Camiciaia, <strong>di</strong>cono… lo so io, lo so,<br />

quella come cuce… a ore!<br />

S’infiamma al pensiero del suo onore offeso, sputa ingiurie<br />

che rotolano nel silenzio della casa, rimbalzano contro<br />

le pareti <strong>di</strong> una solitu<strong>di</strong>ne forzata e tornano in<strong>di</strong>etro, in<br />

un’eco amara, sulla tovaglia apparecchiata per uno.<br />

Stamattina non è una buona mattina. Le orbite arrossate<br />

dalla congiuntivite cronica galleggiano in un volto scavato,<br />

il ghiaccio nelle ossa rallenta i movimenti. Febbricitante si<br />

avviluppa nella vestaglia <strong>di</strong> lana. Non sopporta <strong>di</strong> essere<br />

così vulnerabile.<br />

- Va bene, adesso ci prepariamo e an<strong>di</strong>amo a comprare il<br />

giornale. Poi le chiederò un appuntamento, le parlerò, la<br />

costringerò ad andar via!<br />

Le scarpe sono lì, accanto ai pie<strong>di</strong>, eppure gli ci vuole più<br />

tempo del solito, un mucchio <strong>di</strong> tempo, per convincere la<br />

schiena legnosa a piegarsi.<br />

- Un giorno o l’altro vi butto via - <strong>di</strong>ce loro - alla mia età non<br />

posso mica abbassarmi per terra per un paio <strong>di</strong> scarpe.<br />

Già ieri le mani gli dolevano, crampi elettrici dentro e<br />

fuori, e ora le <strong>di</strong>ta si rifiutano <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re ai suoi coman<strong>di</strong>:<br />

è impossibile annodare due stringhe.<br />

- Il cappello, dove ho messo il cappello…<br />

Sospeso in mezzo alla stanza, con lo sguardo fruga intorno<br />

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Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

stranito, aspettando che il cappello da solo prenda forma<br />

in un angolo.<br />

All’improvviso uno scoppio, metallo che deflagra sulle<br />

piastrelle. Un rimbombo sordo scuote il soffitto, la padella<br />

scappata dalle mani <strong>di</strong> lei se la sente sbattere sulla testa e il<br />

cuore, già inquieto, gli finisce dritto in gola.<br />

- Accidenti, queste pareti sono <strong>di</strong> cartone!<br />

La stanza sobbalza ancora, trema la sua pelle <strong>di</strong> vecchio,<br />

così si scorda <strong>di</strong> cercare il cappello e il giornale da comprare<br />

non serve più.<br />

È lei, la ragazza dell’ultimo piano, quella che non gli ha<br />

mai rivolto veramente una parola. Buongiorno e buonasera<br />

forse, qualche volta, come fossero due stranieri <strong>di</strong> paesi<br />

nemici, lontani un oceano.<br />

- Eh, vecchi e giovani sono animali <strong>di</strong> specie <strong>di</strong>verse, <strong>di</strong>ceva<br />

mio padre.<br />

Parla allo specchio, grattandosi la rada peluria bianca.<br />

Intanto la musica lo inonda dal piano <strong>di</strong> sopra e vivaci<br />

scarpette <strong>di</strong> donna ticchettano a pioggia qua e là.<br />

- Pulizie <strong>di</strong> primavera, oggi, sbriga le faccende con la ra<strong>di</strong>o<br />

accesa.<br />

Pare che giochi, mentre allegra rassetta nel bagno, ripone le<br />

tazzine sporche nell’acquaio, <strong>di</strong>stende lenzuola fresche sul<br />

letto, spalanca le finestre all’aria bagnata <strong>di</strong> marzo.<br />

- Non si stanca mai, beata gioventù! Ma domani devo<br />

56


L’appuntamento<br />

chiamare l’amministratore, così non si può andare avanti,<br />

questo è un condominio <strong>di</strong> persone per bene!<br />

No, stamattina proprio non ce la fa ad uscire. Eppoi ha<br />

appena sentito la voce dell’uomo in casa <strong>di</strong> lei. Quel poco<br />

<strong>di</strong> sangue che lo tiene su gli va tutto alla testa, in un colpo<br />

solo.<br />

- Lo sapevo, lo sapevo, dalla mattina, si comincia! Dalla<br />

mattina! - ripete, come se dovesse convincere se stesso delle<br />

sue ragioni.<br />

Infasti<strong>di</strong>to va in cucina e nel velluto consumato della<br />

poltrona cova la sua vendetta, incapace <strong>di</strong> reggere allo<br />

smacco, alle provocazioni <strong>di</strong> quella impudente.<br />

- Avvertirò le forze dell’or<strong>di</strong>ne. E voi, tanta fatica per<br />

allacciarvi e non mi servite più – <strong>di</strong>ce alle scarpe.<br />

Il ritornello della pubblicità televisiva ha smesso <strong>di</strong> essere<br />

una chiacchiera amica e <strong>di</strong>venta un impiccio tra lui e Vera.<br />

- Chi ha acceso la televisione? – domanda a nessuno. Lo<br />

fa tanto per parlare, per coprire quei rumori invadenti che<br />

non gli appartengono.<br />

È proprio la voce <strong>di</strong> un uomo, depositato fuori al<br />

pianerottolo dall’ascensore. I due bisbigliano all’ingresso,<br />

poi quattro tacchi percorrono appaiati il corridoio, fino alla<br />

camera da letto. Ma è davvero la camera da letto?<br />

In un gemito d’ossa si alza, illuminato dalla luce piccante<br />

<strong>di</strong> una fantasia: sopra la sua, c’è la camera da letto <strong>di</strong><br />

57


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

lei. Tentato, sta per avviarsi con loro, quasi fosse per lui,<br />

l’appuntamento.<br />

- … no, vanno in salotto.<br />

Sembra il grugnito <strong>di</strong> un tavolino trascinato, poi è musica<br />

languida, senz’altro musica per lasciarsi andare, per tenerla<br />

fra le braccia, toccarla, per stringersi ancora. Non passi<br />

calcolati, ma per scherzare, risate soffocate che <strong>di</strong>ventano<br />

baci, giravolte spezzate, carezze <strong>di</strong> fretta, mani spinte<br />

sotto la stoffa. Con la scusa <strong>di</strong> ballare. Questo è il sibilo<br />

della tenda che scorre, tirata a oscurare la stanza. Il clic<br />

dell’interruttore. E ora i cuscini del <strong>di</strong>vano stropicciati.<br />

- Quei viziosi! In pieno giorno, ad<strong>di</strong>rittura! Che vergogna!<br />

Che vergogna! Solo quello può essere, che altro può<br />

essere?<br />

Magari fosse davvero una sarta. Si accosta alla parete in<br />

punta <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>, tende le orecchie, proteso e muto più che<br />

può, per non perdersi un alito, un sospiro, <strong>di</strong> quei due<br />

sconsiderati. Silenzio. Magari è una sarta davvero. Magari<br />

gli stira le camicie.<br />

- Domani chiamo la polizia, questa storia deve finire.<br />

Possibile che nessuno fa niente? Va pure in chiesa la<br />

domenica…<br />

Al rumore familiare dell’uscio <strong>di</strong>schiuso, un’emozione<br />

inammissibile s’insinua, una specie <strong>di</strong> gelosia ritrosa che lui<br />

s’affanna a rinnegare.<br />

58


L’appuntamento<br />

- … senza riguardo per le brave persone! Ma che è stato…<br />

hanno finito? Di già?<br />

Rimane incollato alla porta d’ingresso, appiattito a guardare<br />

dal buco, spiare l’ombra del soprabito che scivola furtiva,<br />

calcolare l’altezza, controllare il fruscio del cuoio ai pie<strong>di</strong>, il<br />

tintinnare <strong>di</strong> chiavi in tasca. La visione lo lascia deprivato e<br />

furente, come un castigo fisico ingiusto.<br />

Intanto da lei suona il telefono. Brevi passi veloci <strong>di</strong> pie<strong>di</strong><br />

scalzi tambureggiano sul pavimento <strong>di</strong> sopra e si ripetono<br />

in piccoli tocchi maliziosi sul suo soffitto.<br />

- Sciagurata, nemmeno il tempo <strong>di</strong> rimettersi le scarpe, <strong>di</strong><br />

rivestirsi.<br />

Per un attimo sogna la figurina slanciata, viene verso <strong>di</strong><br />

lui nel soggiorno antico, vede i riccioli bruni dondolare<br />

sulle spalle scoperte. Alla facile suggestione, una smania lo<br />

prende. Si aggiusta il nodo della cravatta.<br />

- Corri, corri a rispondere a quei bastar<strong>di</strong>! Uno dopo<br />

l’altro!<br />

Una strana rabbia, la sua, un <strong>di</strong>sgusto misto al <strong>di</strong>spetto,<br />

un patimento <strong>di</strong> sensi, una voglia vaga, triste solletico <strong>di</strong><br />

vecchiaia.<br />

Da Vera, poche frasi sussurrate al telefono, poi lo scroscio<br />

d’acqua nella doccia. Lui resta ad ascoltare la cascata,<br />

rannicchiato sullo sgabello del bagno, simile a un ragazzino<br />

punito invano, per costringerlo a pentirsi.<br />

59


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Reso mite, e curvo, dal bisogno <strong>di</strong> cure, va <strong>di</strong>etro ai suoi<br />

passetti <strong>di</strong> femmina che svelta si trucca allo specchio, nelle<br />

due stanze e cucina uguali alle sue. Perché l’ha spiata ogni<br />

ora e nei mesi ha affinato l’u<strong>di</strong>to, ha imparato la misura dei<br />

gesti, il posto delle cose, gli oggetti quoti<strong>di</strong>ani, si è come<br />

ridestato agli umori <strong>di</strong> quella vita giovane sopra la sua, mai<br />

incontrata veramente.<br />

- Basta ora, sentiamoci due notizie.<br />

Sta per riaccendere la televisione, il vecchio, quando la foga<br />

dei lamenti provenienti da sopra lo richiama in camera da<br />

letto. Sono singhiozzi da adolescente, capricci e strepiti<br />

alternati, lacrime, parole urlate al muro e poi strozzate,<br />

nuovi singhiozzi <strong>di</strong>sperati, grida strazianti e pianto. Si siede<br />

raccolto al bordo del letto e butta un’occhiata al crocefisso<br />

appeso lì.<br />

- Che fa ora, piange? E perché? Non <strong>di</strong>rmi che cre<strong>di</strong><br />

all’amore… proprio tu, all’amore dei tuoi uomini…<br />

Quando la sente aprire il balcone si alza allarmato anche lui,<br />

incurante del vento si affaccia <strong>di</strong> fuori, si sbraccia esagerato<br />

verso <strong>di</strong> lei.<br />

- Ferma, che fai!<br />

Si ritrovano sul terrazzino, estranei smarriti alla stessa<br />

ringhiera, s’incrociano gli occhi, lui in basso lei in alto,<br />

deliziosa, che si sporge a sorridergli in mezzo a gerani<br />

spogli.<br />

60


L’appuntamento<br />

- Bella giornata, eh? Bella, ma fredda. Dovrebbe coprirsi,<br />

meglio, cara signorina, altrimenti…Eh? Che <strong>di</strong>ce? Un<br />

appuntamento…?<br />

Ma già lei non c’è più. Non ci sono più le sue braccia<br />

can<strong>di</strong>de tra i fili dei panni stesi, il busto sciolto esposto<br />

<strong>di</strong> sotto, il saluto timido che ha scacciato il pericoloso<br />

<strong>di</strong>spiacere <strong>di</strong> prima. Si sarà accorta <strong>di</strong> lui, della sua camicia<br />

immacolata?<br />

- Già…ha messo solo il bucato ad asciugare…<br />

Si sarà accorta del suo corpo vecchio che oggi cigola come<br />

un ferro arrugginito?<br />

Si è svegliato fiacco e col respiro inceppato, restio ha messo<br />

i pie<strong>di</strong> giù dal letto e ora lo prende l’affanno <strong>di</strong> cuore.<br />

Lei invece sposta se<strong>di</strong>e in cucina, passa lo straccio sul<br />

pavimento, ciabatta indaffarata da una camera all’altra. È<br />

contenta, tornata gioiosa come prima, mentre per lui è una<br />

fatica vestirsi, stringere un paio <strong>di</strong> lacci e persino ingoiarsi<br />

la saliva.<br />

Dei fischi maschili gli giungono dal piano <strong>di</strong> sopra,<br />

insopportabili <strong>di</strong>vertimenti da uomo. Una tortura<br />

rinnovata.<br />

- Quella donnaccia! Ancora!<br />

Qualcosa lo rode dal <strong>di</strong> dentro, una ferita che brucia,<br />

dolore e desiderio insieme: l’impulso soffocante <strong>di</strong> andare<br />

da lei. Da lei, come gli altri. Eccitato bussare a quella porta.<br />

61


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Come gli altri. Strusciare le sue labbra vizze su quella pelle<br />

ardente, cogliere anche per sé quel bocciolo <strong>di</strong> rosa. Come<br />

gli altri, calpestarla. Calpestarla d’amore. È furioso.<br />

- Sono i sol<strong>di</strong> che vuoi? Posso pagarti, sai, come gli altri!<br />

Tira fuori dal guanciale le banconote arrotolate, fremente<br />

le sparpaglia sul letto, in un’ebbrezza folle.<br />

- Guarda, ce li ho anch’io i sol<strong>di</strong>, eccoli qua ve<strong>di</strong>… -<br />

farfuglia parole non sue mentre sale quell’unica rampa che<br />

lo separa da Vera, fuori <strong>di</strong> sé, annebbiato al pensiero <strong>di</strong> lei<br />

in mano ad altri.<br />

Ma proprio lì, sugli scalini, nel furore del peccato, lo<br />

colpisce a morte l’oscenità del proprio corpo <strong>di</strong>menticato,<br />

il rimpianto delle stagioni perse, del tempo che non ha<br />

vissuto. Di quella ragazza la colpa degli anni, del <strong>di</strong>sonore,<br />

del fuoco fatuo appiccato per deriderlo.<br />

- Donnaccia, te la farò pagare, ti caccerò con queste mani,<br />

per il decoro <strong>di</strong> tutti noi!<br />

In preda alla collera, si attacca al campanello, ancora<br />

ansimando per lo sforzo delle scale salite senza respirare.<br />

- Apri sfacciata, non provocarmi oltre! Non ho bisogno <strong>di</strong><br />

appuntamento, io!<br />

La porta aperta incornicia la giovane donna, felice e ignara<br />

nella vestaglia abbottonata male. Ammutolito e tremante<br />

<strong>di</strong> sdegno, il vecchio s’incanta a guardarla da vicino. Poi<br />

cieco <strong>di</strong> rabbia solleva la mano, le afferra nel pugno i capelli<br />

62


L’appuntamento<br />

e strappa <strong>di</strong>sperato, con l’altra agguanta la vita, la scuote,<br />

l’attrae a sé con violenza.<br />

- Maledetta! Vattene via, vattene via!<br />

Tuffa il mento in quel petto tiepido e odoroso <strong>di</strong> sapone,<br />

maldestro strofina le cosce smagrite contro quelle <strong>di</strong> lei,<br />

annusa i riccioli, il collo, le bacia le orecchie, la stringe<br />

alle spalle in un abbraccio insensato, patetica illusione<br />

d’intimità.<br />

- Bella, bella… sei mia…<br />

Svilito s’accascia su <strong>di</strong> lei, piangendo la misera danza<br />

d’amanti mancati. Balbetta frasi fallite <strong>di</strong> abbandono e<br />

vergogna, fragile vecchio che arranca in prossimità della<br />

morte, umiliato dalla pena per se stesso.<br />

63


L’appuntamento<br />

UNA gIORNATA (STRA)ORDINARIA<br />

<strong>di</strong> Paolo Munarin<br />

Laszlo si svegliò lentamente, un sapore amaro gli impastava<br />

la lingua, sentiva la testa pesante e uno strano ronzio che<br />

non avrebbe saputo <strong>di</strong>re se venisse da fuori, da dentro la<br />

stanza o da dentro sé. Aprì gli occhi e si accorse <strong>di</strong> essersi<br />

addormentato senza neppure richiudere le tende della<br />

finestra che dava sul parco, dalla luce che filtrava rosea<br />

capì che doveva essere poco dopo l’ora dell’alba: un nuovo<br />

giorno stava iniziando.<br />

Si ritrovò riverso sul letto sfatto come dopo una notte<br />

agitata, eppure doveva aver dormito sopra le coperte: era<br />

ancora vestito <strong>di</strong> tutto punto, ad<strong>di</strong>rittura col papillon<br />

pervinca, la camicia chiara mal stirata e il completo blu<br />

gessato sottile un po’ retrò, ma con le ciabatte ai pie<strong>di</strong>.<br />

«Che strano!» pensò «Mi devo essere addormentato così <strong>di</strong><br />

botto senza neppure spogliarmi, devo aver fatto festa ieri<br />

notte!»<br />

Tentò <strong>di</strong> alzarsi ma una sottile fitta all’avambraccio destro<br />

gli fece contrarre il muscolo e ricadde con la faccia sulla<br />

coperta. «Devo aver davvero bevuto un po’ troppo.» Il<br />

sapore amaro che sentiva in bocca e la lingua impastata<br />

avallavano la sua convinzione, ma non ricordava nulla della<br />

65


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

serata precedente: con chi fosse uscito, dove, o come avesse<br />

fatto a rientrare nel suo alloggio in quelle con<strong>di</strong>zioni...<br />

Certo, doveva davvero aver alzato troppo il gomito per non<br />

ricordare nulla.<br />

Al secondo tentativo si sollevò e riuscì a raggiungere la stanza<br />

da bagno. L’impatto fresco dell’acqua gettata sul viso a piene<br />

mani lo risvegliò, il dentifricio ammansì l’amarognolo fra<br />

le labbra e un sonoro gargarismo lo mise <strong>di</strong> buon umore. Si<br />

spogliò per mettere qualcosa <strong>di</strong> più comodo, aprì l’arma<strong>di</strong>o<br />

e prese il maglione kaki che indossò sopra un pantalone<br />

verde <strong>di</strong> velluto a coste larghe e nel riporre le ciabatte notò<br />

che le scarpe <strong>di</strong> vernice nera erano perfettamente al loro<br />

posto nel mobiletto. «Strano... ero talmente ubriaco da non<br />

essermi neppure svestito e aver dormito riverso sopra il letto,<br />

eppure ho riposto or<strong>di</strong>natamente le scarpe... qualcuno mi<br />

ha senz’altro accompagnato.»<br />

Come un flash vide per un attimo apparire fra le immagini<br />

della mente il volto <strong>di</strong> una ragazza, ma non fece a tempo a<br />

chiederle nulla che già era scomparsa dai suoi pensieri.<br />

Sul tavolo vicino al cestino del pane c’era un piattino con dei<br />

riccioli <strong>di</strong> burro e una scodellina <strong>di</strong> marmellata e un termos<br />

che profumava <strong>di</strong> caffè caldo, ma non ricordava <strong>di</strong> averlo<br />

preparato. «Forse mi ha riaccompagnato un amico e prima<br />

<strong>di</strong> andarsene ha fatto il caffè per quando mi fossi svegliato.»<br />

Versò il caffè nella tazza, aggiunse il latte e nell’attesa che<br />

66


L’appuntamento<br />

si raffreddasse imburrò due fette <strong>di</strong> pane tostato e aggiunse<br />

uno strato <strong>di</strong> marmellata <strong>di</strong> more, poi si sedette <strong>di</strong> fronte<br />

alla finestra e si gustò la colazione.<br />

Fuori resisteva ancora un sottile strato <strong>di</strong> nebbia che<br />

sembrava posata a pochi centimetri dal terreno, sempre<br />

più eterea, mentre la fioca luce del giorno invernale già si<br />

stava impadronendo dei profili magri degli alberi del parco:<br />

sembravano scheletri che marciavano svogliatamente sulla<br />

can<strong>di</strong>da superficie innevata.<br />

Quel pensiero lo catapultò <strong>di</strong> colpo nell’inverno <strong>di</strong><br />

Buchenwald: un brivido misto <strong>di</strong> freddo, fame e paura lo<br />

percorre mentre si trascina nella neve con i pochi compagni<br />

rimasti, attorno il silenzio ovattato del bosco rotto dal<br />

latrare dei cani, il grido <strong>di</strong> una donna, l’eco <strong>di</strong> uno sparo, il<br />

latrare dei cani che si allontana...<br />

Ormai erano passati anni, non sapeva neppure quanti, ma<br />

se strizzava gli occhi a fessura rivedeva quel tetro panorama,<br />

trecentosessantagra<strong>di</strong> <strong>di</strong> baracche, faggi, neve, neve, faggi,<br />

baracche, faggi, neve, neve, un camino, faggi... Poco sotto,<br />

forse tre o quattro chilometri, pulsava Weimar, piccola<br />

elegante città fucina e crocevia <strong>di</strong> talenti: Goethe, Schiller,<br />

Nietsche, Walter Gropius e la sua Bauhaus, tutti nomi che<br />

aveva conosciuto bene negli anni <strong>di</strong> gioventù, sognando sui<br />

libri <strong>di</strong> andare un giorno a visitare quei luoghi.<br />

67


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Senza un motivo né una colpa passò quattro calde ma<br />

piovose estati in quel bosco alla periferia <strong>di</strong> Weimar,<br />

cui seguirono quattro autunni durante i quali i faggi si<br />

infuocavano prima <strong>di</strong> inscheletrirsi facendo il verso a Laszlo<br />

e i suoi compagni; seguirono quattro interminabili inverni<br />

e, finalmente, la quarta <strong>di</strong> quelle primavere non riuscì a<br />

terminare a Buchenwald.<br />

Passò quattro anni alla periferia <strong>di</strong> Weimar, ma non la vide<br />

mai.<br />

Ora non ricordava quanti anni fossero trascorsi ma il<br />

ricordo era lì, vivido. Cercò <strong>di</strong> scacciarlo e appena ci riuscì<br />

sul suo volto riemersero le linee incerte <strong>di</strong> un malinconico<br />

sorriso.<br />

Guardò fuori dalla grande finestra, il parco innevato<br />

sembrava una soffice coperta ricamata <strong>di</strong> alberi e cespugli,<br />

ma non si vedeva anima viva. Lo percorse con lo sguardo<br />

dribblando gli arbusti fino al muro <strong>di</strong> cinta. Oltre il muro<br />

sentiva passare le prime auto, qualche voce, lo scorrere<br />

lento delle acque della Neva poco più in là.<br />

La giornata si presentava grigia, decise che non sarebbe<br />

uscito - magari più tar<strong>di</strong> - sorseggiò ancora del caffè e gli<br />

ripassò nella mente l’immagine <strong>di</strong> quella donna. Stavolta si<br />

fermò per qualche istante, il tempo <strong>di</strong> un sorriso: gli parve<br />

<strong>di</strong> ricordare <strong>di</strong> averla incontrata, <strong>di</strong> averle parlato. Vide i<br />

68


L’appuntamento<br />

suoi occhi chiari, <strong>di</strong> un azzurro cenerino, la pelle pallida, i<br />

capelli bion<strong>di</strong> a caschetto con la frangia che scendeva sulla<br />

fronte, le gote rosate e i denti bianchissimi fra labbra sottili<br />

ma ben <strong>di</strong>segnate. Pensò che forse l’aveva incontrata la sera<br />

prima, non riusciva a ricordare.<br />

Quell’ultima primavera arrivarono a Buchenwald dei ragazzi<br />

vestiti <strong>di</strong> grigio che fra <strong>di</strong> loro si chiamavano compagni, i<br />

faggi si erano da poco rivestiti, i cani avevano smesso <strong>di</strong><br />

latrare, i camini appena spenti impregnavano ancora l’aria.<br />

I compagni presero Laszlo e gli altri, li ripulirono, <strong>di</strong>edero<br />

loro da mangiare, e dopo qualche giorno li <strong>di</strong>visero.<br />

A lui <strong>di</strong>ssero che lo avrebbero riportato a casa, là da dove la<br />

sua famiglia era partita molti anni prima. Lo misero su un<br />

treno e viaggiò per tre giorni finché i binari affiancarono<br />

la Neva ed entrarono nella grande città. Era tornato a<br />

casa, ma non provava alcuna gioia, non c’era una famiglia<br />

ad accoglierlo, non aveva amici, qualcuno a volte quasi<br />

<strong>di</strong> nascosto gli si rivolgeva in yid<strong>di</strong>sh, ma per parlare coi<br />

compagni dovette imparare parole nuove, <strong>di</strong>fficili, e dai<br />

loro sguar<strong>di</strong> capì presto che era meglio <strong>di</strong>menticare le<br />

parole imparate da bambino.<br />

Nella grande città <strong>di</strong> notte si svegliava spesso sudato, con in<br />

testa il latrare dei cani, il grido <strong>di</strong> una donna, l’eco <strong>di</strong> uno<br />

sparo, e si sentiva circondato da baracche, faggi, neve, neve,<br />

69


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

faggi, baracche, faggi, neve, neve, un camino, faggi...<br />

L’unica cosa che lo faceva sentire a casa era la Neva: passava<br />

pomeriggi interi passeggiando lungo le sponde, con lo<br />

sguardo a terra in cerca <strong>di</strong> sassi piatti da far rimbalzare sulla<br />

superficie come faceva da piccolo, ma l’acqua <strong>di</strong> quand’era<br />

bambino era chiamata Oder.<br />

Non ricordava da quanto tempo fosse venuto a stare in<br />

quella specie <strong>di</strong> residence, gli sembrava <strong>di</strong> essere lì da sempre.<br />

Ma oggi sentiva che sarebbe stata una giornata <strong>di</strong>versa,<br />

straor<strong>di</strong>naria, aveva in testa quella ragazza, forse l’avrebbe<br />

rivista, le avrebbe parlato, magari si sarebbe scusato se la<br />

sera precedente si era ubriacato e l’avrebbe invitata a cena<br />

per farsi perdonare. Pian piano i ricor<strong>di</strong> ricominciarono<br />

ad affiorare, era certo <strong>di</strong> averle parlato, <strong>di</strong> averla vista altre<br />

volte, gli sembrò anche che lei fosse già stata a casa sua, in<br />

alcune immagini la vedeva muoversi sorridente nella sua<br />

stanza.<br />

Mentre la fantasia muoveva quei primi timi<strong>di</strong> passi le note<br />

del concerto per violino <strong>di</strong> Tchaikovsky riempivano l’aria.<br />

Adorava quello spartito ma lo rattristava. Si alzò per cambiare<br />

stazione ma il pomello della <strong>di</strong>ffusione era bloccato, in<br />

qualunque posizione lo girasse nella stanza continuavano<br />

ad aleggiare le stesse note. «Lo farò riparare» pensò, e si<br />

riaffacciò alla finestra. Intanto si stava avvicinando l’ora <strong>di</strong><br />

70


L’appuntamento<br />

pranzo e Laszlo decise <strong>di</strong> fare una doccia prima <strong>di</strong> uscire.<br />

Mentre era immerso nello scroscio dell’acqua e nei sui<br />

pensieri sentì dei rumori nella stanza, una voce maschile<br />

borbottò qualcosa a cui Laszlo non rispose. Pensò che fosse<br />

il suo compagno <strong>di</strong> alloggio, uno strano signore taciturno<br />

che vedeva poche volte: <strong>di</strong> solito lo incontrava al mattino,<br />

perché quello strano tipo aveva l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> radersi <strong>di</strong><br />

fronte a lui scimmiottandone i gesti, una cosa che all’inizio<br />

lo irritava ma col tempo ci aveva fatto l’abitu<strong>di</strong>ne. A volte<br />

scambiavano due parole, mai gran<strong>di</strong> conversazioni, così<br />

più spesso si guardavano in silenzio, e terminato <strong>di</strong> radersi<br />

quell’altro <strong>di</strong> solito se ne andava per tornare solo il mattino<br />

successivo.<br />

«Certo che mi è toccato un coinquilino singolare» pensò<br />

Laszlo uscendo dalla doccia.<br />

Nella stanza trovò invece il letto rifatto e un vassoio col<br />

pranzo caldo posato sul tavolo. Si ricordò che nel residence<br />

avevano un perfetto servizio agli alloggi e <strong>di</strong> cucina,<br />

probabilmente ieri aveva deciso <strong>di</strong> passare la giornata in<br />

casa e aveva richiesto il servizio in camera... non se lo<br />

ricordava ma doveva essere senz’altro così. Sollevò il primo<br />

coperchio e il profumo del bortsch caldo invase la stanza<br />

contendendo gli spazi alle note <strong>di</strong> Tchaikovsky. Sotto il<br />

secondo coperchio trovò delle polpette cosparse <strong>di</strong> aneto,<br />

un’insalata <strong>di</strong> cetrioli e del pane. C’era anche già il vassoio<br />

