Luigi Riccoboni, Il liberale per forza / L'italiano ... - irpmf - CNRS

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32 – Valentina Gallo [21] Questo m’insegna che, se gli auttori francesi avendo ciò conosciuto, e recitando la comedia nel proprio loro idioma, hanno però sfugitto di affaticare lo spirito del’uditore, tanto più debbo scansarmene io che recito una comedia di lingua straniera da pochi bene intesa. [22] Con tutte queste verità mi vedo però nel’imbarazzo di dover abbracciar l’uno senza abbandonar l’altro, poiché desiderano li belli spiriti di Parigi, che è lo stesso che includerli tutti, di avere il carattere non disgiunto dal viluppo nel’innesto di una favola teatrale, e però sarò sempre per la mettà nel rischio di non esser inteso. [23] Come che sia, io mi preparo per l’avvenire, nel lavoro di quelle comedie che potrò immaginare, a darle di questo gusto, se pure la povertà del mio talento, me ne agevolerà la strada. [24] A’ più virtuosi dimanderò licenza di far comedie che non conservino tutta la severità delle regole, ed a’ più critici e men dotti, raccorderò che gli attori mascherati, nel’italiana comedia introdotti, non lasciano campo di poterlo fare: le tre unità, che sono la cattena de’ più belli ingegni nella materia del teatro, farebbero della comedia italiana un’azione languida, se ogn’ora nello stesso luogo e dentro l’assegnato tempo dovesse compirsi. [25] Sopra ciò io non intendo di dirne determinatamente il mio pensiero, né di entrare nella gran questione de’ belli ingegni per decidere sopra un punto che non è intieramente di mio caratto; ma solo dirò per non abbandonare la mia causa che, se li celebri ingegni francesi hanno, prima d’ogn’altra nazione, posta mano ne’ dogmi aristotelici, avendo ardito di pensare particolarmente nelle sue fi losofi e diversamente da ciò che quel maestro ne insegna, e con il fortunato successo dell’universale approvazione, io spero ancora di vedere a’ miei giorni un qualche illustre spirito nella Francia o che lasci libero il freno a’ poeti tragici e comici, o della Poetica d’Aristotile ne facci un ameno giardino, dove sin ora chi cercò passeggiarvi la trovò un intricato laberinto; credendo per mio intendere che, allora quando un auttore di teatro sappi che la sua favola deve essere un’azione umana o de’ migliori o de’ peggiori, condotta con verissimilitudine, ne sappi abbastanza di poetica per scrivere l’uno o l’altro delli due, in vero diffi cilissimi, componimenti, come lo stesso Aristotile ne insegna. [26] Pietro Corneille non fu così ciecamenete seguace delle regole, ed in qualche d’uno de’ suoi prefacii commenta Aristotile al’opposto dell’universale opinione, e si fa delle regole a suo capriccio e secondo il suo bisogno per diffendere qualche sua tragedia con severità criticata, o per indebolire le opposizioni che potevano venirgli sopra qualch’altra. [27] L’imortale Racine non si è certamente posto in una tal soggezione nella sua tragedia di Ester; quindi replicherò sempre che io tengo che tutta la poetica si restringa, parlando della condotta de’ componimenti tragici e comici e non degl’altri generi di poesia, non essendo questo il mio affare, che tutta, dico, la poetica si restringa nel’avere buon senso per guidare l’azione con verissimilitudine; e non vi sarà persona di buon senso al sicuro che, senza aver lette le regole della poetica, non giudichi bene di una favola teatrale qual ora con verissimilitudine sia condotta, e male non decida quando in essa non trovi la natura imitata. [28] Io non sono uomo di scienze ed affatto indegno e troppo temerario per parlare con tanta franchezza di questa materia, ma solamente comico di proffessione che, per la lunga pratica e studio fatto sopra questa materia per sapere quale fosse il mio mestiere, credo di poter dire sopra ciò la mia opinione. [29] Io adunque, doppo aver letta tutta la Poetica d’Aristotile con molta aplicazione, senza intendere in molti luoghi che voglia dirsi, e poi veduti tutti li suoi comentatori, quando ho voluto accingermi a tessere un soggetto comico o tragico, ho ben di cuore invocato Apollo acciò faccia scordarmi la confusa dottrina del gran maestro e le tante e diverse opinioni de’ suoi commentatori; ne sono stato esaudito, e pure ho © IRPMF, 2008 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano

Luigi Riccoboni – 33 [35] Ces reflexions me font voir que si les auteurs françois ont évité de fatiguer l’esprit de leurs auditeurs par une trop grande attention, quoiqu’ils écrivissent dans leur propre langue; à plus forte raison dois-je fuir cet inconvenient, moi qui représente la comedie dans une langue étrangere, que peu de personnes entendent parfaitement. [36] Malgré la verité de toutes ces choses, je me vois dans l’embarras de suivre un de ces deux genres de comedies, sans abandonner tout à fait l’autre, puisque les bons esprits de Paris (ce qui renferme tous ceux qui composent cette ville) souhaittent de voir toujours le caractere joint à l’intrigue dans une piece de theatre. [37] Ainsi je me trouverai toujours exposé au moins pour la moitié de mes comedies au peril de n’être pas entendu. [38] Mais quoi qu’il en soit, je me prépare à suivre ce goût dans les pieces que je pourrai composer à l’avenir, au moins autant que la foiblesse de mes talens me permettra de le faire. [39] Cependant je demanderai permission aux plus habiles de faire des comedies qui ne soient pas sujettes à toute la severité des regles; et je représenterai aux esprits plus difficiles, ou moins instruits, que les personnages masquez que l’on a introduits dans la comedie italienne, ne permettent pas de s’assujettir à ces regles. [40] Les trois unitez, qui gênent les meilleurs esprits dans les ouvrages de theatre, rendroient la comedie italienne une action laguissante, s’il falloit qu’elle se passât toujours dans le même endroit, et pendant le temps marqué par les regles. [41] Je ne prétens pas donner ce que je dis sur cette matiere, comme un sentiment assuré, ni m’engager dans une question agitée par tant de gens d’esprits, pour décider sur une matiere qui n’est pas tout à fait de mon ressort; je dirai seulement, et cela pour ne pas abandonner la défense de ma cause, que si les meilleurs esprits de la France ont osé, avant toutes les autres nations, toucher aux dogmes d’Aristote, et penser en matiere de philosophie d’une maniere opposée à sa doctrine, et si cette hardiesse a été suivie d’une approbation universelle, j’espere aussi que l’on verra de nos jours quelqu’un des celebres esprits de cette nation, délivrer les poëtes tragiques et comiques de l’esclavage de ses regles; ou que du moins, en éclaircissant la Poëtique d’Aristote, il démêlera les routes embarassées de ce labyrinte, dans lequel s’égarent ceux qui s’y s’étoient engagez, dans l’espoir de trouver dans cette lecture de quoi se satisfaire; car je suis persuadé que lorsqu’un auteur, qui travaille pour le theatre, sait que sa fable doit être une action qui se passe entre des hommes vertueux ou méchans, et conduite avec vrai-semblance, il sait assez de poëtique pour traiter l’un et l’autre genre de ces difficiles compositions, ainsi qu’Aristote lui-même nous l’enseigne. [42] Pierre Corneille n’a pas été si servilement attaché à ces regles; et dans quelques-unes de ses préfaces, il commente Aristote d’une façon opposée à toutes les interprétations ordinaires, et se fait des regles de fantaisie, suivant le besoin qu’il en a pour répondre aux critiques que l’on avoit fait de quelques-unes de ses pieces, ou pour affoiblir d’avance les objections que l’on auroit pû faire contre quelques autres. [43] Le celebre Racine, dont la memoire ne mourra jamais, s’est lui-même dispensé d’un servile attachement a ces regles dans sa tragedie d’Ester; c’est pourquoi, je le repete encore, je suis persuadé que toute la poëtique se réduit, quant à la conduite des pieces tragiques et comique (car je ne prétens pas parler des autres genres de poësie qui ne me concernent pas) à avoir une intelligence suffisante pour conduire une action avec vrai-semblance; et sûrement il n’y aura personne de bon sens, qui sans avoir lû les regles de la Poëtique, ne puisse juger si une piece de theatre est conduite avec vrai-semblance, et décider qu’elle est mauvaise quand la nature n’y est pas imitée. [44] Je ne suis pas homme de lettres, et ne puis peutêtre parler si librement sur cette matiere sans quelque témerité, mais je suis comedien de © IRPMF, 2008 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano

32 – Valentina Gallo<br />

[21] Questo m’insegna che, se gli auttori francesi avendo ciò conosciuto, e recitando la<br />

comedia nel proprio loro idioma, hanno <strong>per</strong>ò sfugitto di affaticare lo spirito del’uditore,<br />