71


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

per la cena con un piatto freddo <strong>di</strong> aringhe marinate e<br />

patate con panna acida e prezzemolo, che mise da parte.<br />

Versò l’acqua dalla caraffa e si sedette a mangiare finché la<br />

zuppa era calda, vi spezzò qualche pezzo <strong>di</strong> pane e masticò<br />

piano, seguendo con lo sguardo i primi fiocchi can<strong>di</strong><strong>di</strong> che<br />

cominciavano a scendere al <strong>di</strong> là della finestra.<br />

Cercò <strong>di</strong> focalizzare la memoria sulla sera precedente ma<br />

non gli riusciva proprio <strong>di</strong> ricordare, poi gli riapparve la<br />

ragazza, quasi riflessa sulla trasparenza del vetro, attraversata<br />

dai fiocchi che cadevano sempre più copiosi. Ora ne vedeva<br />

altri particolari... piccole lentiggini chiare le impreziosivano<br />

il naso dandole un’aria da bambina; la figura era snella<br />

e regolare con i fianchi sottili, i tratti erano gentili e si<br />

muoveva con sicurezza ed eleganza. Portava una camicetta<br />

azzurrina <strong>di</strong> cui solo gli ultimi due bottoni erano lasciati<br />

aperti, le maniche corte col risvolto lasciavano scoperte le<br />

braccia esili e can<strong>di</strong>de; stretta in vita portava una gonna<br />

bianca con la salopette e delle gran<strong>di</strong> tasche che le copriva<br />

le gambe fin sotto al ginocchio; un piccolo copricapo<br />

bianco che non le nascondeva i capelli, calze chiare. Aveva<br />

un’aria molto femminile, quasi ammiccante; cercò <strong>di</strong> darle<br />

un’età... fra i venticinque e i trenta, forse trentadue anni,<br />

non sapeva, il viso da bimba ingannava un po’ ma i mo<strong>di</strong><br />

erano <strong>di</strong> donna.<br />

Senza rendersene conto Laszlo strizzò gli occhi per<br />

72


L’appuntamento<br />

focalizzare meglio quella figura che era nella sua mente...<br />

si ricordò che portava qualcosa appuntato alla camicetta,<br />

proprio sul seno, fece uno sforzo e vide una targhetta... un<br />

nome... Olga...<br />

Olga! Ma certo! Come aveva fatto e non ricordarsene? Non<br />

era uscito con lei la sera prima, era la ragazza che lavorava al<br />

residence! Passava da lui tutte le mattine prestissimo... forse<br />

era incaricata <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire la corrispondenza. Se era cosi<br />

quella mattina lui non le aveva sicuramente aperto, e chissà<br />

lei cosa aveva pensato. Forse che avesse passato la notte<br />

fuori, o magari che avesse portato una donna nell’alloggio<br />

e non volesse aprire, o forse aveva indovinato che era si era<br />

ubriacato...<br />

Olga... gli si scaldava l’animo al solo pensiero <strong>di</strong> lei. La<br />

vedeva ogni mattina eppure non aveva mai avuto il coraggio<br />

<strong>di</strong> rivolgerle la parola, che sciocco. Certo, in confronto a<br />

lui era davvero quasi una bambina, vent’anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza,<br />

forse <strong>di</strong> più, ma era certo che fosse il tipo <strong>di</strong> ragazza che<br />

non si trovava a suo agio con i giovani della sua età:<br />

ragazzi superficiali, senza passioni né interessi che vadano<br />

oltre la wodka e il sesso. Lui avrebbe saputo corteggiarla,<br />

proteggerla, prendersi cura <strong>di</strong> lei, riempirle le giornate <strong>di</strong><br />

<strong>racconti</strong>, viaggi, concerti; avrebbero avuto dei bambini<br />

meravigliosi, intelligenti e curiosi della vita, e li avrebbero<br />

visti crescere assieme...<br />

73


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

L’ultimo cucchiaio <strong>di</strong> bortsch lo riportò alla realtà. Si rese<br />

conto che aveva volato davvero un po’ troppo lontano, e<br />

troppo in fretta, eppure... Decise che il giorno successivo<br />

avrebbe trovato il coraggio <strong>di</strong> parlarle, <strong>di</strong> chiederle <strong>di</strong> uscire,<br />

conoscersi, forse le avrebbe ad<strong>di</strong>rittura esternato i propri<br />

sentimenti. Una nuova euforia si impadronì <strong>di</strong> lui, perfino<br />

le polpette gli parvero più gustose, e decise <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care<br />

il pomeriggio a programmare l’incontro della mattina<br />

successiva con Olga.<br />

Dopopranzo i rumori che filtravano attraverso la grande<br />

finestra cambiarono: la Neva si fece silenziosa sotto il<br />

manto nevoso e alle auto che si sentivano scorrere al <strong>di</strong><br />

là del muro <strong>di</strong> cinta si aggiunsero le grida <strong>di</strong> ragazzi e<br />

bambini che giocavano nella neve. Laszlo stette immobile<br />

a lungo a guardare fuori, a volte sopra il muro il panorama<br />

era solcato dalla traiettoria balistica <strong>di</strong> una palla <strong>di</strong> neve,<br />

qualche “proiettile” cadeva anche al <strong>di</strong> qua del muro, e<br />

allora si sentivano risate e grida: «Chissà se ne hai colpito<br />

uno! Ah Ah, poveri scemi!!»<br />

Al <strong>di</strong> qua del muro solo un vecchio era uscito nella nevicata,<br />

avvolto nel suo cappotto liso, e vagava fra gli alberi parlando<br />

da solo, a volte rivolgendosi a questo o quell’arbusto ora<br />

con mo<strong>di</strong> gentili, come a chiedere una cortesia, ora a<strong>di</strong>rato,<br />

come se un ramo spoglio potesse avergli fatto un torto.<br />

La musica continuava a <strong>di</strong>ffondersi nella stanza, ora<br />

74


L’appuntamento<br />

l’aria era pervasa dalle note della Danza dei Cavalieri <strong>di</strong><br />

Prokofiev, che conferivano un non so che <strong>di</strong> solenne<br />

drammaticità ai fiocchi che scendevano danzando, per<br />

poi posarsi al suolo proprio mentre il ritmo incalzante si<br />

fermava per trasformarsi in un delicato movimento pervaso<br />

<strong>di</strong> serenità: «La colonna sonora perfetta per questa scena!»<br />

pensò Laszlo senza staccare il naso dal vetro. Fu sorpreso<br />

da tanta sincronia quando la musica riprese a crescere <strong>di</strong><br />

intensità e il vecchio riprese, quasi nello stesso istante, a<br />

inveire gesticolando contro una betulla il cui unico torto<br />

era <strong>di</strong> essere nata anni prima dove lui oggi aveva deciso <strong>di</strong><br />

voler passare. L’agitazione dell’uomo crebbe fino al punto<br />

<strong>di</strong> strapparsi <strong>di</strong> dosso il cappotto e gettarlo contro l’albero,<br />

che non reagì. Dopo pochi minuti arrivarono due ragazzi<br />

piuttosto robusti che recuperarono il cappotto dai rami,<br />

ricoprirono il vecchio e lo portarono con sé, scomparendo<br />

oltre la cornice della finestra.<br />

Laszlo decise che per l’appuntamento dell’indomani doveva<br />

presentarsi al meglio, ma cosa avrebbe potuto rispondere<br />

se lei avesse chiesto dove fosse stamane? Dirle la verità<br />

confessando <strong>di</strong> essersi ubriacato e non ricordare nulla?<br />

Pessima idea. Inventare una scusa, sì, ma quale? Ma certo!<br />

Ciò che era successo nella mattinata era la soluzione! Mentre<br />

faceva la doccia erano passati e rifare la stanza e portare il<br />

pranzo, ma lui non aveva sentito il campanello! Si sarebbe<br />

75


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

scusato con Olga <strong>di</strong>cendo <strong>di</strong> essere stato senz’altro sotto la<br />

doccia quando lei aveva suonato, e <strong>di</strong> non averla potuta<br />

sentire. Sì, quella era la versione migliore, cre<strong>di</strong>bile, avrebbe<br />

detto così, in fondo era davvero una bugia piccola...<br />

Oltre il muro stavano cominciando a illuminarsi i lampioni:<br />

in quella stagione nella grande città il sole non saliva mai<br />

oltre l’orizzonte ma nelle ore centrali la luce era più che<br />

sufficiente. Già nel pomeriggio però calava come in un<br />

lento crepuscolo, e le luci si riaccendevano presto.<br />

Presentarsi al meglio all’indomani! L’eccitazione per l’attesa<br />

e i timore <strong>di</strong> non riuscire neppure stavolta a <strong>di</strong>rle quello che<br />

provava si mescolavano nei pensieri, cominciò a guardarsi<br />

attorno per scegliere i vestiti. Non ne aveva poi molti, e le<br />

cose più eleganti erano proprio quelle che aveva indossato<br />

per uscire la sera precedente: la camicia chiara, il completo<br />

blu gessato sottile, il papillon pervinca e le scarpe <strong>di</strong> vernice<br />

nera... Li ispezionò e si accorse con una certa sorpresa che,<br />

nonostante la serata festaiola, non puzzavano né <strong>di</strong> alcool né<br />

<strong>di</strong> fumo, una vera fortuna, anzi, sembravano decisamente<br />

puliti, come appena messi e tolti, solo la stiratura non<br />

era impeccabile. Laszlo posò con cura i pantaloni su una<br />

se<strong>di</strong>a, durante la notte avrebbero fatto a tempo a prendere<br />

un po’ <strong>di</strong> piega, fece altrettanto con la camicia chiara che<br />

76


L’appuntamento<br />

trovò posto su una gruccia, la giacca avrebbe invece avuto<br />

bisogno del ferro da stiro e così Laszlo pensò <strong>di</strong> uscire in<br />

cerca <strong>di</strong> una tintoria, ce ne sarà pure stata una lì vicino.<br />

Infilò il cappotto <strong>di</strong> lana e afferrò la maniglia della porta<br />

per uscire, ma la porta non si aprì. Si frugò nelle tasche<br />

in cerca delle chiavi senza fortuna, le cercò nella stanza,<br />

guardò in bagno, entrando intravide il suo compagno <strong>di</strong><br />

stanza al quale chiese se le avesse viste o prese lui, ma quello<br />

neppure gli rispose e se ne andò. Pensò che siccome la sera<br />

prima lo avevano <strong>di</strong> certo dovuto riaccompagnare, chi lo<br />

aveva fatto le avesse prese sovrappensiero e chiuso la porta<br />

uscendo. O forse quelli del servizio in camera non si erano<br />

accorti che era sotto la doccia quando avevano portato<br />

il pranzo e pensando fosse uscito avevano consegnato le<br />

chiavi al portiere. Si rassegnò ad aspettare, prima o poi<br />

gliele avrebbero riportate, stava facendo buio e uscire per<br />

farsi stirare la giacca non era una grande idea, si sarebbe<br />

bagnata sotto la nevicata. La mise con cura su un’altra<br />

se<strong>di</strong>a, tirò fuori dal mobiletto le scarpe <strong>di</strong> vernice nera e le<br />

posò a terra sotto la giacca, non senza averle prima passate<br />

con la manica del maglione.<br />

Si sedette a leggere <strong>di</strong> fianco alla finestra ormai scura.<br />

Fuori si vedevano scendere i fiocchi sotto i coni gialli dei<br />

lampioni, e si intuiva solo la sagoma bianca delle betulle,<br />

mentre gli altri alberi erano scomparsi nel buio assieme alle<br />

77


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

grida dei ragazzi che non giocavano più. Chissà se al <strong>di</strong> la<br />

del muro avevano lasciato <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a un pupazzo <strong>di</strong> neve.<br />

Lesse una ventina <strong>di</strong> pagine alla luce della piccola abat-jour,<br />

poi la fame gli fece ricordare che aveva la cena fredda pronta.<br />

Accese la luce e chiuse le tende della finestra, prese le aringhe<br />

e le patate, si versò l’acqua e cenò senza <strong>di</strong>stogliere per un<br />

attimo il pensiero dall’attesa per l’indomani mattina.<br />

Per essere in forma decise <strong>di</strong> coricarsi presto, lei sarebbe<br />

arrivata prima dell’alba, doveva alzarsi almeno alle 5,30<br />

per avere il tempo <strong>di</strong> fare una doccia, sbarbarsi con cura e<br />

vestirsi. Solo in quel momento si rese conto che era chiuso<br />

dentro e non era ancora passato nessuno a riportargli le<br />

chiavi: come avrebbe fatto ad aprirle? Provò a chiamare<br />

avvicinandosi alla porta ma fuori c’era solo silenzio. Beh...<br />

probabilmente avrebbe dovuto chiedere proprio a Olga <strong>di</strong><br />

andare in portineria a recuperare le chiavi quando fosse<br />

arrivata, magari l’avrebbe presa in ridere e sarebbe stato un<br />

modo per rompere il ghiaccio... perché no?<br />

L’idea gli parve in fondo buona, era senz’altro una ragazza<br />

spiritosa, e se avesse chiesto come mai era successo poteva<br />

sempre dare la colpa a quelli del servizio!<br />

Si sdraiò sul letto e prese a fissare il soffitto. Si sorprese<br />

a osservare la sua stanza come fosse la prima volta: non<br />

ricordava <strong>di</strong> aver fatto caso che le pareti fossero cosi spoglie,<br />

non c’era neppure un quadro, una stampa, un calendario;<br />

78


L’appuntamento<br />

solo un appen<strong>di</strong>abiti vicino all’ingresso e qualche scrostatura<br />

nell’intonaco interrompevano la monotonia del bianco.<br />

La porta era <strong>di</strong> legno chiaro, mentre quella del bagno era<br />

<strong>di</strong>pinta a evidenti pennellate color crema. Avrebbe chiesto<br />

a Olga <strong>di</strong> accompagnarlo a scegliere qualche quadro per<br />

dare un po’ <strong>di</strong> allegria, lei lo avrebbe senz’altro apprezzato<br />

ed era un modo meno impegnativo per chiederle <strong>di</strong> uscire<br />

una prima volta, poi avrebbero fatto tar<strong>di</strong> e lui l’avrebbe<br />

invitata e cena fuori, perfetto!<br />

Aprì gli occhi qualche minuto prima delle 5,30, scostò<br />

appena le tende, fuori la notte dominava ancora, i lampioni<br />

erano accesi uno sì e due no a quell’ora, me nei pochi coni<br />

gialli <strong>di</strong> luce poteva vedere che non aveva mai smesso <strong>di</strong><br />

nevicare.<br />

Stette sotto il getto della doccia un po’ più a lungo per<br />

rilassarsi, quin<strong>di</strong> si fece la barba e fu infasti<strong>di</strong>to nel vedere<br />

il suo compagno <strong>di</strong> alloggio che anche quella mattina era<br />

lì. Non gli rivolse neppure la parola, si rasero assieme come<br />

<strong>di</strong> consueto, poi per fortuna quello se ne andò. Laszlo uscì<br />

dal bagno si vestì: la camicia chiara, i pantaloni che aveva<br />

rimesso in piega, il papillon pervinca, la giacca gessata<br />

sottile, le scarpe <strong>di</strong> vernice nera...<br />

D’un tratto la musica riprese a <strong>di</strong>ffondersi nella stanza. Si<br />

sedette sul letto in attesa <strong>di</strong> sentire i passi <strong>di</strong> lei nel corridoio,<br />

ma si rialzò subito per non stropicciare i pantaloni, anzi,<br />

79


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

riassettò anche il letto alla meglio perché la stanza fosse<br />

più in or<strong>di</strong>ne. Pensò <strong>di</strong> prepararle del caffè ma si rese conto<br />

solo in quel momento <strong>di</strong> non avere caffè, né tazze, né un<br />

pentolino, neppure un fornelletto... «Che strano» pensò.<br />

Riconobbe le note del Bolero <strong>di</strong> Ravel: la cadenza quasi<br />

ossessiva sembrava scan<strong>di</strong>re il ritmo dell’attesa e non fece<br />

che aumentare la sua ansia. Quasi sperava che lei non venisse<br />

per il timore <strong>di</strong> risultare ri<strong>di</strong>colo, quando sentì i passi nel<br />

corridoio ed ebbe un tonfo al cuore. Si avvicinò alla porta,<br />

sistemò il papillon e la giacca. Stava per <strong>di</strong>re «Buongiorno<br />

signorina, dovrebbe usarmi una cortesia, vada in portineria<br />

a prendere le chiavi, devono aver chiuso per sbaglio ieri...»<br />

ma prima che potesse parlare sentì la chiave infilarsi nella<br />

toppa e la porta si aprì.<br />

Dal corridoio filtrarono dei neon asettici, Laszlo non<br />

guardò neppure fuori, la porta si richiuse e lei accese la luce<br />

nella stanza.<br />

«Buongiorno compagno Laszlo Morgenshtern, sempre<br />

elegante <strong>di</strong> buon’ora eh? Le ho portato la colazione!»<br />

Olga entrò col suo sorriso: sorrideva con gli occhi e quello<br />

sguardo gli entrò dentro. Lei posò la colazione sul tavolo<br />

e si avviò a passi sicuri verso la finestra, scostando appena<br />

le tende. «Guar<strong>di</strong> che bella nevicata! Fra poco sarà chiaro,<br />

dormito bene?»<br />

Laszlo restò sorpreso per le chiavi ma pensò che forse il<br />

80


L’appuntamento<br />

portiere gliele avesse date per portargliele vedendola<br />

arrivare; raccolse il coraggio e si fermò in pie<strong>di</strong> davanti a<br />

lei. Era esattamente come l’aveva immaginata il giorno<br />

prima: la camicia azzurra, la gonna bianca stretta in vita<br />

con la salopette, lo strano copricapo, i capelli bion<strong>di</strong> che<br />

le incorniciavano il viso, le lentiggini sulla pelle pallida e il<br />

sorriso <strong>di</strong>sarmante.<br />

«Signorina Olga» <strong>di</strong>sse afferrandole delicatamente i fianchi,<br />

«Le devo confessare...»<br />

Lei fece mezzo passo in<strong>di</strong>etro e gli tolse con delicatezza le<br />

mani dai fianchi, ma non lo interruppe.<br />

«Le devo confessare, sperando che non si offenda e non mi<br />

capisca male, che stanotte l’ho sognata...»<br />

«Oh signor Laszlo, ancora? Se continua così prima o poi mi<br />

farà arrossire!» Disse la ragazza senza smettere <strong>di</strong> sorridere e<br />

guardarlo negli occhi.<br />

Senza capirne il motivo quel <strong>di</strong>alogo prese per lui i contorni<br />

sfocati <strong>di</strong> un déjà-vu, restò sorpreso ma si fece coraggio<br />

e continuò: «Io... io credo <strong>di</strong> essermi innamorato <strong>di</strong> lei,<br />

non si offenda... vorrei... poter uscire... con lei... conoscerci<br />

meglio, portarla a cena magari... guar<strong>di</strong>, guar<strong>di</strong> che pareti<br />

vuote, vorrei uscire più tar<strong>di</strong> ad acquistare dei quadri, posso<br />

sperare che vorrà accompagnarmi?»<br />

«Ma certo compagno Morgenshtern, perché no? Ora però<br />

prenda la sua me<strong>di</strong>cina, più tar<strong>di</strong> verrò da lei e usciremo<br />

81


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

assieme, è contento?» Mentre rispondeva gli girava le spalle,<br />

aveva tolto dalla grande tasca della gonna una scatolina <strong>di</strong><br />

metallo cromato e stava armeggiando con qualcosa.<br />

Lui le si avvicinò e le posò delicatamente una mano<br />

sulla spalla, emozionato, incredulo, smarrito... «Quale<br />

me<strong>di</strong>cina?»<br />

Olga si girò verso <strong>di</strong> lui con la consueta gentilezza: «Su<br />

signor Laszlo, faccia il bravo, lo sa che le devo fare la sua<br />

iniezione.»<br />

Per un attimo la memoria fu chiara: chinò il capo come aveva<br />

imparato a Buchenwald, gli occhi gli si rigonfiarono e senza<br />

neppure sollevare lo sguardo Laszlo porse l’avambraccio<br />

destro. Olga sorrideva, lui avrebbe voluto <strong>di</strong>rle mille cose<br />

ma appena l’ago fu fuori la testa girò, una nebbia scura lo<br />

avvolse e sentì le mani della ragazza sorreggerlo mentre si<br />

accasciava sopra il letto.<br />

Nel silenzio dell’alba Olga gli sfilò le scarpe <strong>di</strong> vernice nera,<br />

le ripose nell’arma<strong>di</strong>etto e gli infilò le ciabatte, poi aprì le<br />

tende della finestra che dava sul parco, ancora avvolto nella<br />

nebbia, e uscì nel bianco corridoio richiudendo a chiave<br />

alle sue spalle la porta della numero 33.<br />

Laszlo si svegliò lentamente, un sapore amaro gli impastava<br />

la lingua, sentiva la testa pesante e uno strano ronzio che<br />

non avrebbe saputo <strong>di</strong>re se venisse da fuori, da dentro la<br />

82


L’appuntamento<br />

stanza o da dentro sé. Aprì gli occhi e si accorse <strong>di</strong> essersi<br />

addormentato vestito e senza neppure richiudere le tende<br />

della finestra che dava sul parco, dalla luce che filtrava rosea<br />

capì che doveva essere poco dopo l’ora dell’alba: un nuovo<br />

giorno stava iniziando...<br />

83


L’appuntamento<br />

CONCeTTA<br />

<strong>di</strong> Ketty Chiarelli<br />

Non sono riuscita a versare una lacrima…<br />

-Nonna è morta!-<br />

La notizia mi ha raggiunto per telefono, la voce <strong>di</strong> mio<br />

padre incrinata dall’emozione intensa e, come sempre, una<br />

nota <strong>di</strong> ottimismo nei suoi pensieri.<br />

-Non ha sofferto, ha chiuso gli occhi e si è addormentata<br />

dopo aver detto: oggi è l’ultimo giorno della mia vita-.<br />

Degno <strong>di</strong> lei, ho pensato. Eppure il mio sentimento non<br />

era dolore, ma ammirazione per quella donna che a 98 anni<br />

riesce a morire con calma, con forza, con <strong>di</strong>gnità mista solo<br />

ad un pizzico <strong>di</strong> autocompiacimento.<br />

Imme<strong>di</strong>atamente mi sommerge il senso <strong>di</strong> colpa: insomma,<br />

muore mia nonna ed io riesco solo a pensare che si è auto<br />

compiaciuta nel morire così compostamente.<br />

Una morte apparentemente silenziosa che ha scosso molti<br />

veli, rotto molti equilibri…<br />

…Concetta, ha il mio stesso nome non gliel’ho mai<br />

perdonato!<br />

Per colpa sua sono stata segnata a vita col marchio delle<br />

Due Sicilie.<br />

Ovunque vada il mio nome odora <strong>di</strong> ginestre sicule e,<br />

85


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

tuttalpiù ad alcuni evoca il ragù domenicale gustato<br />

all’ombra <strong>di</strong> lenzuola bianche stese ad asciugare sotto il sole<br />

<strong>di</strong> Napoli.<br />

È stata lei ad infliggermi questa pena… Concetta, un nome<br />

che io non so portare.<br />

Ci vuole coraggio, personalità e carattere per sopportarlo.<br />

Lei aveva tutto questo. A lei stava benissimo, sembrava<br />

scolpito su quei capelli bianchi e perfetti, su quelle rare<br />

rughe che segnavano il viso eternamente liscio, su quella<br />

schiena che mai, mai in vita mia, ho visto concedersi alla<br />

spalliera <strong>di</strong> una se<strong>di</strong>a, men che mai ad una poltrona!<br />

Come si fa ad amarla? Nonna Concetta si teme, si rispetta,<br />

si ammira, si imita…<br />

Non si ama.<br />

Eppure deve esserci stato un centro vulnerabile, un nucleo<br />

molle e delicato intorno al quale si è stratificata quest’opera<br />

mirabile <strong>di</strong> granito, inscalfibile ed eterna.<br />

Bisogna andare lontano nello spazio e nel tempo.<br />

Sicuramente in Sicilia, sicuramente il secolo scorso.<br />

Era la terza <strong>di</strong> quattro figlie, era nata a Castrofilippo ed era<br />

il 1896.<br />

Il padre era stato fuori tutta la notte con i compari,<br />

aspettando l’evento, temendo l’evento.<br />

86


L’appuntamento<br />

Erano le quattro del mattino del 19 gennaio, era buio,<br />

aveva bevuto e non voleva tornare a casa perché sapeva cosa<br />

lo aspettava.<br />

L’aveva intuito dal profilo arrotondato del ventre della<br />

moglie, dai suoi occhi bassi e sfuggenti quando le aveva<br />

detto :<br />

- Non me la devi dare un’altra umiliazione!-<br />

-È nata, è nata, è una bella picciridda- l’accolse la Santuzza,<br />

cercando <strong>di</strong> mostrarsi allegra.<br />

La madre, stesa sul letto, annuiva e piangeva mentre la porta<br />

a vetri smerigliati deformava la figura scura del marito e si<br />

faceva attraversare da una frase<br />

-Non la voglio vedere!-<br />

Queste furono le sue prime ore <strong>di</strong> vita.<br />

Poi il ritmo lento e severo dei giorni cominciò a scan<strong>di</strong>re<br />

i mesi e poi gli anni in quella sonnolenta citta<strong>di</strong>na dove i<br />

ruoli erano fissi. Le classi erano ancora più fisse.<br />

Don Luigi Cataldo aveva sicuramente una buona posizione,<br />

una bella casa, il commercio dell’olio, da cui traeva<br />

notevoli guadagni, nobilitato dal matrimonio con Donna<br />

Sarina Cordopatri, ottima famiglia, una delle migliori <strong>di</strong><br />

Agrigento, ragazza ben educata che sapeva suonare perfino<br />

il piano. Unico <strong>di</strong>fetto: sapeva fare soltanto femmine!<br />

Ne aveva fatte tre, in cinque anni: Mariannina, Giovanna<br />

e ora Concetta, e ogni volta prometteva -La prossima volta<br />

87


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

sarà un maschio-.<br />

Le femmine sono fonte <strong>di</strong> spese e <strong>di</strong> preoccupazioni,<br />

bisogna vestirle, nutrirle e soprattutto sorvegliarle . Non<br />

c’è niente <strong>di</strong> peggio al mondo <strong>di</strong> una casa con una femmina<br />

<strong>di</strong>sonorata.<br />

Eppure i primi anni in quella grande casa furono felici. I<br />

suoi ricor<strong>di</strong> sono immersi in una luce bianca, dorata, quella<br />

che penetrava dalle finestre attraverso le tende <strong>di</strong> pizzo e si<br />

rifletteva sui capelli delle sorelle, bion<strong>di</strong>ssime, sulla pelle<br />

della madre, bianca come il latte, e seguiva i suoi movimenti<br />

lenti e docili, sottomessi.<br />

Era un mondo <strong>di</strong> donne: la cuoca, le cameriere con i ventri<br />

e i seni prosperosi compressi dai busti e i grembiuloni<br />

bianchi con le tasche rigonfie dove si potevano immergere<br />

le manine avide e pescare sempre qualcosa <strong>di</strong> dolce.<br />

C’erano sempre dolci in quella casa, come in tutte le case<br />

dei ricchi: i can<strong>di</strong>ti, le cassate, i cannoli e le glasse sono solo<br />

sulla tavola <strong>di</strong> chi se li può permettere e la voracità con cui<br />

Don Luigi li mangiava denunciava la scarsa assuefazione<br />

agli agi, il <strong>di</strong>sprezzo per quelli che stanno sotto, il terrore,<br />

anzi l’incubo, che tutto quello che aveva costruito potesse<br />

<strong>di</strong>ssolversi in una bolla si sapone.<br />

In questo mondo <strong>di</strong> bionde e rosee matrone, Concetta era<br />

come una macchia scura.<br />

I capelli nero corvino, con riflessi blu, risplendevano come<br />

88


L’appuntamento<br />

il peccato in quelle stanze.<br />

La pelle olivastra resisteva ad ogni vigoroso trattamento e le<br />

dava un’aria da popolana, da “scugnizza”, mentre la madre<br />

e le sorelle erano madonne normanne al suo confronto, e,<br />

nell’epoca in cui il grasso era bello e l’opulenza si misurava<br />

in chili, Concetta era magra come un chiodo, nevrile e agile<br />

come una puledra, un vero <strong>di</strong>sonore…<br />

-Dovete darle da mangiare a quella figlia!- si u<strong>di</strong>va<br />

continuamente<br />

-Pare peggio della serva dei Lavari- urlava il padre quando<br />

la vedeva e <strong>di</strong>stoglieva gli occhi.<br />

-Non è solo femmina ma anche nera come ‘nà zingara e<br />

nervosa come ‘nà gatta.-<br />

Fino a che gli anni glielo permisero, Concetta affondava<br />

il viso nel petto della madre e si calmava subito. Conservò<br />

sempre in un angolo della sua memoria quell’odore: un<br />

misto <strong>di</strong> buono, <strong>di</strong> cipria e <strong>di</strong> sudore, qualcosa da cui<br />

attingere forza e riposare.<br />

La madre l’accarezzava e taceva, era triste per quella figlia<br />

strana, così scura, così <strong>di</strong>versa dalle altre; sapeva che per il<br />

marito quella bambina era la rievocazione delle sue origini<br />

un po’ nebulose, un po’ arabe, un po’ more. Intanto era<br />

preoccupata perché sentiva qualcosa dentro <strong>di</strong> sé, una<br />

strana ma ben nota eccitazione, sapeva <strong>di</strong> essere <strong>di</strong> nuovo<br />

incinta ed aveva paura <strong>di</strong> sbagliare ancora…<br />

89


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Calogera Cataldo venne alla luce a mezzo giorno, quando il<br />

sole a picco rendeva incandescente Castelfilippo.<br />

Si <strong>di</strong>ce che urlò vigorosamente e poi sorrise.<br />

Fin dal primo momento che la vide, suo padre fu preso da<br />

una timorosa devozione.<br />

Mentre tutti i neonati erano brutti e sgraziati, Calogera<br />

(subito detta Lilla) era bellissima con il viso già modellato,<br />

le labbra piene, pronte al riso, la figura ben proporzionata.<br />

E quando crebbe, fu sempre meglio…<br />

Mi ricorderò sempre nonna Concetta, seduta dritta sulla<br />

se<strong>di</strong>a, nella penombra dei pomeriggi in cui, da bambina<br />

ero costretta a soggiornare da lei, rispondere brevemente<br />

alla tempesta <strong>di</strong> domande che le facevo.<br />

-Com’era la Sicilia?-<br />

-Quanti corteggiatori avevi?-<br />

-Nonna eri bella?-<br />

-Mia sorella Lilla, lei si che era bella! Con quel bel vestito<br />

verde, quando andavamo a messa, oh com’era bella!-<br />

Ed io l’ho sempre vista quella piazza assolata, quasi che dalla<br />

sua testa bianca si riversasse nella mia testolina dalle trecce<br />

brune, un flusso <strong>di</strong> luce abbagliante: il sole <strong>di</strong> mezzodì che<br />

picchiava su quel gruppetto <strong>di</strong> persone <strong>di</strong>rette a messa.<br />

Le vedevo benissimo: la madre con le sue quattro figlie<br />

e <strong>di</strong>etro il padre che si fermava, con altri uomini, fuori<br />

90


L’appuntamento<br />

dalla chiesa a fumare e a chiacchierare. La <strong>di</strong>sposizione del<br />

gruppo familiare non era casuale, tutti raccolti intorno ad<br />

un fulcro, ad un fiore da proteggere, troppo bello per essere<br />

guastato dagli sguar<strong>di</strong> insistenti della gente.<br />

Lilla avanzava leggera, stretta nell’abito verde <strong>di</strong> seta,<br />

bion<strong>di</strong>ssima, felice e ridente abituata agli sguar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

approvazione, alla devozione del padre, all’amore<br />

incon<strong>di</strong>zionato della madre, alla remissione delle sorelle.<br />

Era la regina, tutti qui altri erano stati creati per servirla.<br />

La prima tempesta arrivò, preve<strong>di</strong>bile come la morte, il<br />

giorno in cui Concetta finì la scuola dell’obbligo. Le lezioni,<br />

seppur impartite a casa una vecchia insegnante, con poche<br />

compagne del suo stesso ceto, erano il raggio <strong>di</strong> sole della<br />

sua esistenza. Era capace <strong>di</strong> concentrarsi ed entrare con la<br />

mente nel libro <strong>di</strong> geografia e <strong>di</strong> sentirsi materialmente lì, in<br />

quei paesi lontani e bellissimi. Imparava tutto con facilità,<br />

leggeva voracemente ed era felice in quelle ore.<br />

-No! Assolutamente no!- urlava il padre -Ha già fatto la<br />

scuola, che le serve <strong>di</strong> più?- continuava - Già sarà <strong>di</strong>fficile<br />

trovarle un marito così com’è, figuriamoci se va ad<br />

Agrigento a stu<strong>di</strong>are. Se non <strong>di</strong>venta una puttana, zitella<br />

sarà <strong>di</strong> sicuro!-.<br />

-Ma è così brava! È un peccato non farla continuare, lo<br />

<strong>di</strong>ce anche la sua maestra che è la miglior alunna che ha<br />

avuto!-<br />

91


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

-Già Donna Marietta, una zitella senza un soldo! Così vuoi<br />

vedere tua figlia, senza marito, andare <strong>di</strong> casa in casa ad<br />

insegnare alle figlie degli altri?-<br />

-Ma è così brava...- supplicava la madre rassegnata.<br />

-È brava anche a ricamare, Don Ciccio <strong>di</strong>ce che ha fatto<br />

la tovaglia più bella che sia mai stata messa sull’altare...<br />

Falla ricamare, falla andare in chiesa...può darsi che si fa<br />

monaca.<br />

E così Concetta passò due anni a ricamare, era bravissima,<br />

le permisero perfino <strong>di</strong> usare il filo d’oro, per ornare<br />

il vestito del prete nelle cerimonie solenni era un onore<br />

concesso a poche. Finalmente anche Lilla finì la scuola. Una<br />

sera, durante la cena, Lilla interruppe il silenzio generale<br />

rivolgendosi <strong>di</strong>rettamente al padre :<br />

- Avevo pensato che sarebbe stata una bella cosa andare ad<br />

Agrigento, io e Concetta,<br />

Giuseppe ci può accompagnare col carro e poi ci porta a<br />

casa.<br />

Silenzio generale. La tensione si poteva tagliare a fette. La<br />

madre già muoveva le labbra in un silenzioso rosario che<br />

doveva convincere i santi a blan<strong>di</strong>re le ire del marito.<br />

Natuzza rifugiata in cucina con le mani sulle orecchie in<br />

attesa...<br />

-Ma chi te le ha messe queste cose in testa, tua sorella?-<br />

Urlò il padre un po’ frastornato<br />

92


L’appuntamento<br />

- No, certo che no! Vossia sa che adesso tutte le ragazze per<br />

bene continuano gli stu<strong>di</strong>. Anche le marchesine Torrano<br />

vanno con la carrozza ad Agrigento- <strong>di</strong>sse <strong>di</strong>sinvolta e<br />

sorridente, guardando suo padre con quei gran<strong>di</strong> occhi<br />

blu.<br />

Una settimana dopo Giuseppe era pronto a partire alle sette<br />

col carro buono davanti alla porta...e così per altri tre anni<br />

fino al giorno del <strong>di</strong>ploma.<br />

Lo presero tutt’e due lo stesso giorno.<br />

Concetta ebbe lo stesso voto, pur essendo molto più brava,<br />

ma non le importava, si stringeva al petto la pergamena<br />

arrotolata. Fu il più bel giorno della sua vita! Della sua vita<br />

passata e <strong>di</strong> quella futura.<br />

La seconda tempesta arrivò due mesi dopo, nessuno se ne<br />

accorse, eppure fu l’appuntamento che cambiò il corso<br />

della sua vita...<br />

Arrivò col piroscafo dall’America, era giovane, bello,<br />

impomatato e tanto, tanto ricco.<br />

Era Don Antonio Spina, nato a New York da emigrati<br />

siciliani <strong>di</strong>venuti smisuratamente ricchi grazie al<br />

commercio <strong>di</strong> liquori e a quella meravigliosa legge chiamata<br />

proibizionismo che aveva spinto milioni <strong>di</strong> americani a<br />

desiderare l’alcool più <strong>di</strong> ogni altra cosa.<br />

La felicità era in un bicchiere whiskey e gli Spina fornivano<br />

questa felicità tentando però <strong>di</strong> non farsi rovinare dagli<br />

93


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

idoli americani, coltivando tra le mura domestiche una<br />

Sicilia ancora più intensa e più viva <strong>di</strong> quella reale.<br />

Lo scopo del viaggio in Sicilia <strong>di</strong> Don Antonio, quell’estate,<br />

a 27 anni, era ovviamente quello <strong>di</strong> cogliere il vivaio<br />

naturale rappresentato dalla madrepatria, il fiore più bello,<br />

garantito e sicuro, coltivato con ogni cura e trasportato<br />

nella serra artificiale rappresentata dall’appartamento <strong>di</strong><br />

New York, dove si sarebbe conservato per anni, dando alla<br />

luce prodotti autentici e <strong>di</strong> marca.<br />

La magia dell’appuntamento imminente ammantava la<br />

casa che vibrava <strong>di</strong> agitazione, l’argenteria scintillava come<br />

non mai sulle consolle <strong>di</strong> mogano scuro tirate a lucido.<br />

Le crestine delle cameriere erano perfettamente stirate<br />

e sembravano avere vita autonoma tanto erano rigide e<br />

impettite.<br />

Circondate dal brusio e dall’agitazione generale, le ragazze<br />

Cataldo ricamavano a testa china nella grande stanza.<br />

Mai una giornata fu tanto poco produttiva! I punti<br />

erano approssimativi e mal fatti e le labbra sempre in<br />

movimento:<br />

-Ma verrà a cena o dopo?-<br />

-Prima, naturalmente, non è conveniente che venga a<br />

buio-<br />

-Verrà a prendere un rosolio <strong>di</strong> dolci...-<br />

-Ci saremo tutte?-<br />

94


L’appuntamento<br />

-E lo potremo finalmente vedere l’americano?-<br />

-Basta ragazze, pensate a ricamare!- continuava a<br />

rimproverare Donna Sarina, che dal canto suo, non<br />

riusciva a decidersi se il pizzo della tovaglia doveva toccare<br />

il pavimento o rimanere <strong>di</strong>eci centimetri più in alto. Come<br />

si userà in America?<br />

Finalmente la porta d’ingresso sbatté ed entrò Don Luigi.<br />

-Alle sei scendete tutte in salotto e... vestitevi bene...-<br />

Stava tormentandosi i baffi, torcendoli e tirandoli verso il<br />

basso, segno <strong>di</strong> grande eccitazione!<br />

Il brusio e lo stato in cui lasciarono le camere dopo aver<br />

provato innumerevoli vestiti, sono facili da immaginare,<br />

le ragioni profonde del cuore con cui affrontavano questo<br />

momento tanto atteso erano <strong>di</strong>verse per osnuma <strong>di</strong><br />

loro: Marianna si avvicinava alla soglia dei 20 anni, età<br />

considerevole, e cominciava ad avvertire quel senso <strong>di</strong><br />

panico, quel ticchettio, quel conto alla rovescia; Giovanna<br />

era calma e razionale, sapeva che era la migliore nel suo<br />

campo, era capace <strong>di</strong> far andare avanti bene una casa, in<br />

Sicilia, in America, dappertutto.<br />

Concetta era furiosa e irritata, le sembrava un mercato, una<br />

fiera.<br />

Perché tutti si agitavano tanto per quest’appuntamento?<br />

Perché doveva mostrarsi? Tanto era comunque la più<br />

brutta, e chi era questo sconosciuto, quest’Americano che<br />

95


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

doveva cambiare<br />

il corso delle loro vite?<br />

Lilla era la più tranquilla, provò solo il vestito verde,<br />

sorridendo con calma, era sicura <strong>di</strong> vincere.<br />

Entrarono in fila, quattro cuori che battevano all’impazzata,<br />

quattro bocche che si sforzavano a sorridere.<br />

Vennero presentate con le rispettive qualità, lo<strong>di</strong> e doti. Fu<br />

tutto completamente inutile.<br />

Un solo istante era bastato per fare la scelta.<br />

Don Antonio tolse tranquillamente il <strong>di</strong>to dal panciotto,<br />

scrollò la cenere dal sigaro con l’altra mano punto l’in<strong>di</strong>ce<br />

....<br />

-Quella-<br />

Appena entrata nella stanza, Concetta percepì il tempo<br />

come <strong>di</strong>latato e i confini delle immagini sfumati, quello<br />

che vedeva era un uomo bruno, che le sembrò bellissimo.<br />

Qualcosa si sciolse nel suo petto, le gambe <strong>di</strong>ventavano<br />

molli. Impiegò esattamente cinque secon<strong>di</strong> per innamorarsi<br />

perdutamente dell’Americano e a provare una gioia<br />

intensissima e leggera.Sentiva la testa vuota e i rimbombi<br />

del suo cuore che batteva.<br />

Era felice.<br />

Vagamente si accorse che l’Americano, l’oggetto del suo<br />

amore, si era mosso, aveva cambiato posizione, aveva alzato<br />

la mano. Seguì la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> quell’in<strong>di</strong>ce e tutta la gioia le<br />

96


L’appuntamento<br />

si trasformò in rabbia. Chiuse gli occhi e vide nero.<br />

Ovviamente!! Come aveva fatto a dubitare solo per un<br />

momento che sua sorella Lilla sarebbe stata la prescelta?<br />

Provò rabbia contro quell’inutile messa in scena, rabbia<br />

contro i suoi, contro l’Americano, contro sua sorella che<br />

sorrideva tranquilla e soprattutto rabbia contro se stessa,<br />

così stupida<br />

che si era lasciata ingannare.<br />

-Mai più, giuro, non deve succedere mai più-<br />

Lilla partì tre mesi dopo, col piroscafo successivo, a <strong>di</strong>spetto<br />

<strong>di</strong> tutte le convenienze la signorina Cataldo viaggiava<br />

sola, a 16 anni, con il fidanzato per un Continente<br />

sconosciuto andando incontroad una vita nuova, ricca ed<br />

emozionante.<br />

I dollari <strong>di</strong> Don Antonio avevano il potere <strong>di</strong> ammorbi<strong>di</strong>re<br />

i rigi<strong>di</strong> ingranaggi della convenienza.<br />

Concetta aveva saputo <strong>di</strong> un posto libero come maestra in<br />

un paesino della Lucania.<br />

Aveva scritto e l’avevano accettata. Ovviamente era una cosa<br />

sconveniente, una signorina solo, in un paese sconosciuto.<br />

Si aspettava una trage<strong>di</strong>a in casa invece ci fu un gelido out<br />

- out : -Se parti non torni più-<br />

Partì all’alba del 20 agosto, con un caldo soffocante.<br />

Era domenica e Giuseppe l’accompagno alla stazione<br />

<strong>di</strong>subbidendo agli or<strong>di</strong>ni, gli era simpatica la signorina; così<br />

97


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

fu l’unico a vedere la singola lacrima subito scacciatadal<br />

dorso della mano magra.<br />

Quel che accadde dopo è un po’ nebuloso. Nessuno l’ha<br />

mai raccontato con chiarezza e anche Nonna Concetta è<br />

stata sempre vaga su quegli anni. Quello che so è che arrivò<br />

a Mezzana, un paesino <strong>di</strong> montagna sul versante del Pollino<br />

e dovette fare non poca impressione: una siciliana così<br />

giovane che viaggiava sola! Prese alloggio da una vedova e<br />

ricoprì il ruolo <strong>di</strong> maestra, lasciato vacante due anni<br />

prima.<br />

Per quarant’anni fu “la Maestra” e ancor’oggi se vado lì<br />

mi basta <strong>di</strong>re che sono la nipote della “Maestra” per farmi<br />

aprire tutte le porte, nonostante la schiera <strong>di</strong> maestre che si<br />

sono succedute dopo che lei se ne era andata.<br />

Ha insegnato a generazioni <strong>di</strong> bambini, mettendo da parte<br />

tutto il suo stipen<strong>di</strong>o e vivendo con le lezioni serali fatte ai<br />

figli dei conta<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong> pastori che non potevano frequentare<br />

la scuola la pagavano con un po’ <strong>di</strong> latte, formaggio,<br />

verdura.......<br />

Sposò il farmacista del paese, ebbe cinque figli <strong>di</strong> fila e<br />

quando l’ultimo aveva due anni, il marito morì <strong>di</strong> tifo<br />

lasciandola <strong>di</strong> nuovo donna sola e vulnerabile.<br />

La famiglia del marito le rubò tutta l’ere<strong>di</strong>ta donandole in<br />

cambio la possibilità <strong>di</strong> vivere otto la sua ala protettrice.<br />

Era una vedova rispettabile. Aveva solo 29 anni!<br />

98


L’appuntamento<br />

Penso che a questo punto ogni anno che passava non abbia<br />

fatto altro che stratificarsi come i cerchi <strong>di</strong> un albero intorno<br />

al suo essere, per costruire quella corazza conteneva tutta la<br />

sua forza, la sua volontà, il suo orgoglio.<br />

Concetta volle che tutti i suoi figli andassero all’università,<br />

che <strong>di</strong>ventassero dei professionisti, rispettabili, intanto lei<br />

accu<strong>di</strong>va alle generazioni che passavano senza un lamento.<br />

Quando fu l’ora <strong>di</strong> andare in pensione, si trasferì alla<br />

villa vicino al mare con una figlia farmacista, che aveva<br />

cullato dei progetti monastici, ovviamente abbandonati<br />

perché considerati delle sciocchezze. Io sono figlia del suo<br />

terzogenito, quello <strong>di</strong>scolo,la pecora nera della famiglia.<br />

Discontinuo nello stu<strong>di</strong>o e giu<strong>di</strong>cato meno brillante degli<br />

altri.<br />

In quella famiglia tremendamente meritocratica, mio padre<br />

era una nullità.<br />

Per tutta la mia vita ho mostrato le mie pagelle, i miei bei<br />

voti alla nonna che seriamente annuiva. Il mio successo<br />

scolastico avrebbe dovuto riscattare,almeno in parte, le<br />

marachelle <strong>di</strong> mio padre.<br />

I miei trenta lode all’Università saranno serviti a saldare<br />

questo debito? Non l’ho mai saputo.<br />

Lui l’ha sempre amata e ha speso tutta la sua vita, spesso<br />

utilizzando la nostra per un suo cenno, per una sua parola<br />

<strong>di</strong> approvazione.<br />

99


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Adesso è morta.<br />

Il gesto non è arrivato.<br />

Lui non può più <strong>di</strong>mostrarle niente.<br />

Io sono qui, che non so piangere, ho tanta pena, ma devo<br />

raccogliere un’ere<strong>di</strong>tà, un patrimonio che, mio malgrado,<br />

mi appartiene, duro, aspro, <strong>di</strong>fficile da portare come il suo<br />

nome : Concetta<br />

100


L’appuntamento<br />

APPUNTAMeNTO AL CAFFÈ DegLI SPeCCHI<br />

<strong>di</strong> Miriam Kornfeind<br />

Ci avevi pensato e ripensato, girato e rigirato intorno.<br />

Ti eri chiesta perché lo volevi fare, che senso potesse avere,<br />

quali conseguenze. Piena <strong>di</strong> dubbi e <strong>di</strong> angoscia avevi<br />

rinunciato all’idea.<br />

Poi, a Natale, quel regalo era stato davvero troppo.<br />

Insopportabile vederglielo sfoggiare al polso con<br />

<strong>di</strong>sinvoltura.<br />

Così l’idea ti era tornata in testa come un boomerang, e<br />

aveva viaggiato, viaggiato… tornando sempre al punto <strong>di</strong><br />

partenza.<br />

Lo avresti sopportato? Lui lo sarebbe venuto a sapere?<br />

L’avrebbe vissuta come un’indebita ingerenza nella sua “vita<br />

privata”? ti eri chiesta, ponendoti anche altre inquietanti<br />

domande.<br />

Ad un certo punto, chiarite a te stessa le tue intenzioni e<br />

le tue ragioni, avevi deciso: le avresti chiesto un incontro<br />

chiarificatore, avresti parlato a quattr’occhi con lei, con<br />

l’”altra”.<br />

Dopo aver fatto un respiro profondo ti eri messa a cercare il<br />

suo numero sull’elenco. Quin<strong>di</strong> eri rimasta per una buona<br />

mezz’ora impalata davanti al telefono, incapace <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitare<br />

101


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

il numero del suo ufficio.<br />

Intanto i bambini stavano dormendo. E c’era un silenzio<br />

pesante nella casa solitamente piena <strong>di</strong> voci e <strong>di</strong> rumori.<br />

Tu sentivi un gran freddo nelle ossa mentre dei brivi<strong>di</strong> ti<br />

correvano lungo la schiena, pur stando seduta accanto al<br />

termosifone acceso.<br />

Finalmente eri riuscita a comporre il numero. Il passaggio<br />

per il centralino era stato breve. Subito la sua voce, ferma:<br />

“Pronto, sono Mara, con chi parlo?”<br />

“Ciao, sono la moglie <strong>di</strong> Pietro, scusa se ti <strong>di</strong>sturbo in<br />

ufficio…” le avevi detto, respirando a fatica. Lei – sorpresa<br />

ma per niente imbarazzata – ti aveva restituito alcune<br />

parole con voce sicura, e senza incertezze aveva accettato <strong>di</strong><br />

incontrarti, il pomeriggio del giorno seguente.<br />

Posato il ricevitore, all’improvviso ti era piombato addosso<br />

un incre<strong>di</strong>bile senso <strong>di</strong> stanchezza e ti eri sentita invadere<br />

da un’insopportabile vampata <strong>di</strong> calore.<br />

Ti tremavano le mani, e ti pareva <strong>di</strong> non riuscire a tenere il<br />

corpo fermo in qualche posto.<br />

Per fortuna nel frattempo si erano svegliati i bambini, ignari<br />

dei tuoi pensieri, allegri, esigenti e sicuri del loro <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

succhiarti tutta, ripensamenti e paure compresi.<br />

La notte era stata insonne, ma non molto più insonne <strong>di</strong><br />

quelle precedenti. Non eri riuscita a dormire nonostante la<br />

102


L’appuntamento<br />

pastiglia e lui – cosa insolita – ti aveva fatto compagnia in<br />

cucina, tormentato da suoi pensieri e dalla prospettiva <strong>di</strong><br />

un importante appuntamento <strong>di</strong> lavoro.<br />

Al mattino ti eri alzata presto e avevi cercato <strong>di</strong> impegnare<br />

ogni minuto con parole, gesti, cose da fare, per trascinare il<br />

tempo fino all’ora dell’appuntamento.<br />

Quanto ci avevi pensato. Avevi la sensazione che la testa<br />

potesse scoppiarti da un momento all’altro.<br />

L’avevi già vista una volta, quella donna, in primavera,<br />

subito dopo che lui ti aveva confessato <strong>di</strong> “provare qualcosa”<br />

per lei. Il giorno dopo la notizia ti eri precipitata nel suo<br />

ufficio in preda ad un’angoscia irrazionale e incontrollabile.<br />

Volevi solo vederla e guardarla in faccia.<br />

L’avevi vista infatti, dentro una grande confusione, in<br />

mezzo a tante altre persone impegnate in un brin<strong>di</strong>si <strong>di</strong><br />

compleanno. Le avevi anche stretto la mano balbettando<br />

delle stupide parole sul tempo infame e sui figli che<br />

crescono, e le avevi lasciato sulla scrivania dell’ufficio come<br />

messaggio (<strong>di</strong> che cosa poi?) un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Rebecca, la tua<br />

primogenita.<br />

Era stato un momento assurdo, <strong>di</strong>sperato.<br />

Poi non te l’eri ricordata più, la tua mente l’aveva cancellata.<br />

Non ricordavi più la sua figura, non ricordavi più i contorni<br />

e i tratti del suo viso, se portava i capelli lunghi o corti, <strong>di</strong><br />

103


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

che colore fossero, se aveva un seno importante oppure no.<br />

Non ricordavi niente.<br />

Solo il ronzio che avevi nella testa, e le labbra secche, e la<br />

sensazione <strong>di</strong> essere fuori posto, e il peso <strong>di</strong> tanti sguar<strong>di</strong><br />

estranei e ostili, e – forse – dell’ironia.<br />

Ti ricordavi la pioggia sulla strada del ritorno: tanta,<br />

fitta, sottile, che correva sui vetri della tua macchina e si<br />

confondeva alle lacrime che non riuscivi a fermare.<br />

Ti ricordavi le tue grida, il dolore insopportabile, la rabbia.<br />

Ma la sua faccia no, non te la ricordavi.<br />

Neanche nei sogni l’avevi più rivista. Cancellata. Sparita.<br />

Non c’era più.<br />

Però nella vostra storia lei c’era, e tu lo sapevi. Oh… niente<br />

<strong>di</strong> importante, niente <strong>di</strong> grave.<br />

Non una passione travolgente – almeno a sentire lui – solo<br />

un’amicizia, un’intima affinità un rapporto <strong>di</strong> confidenza<br />

tra colleghi.<br />

Però lui era cambiato. Faceva, <strong>di</strong>ceva, pensava cose <strong>di</strong>verse<br />

da prima. Ascoltava altra musica, indossava altri abiti,<br />

frequentava altre persone, percorreva altre strade.<br />

Soprattutto dava altri e <strong>di</strong>versi significati alle parole.<br />

E parlava <strong>di</strong> altri mon<strong>di</strong>. Diceva <strong>di</strong> voler sfidare la morte, <strong>di</strong><br />

voler giocare con la vita.<br />

E non giocava più con i bambini. E non raccontava più<br />

104


L’appuntamento<br />

loro quelle storie fantastiche che sapeva inventare. E non ti<br />

accarezzava come faceva un tempo, con dolcezza. E i suoi<br />

occhi erano pieni <strong>di</strong> nuove luci e <strong>di</strong> nuovi colori, ma non<br />

ridevano più.<br />

Tu qualche volta a letto pensavi <strong>di</strong> dormire accanto a uno<br />

sconosciuto, qualche volta accanto a un nemico. Provavi<br />

tristezza e rabbia. Cercavi risposte.<br />

Provavi a tornare in<strong>di</strong>etro, a scavare nella memoria in cerca<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi, <strong>di</strong> cause, <strong>di</strong> eventi rivelatori.<br />

A volte ti prendeva una specie <strong>di</strong> febbre e ti ritrovavi a<br />

frugare nelle tasche dei suoi vestiti, tra le carte dei suoi<br />

cassetti, per poi piangere <strong>di</strong>speratamente vergognandoti<br />

della tua bassezza, dei tuoi sospetti, della tua sfiducia.<br />

Non volevi quella sofferenza. Non volevi lui così <strong>di</strong>verso.<br />

Non volevi capire.<br />

Normale, volevi che tutto ritornasse normale: tu, lui, il<br />

vostro rapporto. Volevi essere felice come prima. Volevi che<br />

anche lui tornasse felice come prima.<br />

Forse intuivi che qui stava l’imbroglio, ma allora non lo<br />

riconoscevi.<br />

E intanto il tempo passava. Passavano i mesi. Era arrivata<br />

l’estate, c’era stata la vacanza al mare, voi due con i bambini,<br />

tu e lui, tu sola, lui solo, <strong>di</strong>speratamente solo, pur con te e<br />

i bambini: un incubo.<br />

Ed era arrivato l’autunno, la ripresa per te del lavoro, la<br />

105


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

pioggia. C’erano state tante parole e tante lacrime tra voi, e<br />

tanti abbracci, e tante notti insonni. Tu inghiottivi pastiglie<br />

per dormire e lui, che si rifiutava <strong>di</strong> prenderle, ascoltava per<br />

ore musica con le cuffiette solo fisicamente accanto a te e al<br />

tuo sonno artificiale.<br />

Pregavi preghiere senza senso e non trovavi un posto<br />

per Dio, nella tua storia. E lui – innamorato da sempre<br />

dell’Altissimo – coglieva ogni pretesto per bestemmiare il<br />

suo nome.<br />

Così era arrivato il Natale. Ed era arrivato lui, una sera,<br />

con addosso un orologio nuovo, regalo <strong>di</strong> lei. E tu non ci<br />

avevi visto più, anzi avevi visto un turbinio <strong>di</strong> puntini rossi<br />

e neri, il sangue ti era salito alla testa e gli occhi ti si erano<br />

riempiti <strong>di</strong> lacrime. Sentivi la tua faccia dura come pietra e<br />

le gambe molli come cera.<br />

Non era stato un gran Natale.<br />

In alcuni momenti vi eravate parlati, chiariti, abbracciati,<br />

quasi ritrovati. Ma tutti e due vi sentivate terribilmente<br />

stanchi.<br />

Forse era stata proprio la stanchezza a farti decidere. Ti<br />

sentivi senza forze, senza idee, senza risposte, senza luce,<br />

solo piena <strong>di</strong> interrogativi e schiacciata da un’opprimente<br />

sensazione <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> vuoto.<br />

Ad un certo punto ti era sembrato <strong>di</strong> non avere niente da<br />

perdere da un incontro con lei, né <strong>di</strong> rubare qualcosa a<br />

106


L’appuntamento<br />

lui.<br />

Le avresti chiesto soltanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>rti che cosa ci fosse tra loro<br />

due, <strong>di</strong> aiutarti a capire, <strong>di</strong> invitarti anche a farti da parte se<br />

era questo che, infine, entrambi volevano.<br />

Così è arrivato il pomeriggio tanto atteso, quello<br />

dell’appuntamento in piazza dell’Unità, davanti allo storico<br />

Caffè.<br />

Pensi che non la riconoscerai. Non sai se lei ti riconoscerà,<br />

poichè nel momento del vostro unico e fugace incontro tu<br />

avevi i capelli lunghi e bion<strong>di</strong> mentre ora li hai castani e<br />

corti.<br />

Ci hai messo un bel po’ <strong>di</strong> tempo per vestirti. Dopo molti<br />

attimi <strong>di</strong> indecisione hai indossato dei pantaloni scuri ed<br />

un maglione a dolcevita rosa. Ti sei annerita gli occhi con<br />

il kajal e hai steso un velo <strong>di</strong> rossetto sulle labbra, tanto per<br />

mascherare le tracce <strong>di</strong> una notte insonne.<br />

Hai aspettato un’amica, all’oscuro della situazione, alla<br />

quale avevi chiesto il piacere <strong>di</strong> tenerti per un paio d’ore i<br />

bambini e sei uscita, rigida come un automa, con le labbra<br />

secche.<br />

Salita sull’autobus, già non sai più che cosa stai facendo.<br />

Vai ad incontrare chi? Una sconosciuta, un’estranea, una<br />

che non ha niente a che fare con te, con la tua vita. Cosa le<br />

<strong>di</strong>rai? Come vi saluterete?<br />

107


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Sei talmente concentrata sui tuoi pensieri che passi la tua<br />

fermata. Scen<strong>di</strong> in fretta e vieni investita dall’abbraccio<br />

gelido della Bora. Tutto sommato sei contenta <strong>di</strong> dover<br />

camminare un po’. Entri in una tabaccheria e ti compri<br />

un pacchetto <strong>di</strong> gomme americane. Ne infili subito una in<br />

bocca, per assicurarti un po’ <strong>di</strong> saliva, e ti scappa un sorriso.<br />

Avevi utilizzato questo stratagemma, per riuscire a parlare<br />

nonostante l’emozione, anche all’esame <strong>di</strong> maturità. Quella<br />

volta il presidente della commissione ti aveva chiesto <strong>di</strong><br />

sputarla perché “era maleducazione” e tu imbarazzata avevi<br />

dovuto spiegargli…<br />

Cammini, guar<strong>di</strong> le facce della gente. Pensi con stupore,<br />

quasi rassicurata, che nessuno oltre a te sa dove stai<br />

andando. Hai la sensazione che nessuno ti veda e che, nello<br />

stesso tempo, tutti ti stiano guardando. Ti senti grossa e<br />

pesante come un elefante, ma anche piccola, insignificante,<br />

leggera, quasi senza peso.<br />

Non sei nessuno, tra la gente. Aspetti il tempo. Guar<strong>di</strong><br />

qualche vetrina. Arrivi davanti al Caffè degli Specchi all’ora<br />

esatta dell’appuntamento.<br />

Lei c’è già, non puoi sbagliarti. È lì, sola, avvolta nel grigio<br />

<strong>di</strong> questa giornata <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre.<br />

Ti avvicini, priva <strong>di</strong> sensazioni. Anche lei si muove. Vi<br />

salutate guardandovi <strong>di</strong> sfuggita e muovendo appena le<br />

labbra. Entrate veloci nel Caffè deserto delle prime ore del<br />

108


L’appuntamento<br />

pomeriggio.<br />

Scegliete un tavolino verso il fondo della sala e vi accomodate<br />

su delle poltroncine.<br />

La senti così amica, quella poltroncina, in pelle color avorio<br />

e i braccioli alti. Ti ci sistemi come in un rifugio.<br />

Lei subito ti <strong>di</strong>ce qualcosa a proposito del regalo <strong>di</strong> Natale<br />

e si scusa per averglielo fatto, per non aver pensato che<br />

avresti potuto prenderla male…<br />

Tu la guar<strong>di</strong>. La guar<strong>di</strong> e finalmente la ve<strong>di</strong>, per la prima<br />

volta. Ha i capelli chiari, lunghi fino alle spalle, e gli occhi<br />

marrone scuro, ti sembra. Ha un viso ovale, dai tratti dolci e<br />

sicuri, essenziali, senza trucco. Indossa una giacca <strong>di</strong> panno<br />

marrone e intorno al collo porta un foulard a tinte calde,<br />

intonate alla giacca. Ti dà un’impressione <strong>di</strong> semplicità<br />

raffinata, attenta ai particolari.<br />

Ti accorgi che è tesa, forse più <strong>di</strong> te, e che ha una voce calda<br />

e suadente, molto meno aggressiva <strong>di</strong> come ti era parsa al<br />

telefono.<br />

Ti invita, in qualche modo, ad incominciare la conversazione.<br />

Tu le spieghi – con un fasti<strong>di</strong>oso ronzio dentro le orecchie<br />

– che hai voluto incontrarla per chiederle <strong>di</strong> aiutarti a<br />

capire.<br />

Le parole ti pesano.<br />

Un cameriere si avvicina, interrompendo una penosa pausa<br />

<strong>di</strong> silenzio, per prendere le or<strong>di</strong>nazioni.<br />

109


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Il tuo stomaco, vuoto da ieri, è stretto come un pugno.<br />

Non sai che cosa or<strong>di</strong>nare, non vorresti niente. Alla fine<br />

chie<strong>di</strong> una tazza <strong>di</strong> tè, lei or<strong>di</strong>na un’acqua tonica.<br />

Poi incomincia a parlare, con tono rassicurante. Le parole<br />

le escono dalla bocca senza <strong>di</strong>fficoltà: belle, piene, perfette.<br />

La ascolti e capisci che non ne ha paura, che le usa con<br />

precisione, con scioltezza. Ogni frase è chiara, esprime<br />

esattamente quello che il suo cervello pensa.<br />

Ti racconta <strong>di</strong> lei e del tuo uomo. Minimizza. Riconosce <strong>di</strong><br />

volergli molto bene.<br />

“Ma chi non gliene vuole, in ufficio?” si chiede e ti chiede.<br />

Poi aggiunge, materna: “Del resto tu lo conosci…”<br />

Non sai se ti convince davvero, quel tono ovattato, però<br />

come darle torto? Sai benissimo <strong>di</strong> aver sposato un uomo<br />

fuori dal comune, intelligente e sensibile, capace soprattutto<br />

<strong>di</strong> ascoltare, <strong>di</strong>sponibile e generoso.<br />

Lei continua a parlare e tu continui ad ascoltarla pensando<br />

al tuo uomo e cerchi <strong>di</strong> capire com’è fatta veramente, se<br />

è sincera, chi è. Hai l’impressione che anche lei ti stia<br />

stu<strong>di</strong>ando e che eviti con cura i buchi <strong>di</strong> silenzio. Sembra<br />

sincera e realmente preoccupata per te, per le tue reazioni.<br />

Ti versi il tè, che è acqua perché ti sei <strong>di</strong>menticata <strong>di</strong> mettere<br />

la bustina nella teiera. Lei se ne accorge e te la infila nella<br />

tazza. In altre circostanze vi sareste messe a ridere.. Ma<br />

rimanete serie e il gesto della <strong>di</strong>menticanza e quello della<br />

110


L’appuntamento<br />

cortesia vi appaiono solenni.<br />

Lei continua a parlare e nello stesso tempo hai l’impressione<br />

che anche ti ascolti, frugandoti dentro con i suoi occhi scuri.<br />

Accavalla le gambe con un gesto morbido, senza civetteria.<br />

Ogni tanto con la mano si scosta i capelli dalla fronte. Tu<br />

sei sempre impalata dentro la tua poltroncina, nella stessa<br />

posizione <strong>di</strong> quando ti sei seduta, e ogni minimo movimento<br />

ti appare incre<strong>di</strong>bilmente faticoso, impossibile.<br />

Percepisci, al <strong>di</strong> là dei gesti, il suo <strong>di</strong>sagio. Lei sente – ne sei<br />

certa – la tua sofferenza.<br />

Le <strong>di</strong>ci qualcosa, in una pausa delle sue parole, a proposito<br />

<strong>di</strong> te e <strong>di</strong> lui, della fatica che fate a incontrarvi e a capirvi in<br />

questi mesi. E subito ti penti <strong>di</strong> averle confidato una cosa<br />

così tua. Ma lei non ne approfitta per frugare o per ferirti.<br />

Ti parla <strong>di</strong> sé, della sua famiglia, del marito. Ti confida<br />

che vorrebbe mettere una bomba sotto all’università, dove<br />

lui lavora, per tutte le umiliazioni e le frustrazioni che in<br />

questi anni ha dovuto subire. Ti <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> averlo sposato a<br />

trent’anni, dopo un lungo fidanzamento, e <strong>di</strong> averlo sposato<br />

in municipio, contro il parere dei suoi. Fa un cenno, breve<br />

e fugace, alla sofferenza <strong>di</strong> lui, che ha le stesse ragioni della<br />

tua.<br />

Ti parla dei suoi due figli, piccoli come i tuoi. Ti piace stare<br />

ad ascoltarla. Mentre lei racconta ti investono delle ondate<br />

<strong>di</strong> calore. Che strana situazione stai vivendo. Ti sembra <strong>di</strong><br />

111


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

aver sbagliato posto, <strong>di</strong> non dover essere tu a stare seduta lì,<br />

in quella poltroncina. Ti sembra che lei non sia veramente<br />

lei, la donna che in questi mesi ha rubato il tempo, i sorrisi,<br />

le parole e le carezze che ti spettavano, e che tu non sia<br />

davvero tu, quella <strong>di</strong> prima.<br />

“Qualche volta succedono delle cose tra le persone, perché<br />

si è stanchi, perché ci si sente soli, perché si sta insieme<br />

tante ore sul posto <strong>di</strong> lavoro… ma questo non vuol <strong>di</strong>re<br />

niente – ti <strong>di</strong>ce con la voce bassa – non vuol <strong>di</strong>re che si<br />

rinnega la propria storia, che si rinnegano le scelte, gli<br />

affetti importanti…” Sta a vedere che adesso mi consola,<br />

pensi. “Non farti tante domande. Non voler spiegare tutto.<br />

Cre<strong>di</strong> che per lui sei molto importante.” aggiunge.<br />

La sensazione <strong>di</strong> caldo non ti lascia, anzi si accentua. Ma<br />

chi è questa donna? Cosa sa <strong>di</strong> te e <strong>di</strong> lui? Parla, parla<br />

ancora, senza prendere fiato. Quanti anni avrà? Quaranta?<br />

Poco meno? Una manciata più dei tuoi. Ma tu te ne senti<br />

addosso e sul viso almeno cento, <strong>di</strong> anni, inchiodata come<br />

sei sulla poltroncina.<br />

Ora la senti pronunciare parole che lui continuamente ti<br />

<strong>di</strong>ce, usare espressioni che in questi mesi il tuo uomo ti<br />

ha portato a casa. Parla del bisogno <strong>di</strong> essere se stessi, <strong>di</strong><br />

non sentirsi proprietà <strong>di</strong> nessuno, <strong>di</strong> scegliere gli amici tra<br />

quelli con cui si ha un sentire comune. Dice <strong>di</strong> non volere<br />

relazioni superficiali, <strong>di</strong> non volere relazioni non vere, non<br />

112


L’appuntamento<br />

profonde.<br />

Dentro <strong>di</strong> te le dai ragione, ma nello stesso tempo stai<br />

malissimo perché ti chie<strong>di</strong> se sta parlando <strong>di</strong> sé, per sé, o sta<br />

parlando <strong>di</strong> lui, per lui. Usa un linguaggio forte, dalle tinte<br />

vivaci, con numerosi cambi <strong>di</strong> tonalità. Sei incantata dalle<br />

sue parole. Parla dell’importanza <strong>di</strong> essere uomo, <strong>di</strong> essere<br />

donna, delle <strong>di</strong>fferenze. Muove le mani. Parla ancora dei<br />

figli, dei suoi figli. Ti confida le <strong>di</strong>fficoltà incontrate con la<br />

sua prima figlia (la quale, guarda il caso, ha lo stesso nome<br />

della tua bambina) che alla nascita del fratellino, in preda<br />

a terribili crisi <strong>di</strong> gelosia, le gridava, con la crudeltà che<br />

talvolta solo i bambini sanno <strong>di</strong>mostrare: “Va via, mamma,<br />

che non mi servi più”. Tu sorri<strong>di</strong> e pensi alla tua Rebecca<br />

che qualche sera fa, dopo aver ricevuto un “no”, ti aveva<br />

detto secca secca: “Allora quando sarai vecchia non ti darò<br />

da mangiare”.<br />

Pensi a quell’episo<strong>di</strong>o ma non glielo <strong>racconti</strong>: non ti<br />

vengono alle labbra le parole. Sei troppo presa da lei.<br />

Quanto ti sembra bella questa donna, viva, viscerale, colta,<br />

piena <strong>di</strong> passione.<br />

“Non sarebbe meglio rinunciare ai sol<strong>di</strong> e al lavoro e stare<br />

a casa, goderci i bambini, occuparci dei nostri uomini?” ti<br />

chiede e si chiede mentre tu la guar<strong>di</strong> e pensi che non lo<br />

farebbe mai, che mai si sognerebbe <strong>di</strong> buttare alle ortiche<br />

una laurea e una carriera, che non lo vorrebbe davvero.<br />

113


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Però, probabilmente, vorrebbe volerlo, vorrebbe poterlo<br />

fare.<br />

Si contrad<strong>di</strong>ce ma è sincera, senti che le sue parole sono<br />

vere.<br />

A un tratto ti sembra <strong>di</strong> uscire da te stessa: stai lì e ti guar<strong>di</strong>,<br />

ti guar<strong>di</strong> e guar<strong>di</strong> lei. E ti chie<strong>di</strong>, quasi senza rancore, senza<br />

antipatia, solo con un grande dolore, come abbia potuto<br />

lui rimanere con te dopo aver incontrato lei, così adeguata,<br />

così perfetta, così “in guerra con la vita”, come piace essere<br />

a lui.<br />

Pensi che forse, in tutti questi mesi, lei lo abbia capito e<br />

amato molto più <strong>di</strong> te.<br />

Ti senti confusa. Vorresti ringraziarla, ma il pensiero ti<br />

sembra francamente i<strong>di</strong>ota. Hai una gran voglia <strong>di</strong> piangere<br />

ma ti trattieni: non piangeresti mai davanti a lei.<br />

Quasi contemporaneamente guardate l’orologio. Avete<br />

trascorso insieme poco meno <strong>di</strong> due ore: per te un tempo<br />

senza tempo. Hai l’impressione <strong>di</strong> essere in quel Caffè da<br />

un’eternità e da un attimo. Non le hai detto che poche<br />

parole. Lei forse ancora non ha capito perché hai voluto<br />

incontrarla.<br />

Vi alzate. Lei è più svelta <strong>di</strong> te a rincorrere il cameriere e a<br />

pagare il conto.<br />

Uscite assieme, avvolte da una fitta nebbiolina che sale dal<br />

114


L’appuntamento<br />

mare. Percorrete un tratto <strong>di</strong> strada camminando fianco a<br />

fianco, chiacchierando ora del più e del meno.<br />

Vi fermate all’angolo della via Roma, per <strong>di</strong>vidervi. Tu<br />

pensi <strong>di</strong> riprendere l’autobus per tornare a casa, lei deve fare<br />

degli acquisti in centro. Al momento <strong>di</strong> salutarla le ten<strong>di</strong><br />

la mano con la precisa intenzione <strong>di</strong> tenerla a <strong>di</strong>stanza.<br />

Solo che, inaspettatamente, ti prende una strana voglia<br />

<strong>di</strong> abbracciarla, e anche a lei. Così per un breve attimo vi<br />

ritrovate una nelle braccia dell’altra ad augurarvi un buon<br />

inizio d’anno.<br />

Fai fatica a staccarti da lei e a salutarla. Sorride, e anche<br />

tu sorri<strong>di</strong>, <strong>di</strong> nuovo padrona del tuo peso, consistente in<br />

mezzo alla strada, tra la gente.<br />

Ti giri e imbocchi la tua via, senza voltarti in<strong>di</strong>etro. Adesso<br />

sì, finalmente, puoi lasciar scendere le lacrime che vengono<br />

a sciogliere la tensione e a bagnare l’inatteso della vita.<br />

Cammini lentamente e pensi con insolito piacere alla serata<br />

che ti attende, senza <strong>di</strong> lui. Sola, sul letto vuoto, potrai<br />

piangere ancora e pensare ad un incontro che è stato molto<br />

<strong>di</strong>verso da come te l’eri immaginato.<br />

Potrai ripensarci ed accogliere dentro <strong>di</strong> te, accanto al<br />

dolore, la gioia strana che l’incontro con lei – la “nemica”<br />

– ti ha lasciato.<br />

E forse domani potrai accogliere lui, il tuo uomo, così<br />

com’è, con la sua storia, le sue contrad<strong>di</strong>zioni, il suo buio,<br />

115


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

i suoi sogni e la sua voglia <strong>di</strong> amarti.<br />

Potrai ancora scommettere sul vostro amore e fidarti.<br />

Forse…<br />

116


L’appuntamento<br />

L’AVVeNIMeNTO<br />

<strong>di</strong> Mario A. Rumor<br />

Nel quale un giovanotto <strong>di</strong> provincia riceve una importante<br />

convocazione nella Grande Città, viaggia in treno dopo tanto<br />

tempo e ripensa alla sua esistenza.<br />

Appoggiò il libro sul como<strong>di</strong>no e si mise a fissare il soffitto<br />

della sua camera. Michele Bragaglia, <strong>di</strong> anni trentatrè,<br />

barbetta talebana, due fon<strong>di</strong> <strong>di</strong> bottiglia al posto degli<br />

occhi, professione <strong>di</strong>soccupato, era inquieto all’incirca da<br />

un’ora. Il volume che fino a un attimo prima stringeva<br />

in mano, gli era sembrato un compagno scomodo già al<br />

primo capitolo. Manco a <strong>di</strong>rlo, non ricordava quanto aveva<br />

letto. Un insieme <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> parole che il suo cervello<br />

tentava inutilmente <strong>di</strong> richiamare alla memoria. C’era forse<br />

qualche vocabolo in lingua inglese? Forse. Thank you e a<br />

quel paese la preparazione per l’Avvenimento, così oramai<br />

lo chiamavano in famiglia, che lo avrebbe atteso l’indomani.<br />

Atteso, forse triturato; sicuramente <strong>di</strong>gerito nel giro <strong>di</strong> una<br />

mezz’ora.<br />

Adesso cominciava a sudare freddo. Succede sempre così<br />

con i sensi <strong>di</strong> colpa, si <strong>di</strong>sse. Per zittirli provò a passare<br />

in rassegna i messaggi sul telefonino in cerca <strong>di</strong> qualche<br />

117


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

<strong>di</strong>strazione. “In culo alla balena, vecchio!”, recitava il<br />

primo. Quin<strong>di</strong>, un “Buona fortuna per domani” seguito da<br />

tre faccine sorridenti. Storse la bocca e concluse che c’era<br />

ben poco da ridere per uno nella sua situazione. E il terzo,<br />

dell’amico Osvaldo, <strong>di</strong>ceva: “Condoglianze! Da domani<br />

entri a far parte del club dei contribuenti!”. Mitico Osvaldo,<br />

tu sì che hai capito tutto della vita! Sorrise. L’Osvaldo era<br />

un campione <strong>di</strong> battute, glielo riconosceva. Allontanò il<br />

telefonino con un gesto della mano e quello planò accanto<br />

ai vestiti che mamma Isabella aveva accuratamente stirato,<br />

piegato e sistemato ai pie<strong>di</strong> del letto. Il libro lo fissava<br />

dal como<strong>di</strong>no, con l’ostinazione <strong>di</strong> un innamorato. Ma<br />

Michele lo ignorò.<br />

Sbirciò l’ora (le un<strong>di</strong>ci e tre quarti) e decise <strong>di</strong> malmenare<br />

il suo ego per almeno altri quin<strong>di</strong>ci minuti. Poi a nanna; la<br />

sveglia era stata caricata per squillare alle sei del mattino.<br />

Si piegò in avanti, aprì il cassetto della scrivania e ne trasse<br />

un foglietto spiegazzato. Si trattava della risposta alla mail<br />

che aveva inoltrato un mese prima per quel posto <strong>di</strong> lavoro<br />

nella Grande Città. Con professionale <strong>di</strong>stacco la signorina<br />

delle risorse umane s’era pro<strong>di</strong>gata a compilare per lui un<br />

vademecum del bravo aspirante <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> marketing,<br />

con tanto <strong>di</strong> pubblicazioni da consultare, in<strong>di</strong>rizzo e orario<br />

approssimativo nel quale sarebbe avvenuto il colloquio. Le<br />

pieghe sulla carta testimoniavano un martirio prolungato<br />

118


L’appuntamento<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ta ansiose <strong>di</strong> catturarne ogni segreto. C’erano vigorose<br />

sottolineature a matita. Nessuna lacrima <strong>di</strong> gioia piovuta<br />

sul testo a sbia<strong>di</strong>re l’inchiostro, però.<br />

L’Avvenimento. Più ci rifletteva, più Michele si chiedeva<br />

perché attribuire tanta enfasi a una così innocua parolina.<br />

Mica era lo stramaledetto ballo delle debuttanti.<br />

Diamine no! Con tutto il rispetto per babbo e mamma,<br />

l’Avvenimento poteva anche essere un isolato miracolo,<br />

una botta <strong>di</strong> fortuna sfuggita a una cassa continua <strong>di</strong> sfiga.<br />

Ma per il signor Michele Bragaglia, <strong>di</strong>soccupato e <strong>di</strong>silluso<br />

giovanotto <strong>di</strong> provincia residente al civico 13, era la conferma<br />

che occorreva mettersi a <strong>di</strong>sposizione della vita quando<br />

meno te lo aspetti. Dal giorno della laurea in Economia<br />

nell’altra Grande Città in cui aveva stu<strong>di</strong>ato, nessuno s’era<br />

fatto vivo. I suoi annunci erano andati perduti, ignorati<br />

o <strong>di</strong>menticati nell’oceano informatico della Rete. Non lo<br />

avevano richiamato neanche per errore. “Scusi, sa. Con tutte<br />

le domande che riceviamo”. “Ma si figuri”.<br />

A questo punto la fantasia s’era intromessa con ardore:<br />

aveva pensato a una <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevole congiura dei datori <strong>di</strong><br />

lavoro per colpa della crisi. Immaginò una epurazione delle<br />

supplicanti mail <strong>di</strong> dottori laureati come lui compiuta da un<br />

impiegato afflitto da manie ossessivo-compulsive (cestina<br />

qui, cestina qua e pure lì, altrimenti il mondo finisce). E<br />

invece no. In data 27 marzo era giunta una mail con tanto<br />

119


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

<strong>di</strong> punto esclamativo – che <strong>di</strong> solito mette fretta. C’era<br />

un colloquio in vista, un posto da <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> marketing<br />

in una importante azienda. L’annuncio <strong>di</strong> tale notizia ai<br />

genitori era così <strong>di</strong>ventata l’Avvenimento. L’Avvenimento<br />

aveva sciolto le loro ansie e moltiplicato gli ammonimenti<br />

degli amici, <strong>di</strong> cui l’Osvaldo s’era fatto principale garante tra<br />

ilarità e solidale cameratismo, essendo stato egli <strong>di</strong>soccupato<br />

<strong>di</strong> professione. All’appello mancavano solo una riunione<br />

<strong>di</strong> condominio e un consiglio comunale e poi l’avrebbero<br />

proclamato Santo. L’indomani l’Avvenimento si sarebbe<br />

piegato a qualcosa <strong>di</strong> più concreto. Un punto fisso nella<br />

vita <strong>di</strong> Michele: organizzato, programmato. Impossibile<br />

sottrarsi, insomma.<br />

Si decise a chiudere gli occhi e finalmente dormì.<br />

Quella maleducata della sveglia lo trasse dal mondo dei sogni<br />

alle sei-punto-zero-zero con un prolungato dee-dee-dee che<br />

quasi gli frullò il cervello. Chiaramente, Michele Bragaglia<br />

non era tipo da alzarsi all’alba. Sollevò la testa dal cuscino<br />

e, un occhio chiuso e l’altro pure, inseguì il trillo metallico<br />

e con una mano pose fine a quel lamento. Le sue orecchie<br />

erano fuggite in un luogo <strong>di</strong>stante, chiuse in cassaforte,<br />

violentate dal suono infernale che gli aveva attraversato i<br />

timpani. “Regola meglio il volume, stupido”, rimproverò<br />

a se stesso. Stava sognando… cosa? Boh, non lo ricordava.<br />

120


L’appuntamento<br />

Forse i sei numeri vincenti da giocare al SuperEnalotto.<br />

Un sottile fascio <strong>di</strong> luce filtrava dalla finestra della camera.<br />

Fuori un silenzio quasi sacro. Allungandosi sulle coperte<br />

tastò in cerca dei vestiti e li ritrovò sul pavimento, e sopra<br />

<strong>di</strong> essi il gatto <strong>di</strong> casa Bob che ronfava della grossa. Che<br />

fosse <strong>di</strong>ventato improvvisamente sordo, per non aver u<strong>di</strong>to<br />

il richiamo della sveglia?<br />

Il rituale che <strong>di</strong> solito accompagnava ogni sua levata venne<br />

messo a dura prova. Consentì soltanto movimenti lenti e<br />

intorpi<strong>di</strong>ti. Stile zombie. Prima <strong>di</strong> raggiungere il bagno<br />

aveva sospirato almeno cinque volte e al sesto uff! puntò<br />

uno sguardo rassegnato al caldo giaciglio abbandonato.<br />

Sotto la doccia tornò definitivamente nel mondo dei vivi;<br />

pettinò i capelli all’in<strong>di</strong>etro e rovistò nell’arma<strong>di</strong>etto in<br />

cerca del miglior profumo del padre. L’ansia gli aveva tolto<br />

ogni appetito, quin<strong>di</strong> decise <strong>di</strong> saltare la colazione.<br />

Raccolse carte, libri e manuali e li cacciò dentro la borsa a<br />

tracolla. Guardò dentro il portafoglio e fece un rapido checkin:<br />

biglietto ferroviario okay, sol<strong>di</strong> okay, tessera sanitaria<br />

okay. Un’ultima sbirciata allo specchio per lisciare un<br />

sopraciglio ribelle. Sulla barbetta era intervenuta la signora<br />

forbice e <strong>di</strong> talebano non c’era più traccia. Mentre stava<br />

per aprire la porta <strong>di</strong> casa, borbottò: “Le mentine! Mica<br />

li posso affettare con l’alito”. Tornò in camera a frugare in<br />

un cassetto. Babbo e mamma erano svegli da un pezzo, lo<br />

121


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

sapeva, ma non volle <strong>di</strong>sturbarli. Scommise con se stesso<br />

che mamma era andata a dormire con il santino <strong>di</strong> Padre<br />

Pio sotto il cuscino.<br />

Una volta uscito Michele affrettò il passo e raggiunse la<br />

stazione senza pensare a nulla in particolare. Niente che<br />

fosse troppo nocivo al proprio umore o che lo riconsegnasse<br />

nelle mani dell’apprensione. Quel giorno voleva concedersi<br />

solo alla speranza. E all’attesa. Del regionale delle 6.45:<br />

“In arrivo al binario tre, prego spostarsi dalla linea gialla”,<br />

gracchiò una voce dall’altoparlante.<br />

Non la ricordava così gremita <strong>di</strong> pendolari e studenti, la<br />

scalcinata carcassa verde. Tallonando un energumeno<br />

biondo e scartando sulla destra l’impiegato <strong>di</strong> banca<br />

Tarcisio Balestra, suo vicino <strong>di</strong> casa, riuscì a conquistare un<br />

posto accanto al finestrino. Di fronte sedeva una signora<br />

con foulard nero in testa che la faceva somigliare, e forse<br />

lo era, a una vedova sarda con occhi da pesce e fessura<br />

piegata all’ingiù al posto della bocca; a fianco due studenti<br />

con iPod infilati nelle orecchie che quella mattina avevano<br />

saltato la doccia.<br />

Dieci minuti più tar<strong>di</strong> già sonnecchiava beato. Il filino<br />

<strong>di</strong> saliva che gli pendeva dalla bocca lo videro soltanto i<br />

suoi compagni <strong>di</strong> viaggio. Probabile, anche il Balestra nella<br />

fila accanto. Michele sognò <strong>di</strong> rigirarsi nel suo letto e <strong>di</strong><br />

possedere un’enorme sveglia <strong>di</strong> Hello Kitty che miagolava<br />

122


L’appuntamento<br />

anziché emettere infernali dee-dee-dee. Il treno sobbalzò<br />

sui binari e Michele si ridestò con un grugnito. Si passò<br />

imbarazzato un <strong>di</strong>to sulle labbra domandandosi cosa<br />

<strong>di</strong>avolo ci facesse in quel posto. La donna lo fissava con<br />

uno sguardo assolutorio. Abbozzò mezzo sorriso, che non<br />

servì allo scopo.<br />

In realtà <strong>di</strong>soccupato, Michele, non lo era mai stato. Che<br />

fosse chiaro a tutti. Mentre ammirava i colori del nuovo<br />

giorno che riprendevano vita stendendosi sulla campagna<br />

circostante, il ragazzo si aggrappò a un pensiero <strong>di</strong> qualche<br />

tempo prima. Più che altro, un inventario delle cose fatte e<br />

degli impieghi acciuffati al volo mentre gli anni scivolavano<br />

via. Vide una versione <strong>di</strong> se stesso messa spalle al muro<br />

dalla vita; mascherata sotto abiti che non sentiva mai<br />

veramente suoi: una seconda pelle che cambiava aspetto a<br />

seconda degli impieghi che <strong>di</strong> volta in volta era obbligato<br />

ad accettare.<br />

In passato aveva sognato <strong>di</strong> sedere <strong>di</strong>etro una scrivania <strong>di</strong><br />

un ufficio prestigioso, quale risarcimento per tanti anni<br />

trascorsi a sgobbare sui libri. Invece per sei lunghissimi<br />

mesi si era frugato nelle tasche della tuta blu da operaio in<br />

cerca del tesserino. Maldestro e smemorato, era. Tuttavia<br />

ricordava alla perfezione gli altri sei mesi in veste <strong>di</strong><br />

assistente bibliotecario passati a scrivere ricerche <strong>di</strong> scienze<br />

123


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

per gli alunni <strong>di</strong> quarta della scuola elementare “Dante<br />

Alighieri”. Inoltre, se pregustava trasferte <strong>di</strong> lavoro (tutte a<br />

carico dell’azienda) in località europea alla moda, gli erano<br />

invece spettate in sorte mansioni da fattorino per conto<br />

della pizzeria Moustafà nel paese vicino, che era quanto<br />

<strong>di</strong> più forestiero potesse offrire il luogo. Per lui solo viaggi<br />

low-cost: quelli dove ti scaricano fuori dall’aereo con il<br />

paracadute.<br />

Alla fine, il giorno in cui <strong>di</strong>venne uno zero assoluto anche<br />

per il Fisco, sempre costretto a separare con cura aspettative<br />

e <strong>di</strong>sperazione, Michele aveva accolto la mancanza <strong>di</strong> una<br />

occupazione fissa fumandosi la prima canna della vita<br />

assieme all’Osvaldo, <strong>di</strong>etro insistenza <strong>di</strong> quest’ultimo.<br />

Oltre la cortina fumogena, sperava tanto che l’amico non<br />

incrociasse mai il suo sguardo. Quel tipo <strong>di</strong> sguardo pronto<br />

a <strong>di</strong>chiararsi sconfitto prima ancora <strong>di</strong> gocciolare come una<br />

fontana. Una specie <strong>di</strong> buco nero che dava le vertigini; ma<br />

forse era soltanto l’effetto destabilizzante della canna. In<br />

futuro non ce ne sarebbero state altre. Michele aveva deciso<br />

<strong>di</strong> abbracciare l’abisso traendo forza da esso finché qualcuno<br />

non avesse risvegliato l’anima rock che c’era in lui. Tipo:<br />

assordare il destino, spaccargli i timpani, non concedergli<br />

tregua. Altrimenti, gli sarebbe toccato riavvolgere il nastro<br />

della sua intera esistenza e barcollare come l’Osvaldo<br />

quando superava il tasso alcolico consentito per pedalare<br />

124


in bicicletta.<br />

L’appuntamento<br />

Un’ora e quarantacinque più tar<strong>di</strong>, il regionale si infilò<br />

fischiando nella stazione centrale. I viaggiatori si agitarono<br />

come tarantole mentre raccoglievano bagagli e valigette,<br />

<strong>di</strong>menticando quoti<strong>di</strong>ani e cartacce sui se<strong>di</strong>li; qualcuno<br />

già aveva infilato in bocca la prima sigaretta della giornata.<br />

Or<strong>di</strong>natamente raggiunsero le uscite. Il vociare degli<br />

altoparlanti si mescolava ai richiami dei passeggeri, ai<br />

gridolini degli studenti e al sommesso “Buona giornata”<br />

che Michele sussurrò, infine, alla signora dal foulard nero.<br />

Ricevette una risposta cor<strong>di</strong>ale, e un pro<strong>di</strong>gioso sorriso in<br />

omaggio.<br />

Fuori il cielo era un vasto ammasso grigio che arrancava<br />

lento sopra la città. La banchina, un brulicare <strong>di</strong> teste<br />

trascinate via da una corrente in piena. Passi impazienti<br />

e frenetici che si staccavano senza preavviso, separandosi<br />

in una <strong>di</strong>rezione e nell’altra; e in mezzo a loro Michele si<br />

lasciò trainare assecondando il flusso. Uscito dalla stazione,<br />

<strong>di</strong>venne un’altra delle sgambettanti macchioline nere che<br />

affollavano il formicaio urbano della Grande Città.<br />

Non gli fu <strong>di</strong>fficile percorrere il tragitto per giungere a<br />

destinazione (se l’era stu<strong>di</strong>ato sulla cartina il giorno prima).<br />

Per arrivare sano e salvo al suo appuntamento, doveva<br />

immettersi in un dedalo <strong>di</strong> strade sempre dritte, doppia<br />

125


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

svolta a sinistra e tre attraversamenti pedonali. La giornata<br />

si preannunciava calda, nonostante il grigio malumore delle<br />

nuvole sopra <strong>di</strong> lui. Sui marciapie<strong>di</strong>, le persone avanzavano<br />

con più calma; c’era già la fila dal fornaio e il piccolo bar<br />

che s’era lasciato alle spalle brulicava <strong>di</strong> avi<strong>di</strong> consumatori<br />

<strong>di</strong> caffeina e brioche. A quell’ora, constatò, la Grande Città<br />

era insolitamente silenziosa, quasi ammortizzata tra la cappa<br />

bigia del cielo e il terreno rugoso sopra il quale marciavano<br />

milioni <strong>di</strong> pie<strong>di</strong>. Quando in lontananza vide luccicare il<br />

palazzo <strong>di</strong> vetro dove era <strong>di</strong>retto, Michele lo giu<strong>di</strong>cò un<br />

posticino niente male per farsi chiamare Egregio Direttore.<br />

Qualcosa da doppio fischio e tanti colletti inamidati (e<br />

targhetta placcata in ottone). L’e<strong>di</strong>ficio era moderno,<br />

slanciato verso l’alto come un totem, con ampie vetrate che<br />

lasciavano scoperti gli interni e un piazzale deserto che si<br />

apriva a ventaglio su un solitario sputacchio <strong>di</strong> verde.<br />

Solo dopo aver attraversato la lobby infilandosi nel primo<br />

ascensore <strong>di</strong>retto al terzo piano e aver raggiunto il banco<br />

<strong>di</strong>etro cui sedeva una cortese signorina bionda, il ragazzo<br />

risputò ogni entusiasmo restituendo a se stesso la virtuale<br />

targhetta. La sala era occupata da una ventina <strong>di</strong> can<strong>di</strong>dati.<br />

Lo sfoggio <strong>di</strong> eleganza la <strong>di</strong>ceva lunga su quanto tenessero<br />

a quel posto. Notò pettinature gonfiate all’inverosimile da<br />

lacca e gel. E abiti griffati, scarpe lucide e accecanti pendagli<br />

d’oro.<br />

126


L’appuntamento<br />

Un secondo più tar<strong>di</strong>, l’Egregio Michele Bragaglia si<br />

smaterializzò. Divenne un semplice numero primo, il<br />

numero un<strong>di</strong>ci nella lista <strong>di</strong> chiamata <strong>di</strong> quella giornata.<br />

La signorina <strong>di</strong>etro la scrivania confermò annuendo. Per tre<br />

secon<strong>di</strong> restò immobile a fronteggiare centinaia <strong>di</strong> occhi che<br />

lo fissavano, prima <strong>di</strong> rituffarsi ciascuno nel proprio mondo.<br />

Cercò un posto a sedere e lo in<strong>di</strong>viduò tra il giovanotto con<br />

blazer grigio topo e il ragazzo spennellato <strong>di</strong> fondotinta.<br />

Michele scrutò le sue mani e male<strong>di</strong>sse il pallore cadaverico<br />

tramandato <strong>di</strong> generazione in generazione, augurandosi<br />

che per vincere sugli altri non occorresse ostentare pelle<br />

vellutata o impanata come una bistecca.<br />

Attività umana da svolgere non c’era, tranne aspettare,<br />

consultare con <strong>di</strong>sinvoltura l’orologio e fingere indomabile<br />

sicurezza. Di nuovo cercò <strong>di</strong> <strong>di</strong>vincolarsi dall’ansia.<br />

Qualcuno, poté osservare con un pizzico <strong>di</strong> imbarazzo,<br />

stava sfogliando giustappunto il libro che la sera prima egli<br />

aveva piantato in asso.<br />

Si sentì come a un primo appuntamento con una ragazza.<br />

Gli sudavano le mani che torceva a più riprese, e non<br />

gli riuscì <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re alla gamba destra <strong>di</strong> martellare il<br />

pavimento a ritmo <strong>di</strong> soul. Dieci minuti che era lì, e già<br />

progettava <strong>di</strong> fingere impellenti esigenze corporee, infilare<br />

il primo corridoio e sottrarsi alle responsabilità <strong>di</strong> adulto.<br />

Un effetto collaterale <strong>di</strong> chi è stato per troppo tempo<br />

127


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

all’asciutto, ragionò forse esagerando: alla fine o voli fuori<br />

dalla finestra senza paracadute o vai a piangere in <strong>di</strong>retta Tv<br />

in qualche reality show.<br />

Se esisteva davvero qualcosa da fare per contenere il panico,<br />

occorreva giocare <strong>di</strong> sponda. Rivolse l’attenzione a blazer<br />

grigio topo e gli chiese informazioni sul colloquio, anche<br />

se per la verità sperava <strong>di</strong> attaccare bottone con la ragazza<br />

dai capelli ramati che gli stava davanti. Non fu fortunato<br />

per niente. Quello tirò fuori il famigerato manuale e prese<br />

a in<strong>di</strong>cargli tutte le parti del manuale che – secondo lui –<br />

era fondamentale conoscere per stupire con effetti speciali<br />

i tizi “là dentro nella stanza”. Michele ostentò interesse da<br />

accademico. In realtà fu travolto da un amalgama <strong>di</strong> parole<br />

che si sovrapponevano, si lanciavano a folle velocità fuori<br />

dai margini della pagina, <strong>di</strong>sintegrandosi contro i suoi<br />

bulbi oculari. Okay, riprova e sarai più fortunato.<br />

Messo a tacere il collega can<strong>di</strong>dato con un generico “Ti<br />

ringrazio”, si voltò e guardò dall’altra parte della vetrata.<br />

Attività sottostimata, la contemplazione. Tre palazzi<br />

troneggiavano non lontano, ma incre<strong>di</strong>bilmente vicini<br />

per spiarci dentro. Sembravano, nella loro remota rigi<strong>di</strong>tà,<br />

restituire un innaturale senso <strong>di</strong> tranquillità. Un mondo<br />

che egli riusciva a penetrare con lo sguardo <strong>di</strong> Clark Kent<br />

e riempire <strong>di</strong> suoni come nelle caselle <strong>di</strong> un cruciverba. Per<br />

esempio, c’era un uomo seduto nel suo ufficio a trangugiare<br />

128


L’appuntamento<br />

qualcosa: glu glu glu. Due stanze più in là, una donna con<br />

due stuzzicadenti <strong>di</strong> gambe armeggiava con un computer e<br />

ticchette tacchette e ticchette tacchete.<br />

Immaginò se stesso stravaccato nella medesima posizione,<br />

in un ufficio simile a quello, spalmato <strong>di</strong> luce color panna,<br />

con vista città e azalea regalatagli da mamma, intento a<br />

trafficare sulla scrivania, mentre veniva sorpreso e scrutato<br />

da un altro Egregio come lui, in attesa <strong>di</strong> una porta che si<br />

aprisse all’improvviso e chiamasse il suo nome.<br />

Quando successe per davvero un’infinità <strong>di</strong> tempo<br />

dopo, “Bragaglia Michele! Si accomo<strong>di</strong>, prego”, egli girò<br />

lentamente il capo e avvertì ogni singola pulsazione del<br />

suo cuore. L’Avvenimento. Si alzò più vivo che mai, lo<br />

stesso stralunato in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> quella mattina, e afferrò la<br />

borsa. Cacciò fuori un mesto sospiro, il settimo <strong>di</strong> quella<br />

giornata.<br />

E alla fine entrò.<br />

129


L’appuntamento<br />

APPUNTAMeNTO AL BUIO NeLLA LUCe<br />

<strong>di</strong> Gianluca Ascione<br />

1. domenica mattina<br />

domenica, ore 7.45<br />

Non mi sono mai svegliato così presto <strong>di</strong> domenica.<br />

Neppure la mattina <strong>di</strong> Natale o il giorno della prima<br />

comunione. Sono un acci<strong>di</strong>oso patentato, un acci<strong>di</strong>oso ad<br />

honorem.<br />

Ma questa domenica non sarebbe passata come le altre.<br />

Non poteva passare come le altre.<br />

Non l’avrei trascorsa, come consuetu<strong>di</strong>ne, parcheggiato sul<br />

<strong>di</strong>vano come un capodoglio spiaggiato, ad ingurgitare resti<br />

<strong>di</strong> salatini e patatine abbandonati in sacchetti malchiusi,<br />

ridotti in uno stato <strong>di</strong> pietosa commestibilità, a gonfiare lo<br />

stomaco con ettolitri gassosi <strong>di</strong> coca-cola <strong>di</strong> cui è pieno il<br />

frigorifero. Tutto il primo ripiano è colmo unicamente <strong>di</strong><br />

lattine da 33 cl. Gli altri sono mestamente semivuoti; giusto<br />

qualche ortaggio caduto nel limbo della <strong>di</strong>menticanza,<br />

confezioni <strong>di</strong> affettato pronto uso, la vaschetta col<br />

polpettone <strong>di</strong> mia madre, variegati avanzi dello spartano<br />

pasto consumato sbrigativamente il giorno prima.<br />

Quella che si prospettava, alle prime luci <strong>di</strong> una nuova alba<br />

festiva, era una domenica non più arida e convenzionale,<br />

131


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

ottenebrato tra le mura domestiche, come se fossi stato<br />

tumulato in una cripta umida in attesa <strong>di</strong> un’esumazione<br />

attesa da secoli con tanto <strong>di</strong> rito ostensorio. In barba alla<br />

mia tele<strong>di</strong>pendenza, <strong>di</strong> cui sono <strong>di</strong>venuto ogni giorno<br />

sempre più schiavo abulico, inconsapevolmente soggiogato<br />

come in un morboso rapporto da «sindrome <strong>di</strong> Stoccolma»<br />

che lega la vittima al proprio aguzzino, avrei concesso l’ora<br />

d’aria ai miei neuroni debilitati, compromessi da anni <strong>di</strong><br />

telei<strong>di</strong>ozie già scontati e altrettanti da scontare.<br />

L’appuntamento era stato fissato. Giorno, luogo, ora.<br />

Ed era stato un pulsante, un consunto pulsante <strong>di</strong> plastica,<br />

a decidere. O meglio, a fungere da interme<strong>di</strong>ario. Enter.<br />

Invio. Quel piccolo bottone a “L” inversa, come se fosse<br />

stata forgiata da destra verso sinistra in un’artefatta forma<br />

araba, sormontato da una freccia che in<strong>di</strong>ca una <strong>di</strong>rezione<br />

sconosciuta.<br />

Un semplice tocco <strong>di</strong> polpastrello, un apparente innocuo<br />

“tic” capace <strong>di</strong> innestare destini, azioni, conseguenze.<br />

2. primo approccio<br />

lunedì antecedente, ore 23.55<br />

>ciao<br />

>ciao (chissà perchè in chat non ci si da mai del lei...<br />

antiformalismo autoindotto?)<br />

>come ti chiami?<br />

132


L’appuntamento<br />

>gianluca, ma puoi chiamarmi gian...e tu??<br />

>Debora...ma puoi chiamarmi Deb<br />

>felice <strong>di</strong> conoscerti deb...<br />

>felice <strong>di</strong> conoscerti Gian<br />

>come mai ancora in pie<strong>di</strong> a quest’ora??<br />

>non avevo sonno; e tu?<br />

>mi sono appena svegliato...<br />

>???<br />

>mi sono addormentato dopo <strong>di</strong>eci minuti <strong>di</strong> grande<br />

fratello...<br />

>non mi piacciono i reality<br />

>neanche a me...per quello li seguo, conciliano il sonno...<br />

dovresti guardarli anche tu se soffri d’insonnia...meglio del<br />

roipnol...<br />

>ah ah ah, proverò mercoledì sera con l’isola dei famosi<br />

>mi sembra un inizio d’urto...<br />

>mi <strong>di</strong>ci qualcosa <strong>di</strong> te?<br />

>moro, occhi azzurri, un metro e ottanta...tu??<br />

>bionda, occhi nocciola, un metro e sessantotto...comunque<br />

intendevo qualcosa del tuo carattere<br />

>così a bruciapelo?? dovrei pensarci un attimo…(evito <strong>di</strong><br />

riferirle provocatoriamente che questa domanda mi provoca<br />

un’agghiacciante e inevitabile, quasi liberatorio, blackout<br />

psichico per tutte le volte cui ho dovuto rispondere)<br />

>non sarai uno <strong>di</strong> quelli che evita <strong>di</strong> sbilanciarsi avanzando<br />

133


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

l’alibi del “non conoscere se stesso”<br />

>non posso affermare <strong>di</strong> conoscere a fondo me stesso ma,<br />

come primo ragguaglio, <strong>di</strong>ciamo che sono intenzionato ad<br />

unire i neuroni prima <strong>di</strong> aprir bocca anche se si verificano<br />

ripetuti corti circuiti…<br />

>ah ah ah<br />

>ti ho fatto ridere?? (sono certo <strong>di</strong> averla fatta sorridere:<br />

questo “ritratto descrittivo” non ha mai fallito la sua funzione<br />

<strong>di</strong> ironico approccio)<br />

>sì, è una risposta originale e <strong>di</strong>vertente<br />

>ora mi devi tu un’in<strong>di</strong>cazione...(ostentare curiosità,<br />

assolutamente in<strong>di</strong>spensabile)<br />

>uhm, ve<strong>di</strong>amo un po’…fondamentalmente timida<br />

>per questo ti piace ”nasconderti” <strong>di</strong>etro uno schermo e<br />

una tastiera??<br />

>forse sì...non so<br />

>spiacente deb ma ora devo scollegarmi...<br />

>allora ciao Gian, magari ci si ribecca<br />

3. appuntamento con la tazza<br />

domenica, ore 8.25<br />

In questo, <strong>di</strong>ciamo la verità, io sono sempre stato abbastanza<br />

regolare.<br />

Ogni mattina, tra le sette e trenta e le otto vado <strong>di</strong> corpo.<br />

Mi porto in bagno un giornale e approfitto del quarto<br />

134


L’appuntamento<br />

d’ora (quello che definisco TMV, tempo me<strong>di</strong>o variabile)<br />

<strong>di</strong> seduta per scorrerlo e farmi una «barbarie cultura<br />

globalizzata» sull’ultimo flirt dell’attore <strong>di</strong> Hollywood<br />

più in vista o prendere visione dell’ultimo bollettino sulle<br />

coppie vip scoppiate o sondare gli umori destabilizzati degli<br />

utenti della casa dal Grande Fratello.<br />

Secondo il giu<strong>di</strong>zio insindacabile delle mie viscere, questo<br />

tipo <strong>di</strong> lettura aiuta enormemente la funzione corporale,<br />

anche se mio nonno <strong>di</strong>ceva il contrario. Mio nonno, pace<br />

all’anima sua e del suo apparato gastroenterico, dava grande<br />

importanza alla seduta mattutina in gabinetto, <strong>di</strong>ceva che<br />

in quei minuti bisognava non pensare ad altro, concentrarsi<br />

al massimo, farla tutta, fino in fondo, e non capiva perchè<br />

noi ragazzi avessimo sempre bisogno <strong>di</strong> portarci <strong>di</strong>etro un<br />

giornalino.<br />

La domenica è un po’ <strong>di</strong>verso: mi sveglio più tar<strong>di</strong>, mi<br />

alzo più tar<strong>di</strong>, vado in bagno più tar<strong>di</strong>. Di conseguenza,<br />

anche il tipo <strong>di</strong> lettura è <strong>di</strong>verso. Di solito mi accompagna<br />

un cruciverba: mi tiene allenata la mente senza <strong>di</strong>stogliere<br />

completamente l’attenzione dall’attività principale.<br />

Comunque sia, una cosa è certa: dal lato intestinale io vado<br />

bene, sono regolare, non ho mai avuto bisogno <strong>di</strong> lassativi,<br />

purghe, clisteri o robe del genere. A volte penso <strong>di</strong> godere<br />

<strong>di</strong> una particolare indulgenza plenaria, guadagnata chissà<br />

quando chissà come, premio intra stomachus attribuitomi<br />

135


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

per chissà quale merito o chissà quale buona azione.<br />

L’elevazione a santità dell’intestino.<br />

Finchè è arrivata questa domenica mattina.<br />

L’emozione gioca brutti scherzi.<br />

Anche da seduti.<br />

Anche seduti sulla tazza del cesso.<br />

A qualunque età.<br />

A qualunque intestino.<br />

4. sondare il terreno<br />

martedì antecedente, ore 23.36<br />

>ciao Gian, ti sei svegliato prima questa sera?<br />

>ciao deb...non ho dormito questa sera, sono appena<br />

rientrato dal calcetto settimanale...<br />

>allora sei uno sportivo<br />

><strong>di</strong>rei che “sportivo una tantum” è una definizione più<br />

congeniale...<br />

>posso chiederti che lavoro fai?<br />

>infiocchetto cani...<br />

>cioè?<br />

>ammollo, lavo, passo al phon, coloro e se i padroni<br />

me lo chiedono metto pure i fiocchetti ai loro amici<br />

quadrupe<strong>di</strong>...<br />

>un salone <strong>di</strong> bellezza per cani?<br />

>yes...sorpresa??<br />

136


L’appuntamento<br />

>no, solo ammetterai che è un po’ insolito<br />

>insolito avere un salone <strong>di</strong> bellezza o far mettere fiocchetti<br />

ai barboncini??<br />

>uhm...forse entrambi<br />

>comunque è un lavoro...<br />

>sì, certo, non intendevo offenderti<br />

>hai cani??<br />

>no, però mi sarebbe piaciuto averne uno<br />

>perchè, non potresti averlo adesso??<br />

>non avrei il tempo <strong>di</strong> accu<strong>di</strong>rlo...e tu?<br />

>cosa??<br />

>hai cani?<br />

>yes, uno spinone...<br />

>come si chiama?<br />

>pencil...<br />

>ah ah, che nome simpatico<br />

>è tutto beige con la punta della coda nera...pare proprio<br />

una matita con la gomma scura in cima...<br />

>dev’essere proprio un amore<br />

>è un gran mattacchione...basta che ci giochi insieme e ti<br />

sei guadagnata la sua fiducia...<br />

>assomiglia un po’ al padrone?<br />

>beh, fatta eccezione per la coda e il ciuffetto scuro sulla<br />

sua estremità...<br />

>si <strong>di</strong>ce che i cani assomiglino un po’ ai loro padroni e<br />

137


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

viceversa, giusto?<br />

>credo che qualche rivista specializzata la definisca “simbiosi<br />

canina” o qualcosa del genere...<br />

>a proposito <strong>di</strong> simbiosi...qual è la tua simbiosi con le<br />

donne?<br />

>ehi, signorina, non ti sembra un po’ tar<strong>di</strong> per cominciare<br />

certi <strong>di</strong>scorsi? (fare il vago, alla lunga paga sempre)<br />

>hai ragione, in fondo è solo martedì...buonanotte allora<br />

>buonanotte anche a te signorina...<br />

5. dottore, non avrai il mio scalpo<br />

domenica, ore 9.50<br />

Non avevo mai considerato la possibilità <strong>di</strong> un blocco<br />

intestinale, <strong>di</strong> un intasamento delle condutture fognarie<br />

del mio stomaco. Segno ineluttabile che la manutenzione<br />

perio<strong>di</strong>ca è fondamentale. Cosa <strong>di</strong> cui non mi sono mai<br />

preoccupato. Non mi sono mai preoccupato <strong>di</strong> fare un<br />

tagliando al mio corpo. Il mio me<strong>di</strong>co non ricordo neppure<br />

che faccia abbia.<br />

L’ultimo ricordo, registrato e chiuso con un inviolabile<br />

lucchetto in un cassetto della memoria, deve risalire ad una<br />

decina <strong>di</strong> anni fa. Reminiscenza facilitata dal fatto che era<br />

stato lui, il dottore, a raggiungermi a casa. Evento tutt’altro<br />

che scontato e or<strong>di</strong>nario, quasi soprannaturale, vista la<br />

nota ritrosia della categoria professionale nello smuovere<br />

138


L’appuntamento<br />

le luminari chiappe dal loro scranno (me lo immagino il<br />

mio dottore mentre vaga per la città con la poltroncina<br />

incollata al <strong>di</strong> <strong>di</strong>etro), soggiogati da anni <strong>di</strong> vita reclusa in<br />

un laboratorio sedentario.<br />

“Respiri...ancora...ancora...tossisca...ancora...un’altra<br />

volta...”<br />

Diagnosi: inizio <strong>di</strong> bronchite.<br />

La circostanza negativamente congeniale <strong>di</strong> aver giocato a<br />

pallone sotto una pioggia battente, era rimasta nell’ambito<br />

dei segreti inconfessabili. Ai camici bianchi non si può<br />

<strong>di</strong>re tutto: confessarsi con loro equivale ad un’ammissione<br />

<strong>di</strong> colpa <strong>di</strong> fronte al tribunale dell’inquisizione. Negare,<br />

negare sempre, anche <strong>di</strong> fronte all’evidenza: non ti mette al<br />

riparo da una condanna ma provoca un inevitabile solletico<br />

<strong>di</strong> piacere nell’antro egotista della propria coscienza.<br />

I me<strong>di</strong>ci, anche se parlano <strong>di</strong> scienza, per me restano<br />

sempre una sorta <strong>di</strong> stregoni; e non qualunque, ma terribili<br />

stregoni cattolici, interpretano cioè la malattia come una<br />

conseguenza sintomatica del peccato. Cominciano a <strong>di</strong>re<br />

“lei ha bevuto troppo; lei ha mangiato troppo; lei ha<br />

fumato troppo; lei ha scopato troppo e adesso lei il peccato<br />

lo sconta soffrendo; e, ancora, lo sconterà curandosi perchè<br />

la cura è efficace se punisce il peccato d’origine, ovvero<br />

se è lunga, dolorosa, fasti<strong>di</strong>osa e, soprattutto, costosa. In<br />

termini morali ed economici. Il purgatorio contemporaneo<br />

139


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

è fatto <strong>di</strong> pasticche, <strong>di</strong> iniezioni, <strong>di</strong> interventi chirurgici.”<br />

È passata oltre un’ora dal primo tentativo, quando raggiungo<br />

lo stato <strong>di</strong> beatitu<strong>di</strong>ne e tiro lo sciacquone. Affrontare un<br />

appuntamento a deposito enterico pieno sarebbe stato un<br />

dramma: umore sfavorevolmente compromesso, status<br />

persistente <strong>di</strong> spasmi gastrici, pericolo impellente <strong>di</strong> sturbi<br />

gassosi. Tutto a posto, per fortuna. Tutto risolto.<br />

Ci ve<strong>di</strong>amo presto, signorina.<br />

6. lavorare ai fianchi<br />

mercoledì antecedente, ore 22.08<br />

>ciao deb...come mai in chat così presto?<br />

>domani ho un importante appuntamento <strong>di</strong> lavoro e<br />

voglio arrivarci ben riposata<br />

>capisco...forse ti conveniva andare subito a letto...<br />

>volevo prima salutarti<br />

>potevo non essermi collegato...<br />

>tentar non nuoce, giusto?<br />

>certo...comunque grazie, sono lusingato...<br />

>piacere <strong>di</strong> averti lusingato<br />

>niente isola dei famosi pro-abbiocco??<br />

>no, rimanderò l’esperimento<br />

><strong>di</strong> che si tratta?? l’appuntamento <strong>di</strong> lavoro, intendo...<br />

>a <strong>di</strong>re il vero, più che un appuntamento <strong>di</strong> lavoro vero e<br />

proprio si tratta <strong>di</strong> un incontro propedeutico per un futuro<br />

140


L’appuntamento<br />

lavoro<br />

>non ti pare <strong>di</strong> essere un pochino contorta??<br />

>sì, in effetti me lo <strong>di</strong>cono sempre, <strong>di</strong>ciamo che è una mia<br />

prerogativa<br />

>allora hai un colloquio...<br />

>in un certo senso...un colloquio con un impiegato della<br />

banca<br />

>tenti la scalata alle vette impervie della finanza??<br />

>per carità, o<strong>di</strong>o quell’ambiente stantio...no, ho fatto una<br />

richiesta per un finanziamento<br />

>benvenuta nel club...io l’ho chiesto cinque anni fa per<br />

aprire il negozio...e cosa conti <strong>di</strong> farci??<br />

>aprire un asilo nido...a conduzione privata, ovviamente<br />

>ti piacciono i bambini??<br />

>tantissimo<br />

>beh, in bocca al lupo...<br />

>crepi<br />

>l’impiegato della banca??<br />

>se non mi concederà il finanziamento, sicuro!<br />

7. uscire! vedere gente!<br />

domenica, ore 12.10<br />

Antonello, piccolo sardo coriaceo, compare <strong>di</strong> scorribande<br />

giovanili, mi ripeteva spesso che non dovevo isolarmi, che<br />

dovevo muovermi <strong>di</strong> più, uscire, vedere gente, non soltanto<br />

141


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

quella coartata dalle relazioni scolastiche e dai successivi<br />

rapporti <strong>di</strong> lavoro ma, soprattutto, <strong>di</strong> altra specie.<br />

“Muovere le chiappe e tafanare le ragazze” erano le parole<br />

esatte con cui riassumeva il concetto. Uscire, vedere<br />

gente, conoscere gente, acquisire notorietà. Questo era<br />

il suo modus viven<strong>di</strong>, la fede atea in cui credeva prima <strong>di</strong><br />

andarsi a schiantare a cento all’ora contro il muro <strong>di</strong> cinta<br />

<strong>di</strong> una casa, subito dopo una spettacolare curva a sinistra<br />

degna <strong>di</strong> un circuito <strong>di</strong> formula uno, <strong>di</strong> ritorno alcolico<br />

da una <strong>di</strong>scoteca fuori città, ed essere congedato da questo<br />

mondo dai familiari più stretti, qualche amico del calcetto,<br />

un collega <strong>di</strong> lavoro, l’ex ragazza e il sottoscritto. Dietro<br />

il carro funebre non c’era stata nessuna folla oceanica,<br />

nessun accenno <strong>di</strong> tutta quella gente che aveva incontrato<br />

e conosciuto.<br />

La verità, la mia verità, è che uscire, vedere gente, non<br />

serve a nulla. Incontrare gente è un fatto puramente ottico.<br />

Come quando, camminando sotto i portici del centro<br />

storico, capita <strong>di</strong> incontrare persone che conosco e lì, in<br />

quel preciso momento, mi rendo conto che, in realtà, si<br />

tratta solamente delle loro immagini vacue, dei loro spettri,<br />

dei loro ectoplasmi. Sono sprovvisti <strong>di</strong> consistenza fisica,<br />

vuoti dentro, privi <strong>di</strong> sangue e linfa, ridotti allo stato <strong>di</strong><br />

gusci anemici. Scivolano via rapi<strong>di</strong> e silenziosi, se ti capita<br />

<strong>di</strong> intersecare la loro traiettoria si fermano perchè costituisci<br />

142


L’appuntamento<br />

un ostacolo, ma non più <strong>di</strong> un minuto, il tempo <strong>di</strong> un saluto<br />

fugace, imbrattato da un sorriso scialbo, accompagnato<br />

dalla <strong>di</strong>dascalica domanda <strong>di</strong> rito “come va?”, al massimo ti<br />

stringono la mano, giusto perchè tu gliela porgi, proprio per<br />

sentire se sono <strong>di</strong> carne e ossa o se, invece, sono veramente<br />

carcasse <strong>di</strong> ultracorpi. Segue la formula <strong>di</strong> congedo “fatti<br />

sentire” (loro non si assumono l’impegno <strong>di</strong> farsi sentire) e,<br />

istantaneamente, li vedo scomparire come se il loro guscio<br />

si fosse <strong>di</strong>sciolto nell’aria.<br />

Non so esattamente perchè oggi ho deciso <strong>di</strong> uscire e<br />

vedere gente. Forse perchè Debora è una donna e i miei<br />

ormoni necessitano <strong>di</strong> un nuovo collaudo, forse perchè<br />

le sue parole <strong>di</strong>gitate sembrano appartenere ad un essere<br />

vivido, forse perchè ho bisogno <strong>di</strong> sentirmi vivido e conto<br />

<strong>di</strong> farmi contagiare.<br />

Forse perchè mi aspetto che Debora non sia semplicemente<br />

“gente”.<br />

8. operazione simpatia<br />

giovedì antecedente, ore 22.33<br />

>ciao deb, ci sei??<br />

>speravo proprio <strong>di</strong> sentirti<br />

>com’è andata con l’amico bancario?? (fingere interesse per<br />

le questioni personali fa guadagnare in me<strong>di</strong>a un centinaio <strong>di</strong><br />

punti)<br />

143


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

>benissimo! sono al settimo cielo!<br />

>comincia la nuova avventura allora...<br />

>oggi ho contattato l’agenzia immobiliare per vedere il<br />

fabbricato da convertire in asilo<br />

>non sei una che perde tempo...<br />

>quando mi metto in testa una cosa <strong>di</strong>vento più testarda<br />

<strong>di</strong> un mulo<br />

>anche con gli uomini??<br />

>con loro è un po’ <strong>di</strong>verso<br />

>non basta un leasing per finanziare un rapporto, <strong>di</strong>co<br />

bene??<br />

>ah ah, bella questa...però, in effetti, è così...sembra che<br />

parli da “esperto del settore”<br />

>una semplice constatazione...(sorvolo accuratamente sui<br />

miei numerosi flirt)<br />

>una semplice constatazione che sembra valere anche per<br />

le donne<br />

>un rapporto presume una compartecipazione…<br />

>sei sempre così lucido nei ragionamenti?<br />

>non credo <strong>di</strong> essere una grande autorità in tema <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ssertazioni…più che altro mi limito ad osservare…<br />

>l’osservazione è alla base <strong>di</strong> un ragionamento, ti pare?<br />

>allora potrei rivelarti che utilizzo razioni <strong>di</strong> istinto anche<br />

se istintivamente raziocino…(tuttavia è meglio non rivelarti<br />

che questa frase ad effetto l’ho già utilizzata con un’altra<br />

144


L’appuntamento<br />

utente)<br />

>e poi sarei io quella contorta?<br />

>più che contorto <strong>di</strong>ciamo che nel mio casino mentale ci<br />

trovo un qualche genere <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne…<br />

>sai una cosa?<br />

>spara…<br />

>sei strano, ma mi piaci<br />

>lo posso prendere come un complimento??<br />

>puoi congetturarci sopra<br />

>magari mi aiuterà a conciliare il sonno…<br />

>ci sentiamo domani?<br />

>mai <strong>di</strong>re mai…<br />

9. strafatto <strong>di</strong> tivvù<br />

domenica, ore 13.08<br />

Mentre il mio sguardo peregrina ansiosamente dai rigatoni,<br />

gorgoglianti nell’acqua in ebollizione, all’orologio da parete,<br />

un enorme swatch rosso <strong>di</strong> plastica figlio della gravidanza<br />

isterica <strong>di</strong> qualche designer balzano transitato negli anni<br />

ottanta, provo a mettere insieme gli appunti accumulati<br />

nelle reti sinaptiche della corteccia cerebrale, nel tentativo<br />

maldestro <strong>di</strong> realizzare un compen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> impressioni utili<br />

per l’incontro che avverrà tra poco più <strong>di</strong> due ore.<br />

Una sensazione sgradevole comincia a far breccia nella<br />

mia indole apparentemente tranquilla, trapiantata dal<br />

145


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

progressivo avanzamento delle lancette, come se <strong>di</strong>vorassero<br />

il tempo oltre il suo normale incedere, quasi che lo scoccare<br />

preciso e perpetuo dei secon<strong>di</strong>, dei minuti, delle ore mi<br />

avvicinassero ad una fine epocale, ad un buco nero capace<br />

<strong>di</strong> implodere in se stesso e cancellare ogni forma <strong>di</strong> vita.<br />

Accendo la tivvù, la magica scatola che tutto aliena, nella<br />

speranza che attenui questo senso <strong>di</strong> caduta libera nel<br />

vuoto.<br />

10. obiettivo primario: rassodare<br />

venerdì antecedente, ore 23.50<br />

>eccomi, sono arrivata!<br />

>avevo quasi perso la speranza...(mentire a me stesso prima<br />

che agli altri è un’operazione che mi riesce particolarmente<br />

bene)<br />

>ho fatto tar<strong>di</strong>...ero in palestra<br />

>mi avevi celato questo tuo lato <strong>di</strong> sportiva...<br />

>mi sono iscritta per costringermi a fare del moto<br />

>pigra??<br />

>peggio, una pigrona congenita<br />

>spinning??<br />

>acqua gim<br />

>un’altra abitante della popolosa citta<strong>di</strong>na delle “ossessionate<br />

dalle voluminose natiche invadenti”?? (stuzzicala ma fallo<br />

sempre con leggerezza)<br />

146


L’appuntamento<br />

>ah ah ah...più o meno<br />

>accidenti che sonno...sto per crollare...<br />

>dai, ci sentiamo domani...<br />

>magari un quarto d’ora prima delle nove perchè poi<br />

devo uscire...(simulare una vita piena <strong>di</strong> impegni: è come<br />

la donna che simula l’orgasmo, serve alla sopravvivenza della<br />

relazione)<br />

>ok, buonanotte<br />

>’notte<br />

11. Cazzate formidabili<br />

domenica, ore 13.42<br />

Sono intollerante ai telegiornali come agli antibiotici. Alle<br />

prime assunzioni credo ciecamente nel loro potere lenitivo;<br />

alle dosi successive comincio a risentire pesantemente <strong>di</strong> tutti<br />

gli importuni effetti indesiderati. Più <strong>di</strong> tutte, mi infettano<br />

il germe dell’irritabilità le notizie inerenti l’immutabile<br />

<strong>di</strong>atriba che permea il mondo del lavoro: <strong>di</strong>alogo tra<br />

le parti sociali, rinnovo dei contratti, miglioramento<br />

della sicurezza, emersione delle attività in nero. Cazzate<br />

formidabili. Perchè non si può pensare <strong>di</strong> continuare a far<br />

bere olio <strong>di</strong> ricino quando uno ha passato anni sigillato<br />

in una fabbrica. Dovevo andarmene prima: nelle fabbriche<br />

c’è aria <strong>di</strong> chiuso, odore <strong>di</strong> morte, stanchezza greve, non<br />

<strong>di</strong> quella indotta dalla fatica ma <strong>di</strong> quella che aleggia<br />

147


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

perennemente in attesa <strong>di</strong> cibarsi <strong>di</strong> carcasse, febbrilmente<br />

attiva e nociva come quando avverti un virus appropriarsi<br />

del tuo corpo molle.<br />

Scappare, uscire fuori da quel tumulo. Anche se fuori<br />

ti attendono solo quegli ectoplasmi che ti <strong>di</strong>cono<br />

<strong>di</strong>strattamente “fatti sentire” o “fatti vedere”. A voi, mendaci<br />

testimoni <strong>di</strong> relazioni passate, posso al massimo darvi una<br />

mia fotografia: me ne farò stampare parecchie copie e ve le<br />

<strong>di</strong>stribuirò all’angolo <strong>di</strong> una via del centro; ai più autorevoli<br />

toccheranno quelle <strong>di</strong> qualità migliore incorniciate da un<br />

ovale <strong>di</strong> onice o alabastro, da appendere al muro con sotto<br />

un lumino e, facoltativo, un mazzetto <strong>di</strong> crisantemi.<br />

No, tutto sommato sarebbe meglio starsene a casa. Meglio<br />

ancora sarebbe non possedere un computer a casa. Dà<br />

<strong>di</strong>pendenza.<br />

12. domandare è lecito, accettare è cortesia<br />

sabato antecedente, ore 20.45<br />

>ci sei?<br />

>presente<br />

>che fai <strong>di</strong> bella stasera?<br />

>un noioso ritrovo a casa <strong>di</strong> un amico <strong>di</strong> vecchia data...farei<br />

anche a meno ma, sai com’è, poi passi per quello asociale...<br />

(io sono un asociale)<br />

>ti capisco, capita anche a me...una gran rottura, soprattutto<br />

148


L’appuntamento<br />

se sono presenti persone in<strong>di</strong>geste<br />

>senti...e se ci incontrassimo anche noi due?? sarebbe<br />

certamente meno noioso...<br />

>quando?<br />

>io sono libero domani...<br />

>domani?<br />

>non mi chiederei perchè, piuttosto perchè no...<br />

>non so, ci conosciamo da poco<br />

>(non ci conosciamo affatto e questo rende tutto meno<br />

responsabilizzante) dai timidona, guarda che non mordo<br />

mica...<br />

>è solo che non mi è mai capitato <strong>di</strong> accettare un<br />

appuntamento al buio, così velocemente<br />

>ti piace fare la preziosa?? (indurre il senso <strong>di</strong> colpa)<br />

>non sono il tipo<br />

>dunque?? solo per fare due chiacchiere, bere una cosa,<br />

tutto qui...<br />

>e va bene; facciamo per domani pomeriggio sulle 15.30?<br />

>perfetto: 15.30 davanti al teatro comunale, ok??<br />

>ok; ma come ti riconosco?<br />

>sarò l’unico moro-occhi-azzuri con una rosa bianca<br />

appuntata all’occhiello...(una vena <strong>di</strong> romanticismo non<br />

guasta mai; la rosa la fregherò come al solito dal balcone della<br />

vecchiaccia del piano terra)<br />

149


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

13. appuntamento al buio nella luce<br />

domenica, ore 15.20<br />

Ci siamo. Giorno, luogo, ora. L’appuntamento al buio,<br />

che vivrà nella pallida luce <strong>di</strong> un tiepido pomeriggio <strong>di</strong><br />

inizio primavera, sta per prendere forma. Nonostante i<br />

miei 35 anni suonati dovrebbero mettermi al riparo da<br />

perturbazioni car<strong>di</strong>oadolescenziali, colgo delle leggere<br />

fibrillazioni sbatacchiare le mie viscere urticate, come<br />

naturali scosse <strong>di</strong> assestamento che non sono pericolose ma<br />

sono in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> un’anomalia da monitorare.<br />

Cadenzo un passo dopo l’altro dopo aver imprecato<br />

contro l’amministrazione locale che non perde occasione<br />

<strong>di</strong> prosciugarti le tasche, peggio delle sanguisughe,<br />

costringendo l’utente beone e sedentario a sottostare<br />

al subdolo regolamento del parking a pagamento.<br />

Scivolo lungo il pavimento <strong>di</strong> sanpietrini <strong>di</strong> via Toniolo,<br />

costeggiando i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> S. Andrea, con falde stratificate<br />

<strong>di</strong> pensieri che mi frullano nella testa, frammenti delle<br />

conversazioni telematiche con Debora.<br />

“bionda, occhi nocciola, un metro e sessantotto...”<br />

Se ha glissato sul peso ci sarà pure un motivo.<br />

“sono pigra, peggio, una pigrona congenita...”<br />

Sicuramente pigra al punto da se<strong>di</strong>mentare un paio natiche<br />

grosse e a<strong>di</strong>pose.<br />

Raggiungo l’incrocio con Corso del Popolo: crocchi<br />

150


L’appuntamento<br />

<strong>di</strong> persone sciamano come api intontite da nuvole <strong>di</strong><br />

fumo. Giro a sinistra immettendomi nel flusso caotico,<br />

incappando in un’orda <strong>di</strong> ragazzini queruli, aggregati da<br />

una cacofonia sguaiata <strong>di</strong> espressioni triviali e un clangore<br />

stridente <strong>di</strong> piercing e catenine.<br />

i bambini mi piacciono tantissimo...”<br />

Già, magari sogna <strong>di</strong> avere tanti bimbi chiassosi che girano<br />

per casa, che so tre o quattro (e perché non cinque?), bombe<br />

sonore in grado <strong>di</strong> esploderti nei pa<strong>di</strong>glioni auricolari con<br />

orario continuato.<br />

Comincio istintivamente a rallentare l’andatura, frenato<br />

più da queste valutazioni avverse che dal traffico pedonale.<br />

Conati <strong>di</strong> consapevolezza che rifluiscono con colpevole<br />

ritardo.<br />

“quando mi metto in testa una cosa <strong>di</strong>vento più testarda <strong>di</strong><br />

un mulo...”<br />

Chissà che succede quando si mette in testa un uomo:<br />

probabili attacchi isterici, scenate melodrammatiche <strong>di</strong><br />

gelosia assicurate, annientamento della libertà in<strong>di</strong>viduale...<br />

un film già visto e vissuto.<br />

Ci siamo. Mancano una trentina <strong>di</strong> metri al portone<br />

d’ingresso del Teatro Comunale, poche decine <strong>di</strong> passi<br />

ben <strong>di</strong>stesi prima <strong>di</strong> andare incontro ad un futuro incerto<br />

eppure pericolosamente già scritto. Svolto in via Diaz,<br />

l’ultima via <strong>di</strong> fuga possibile prima <strong>di</strong> cozzare contro una<br />

151


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

serie <strong>di</strong> doveri e impegni e legami tacitamente obbligati.<br />

Mi sembra la scelta migliore. Forse non sufficientemente<br />

ponderata, ma <strong>di</strong> certo la più facile.<br />

Afferro la rosa bianca appuntata sulla giacca <strong>di</strong> velluto e<br />

la getto nel primo cestino che mi capita a tiro. Spero non<br />

l’abbia vista.<br />

Da domani tornerò alle mie vecchie domeniche inoperose.<br />

Noiose, forse, ma tremendamente tranquille.<br />

152


L’appuntamento<br />

UNA LeTTeRA PeR LeLLA<br />

<strong>di</strong> Gianfranco Inguanotto<br />

Lella entrò nella mia vita con passo così leggero e tanta<br />

<strong>di</strong>screzione che molta acqua dovette scorrere sotto i ponti<br />

prima che me ne rendessi conto e chissà se mai me ne<br />

sarei accorto se gli eventi, che per lungo tempo si erano<br />

susseguiti al ritmo <strong>di</strong> una monotona routine quoti<strong>di</strong>ana,<br />

non si fossero improvvisamente messi a scivolar via <strong>di</strong><br />

corsa. Come un treno che, per ore, abbia attraversato<br />

un altopiano ad andatura tanto modesta da far apparire<br />

immo bile il panorama - al punto che il viaggiatore si sia<br />

quasi stancato <strong>di</strong> con templarlo - e ad un tratto imbocchi la<br />

<strong>di</strong>scesa, aumentando improvvisamente la propria velocità<br />

fino a farle raggiungere un livello vertiginoso, tale da non<br />

lasciare all’ osservatore il tempo <strong>di</strong> prendere coscienza<br />

<strong>di</strong> ciò che riesce solamente ad intravedere, poiché prima<br />

ancora che un’immagine sia svanita dalla retina già un’altra<br />

se ne so vrappone ed egli finisce per ritro varsi alla stazione<br />

<strong>di</strong> pianura senza aver quasi compreso per quale strada vi sia<br />

stato con dotto.<br />

Lella era entrata nella nostra azienda appena <strong>di</strong>ciannovenne,<br />

fresca <strong>di</strong> scuola e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ploma, portandovi quel leggero<br />

153


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

scompiglio che sempre segue l’ingresso <strong>di</strong> una ragazza giovane<br />

e carina in un ambiente <strong>di</strong> <strong>adulti</strong> musoni e già guastati<br />

dalla noia esistenziale.<br />

A guardarla, con quel suo viso pulito, quasi adole scente,<br />

il grembiule nero - che da tanto tempo ormai le sue<br />

colleghe più anziane non usavano più - e quell’aria tra lo<br />

spaurito e il <strong>di</strong>vertito, riusciva <strong>di</strong>fficile considerarla una<br />

compagna <strong>di</strong> lavoro. Sembrava più una scolaretta fuori posto<br />

che l’impiegata <strong>di</strong> una compagnia d’assicurazioni. Ciò<br />

nonostante non impiegò molto tempo ad inserirsi ed a rendersi<br />

utile.<br />

Quando, alcuni mesi dopo, appresi che la ragazza era stata<br />

assegnata al mio reparto accolsi la notizia con un certo<br />

fasti<strong>di</strong>o. Come al solito sarebbe toccato a me <strong>di</strong> istruirla ed<br />

era una faccenda che richiedeva tempo e pa zienza; due cose<br />

<strong>di</strong> cui non ero davvero fornito in ab bon danza. Nessuno<br />

infatti avrebbe sbrigato il lavoro che sarei stato costretto<br />

a trascurare per de<strong>di</strong>carmi alla nuova venuta. Quanto<br />

alla pazienza poi, beh, non era certamente quello uno dei<br />

momenti migliori.<br />

Il mio matrimonio stava andando a rotoli e, dopo che<br />

un estremo tentativo <strong>di</strong> convi venza - improntata, se non<br />

all’affetto, almeno ad un reciproco rispetto - era fallito, mia<br />

moglie ed io eravamo giunti alla conclusione che il <strong>di</strong>vorzio<br />

fosse ormai l’unica possibile alternativa.<br />

154


L’appuntamento<br />

Il giorno in cui Lella si presentò da me le in<strong>di</strong>cai quella che<br />

sarebbe stata la sua scrivania e la invitai a leggersi alcune<br />

circolari.<br />

Era un vecchio trucco: quei fogli non contenevano niente<br />

<strong>di</strong> importante ma, mentre li leggeva, avrei avuto modo <strong>di</strong><br />

osservarla e farmi così una prima idea sul suo conto.<br />

Alta, slanciata, aveva la carnagione chiara ma non pallida,<br />

tipica <strong>di</strong> chi d’estate sta molto esposto al sole. I capelli d’un<br />

nero corvino, né lunghi né corti, lasciavano in dovinare una<br />

toi lette mattutina fatta un po’ in fretta. Sorrisi tra me al<br />

pensiero che le esigenze <strong>di</strong> Morfeo avevano su <strong>di</strong> lei ancora<br />

il sopravvento su quelle <strong>di</strong> Afro<strong>di</strong>te. Gli occhi, scuri quasi<br />

quanto i capelli, ed i lineamenti regolari ed armoniosi<br />

completavano gli elementi <strong>di</strong> una bellezza il cui pregio<br />

mag giore era l’assoluta spontaneità e la totale mancanza <strong>di</strong><br />

arti fizi.<br />

Era il mio un esame puramente... tecnico poiché i problemi<br />

domestici che mi assillavano e la notevole <strong>di</strong>ffe renza <strong>di</strong> età<br />

non lasciavano evidentemente spazio a conside razioni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa natura.<br />

Per fortuna l’addestramento <strong>di</strong> Lella richiese meno tempo<br />

del previsto e <strong>di</strong> ciò le fui grato. Presto imparò a cavarsela<br />

da sola e non dovetti più preoccuparmi <strong>di</strong> lei.<br />

Col passare del tempo andai piano piano scoprendo gli<br />

aspetti più interessanti della sua personalità. Quello che<br />

155


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

più mi colpì fu il constatare che possedeva una dote assai<br />

rara e che <strong>di</strong>fficilmente si nota a prima vista: Lella era una<br />

<strong>di</strong> quelle creature che io amo definire ‘solari’ perché hanno<br />

il dono <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere attorno a sé una specie <strong>di</strong> fluido benefico.<br />

Questa sua prerogativa, frutto sicuramente <strong>di</strong> una corretta<br />

educazione ma assai più <strong>di</strong> qualità interiori, si manifestava<br />

con una visione ottimistica della vita che riusciva a<br />

comunicare a chi le stava intorno.<br />

La sua vicinanza era, sul piano emotivo, rassicu rante. La<br />

serenità del suo sguardo era contagiosa e la sua capacità <strong>di</strong><br />

non perdere il sorriso anche nelle situazioni <strong>di</strong>ffi cili aveva<br />

un potere sdrammatizzante <strong>di</strong> valore inestima bile. Dio<br />

solo sa quanto, in quel periodo, questa sua qualità mi fosse<br />

gra<strong>di</strong>ta.<br />

Questa sua tranquilla sicurezza interiore le consen tiva<br />

inoltre <strong>di</strong> non essere timida. O, forse, <strong>di</strong> non esserlo ancora<br />

poiché, sovente, è più avanti con l’età che le donne amano<br />

atteg giarsi tali. Pur rimanendo nei limiti del lecito e, quel<br />

che più conta, del buon gusto, conservava uno spirito<br />

goliar<strong>di</strong>co che le permetteva, ad esempio, <strong>di</strong> ridere senza<br />

problemi se qualcuno rac contava una barzelletta che altre<br />

colleghe, più mature ma certo meno spontanee, accoglievano<br />

con sorrisi abbozzati fingendo, ad occhi bassi, inesistenti<br />

rossori. Devo aggiungere che, vederla ridere a gola<br />

156


L’appuntamento<br />

spiegata e con il capo arrovesciato all’in<strong>di</strong>etro era spesso cosa<br />

più piacevole della stessa causa del riso poiché, così facendo,<br />

metteva in mostra piccoli denti can<strong>di</strong><strong>di</strong> in una bocca rosa e<br />

delicata che somigliava ad un frutto invitante.<br />

A parte questo era una ragazza del tutto normale, <strong>di</strong><br />

gusti semplici e <strong>di</strong> un’estrema riser vatezza per quanto ri-<br />

guardava la sua vita privata, come ebbi modo <strong>di</strong> constatare<br />

in seguito.<br />

Era un afoso pomeriggio estivo <strong>di</strong> qualche anno dopo. L’aria<br />

era appiccicosa per lo scirocco e faceva passare la voglia <strong>di</strong><br />

lavorare. Numerosi colleghi erano già in ferie e Lella ed io,<br />

unici rimasti a guar<strong>di</strong>a del nostro reparto, ci sentivamo un<br />

po’ vittime.<br />

Solo conforto a chi rimane sulla barricata in tempo <strong>di</strong><br />

vacanze è che il lavoro rallenta e, profittando proprio <strong>di</strong><br />

questa circostanza, stavo dettandole alcune lettere, che non<br />

essendo ur genti aspettavano da tempo, quando lo stridente<br />

suono del telefono ci interruppe. Era il mio avvo cato che<br />

mi an nunciava <strong>di</strong> aver ricevuto i documenti relativi alla<br />

sentenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>vorzio e mi dava appuntamento per i primi<br />

<strong>di</strong> set tembre.<br />

Quando posai il ricevitore rimasi per qualche attimo<br />

assorto, riflettendo sull’insuccesso con cui si era concluso un<br />

importante capitolo della mia vita: un <strong>di</strong>vorzio rappresenta<br />

157


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

pur sempre un fallimento, una sconfitta.<br />

Per pura cortesia Lella, che era seduta a lato della mia<br />

scrivania, mi chiese:<br />

«Difficoltà?» La guardai con un sorriso triste.<br />

«Si,» risposi «ma il peggio è passato. O forse comincia<br />

adesso...».<br />

L’avvocato, telefonandomi in ufficio, aveva infranto una<br />

regola che mi sono imposta e che ho sempre cercato <strong>di</strong><br />

rispettare: lasciare fuori <strong>di</strong> casa i problemi <strong>di</strong> lavoro e non<br />

portare in ufficio quelli domestici. Gli avversari si combattono<br />

meglio se si affrontano uno per volta. Ma l’avvocato<br />

quel giorno aveva infranto le regole del gioco e la voglia <strong>di</strong><br />

lavorare, già poca, mi era passata del tutto.<br />

Accesi una sigaretta, senza offrirne a Lella che non fumava,<br />

e ne aspirai una profonda boccata che poi lasciai uscire<br />

lentamente seguendo con lo sguardo le pigre volute <strong>di</strong> fumo<br />

azzurro. Appoggiai la schiena alla poltroncina e cominciai<br />

a raccon tare del mio <strong>di</strong>sgraziato matrimonio e della sua<br />

malinconica conclusione.<br />

Mi rendevo conto che probabilmente per Lella era una<br />

storia poco interessante ma, in quel momento, avevo<br />

bisogno <strong>di</strong> parlarne con qualcuno.<br />

Lella ascoltò senza interrompermi, con una parteci pazione<br />

che non mi ero aspettata e, quando alla fine tacqui, non<br />

<strong>di</strong>sse nulla ma posò una sua mano sulla mia e la strinse a<br />

158


L’appuntamento<br />

lungo con un gesto che esprimeva molto più <strong>di</strong> qualsiasi<br />

parola.<br />

Fu l’unica volta che mi lasciai andare con lei a quel genere<br />

<strong>di</strong> confidenze, anche perché considero del tutto inu tile e<br />

controproducente te<strong>di</strong>are il prossimo con il racconto dei<br />

propri guai. Non ci sono persone più noiose <strong>di</strong> quelle che,<br />

se chie<strong>di</strong> loro come stanno, te lo raccon tano.<br />

Tra polizze e liquidazioni, da un periodo <strong>di</strong> ferie all’altro,<br />

trascorsero ancora altri anni. Bene o male avevo superato<br />

le <strong>di</strong>fficoltà del dopo-<strong>di</strong>vorzio e mi ero riabituato alla vita<br />

da sca polo riscoprendone i pregi anche se, a qua rant’anni<br />

suonati, ‘essere liberi’ significa assai più spesso cenare da<br />

soli e finire le proprie serate al cinema (o a letto, ma con...<br />

un libro) che non rincorrere improbabili avven ture.<br />

Lella non era cambiata se non per il suo aspetto fi sico:<br />

l’acerba ragazzina era <strong>di</strong>ventata una splen<strong>di</strong>da giovane<br />

donna. Non lavorava più con me ma in un ufficio accanto.<br />

La vedevo spesso.<br />

Un giorno, come tante altre volte, la incontrai al bar durante<br />

quella che si usa chiamare ‘pausa caffè’ e, più che altro per<br />

fare dello spi rito - ben conoscendo la sua naturale ritrosia a<br />

parlare <strong>di</strong> argomenti personali - le chiesi:<br />

«E allora, Lella, quand’è che metti su famiglia?»<br />

«Mi sposo tra due mesi,» rispose con mia grande sor presa,<br />

guardandomi dritto negli occhi. «Mi sono già licen ziata<br />

159


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

ma, ti prego, tieni la notizia per te. Non l’ho ancora detto<br />

agli altri».<br />

Quando mi resi conto che stava parlando seriamente le feci<br />

le mie congratulazioni e promisi che avrei tenuto la bocca<br />

cucita con tutti.<br />

«Ma perché ti sei licenziata?» chiesi incuriosito.<br />

«Perché il mio fidanzato è <strong>di</strong> Torino e andrò a stabilirmi là.<br />

Senti,» aggiunse poi «me lo fai un regalo?»<br />

«Ma certo, si fa sempre un regalo a chi si sposa, no? Cosa<br />

preferisci, un’automobile o una pel liccia?»<br />

«Dai, non fare il buffone. Voglio una tua poesia; una scritta<br />

per me, che sia tutta mia e che possa conservare tra le mie<br />

cose segrete».<br />

Lella conosceva la mia pre<strong>di</strong>sposizione, per la verità un po’<br />

démodé, a scrivere versi ma non mi aspettavo una richiesta<br />

simile da lei che aveva sempre sostenuto <strong>di</strong> non amare il<br />

chiaro <strong>di</strong> luna e <strong>di</strong> preferire i cioccolatini ai fiori. Tuttavia<br />

mi sentii lusingato e promisi che l’avrei acconten tata.<br />

Accade talora nell’animo umano che episo<strong>di</strong> apparentemente<br />

insignificanti inneschino processi evolutivi che<br />

si sviluppano in <strong>di</strong>rezioni impensate per approdare, alla<br />

fine, a conclu sioni che all’inizio sarebbe sembrato assurdo<br />

solo ipotizzare. Ciò avviene evidentemente più spesso nel<br />

campo intellettuale, in cui il proce<strong>di</strong>mento speculativo<br />

160


L’appuntamento<br />

è fisiologico. Meno frequen temente si verifica nella sfera<br />

affettiva, più incline a scelte improvvise ed irrazionali. Forse<br />

è proprio per questo che, in tali casi, gli effetti risultano<br />

ancor più sor prenden ti.<br />

La richiesta <strong>di</strong> Lella, <strong>di</strong> per sé, poteva essere solo un gesto<br />

gentile nei miei confronti, volto a lusingare le mie pretese<br />

<strong>di</strong> poeta <strong>di</strong>lettante o, tutt’al più, una manifestazione <strong>di</strong><br />

vanità femminile destinata a rimanere tale. Nulla lasciava<br />

prevedere ciò che sarebbe accaduto in se guito.<br />

Qualche sera dopo, a casa, sentendomi ben <strong>di</strong>sposto, tirai<br />

fuori il mio piccolo ‘portatile’, lo accesi e mi ci sedetti<br />

davanti con le migliori intenzioni.<br />

Anzitutto occorreva trovare il tema. Lella mi aveva lasciato<br />

carta bianca ma non del tutto. Il fatto che volesse conservare<br />

la poesia tra le sue ‘cose segrete’ - così aveva detto - escludeva<br />

il tono burlesco che mi era solito in simili occasioni. Forse,<br />

una volta tanto, giusto per l’occasione, desiderava un po’<br />

<strong>di</strong>... chiaro <strong>di</strong> luna.<br />

Riflettendoci un poco mi accorsi che, tutto som mato, mi<br />

<strong>di</strong>spiaceva che se ne andasse. Dopo tanto tempo mi ero<br />

abituato a lei e consideravo la sua presenza parte delle mie<br />

giornate; ero certo che, almeno per i primi tempi, mi sarebbe<br />

mancata. Mi sarebbero mancati i suoi oc chi sorridenti, il<br />

tono cor<strong>di</strong>ale e allegro della sua voce, il suo ottimismo...<br />

Perché dunque non <strong>di</strong>re tutto ciò con i miei versi?<br />

161


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Cominciai. Sennonché più scrivevo e più le parole mi<br />

sembra vano inadeguate ad espri mere il senso <strong>di</strong> vuoto che<br />

mi si stava creando dentro. Dovetti ricominciare più volte. Il<br />

rin cresci mento per la prossima separazione, che solo adesso<br />

scoprivo, andava rapidamente pren dendo consistenza e si<br />

rivelava <strong>di</strong> <strong>di</strong> mensioni inaspettate.<br />

Quando terminai ero sinceramente sorpreso <strong>di</strong> quanto mi<br />

stava accadendo: un’ansia del tutto ingiustificata mi era<br />

cresciuta dentro e mi rendeva <strong>di</strong> malumore. Quella notte<br />

dormii male.<br />

Qualche giorno dopo - stampata su bella carta e chiusa in<br />

una busta - consegnai la poesia a Lella. Questa mi ringraziò<br />

e si appartò per leggerla subito.<br />

Quando, dopo un quarto d’ora, notai che non era ancora<br />

tornata, temendo <strong>di</strong> aver invo lontariamente scritto qualcosa<br />

che non gra<strong>di</strong>va, andai a cercarla negli spoglia toi, dove<br />

imma ginavo che fosse.<br />

La trovai accanto ad una finestra, con il mio scritto tra le<br />

mani ed un’espressione incerta e turbata, del tutto in solita<br />

in lei.<br />

«Lella...» chiamai sottovoce.<br />

Alzò il capo e mi piantò in viso i suoi gran<strong>di</strong> occhi scuri,<br />

che per la prima volta vedevo luci<strong>di</strong> <strong>di</strong> commozione.<br />

«Non avrei mai immaginato...» esclamò con voce rotta,<br />

buttandomi ad un tratto le braccia al collo «Sei tanto caro...<br />

162


L’appuntamento<br />

Ti sono grata...» e posò la fronte sulla mia spalla piangendo<br />

sommes samente.<br />

Avvertivo, accostato al mio, il suo giovane corpo scosso dai<br />

singhiozzi e mi prese un improvviso e violento desiderio<br />

<strong>di</strong> stringerla a me. Ad un tratto sollevò il viso per baciarmi<br />

su una guancia e una sua lacrima mi sfiorò la bocca: era<br />

leggermente salata. Le mie <strong>di</strong>fese cedettero e fu come se il<br />

mondo circostante non esistesse più. Con gli oc chi a mia<br />

volta velati la strinsi a me e affondai le labbra tra i suoi<br />

capelli; sapevano <strong>di</strong> shampoo alla mela.<br />

Come potrò mai descrivere ciò che provai in quei pochi<br />

istanti in cui rimanemmo ab bracciati? Sentii un’on data<br />

<strong>di</strong> calore avvolgermi risvegliando desideri sopiti e nel mio<br />

petto qualcosa prese a sciogliersi.<br />

Il sentimento a lungo ignorato, poi negato ed infine<br />

represso si prendeva la sua rivincita e <strong>di</strong>lagava travolgendo<br />

ogni ostacolo. Era la scoperta più dolce e al tempo stesso<br />

più dolorosa che potessi fare: ero innamorato <strong>di</strong> Lella!<br />

L’amavo da tanto, chissà, forse da sempre e, con sorprendente<br />

intempestività, me ne rendevo conto solo ora che stavo per<br />

perderla.<br />

Mio Dio, ma perché solo ora? E perché se era inu tile?<br />

Provai un tremendo smarri mento. Le sollevai il viso e la<br />

baciai sulla fronte. Forse, in quel momento, avrei potuto<br />

osare <strong>di</strong> più ma ero troppo confuso e me ne rammaricai<br />

163


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

solo più tar<strong>di</strong>.<br />

Qualche istante dopo ci separammo e tornammo ciascuno<br />

al proprio lavoro dopo es serci ricomposti, almeno<br />

esteriormente.<br />

Mi sforzai per tutto il giorno <strong>di</strong> non pensarci ma la sera,<br />

quando mi ritrovai solo, tentai <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>nare le idee che<br />

mi apparivano abbastanza confuse. La conclusione - malinconica<br />

- fu che sì, non c’era alcun dubbio, non si trattava<br />

<strong>di</strong> un’esaltazione momentanea, ero perdutamente innamorato<br />

<strong>di</strong> lei.<br />

Ma com’era possibile che fossi stato così cieco? Come avevo<br />

potuto viverle accanto per anni e non accor germi <strong>di</strong> questo<br />

sentimento? Perché non avevo mai voluto ammettere che,<br />

quando era as sente, sentivo la sua mancanza? E perché<br />

tutto accadeva ora che non c’era più tempo?<br />

Ma del resto... anche se fosse accaduto prima... cosa<br />

sarebbe potuto mutare? Forse che avrei potuto sperare <strong>di</strong><br />

essere corrisposto? Via... avevo quarantacinque anni e lei<br />

ventisette! E poi, da quanto amava un altro? Meglio sarebbe<br />

stato dunque che quel sentimento, manifesta tosi<br />

così inopportunamente, fosse rimasto nascosto ancora per<br />

qual che mese per poi morire come un bambino mai nato.<br />

Ma ormai era venuto alla luce, aveva emesso il suo primo<br />

vagito e adesso avrebbe reso tutto più <strong>di</strong>fficile. Seppellire<br />

un neo nato è assai più doloroso che sotter rare un feto.<br />

164


L’appuntamento<br />

I giorni che seguirono furono febbrili ed allucinati. Pensavo<br />

solo a lei, la cercavo, in ventavo i pretesti più banali per<br />

parlarle, telefonarle... Mi sembrava perfino che fosse più<br />

gen tile del solito,<br />

quasi avesse intuito quanto mi stava accadendo e volesse<br />

in qualche modo <strong>di</strong>mo strarmi la sua comprensione, la sua<br />

simpatia.<br />

Ciò che provavo per lei andava intanto crescendo giorno<br />

dopo giorno, quasi a voler recu perare il tempo perduto.<br />

Nel corso delle interminabili notti insonni il desiderio<br />

<strong>di</strong> lei raggiun geva limiti insostenibili e decidevo che,<br />

all’indomani, le avrei rivelato tutto ma poi, venuto il<br />

giorno e trovando mela davanti, capivo che sarebbe stata<br />

una sciocchezza del tutto ingiustificata.<br />

A trattenermi non era, no, il timore <strong>di</strong> apparire ri<strong>di</strong> colo<br />

poiché, intelligente e sensibile qual’ era, Lella avrebbe<br />

certamente capito. Ma poi? Se era giunta al punto <strong>di</strong> sposarlo,<br />

quell’al tro, doveva pur amarlo! E dunque, cosa avrei<br />

potuto sperare per me se non qualche parola <strong>di</strong> consolazione?<br />

Questo misero compenso valeva la mia <strong>di</strong>gnità? E,<br />

soprattutto, valeva l’inevi tabile turbamento che le avrei<br />

cau sato?<br />

Così decidevo <strong>di</strong> stringere i denti e continuare a te nere per<br />

me il segreto <strong>di</strong> quel senti mento <strong>di</strong> cui ella era del tutto<br />

incolpevole. Segreto che, peraltro, mi opprimeva ogni<br />

165


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

giorno <strong>di</strong> più.<br />

Vi sono momenti in cui l’attesa <strong>di</strong> un evento che temiamo<br />

ma che sappiamo inevitabile è quasi più dolorosa dell’evento<br />

stesso al suo verificarsi e, nonostante sia que st’ultimo la<br />

causa della nostra ansia, vorremmo corrergli incontro pur<br />

<strong>di</strong> abbreviare la sofferenza che ci procura il dover restare<br />

impotenti ad aspettarlo.<br />

Trascorrevo dunque i miei giorni tra il desiderio che<br />

tutto finisse presto, che Lella se ne andasse così che, non<br />

avendola più continuamente sotto agli occhi, potessi gradualmente<br />

ces sare <strong>di</strong> pensare a lei, ed il timore <strong>di</strong> come<br />

avrei fatto a sopportare la sua definitiva assenza quando,<br />

una mattina, entrò nel mio ufficio e mi posò sul tavolo<br />

un foglio <strong>di</strong> carta da let tere, piegato a metà, su cui stava<br />

scritto: “La S.V. è invitata a partecipare al rinfresco che la<br />

sposa offrirà ai colleghi questa sera alle 18,00, nel salone<br />

del primo piano”.<br />

«Domani è l’ultimo giorno.» <strong>di</strong>sse, quasi per giustificarsi.<br />

Per quanto avessi più volte immaginato quel mo mento,<br />

tentando <strong>di</strong> prepararmici, e spesso l’avessi anzi desi derato,<br />

quel «Domani è l’ultimo giorno» mi si conficcò dentro<br />

come un lungo ago.<br />

«Ci sarò senz’altro, ma bastava una telefonata. Non sono<br />

poi così importante da valere un in vito scritto.» risposi, fa-<br />

166


L’appuntamento<br />

cendo una smorfia che voleva essere un sorriso. Lella non<br />

<strong>di</strong>sse niente ed uscì.<br />

Alle sei e venti indugiavo ancora attorno a carte che non<br />

avevano per me alcun signifi cato. Mi ripugnava l’idea <strong>di</strong><br />

confondermi tra i colleghi per fare brin<strong>di</strong>si cretini o fingere<br />

<strong>di</strong> ridere a battute volgari: conoscevo bene l’ambiente.<br />

Avrei preferito poter evitare tutto ciò e rimanere solo coi<br />

miei pensieri ma non era proprio possibile per cui dovetti<br />

decidermi a scen dere.<br />

La festicciola era già iniziata perché i miei colleghi non<br />

<strong>di</strong>mostrano mai tanta puntualità come <strong>di</strong> fronte a tartine<br />

e bicchieri. Questo mi rassicurò un poco perché ciò mi<br />

avrebbe con sentito <strong>di</strong> andarmene quasi subito senza che<br />

nessuno lo notasse.<br />

Mi avvicinai a Lella che, per l’occasione, alcuni <strong>di</strong>ri genti<br />

della compagnia si stavano <strong>di</strong>sputando, le strinsi la mano<br />

e, con voce che mi sforzai <strong>di</strong> rendere cor<strong>di</strong>ale, le au gurai<br />

«Buon viaggio», riferendomi ad un verso della poesia che<br />

era stata l’inizio <strong>di</strong> tutto. Quin<strong>di</strong> uscii inosservato con la<br />

sensazione che qualcosa, dentro <strong>di</strong> me, stesse morendo.<br />

Il giorno dopo la vi<strong>di</strong> solo quando venne per salu tarmi per<br />

l’ultima volta. Mi porse entrambe le mani che strinsi forte<br />

e a lungo. Era insolitamente seria ed anche, così mi parve,<br />

un po’ pallida.<br />

«Speravo che avresti accettato il mio invito per ieri sera.»<br />

167


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

mi <strong>di</strong>sse piano, senza guardarmi.<br />

Non nego che mi fece piacere sapere che aveva no tato la<br />

mia fuga dalla sala. Mormo rai qualche scusa e fu tutto.<br />

Che <strong>di</strong>re dei giorni che seguirono? Fu un periodo <strong>di</strong> vuoto<br />

assoluto che trascorsi in una sorta <strong>di</strong> apnea mentale. La mia<br />

vita si svolgeva esteriormente come al solito ma io non vi<br />

par tecipavo, vi assistevo solamente. Cercavo <strong>di</strong> stare quanto<br />

più possibile in mezzo alla gente per evitare <strong>di</strong> met termi a<br />

pensare.<br />

Fu un brutto periodo e quando finalmente riuscii a<br />

riprendermi un poco mi accorsi che ero come svuotato: Lella<br />

s’era portato con sé tutto ciò che restava delle mie possibilità<br />

<strong>di</strong> amare, l’ultimo brandello della mia gioventù.<br />

Tuttavia mi resi conto che, paradossalmente, quel l’amore<br />

mi aveva donato anche un po’ <strong>di</strong> felicità. Una feli cità<br />

piccola piccola, d’accordo, ma pur sempre preziosa che<br />

non avevo rico nosciuto prima solo perché sommersa da<br />

altri sentimenti che reclamavano più forte. Solo ora che le<br />

altre voci tacevano, consce della propria inutilità, trovava il<br />

modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rmi «C’ero anch’io».<br />

Infatti se gran parte della mia sofferenza derivava dal l’aver<br />

perduto la presenza <strong>di</strong> Lella si gnificava che, fino a quando<br />

l’avevo avuta vicina, ne avevo ricavato un sia pur parziale<br />

appa gamento. Inoltre, scoprire che ero ancora ca pace <strong>di</strong><br />

vegliare una notte intera figurandomi im possibili effusioni<br />

168


L’appuntamento<br />

mi aveva fatto sentire incomparabilmente vivo: le pene<br />

d’amore sono privi legio della gioventù! Dunque la piccola<br />

felicità era esistita davvero.<br />

Ora non più. Tutto era irrime<strong>di</strong>abilmente finito ed io<br />

mi sentivo vecchio e, perché no, anche un poco ri<strong>di</strong>colo.<br />

Speravo solo che, col tempo, avrei finito per darmi pace.<br />

Ma non doveva essere così.<br />

Era trascorso quasi un anno e tutta la vicenda si pre sentava<br />

come una <strong>di</strong> quelle malattie che, pur lasciando pro fonde<br />

tracce sull’organismo, bene o male finiscono per gua rire<br />

quando, un giorno, frugando in fondo ad un cassetto<br />

estrassi, un po’ accartocciato, il biglietto col quale Lella mi<br />

aveva invitato la sera del commiato.<br />

Lo tirai fuori con cautela per non strapparlo, lo li sciai e<br />

rilessi quelle parole scritte dalla sua mano, quasi fosse stata<br />

una lettera d’amore. Fu così che mi accorsi che, all’in terno<br />

del fo glio piegato in due, c’era scritto qualcos’altro che non<br />

avevo notato prima. Incuriosito e un poco emozionato<br />

lo apersi e lessi: «Ho improvvisamente scoperto <strong>di</strong> essere<br />

innamorata <strong>di</strong> te e siccome credo che anche tu mi ami, stasera<br />

aspettami: se lo vuoi, mando tutto a monte e resto con<br />

te. Se non ci sarai vorrà <strong>di</strong>re che mi sono sbagliata. In tal<br />

caso ti prego <strong>di</strong> evitare le spiegazioni. L.».<br />

Ecco, la mia storia con Lella, cui nulla ho tolto né aggiunto,<br />

169


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

finisce qui.<br />

Quello che accadde poi, la <strong>di</strong>sperazione che seguì all’iniziale<br />

stupore, i folli progetti <strong>di</strong> cercarla, l’accanirsi sul lavoro per<br />

non pensare, il vedere il suo in ogni volto <strong>di</strong> donna, lo<br />

strug gente rimpianto che ancora mi assale nei momenti <strong>di</strong><br />

abbandono, sono cose che riguardano solo me.<br />

Questo racconto, che ciascuno è libero <strong>di</strong> immagi nare<br />

frutto <strong>di</strong> fantasia, vuole in realtà essere una lettera a lei<br />

<strong>di</strong>retta affinché - se mai avrò la ventura che le capiti <strong>di</strong><br />

leg gerlo - sappia quanto l’ho amata e che se sono mancato<br />

a quell’appuntamento non fu per mia scelta ma solo per<br />

fatalità. Questa è la sola cosa che ragionevolmente io possa<br />

sperare. Oltre a ciò non mi re stano che poche sbia<strong>di</strong>te parole<br />

scritte su uno sgualcito pez zetto <strong>di</strong> carta, tangibile testimonianza<br />

<strong>di</strong> un evento che avrebbe potuto mutare la mia<br />

vita ma che il caso (o il de stino?) volle andasse sciupato.<br />

170


L’appuntamento<br />

IL PIANOFORTe<br />

<strong>di</strong> Francesco Bristot<br />

DOmani mi porteranno via. Forse mi getteranno via,<br />

chissà… Non servo più ormai, farò la fine <strong>di</strong> tutto lo sfacelo<br />

che mi circonda… Superfici levigate ora specchi <strong>di</strong> crepe e<br />

usura. Fregi sfregiati. Cornici <strong>di</strong> nulla…<br />

DOmani. Di primo mattino, alle 9.00 hanno detto.<br />

Minuto più, minuto meno, naturalmente. Il tempo ha<br />

poca importanza ormai fra queste mura. Ha già vinto la sua<br />

battaglia, le ha già conquistate, e come ogni dominatore<br />

non si cura più <strong>di</strong> esse ma si limita a lasciarvi la propria<br />

impronta.<br />

DOmani. Inizieranno da me, per sgomberare la sala e<br />

favorire così il resto dei lavori <strong>di</strong> demolizione. Li ho u<strong>di</strong>ti<br />

chiaramente preparare un piano. Voci sconosciute eppure<br />

nemiche per volere del Fato, voci che non mi hanno mai<br />

u<strong>di</strong>to, non mi hanno concesso la facoltà <strong>di</strong> rispondere, <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mostrare se ancora c’è del valore in me.<br />

DO<strong>di</strong>ci ore mi separano da quel “domani”. E io suono.<br />

Suono mentre un refolo d’aria fredda, innevata, entra<br />

da uno sbreccio in un rettangolo della vetrata, e trascina<br />

qualche fiocco <strong>di</strong> neve a volteggiare per pochi istanti nella<br />

penombra della stanza, prima <strong>di</strong> posarsi sul marmo gelato<br />

171


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

del pavimento e svanire in una goccia d’acqua. Suono.<br />

Suono questa musica triste… perché non c’è nessuno a<br />

suonarla per me.<br />

Resteranno soltanto rovine, macerie, detriti, un barocco<br />

frantume, scheletro crollato <strong>di</strong> un’epoca <strong>di</strong> splendore,<br />

incapace <strong>di</strong> reggersi in pie<strong>di</strong> senza la muscolatura <strong>di</strong> uno<br />

stile <strong>di</strong> vita che oramai non esiste più. Feste mascherate,<br />

danze, debutti in società… quanta vita, riflessa sulla<br />

scacchiera un tempo lucida <strong>di</strong> questo salone… e quanta<br />

assenza <strong>di</strong> vita, ora, quanta inconfessabile morte in questo<br />

rudere che il tempo <strong>di</strong>vora impietosamente avanzando con<br />

pie<strong>di</strong> foderati <strong>di</strong> tela <strong>di</strong> ragno. Fine <strong>di</strong> un’epoca… senza<br />

vedere l’inizio <strong>di</strong> un’altra.<br />

Recluso in quest’angolo ignoro quanto vi sia al <strong>di</strong> là della<br />

soglia, ma non esito ad arguirlo. La pioggia è sempre uguale,<br />

eppure fa crescere rose nei giar<strong>di</strong>ni e rovi nelle palu<strong>di</strong>. Da<br />

tempo questo giar<strong>di</strong>no è privo <strong>di</strong> cure, da tempo i rovi<br />

l’hanno infestato. Da tempo. Così tanto tempo da non<br />

riuscire a focalizzarlo. E nonostante l’immensità che mi<br />

precede, solo poche ore mi separano dall’ad<strong>di</strong>o… Non so<br />

dove stia andando, non so dove sia <strong>di</strong>retto, ma con certezza<br />

so dove sono stato, e quando, e questa certezza la esprimo<br />

in musica.<br />

172


L’appuntamento<br />

MI ascolto, nel silenzio. Sono rimasto solo, in questo vecchio<br />

castello, a cantare nel freddo <strong>di</strong> un inverno ineluttabile<br />

melo<strong>di</strong>e che nessuno può ascoltare… note che si perdono<br />

negli ampi saloni invasi dalle ragnatele… suoni pizzicati<br />

o accompagnati, accennati o insistiti, che vibrano sulle<br />

vetrate sporche, sfondate, baciano i petali appassiti <strong>di</strong> fiori<br />

abbandonati, sollevando la polvere in volute impalpabili…<br />

impalpabili quanto l’armonia della musica stessa. Sono il<br />

pianoforte, l’unico rimasto.<br />

MInuetti, valzer, fantasie per pianoforte… ouvertures,<br />

adagi, rondò… quante sfaccettature, quante emozioni,<br />

quanti momenti unici e irripetibili, espressi da queste<br />

corde come un fiume <strong>di</strong> suggestioni, come un soffio fra le<br />

ciglia in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>schiudere visioni d’arcobaleno, ponti<br />

sospesi sull’eternità, macchie sulla pelle del mondo, gusci<br />

<strong>di</strong> luce e indovinelli senza risposta… E <strong>di</strong> tutto questo cos’è<br />

rimasto?<br />

FAma. Ricchezza. Persino nobiltà. Sono più facili da<br />

raschiare via delle muffe che intridono gli angoli più umi<strong>di</strong>.<br />

Vanità, fatuità, decadenza… questo rimane, o non rimane,<br />

dopo il fuggire degli anni.<br />

FAntasmi infestano ora questo regno, e non sono altro che<br />

i miei ricor<strong>di</strong>. La noia stanca <strong>di</strong> notti trascorse invano a<br />

rispolverarli… ma per chi? Per me forse? Forse.<br />

173


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

FAntasie trasformate in realtà, emozioni tradotte in suoni…<br />

non è forse questo la musica? Cos’è mai il pentagramma se<br />

non il graffio prodotto dalle cinque unghie <strong>di</strong> una mano<br />

su <strong>di</strong> un foglio, un foglio macchiato da note come lacrime<br />

sparse, fino a comporre una melo<strong>di</strong>a che altre <strong>di</strong>ta possano<br />

replicare perché altre lacrime possano trovare sfogo? E<br />

dov’è ora il mio signore? Un tempo accarezzava questi<br />

tasti con tocco ridente, deciso, ne sprigionava primavere<br />

danzanti che s’accompagnavano alla leggerezza del suo<br />

animo, infervorato dall’amore… Quanti volteggi, quanti<br />

sussurri, quanti baci rubati, all’ombra delle fronde al<br />

<strong>di</strong> là della vetrata… Quanti chiari <strong>di</strong> luna fra due mani<br />

che si cercavano e si posavano su <strong>di</strong> me, fra due cuori che<br />

battevano all’unisono scandendo il tempo <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a<br />

che esisteva soltanto dentro <strong>di</strong> loro, che solo loro potevano<br />

u<strong>di</strong>re, anime riunite e per sempre intrecciate, come nocciolo<br />

e caprifoglio…<br />

SOLtanto ricor<strong>di</strong>, ora. Ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> un mondo che non c’è<br />

più. Il mio mondo. Quante note suonate per lei, per le<br />

stelle che splendevano nel cielo del suo sguardo… cielo che<br />

s’era fatto nero, quando le gocce d’una pioggia primaverile<br />

s’erano mutate in tempesta d’autunno, quando lei era<br />

appassita, come i fiori rimasti a seccare nei vasi <strong>di</strong> questo<br />

castello, lacerando l’anima del mio signore, sprofondandolo<br />

174


L’appuntamento<br />

nella degenerazione <strong>di</strong> un cupo oblio. Quante sere, oh…<br />

quante sere aveva pestato su questi tasti con violenza, con<br />

dolore, come se quelle <strong>di</strong>ta tremanti fossero ormai incapaci<br />

<strong>di</strong> carezze, avessero scordato l’armonia, generando soltanto<br />

gemiti da queste corde ormai rose dal tempo… gemiti che<br />

ancora io canto quando il cielo si spegne e le nubi della<br />

notte tornano a invadere queste morte stanze.<br />

SOLitario, schivo, eppure mai sgarbato, l’ho visto perdersi<br />

nel tempo ed ho visto il tempo perdersi in lui, perdere <strong>di</strong><br />

significato. Quanto prima un’ora poteva essere preziosa<br />

se trascorsa con lei, così poi giornate intere smarrivano il<br />

loro significato nel vuoto incolmabile della sua assenza. I<br />

rintocchi si susseguivano nella pendola della biblioteca, le<br />

albe ed i tramonti si fondevano in<strong>di</strong>stinguibili nel fuoco<br />

della febbre, e la metrica scan<strong>di</strong>ta dagli spartiti che egli<br />

stesso aveva per anni stu<strong>di</strong>ato o ad<strong>di</strong>rittura composto<br />

si accavallava senza più criterio in espressioni <strong>di</strong> caos e<br />

tormento.<br />

SOLo poche ore mi separano ancora dalle 9.00 <strong>di</strong> un<br />

domani che non ho mai desiderato. Riesco a sentirne la<br />

metrica, dentro <strong>di</strong> me, tra una nota e l’altra. Esiste un<br />

tempo per ogni cosa. Esiste un tempo per essere e un<br />

tempo per non essere più. Esiste un tempo inteso come<br />

opportunità ed esiste un tempo inteso come condanna.<br />

L’ora d’inizio <strong>di</strong> un concerto è sempre stato un tempo<br />

175


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

inteso come opportunità. Le 9.00 <strong>di</strong> domattina sono<br />

purtroppo un tempo inteso come condanna. Entrambi<br />

nient’altro che semplici appuntamenti… ma con che cosa<br />

si ha appuntamento piega un sorriso in una smorfia. E in<br />

entrambi i casi non si tratta che <strong>di</strong> un momento, un unico<br />

singolo istante all’interno del flusso infinito della Storia, un<br />

unico singolo istante che io non ho deciso ma al quale mi<br />

devo adeguare.<br />

SOLamente ora me ne rendo conto: sopravvivere non è<br />

vivere, e da troppo ormai io sopravvivo. Ogni clessidra<br />

è composta <strong>di</strong> due metà e la rappresentazione stessa del<br />

tempo varia a seconda della metà in cui ci si colloca. La<br />

metà superiore si svuota, è la metà che sottrae, è il tempocondanna,<br />

è l’autunno, la vecchiaia, la malattia, il dolore<br />

insanabile, le corse mai corse… la metà inferiore invece<br />

aggiunge, si riempie, genera nuovi ricor<strong>di</strong>, è il tempoopportunità,<br />

è il tesoro dell’esperienza, la maturazione<br />

personale, la primavera <strong>di</strong> fiori e l’estate <strong>di</strong> frutti… Sono<br />

vibrati fra queste corde spartiti che cantavano ora l’una ora<br />

l’altra. È strano come ora mi tornino alla mente soltanto<br />

echi della metà superiore… ma forse sono tutto ciò che<br />

rimane. E che mi rimane.<br />

LA tetra aria che accompagnò il mio signore nella sua<br />

ultima creazione, nel suo testamento artistico, ancora non<br />

176


L’appuntamento<br />

ha abbandonato queste fredde mura, queste seriche tende<br />

ora strappati sudari, questi grigi lucernari da cui un tempo<br />

si sprigionava una luce pari a quella d’un cielo <strong>di</strong> maggio…<br />

ora solo cristalli opachi, incapaci <strong>di</strong> riflettere anche le<br />

lacrime che li hanno bagnati.<br />

LA suono, la ascolto, la accolgo e la trattengo in me<br />

un’ultima volta, e prima che scocchi l’ora fati<strong>di</strong>ca la lascerò<br />

libera per sempre. Tempo, tempo che ro<strong>di</strong> questa <strong>di</strong>mora<br />

quanto ro<strong>di</strong> la mia coda, tu che porti i tarli a mangiare le<br />

mie carni, tu che laceri la fodera vermiglia del mio cuscino,<br />

tu che hai già spezzato molte delle mie corde lasciandomi<br />

muto, incapace <strong>di</strong> esprimere il mio vuoto… ti prego<br />

tempo, conce<strong>di</strong>mi ancora una sera, una falce <strong>di</strong> luna, sì<br />

ch’io concluda la mia canzone, e poi, se vorrai, mi porterai<br />

con te… e sarà il<br />

SIlenzio.<br />

Questo breve componimento, ispirato al tema musicale<br />

“Casper’s Lullaby” <strong>di</strong> James Horner, è de<strong>di</strong>cato ad Edgar<br />

Allan Poe. E a Martina.<br />

177


L’appuntamento<br />

MeTAMORFOSI<br />

<strong>di</strong> Katia Tormen<br />

Aspetto.<br />

Perché solo questo posso fare.<br />

Attendere davanti a questo spazio bianco sullo schermo,<br />

con la sola compagnia del ronzio della ventola del PC.<br />

Prima o poi arriverà, lo so, la conosco abbastanza bene,<br />

oramai.<br />

Quello che non so è il modo in cui lo farà, la maniera che<br />

avrà <strong>di</strong> annunciarsi, <strong>di</strong> avvertirmi della sua comparsa.<br />

È sempre <strong>di</strong>verso. Ci sono delle volte in cui mi fa impazzire,<br />

si avvicina lentamente a piccoli passi per poi ritrarsi <strong>di</strong><br />

nuovo e magari cambiarsi d’abito.<br />

Certe altre, invece, arriva rapida come un lampo <strong>di</strong> luce,<br />

fulminea, palese. Senza fronzoli.<br />

Ma non mi ha mai tra<strong>di</strong>to.<br />

Fino ad ora.<br />

Non ha mai mancato ad un appuntamento.<br />

Forse anche perché so attendere e le mie scadenze non sono<br />

poi così rigide.<br />

Forse solo perché io e lei ci inten<strong>di</strong>amo, perché non<br />

saremmo niente l’una senza l’altra.<br />

La sto aspettando anche ora, mi pareva <strong>di</strong> averla sentita<br />

179


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

bussare poco fa, <strong>di</strong> aver u<strong>di</strong>to i suoi passi sul pavimento<br />

liscio della mia mente, ma era solo un’impressione.<br />

Non è facile.<br />

È un tema strano, “L’appuntamento”. Facile a essere noioso,<br />

come lo sono quasi tutte le cose inquadrate dentro a uno<br />

schema <strong>di</strong> giorno, orario, posto.<br />

“Venerdì. Ore 16:00. Dentista.”<br />

Cosa si potrebbe scrivere attorno a questo? Certo, un sacco<br />

<strong>di</strong> cose, me ne vengono in mente alcune piuttosto truci, ma<br />

lei non arriva e senza <strong>di</strong> lei non vado da nessuna parte.<br />

“Appuntamento alle 22 e 30 con la seconda manche dello<br />

slalom speciale da Vancouver”.<br />

Bene, tutti davanti alla tv, forza Razzoli.<br />

Ma <strong>di</strong> lei nemmeno l’ombra.<br />

Osservo la stanza: un arma<strong>di</strong>o, un quadro, la finestra, un<br />

calendario, la scatola del trenino <strong>di</strong> mio figlio…<br />

Un treno! Ecco, il treno è il classico mezzo da appuntamento,<br />

soprattutto appuntamento mancato visti i ritar<strong>di</strong>…Una<br />

stazione è piena <strong>di</strong> vite, <strong>di</strong> storie, ci sarà pure una persona<br />

con qualcosa <strong>di</strong> interessante da raccontare…<br />

Per esempio quel tipo, quello lì sulla quarantina col<br />

pizzetto…<br />

Potrebbe…<br />

E se…<br />

Aha!<br />

180


L’appuntamento<br />

Sei arrivata, finalmente, cara la mia ispirazione!<br />

MeTAMORFOSI<br />

Un cerchio tracciato col pennarello rosso circondava il<br />

numero 18.<br />

Miss <strong>di</strong>cembre lo fissava, languida e vestita solo con un<br />

cappellino da Babbo Natale, dal calendario della carrozzeria<br />

Leone.<br />

“Per tirarti su il morale!”- gli aveva detto Diego, suo amico<br />

nonché titolare della suddetta l’anno prima, subito dopo<br />

aver appreso del suo <strong>di</strong>vorzio.<br />

“Finalmente il gran giorno è arrivato!”- sentenziò Walter<br />

mentre inzuppava <strong>di</strong>strattamente i biscotti nel caffelatte.<br />

Fuori il rumore del traffico annunciava che la giornata<br />

lavorativa era ormai in pieno svolgimento, complicata dal<br />

nevischio che aveva fatto la sua comparsa nottetempo.<br />

Non per lui, da tempo aveva segnalato all’ufficio del<br />

personale che quel giorno si sarebbe preso ferie, così adesso<br />

seduto al tavolo della piccola cucina del suo appartamento<br />

al terzo piano, assaporava l’indolenza che il non aver<br />

praticamente nulla da fare fino al tardo pomeriggio gli<br />

procurava.<br />

Per niente al mondo avrebbe permesso che qualcosa, anche<br />

il minimo contrattempo, <strong>di</strong>sturbasse il lento svolgimento <strong>di</strong><br />

quella giornata: l’evento era pressoché memorabile, almeno<br />

181


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

lo era per lui e voleva arrivarci preparato, sia fisicamente<br />

che psicologicamente.<br />

Dopo oltre un ventennio il suo migliore amico d’infanzia<br />

tornava nel luogo che li aveva visti protagonisti dei loro<br />

anni più spensierati! Era come il ritorno a casa <strong>di</strong> un fratello<br />

dopo tanto tempo, anche se, doveva essere sincero e un<br />

po’anche vergognarsene, per gran parte <strong>di</strong> questo tempo<br />

non si era mai preoccupato della sua sorte. A <strong>di</strong>re il vero<br />

qualche volta si era chiesto che fine avesse fatto il buon<br />

marco ma nulla più <strong>di</strong> una domanda retorica alla quale non<br />

si era mai preso la briga <strong>di</strong> trovare la risposta.<br />

Si alzò, appoggiò la tazza sul piano del lavello e si <strong>di</strong>resse<br />

verso il bagno seminando i pezzi del pigiama lungo il breve<br />

corridoio: una bella doccia rigenerante era quel che ci<br />

voleva per cominciare al meglio la giornata.<br />

Mentre l’acqua gli scorreva addosso, si scoprì ad osservare<br />

il suo corpo <strong>di</strong> quarantenne e stabilì che quello che vedeva<br />

non gli piaceva poi molto. Dove fino a pochi anni prima<br />

i muscoli scolpiti <strong>di</strong>segnavano un addome a tartaruga,<br />

stazionava ora un surplus <strong>di</strong> carne. Niente che una maglia<br />

ampia non avesse potuto nascondere, tuttavia decise che<br />

sarebbe stato decisamente utile riesumare dal cassetto la<br />

vecchia tessera della palestra.<br />

Una volta uscito dal box doccia, lo specchio semi appannato<br />

gli restituì la visione della sua stempiatura che guadagnava<br />

182


L’appuntamento<br />

terreno <strong>di</strong> pari passo con l’incremento dei capelli grigi.<br />

Con le <strong>di</strong>ta cercò <strong>di</strong> spostare qualche ciocca in modo<br />

da mimetizzare il misfatto; poi si sentì ri<strong>di</strong>colo e, preso<br />

l’asciugamano dallo scalda - salviette, prese ad asciugarsi<br />

energicamente.<br />

“Nemmeno avessi appuntamento con una bella ragazza!”<strong>di</strong>sse<br />

rivolto al suo riflesso, evocando l’immagine <strong>di</strong> Marco<br />

come se lo ricordava, un ragazzino magro, con la faccia<br />

segnata dall’acne e due occhi verde acqua che avrebbe<br />

saputo <strong>di</strong>stinguere fra mille. Forse adesso solo da quelli<br />

lo avrebbe riconosciuto… E lui? Cosa restava in lui del<br />

ragazzo quattor<strong>di</strong>cenne a parte il colore degli occhi e la<br />

perenne propensione a cacciarsi nei guai? Si guardò <strong>di</strong><br />

nuovo nello specchio. Forse avrebbe dovuto tagliarsi il<br />

pizzetto…Al <strong>di</strong>avolo! A <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> tutto quello che <strong>di</strong>ceva<br />

la sua ex moglie, riteneva <strong>di</strong> non essere un uomo da buttare<br />

e comunque il suo aspetto esteriore per Marco non avrebbe<br />

fatto alcuna <strong>di</strong>fferenza: era l’anima del suo vecchio amico<br />

Walter quella che voleva rivedere, era il suo carattere allegro<br />

quello che era tornato a cercare.<br />

Si aggirò per casa in mutande e maglietta cercando <strong>di</strong><br />

mettere un po’ <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne nel caso il suo amico avesse deciso<br />

<strong>di</strong> restare a dormire lì. In una delle scarne mail che si erano<br />

scambiati in quelle ultime settimane gli aveva chiesto <strong>di</strong><br />

prenotargli una stanza in albergo. Ma conosceva Marco, era<br />

183


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

sempre il solito riguardoso che si faceva mille seghe mentali,<br />

e così, consapevole dell’ascendente che aveva sempre avuto<br />

su <strong>di</strong> lui, non dubitava che alla fine lo avrebbe convinto a<br />

sistemarsi nella stanza dei bambini.<br />

Bambini che, per inciso, quella cameretta non aveva mai<br />

accolto. A quel pensiero sentì un rigurgito <strong>di</strong> rabbia e<br />

malinconia farsi strada nelle sue viscere. Dio solo sa se li<br />

avrebbe voluti, dei figli. Invece quella stronza <strong>di</strong> Sabrina,<br />

aveva deciso che prima doveva affermarsi sul lavoro, badare<br />

alla carriera! E dopo <strong>di</strong> ciò scoparsi il capufficio e avere due<br />

gemelli da lui!<br />

Chissà che faccia avrebbe fatto Marco al pensiero <strong>di</strong> lui<br />

sposato con “Sabrina castorina”. L’avevano soprannominata<br />

così fin dalle elementari per via degli incisivi sporgenti<br />

che però l’apparecchio ai denti aveva sistemato nel giro <strong>di</strong><br />

qualche anno. La pubertà aveva fatto il resto trasformandola<br />

in una bella ragazza con la quale lui, invi<strong>di</strong>ato da tutti,<br />

era riuscito a convolare a giuste nozze una decina <strong>di</strong> anni<br />

prima. Poi era andata com’era andata.<br />

Acqua passata oramai, anche se il ripensarci gli faceva<br />

ancora male.<br />

Tirò fuori lenzuola e coperta dall’arma<strong>di</strong>o e si mise a fare il<br />

letto, in modo da non dover perdere tempo più tar<strong>di</strong>.<br />

Sul tavolino in soggiorno aveva già preparato tutto<br />

l’occorrente per una serata all’insegna del revival: album<br />

184


L’appuntamento<br />

zeppi <strong>di</strong> vecchie foto e <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> scuola logori e malconci.<br />

In frigo, birra a volontà per lubrificare la gola dopo ore <strong>di</strong><br />

chiacchiere e una vaschetta <strong>di</strong> gelato da gustare dopo la<br />

pizza. Walter aveva pensato <strong>di</strong> farsela portare a domicilio<br />

dove sarebbero stati sicuramente più tranquilli che non<br />

in una chiassosa pizzeria. L’avrebbero tagliata a spicchi<br />

e mangiata con le mani lasciando colare l’ilio sui loro<br />

ricor<strong>di</strong>. Era impaziente: aveva trascorso gran parte della<br />

sua vita senza sentire la mancanza <strong>di</strong> Marco e adesso gli<br />

sembrava impossibile resistere ancora qualche ora senza<br />

rivederlo. Marco, Marco, Marco, il solo pronunciare quel<br />

nome metteva in moto nel suo cervello una valanga <strong>di</strong><br />

ricor<strong>di</strong> e sensazioni: il primo giornalino porno sfogliato <strong>di</strong><br />

nascosto a ricreazione, le batterie per il walkman rubate<br />

al supermercato, i primi tiri a una sigaretta…Pezzi <strong>di</strong> vita<br />

che avevano con<strong>di</strong>viso, esperienze che era felice <strong>di</strong> aver<br />

sperimentato con lui.<br />

A mezzogiorno riscaldò nel microonde la pasta avanzata<br />

la sera prima e la mangiò <strong>di</strong> fronte alla tv. Il telegiornale<br />

aveva aperto con le notizie sul maltempo, piogge violente e<br />

allagamenti al sud, mentre al nord le abbondanti nevicate<br />

avevano fatto subire ai treni dei ritar<strong>di</strong>. Sperò che quello<br />

del suo amico non fosse tra quelli e decise che più tar<strong>di</strong><br />

avrebbe provato a chiamarlo.<br />

Il caro vecchio Marco! Suo padre, chissà se era ancora<br />

185


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

in vita, aveva origini inglesi e lavorava per una grossa<br />

multinazionale, con se<strong>di</strong> in tutto il mondo. Era un uomo<br />

perennemente con la valigia in mano, Walter si era sempre<br />

chiesto quando lo avesse trovato il tempo per fare un<br />

figlio, ma col passare degli anni questa vita nomade aveva<br />

iniziato a non andargli più bene. Così, quando una <strong>di</strong>tta<br />

concorrente gli aveva offerto più sol<strong>di</strong> e la possibilità <strong>di</strong><br />

fermarsi stabilmente in un posto, aveva accettato subito.<br />

Particolare non in<strong>di</strong>fferente, il luogo dove il signor Boyle<br />

avrebbe potuto finalmente calare l’ancora era negli USA.<br />

Una volta dati gli esami per la licenza me<strong>di</strong>a, Marco aveva<br />

salutato tutti con gli occhi luci<strong>di</strong> per l’emozione ed era<br />

partito.<br />

Si erano scritti, per un periodo. Prima una volta al mese,<br />

poi solo per gli auguri <strong>di</strong> Natale. Infine nemmeno per<br />

quelli. Walter aveva tentato <strong>di</strong> fargli avere l’invito per il suo<br />

matrimonio, spedendoglielo all’in<strong>di</strong>rizzo in suo possesso,<br />

ma la busta era tornata al mittente nel giro <strong>di</strong> qualche<br />

settimana.<br />

In tempi più recenti aveva provato a rintracciarlo in<br />

internet, tramite “Facebook” era già riuscito a riallacciare<br />

rapporti con persone che non vedeva da anni. Ma quando<br />

aveva inserito il nome Marco Boyle nel motore <strong>di</strong> ricerca,<br />

niente <strong>di</strong> ciò che era apparso sullo schermo corrispondeva<br />

a quello che stava cercando. Gli era parso strano, visto che<br />

186


L’appuntamento<br />

aveva detto <strong>di</strong> lavorare nel settore pubblicitario, ma si era<br />

detto che forse era una delle classiche persone che dopo aver<br />

usato il computer tutto il giorno, nel privato ne facevano<br />

volentieri a meno.<br />

Sistemò piatto e bicchiere in lavastoviglie, prese il cellulare<br />

e provò a chiamare Marco per sentire se il viaggio procedeva<br />

senza intoppi. Dopo un paio <strong>di</strong> tentativi durante i quali<br />

non riuscì nemmeno a prendere la linea, desistette e per<br />

passare il tempo decise <strong>di</strong> sfogliare un album.<br />

Fermo assertore del principio secondo cui una bionda è<br />

sempre un’ottima compagnia, prese una birra dal frigo e<br />

si sistemò sul <strong>di</strong>vano, stranamente eccitato dall’imminente<br />

rendez-vous con la sua infanzia. Tolse un velo <strong>di</strong> polvere dalla<br />

copertina, non guardava quelle immagini da un’eternità e<br />

cominciò a sfogliare le pagine. Sorrise nel rivedersi vestito<br />

da cow boy con tanto <strong>di</strong> pistola e baffi finti <strong>di</strong>segnati col<br />

pennarello, con un braccio attorno alle spalle <strong>di</strong> un Marco<br />

- in<strong>di</strong>ano bardato <strong>di</strong> piume. Si trattava <strong>di</strong> una festa <strong>di</strong><br />

carnevale delle elementari, la facevano tutti gli anni …<br />

Poi la foto con tutta la squadra <strong>di</strong> calcio, lui si riconosceva<br />

bene, lo avevano messo portiere perché era il più alto. Marco<br />

invece era sempre stato piuttosto minuto e gli avevano<br />

assegnato il ruolo <strong>di</strong> attaccante. Avrebbe sicuramente<br />

segnato un sacco <strong>di</strong> gol se non avesse mollato il pallone<br />

quasi subito. Non faceva per lui, aveva detto, non gli<br />

187


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

piaceva. Walter non ci aveva mai creduto, sapeva che alcuni<br />

compagni <strong>di</strong> squadra lo avevano fatto vittima <strong>di</strong> scherzi<br />

pesanti negli spogliatoi. Lui non c’era quando era successo,<br />

glielo avevano raccontato. Fosse stato lì lo avrebbe <strong>di</strong>feso,<br />

o<strong>di</strong>ava quelli -ed erano parecchi- che lo prendevano in giro<br />

ma era andata così e comunque anche la sua carriera <strong>di</strong><br />

portiere non era durata poi molto, un paio <strong>di</strong> anni dopo si<br />

era rotto un braccio cadendo in bicicletta e aveva appeso i<br />

guantoni al chiodo.<br />

In un’altra immagine un gruppo <strong>di</strong> ragazzini rigorosamente<br />

in fila in<strong>di</strong>ana stavano percorrendo un sentiero <strong>di</strong> montagna:<br />

il campeggio estivo con Don Oreste! Ne avevano combinate<br />

<strong>di</strong> tutti i colori, dai raid nella camerata delle femmine fino<br />

alla sostituzione del vino per la messa con l’aceto. Che<br />

faccia aveva fatto il prete! Poi però dopo una settimana a<br />

Marco era venuta la nostalgia e nei giorni seguenti non<br />

aveva fatto altro che piagnucolare.<br />

Era sempre stato un ragazzino molto sensibile, anche troppo<br />

per i suoi gusti, un po’ timido e perennemente indeciso,<br />

ma per lui che era un trascinatore era la spalla ideale perche<br />

lo seguiva in qualsiasi impresa, anche le più strampalate.<br />

Ripensandoci, forse la sua non era stata proprio un’amicizia<br />

totalmente <strong>di</strong>sinteressata… All’opposto <strong>di</strong> lui Marco a<br />

scuola era bravissimo e, fatto non in<strong>di</strong>fferente, lo lasciava<br />

copiare, oltre a fare da solo le ricerche che ufficialmente<br />

188


L’appuntamento<br />

avrebbero dovuto svolgere in coppia. Non ricordava che tra<br />

<strong>di</strong> loro ci fosse mai stato un litigio pur essendo la persona<br />

con la quale trascorreva la maggior parte del suo tempo:<br />

all’epoca le ragazze non erano ancora entrate nella sua sfera<br />

d’interesse. Era quello con cui si confidava e il primo nella<br />

lista degli invitati alle sue feste <strong>di</strong> compleanno. Per lui, che<br />

aveva tre sorelle, era il fratello maschio che mancava.<br />

Perso nei ricor<strong>di</strong>, Walter non si rese nemmeno conto<br />

dello scorrere del tempo fino a quando la luce nella stanza<br />

cominciò a scemare e fu costretto ad accendere la lampada.<br />

Controllò l’orologio e si precipitò in camera alla frenetica<br />

ricerca <strong>di</strong> qualcosa da indossare. Optò per un abbigliamento<br />

casual, jeans, una camicia e un maglione <strong>di</strong> lana con lo scollo<br />

a V. Visto il tempaccio, lasciò perdere il gilè <strong>di</strong> piuma d’oca<br />

e prese il giaccone della tuta da sci che faceva comunque la<br />

sua porca figura. Ai pie<strong>di</strong> infilò senza esitazione gli anfibi<br />

nuovi. Uscì <strong>di</strong> corsa ma fatte le prime due rampe <strong>di</strong> scale si<br />

rese conto <strong>di</strong> aver scordato il portafogli e così fu costretto<br />

a tornare in<strong>di</strong>etro. Poco male perché spense anche la luce<br />

<strong>di</strong>menticata accesa.<br />

Raggiunse il garage alquanto trafelato e dopo aver notato<br />

la faccia allibita con cui lo aveva salutato il geometra del<br />

secondo piano, decise <strong>di</strong> darsi un contegno. In fin dei conti<br />

non era per nulla in ritardo e le strade non erano poi così<br />

impraticabili. Si sedette al volante appoggiò la schiena al<br />

189


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

se<strong>di</strong>le e fece tre respiri profon<strong>di</strong>.<br />

Ma cosa gli stava succedendo? Non era da lui comportarsi<br />

in quel modo assurdo, tra l’altro stava andando ad un<br />

appuntamento con un suo amico e non con Angelina Jolie<br />

e il fatto che non lo vedesse da quasi cinque lustri e che nella<br />

maggior parte <strong>di</strong> questo tempo non ne avesse mai sentito<br />

la mancanza, rendeva la cosa ancora più paradossale. Forse,<br />

inconsciamente, sperava che quell’incontro lo avrebbe<br />

riportato in<strong>di</strong>etro nel tempo. Forse credeva che rivedere<br />

Marco gli avrebbe dato la stessa carica vitale che si sentiva<br />

addosso a quattor<strong>di</strong>ci anni, che dopo tanti fallimenti e<br />

amarezze sarebbe tornato ad essere il leader carismatico<br />

<strong>di</strong> allora…”Sono un povero i<strong>di</strong>ota!”- <strong>di</strong>sse a voce alta, poi<br />

mise in moto e uscì.<br />

Fu accolto in stazione dall’altoparlante che informava i<br />

signori viaggiatori che il treno proveniente da Roma aveva<br />

un ritardo <strong>di</strong> trenta minuti. Aggiunti ai <strong>di</strong>eci che aveva<br />

lui <strong>di</strong> anticipo, facevano un sacco <strong>di</strong> tempo. Decise <strong>di</strong><br />

spenderlo al bar davanti a un caffè e vi si <strong>di</strong>resse con passo<br />

lento, guardandosi attorno. C’erano parecchie persone,<br />

notò Walter, molte delle quali avevano l’aria rassegnata <strong>di</strong><br />

chi è abituato ad aspettare. Alcuni ragazzi seduti sui loro<br />

borsoni stavano probabilmente tornando a casa dopo una<br />

settimana all’università. Forse, invece, partivano per una<br />

190


L’appuntamento<br />

gita, non lo avrebbe mai saputo ma avrebbe ugualmente<br />

sopportato <strong>di</strong> vivere senza quest’informazione. Un uomo<br />

con una rosa rossa in mano fissava il tabellone degli arrivi<br />

con evidente impazienza. “Per fortuna esistono ancora<br />

persone romantiche”- pensò mentre apriva la porta del<br />

bar.<br />

Or<strong>di</strong>nò il caffè e si sedette su uno degli sgabelli <strong>di</strong> fronte<br />

al bancone. L’enorme specchiera che ricopriva la parete <strong>di</strong><br />

fronte gli rimandò la sua immagine pensierosa. Sarebbero<br />

bastati pochi giorni per ricucire uno strappo <strong>di</strong> oltre<br />

vent’anni? E soprattutto, era questo che voleva anche<br />

Marco? O forse la sua vita attuale gli piaceva, ci stava bene<br />

e dei tempi andati non gli interessava poi niente? Aveva<br />

comperato le birre e deciso per la pizza basandosi sui gusti<br />

che dell’amico quattor<strong>di</strong>cenne. E se adesso fosse <strong>di</strong>ventato<br />

intollerante al glutine? Succedeva a tanti…O peggio fosse<br />

in cura dagli alcolisti anonimi?<br />

Purtroppo, nelle mail che gli aveva inviato dall’America<br />

aveva lesinato parecchio sulle informazioni personali.<br />

L’in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong> posta elettronica che gli aveva dato era<br />

chiaramente quello <strong>di</strong> lavoro e Walter aveva giustificato le<br />

poche righe frettolose ed evasive con cui rispondeva alle sue<br />

domande, con il poco tempo a <strong>di</strong>sposizione. Poco male, in<br />

fondo non c’era niente che non si potesse rime<strong>di</strong>are se ce<br />

ne fosse stato bisogno. Diede una rapida scorta al giornale,<br />

191


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

pagò il conto ed uscì proprio mentre veniva annunciato<br />

l’arrivo del treno.<br />

L’emozione fece sentire a Walter l’impellente bisogno <strong>di</strong><br />

andare in bagno, ma oramai era tar<strong>di</strong>, il convoglio già si<br />

intravedeva in lontananza. Si rese improvvisamente conto<br />

<strong>di</strong> aver dato per scontato il fatto che Marco avrebbe saputo<br />

riconoscerlo al volo: non gli aveva fornito nemmeno un<br />

in<strong>di</strong>zio o accordato un segno <strong>di</strong> riconoscimento.<br />

Invece lui sapeva <strong>di</strong> dover cercare un trolley rosso.<br />

Il treno si fermò con gran gemito dei freni. Pochi istanti<br />

dopo le porte si aprirono vomitando sul marciapiede<br />

decine <strong>di</strong> persone. Era incre<strong>di</strong>bile quanta gente avesse un<br />

valido motivo per fermarsi nella sua città, chissà cosa ci<br />

venivano a fare… Non l’aveva mai ritenuta interessante<br />

sotto nessun aspetto, una citta<strong>di</strong>na provinciale senza<br />

particolari attrattive, ma evidentemente c’era chi la pensava<br />

in modo <strong>di</strong>verso. Fece saettare gli occhi nella spasmo<strong>di</strong>ca<br />

ricerca dell’amico, senza riuscire a scorgere nessun volto<br />

noto. Focalizzò quin<strong>di</strong> la sua attenzione sull’oggetto dal<br />

quale poteva riconoscerlo. La prima valigia rossa munita <strong>di</strong><br />

ruote che vide era trascinata a fatica da una bambina con<br />

le trecce che trotterellava appresso alla madre. La seconda<br />

era l’appen<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una donna fasciata in un cappotto color<br />

panna che si guardava attorno stranita. Walter considerò<br />

che il tizio con la rosa aveva finalmente concluso la sua<br />

192


L’appuntamento<br />

attesa. Poi intravide un uomo con un piccolo trolley rosso<br />

venire nella sua <strong>di</strong>rezione. Non riconobbe subito in lui<br />

l’amico, tuttavia non v’era dubbio che fosse lui: la struttura<br />

fisica minuta, la camminata veloce… Walter si avvicinò a<br />

braccia spalancate col sorriso più ra<strong>di</strong>oso che gli fosse mai<br />

spuntato sul viso. “Vecchia baldracca!”- gridò e senza far<br />

caso alla faccia stupita dell’altro quasi lo stritolò nella morsa<br />

delle sue braccia. L’uomo riuscì malamente a <strong>di</strong>vincolarsi<br />

e fissandolo con sguardo torvo si palpò le tasche per<br />

controllare che il portafoglio fosse al suo posto. “Ma chi<br />

<strong>di</strong>amine è lei?”- gli sputò in faccia- “Come si permette?”.<br />

Walter si rese improvvisamente conto dell’errore commesso,<br />

ciononostante gli pose timidamente una domanda che<br />

subito si accorse essere tremendamente assurda. “Ma non<br />

sei Marco?”. Quello scosse la testa con aria rassegnata: “Mi<br />

pare evidente che la risposta è no!” “Mi scusi, mi scusi<br />

tanto” – farfugliò in<strong>di</strong>etreggiando, il viso in fiamme per la<br />

vergogna. Vide alcune persone che lo fissavano <strong>di</strong>vertite. La<br />

donna col cappotto bianco era ancora lì, era l’unica che non<br />

rideva ma, peggio, sembrava guardarlo con compassione,<br />

cosa che gli <strong>di</strong>ede parecchio sui nervi. Avrebbe voluto <strong>di</strong>rle<br />

<strong>di</strong> sbrigarsi che <strong>di</strong> là c’era il suo uomo che la aspettava.<br />

Per darsi un contegno si inginocchiò e finse <strong>di</strong> allacciarsi<br />

una scarpa. Ma dove cazzo era finito Marco? Possibile che<br />

avesse cambiato idea? Perché non lo aveva chiamato per<br />

193


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

avvertirlo? Mentre nella sua testa le peggiori congetture<br />

cominciavano a farsi strada, con la coda dell’occhio vide<br />

qualcuno avvicinarsi. Tentò <strong>di</strong> concentrarsi sul nodo,<br />

<strong>di</strong>stratto però dal rumore <strong>di</strong> tacchi che si arrestò <strong>di</strong> fianco<br />

a lui. Notò prima gli stivali neri che salivano fin quasi al<br />

ginocchio e poi la stoffa color panna. Forse si era sbagliato.<br />

Questa non c’entrava niente con la rosa rossa, questa era<br />

una che cercava compagnia, ma lui non era certo dell’umore<br />

adatto. La senti schiarirsi la gola prima <strong>di</strong> parlare: “Scusa,<br />

io…” Walter si rialzò senza lasciarle il tempo <strong>di</strong> continuare,<br />

intenzionato a mandarla a quel paese. Vide io fianchi larghi<br />

sottolineati dalla cintura del paltò, il collo della donna che<br />

spariva nella stola <strong>di</strong> pelliccia bianca drappeggiata sulle<br />

spalle, i lineamenti un po’ aspri del viso. “Senti bella, non<br />

credo…”. Poi gli mancarono le parole.<br />

Stava fissando due occhi verde acqua che avrebbe<br />

riconosciuto tra mille.<br />

Ecco fatto!<br />

Anche stavolta l’attesa non è stata vana.<br />

Non so quale sia il risultato, ma, come sempre quando sto<br />

con lei, io mi sono <strong>di</strong>vertita.<br />

La ritroverò <strong>di</strong> nuovo, lo so.<br />

Non conosco il tempo, non conosco il luogo.<br />

Chissà, forse proprio venerdì, alle 16, dal dentista!<br />

194


Premio Letterario Nazionale “<strong>Trichiana</strong> Paese del Libro”<br />

Presentazione del Sindaco<br />

Presentazione del Segretario<br />

Verbale della giuria<br />

In<strong>di</strong>ce<br />

Maria Solinas <strong>di</strong> Maricla Di Dio Morgano<br />

Bon Voyage <strong>di</strong> Serena Stringher<br />

Senza appuntamento <strong>di</strong> Renata Di Samo<br />

Una giornata (stra)or<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> Paolo Munarin<br />

Concetta <strong>di</strong> Ketty Chiarelli<br />

Appuntamento al caffè degli specchi<br />

<strong>di</strong> Miriam Kornfeind<br />

196<br />

pag. 5<br />

pag. 7<br />

pag. 10<br />

pag. 15<br />

pag. 35<br />

pag. 53<br />

pag. 65<br />

pag. 85<br />

pag. 101


L’appuntamento<br />

L’avvenimento <strong>di</strong> Mario A. Rumor<br />

Appuntamento al buio nella luce<br />

<strong>di</strong> Gianluca Ascione<br />

Una lettera per Lella <strong>di</strong> Gianfranco Inguanotto<br />

Il pianoforte <strong>di</strong> Francesco Bristot<br />

Metamorfosi <strong>di</strong> Katia Tormen<br />

197<br />

pag. 117<br />

pag. 131<br />

pag. 153<br />

pag. 171<br />

pag. 179


Finito <strong>di</strong> stampare nel mese <strong>di</strong> giugno 2010<br />

presso la LitoTipografia Alcione, Lavis (TN)<br />

per conto <strong>di</strong> Kellermann E<strong>di</strong>tore

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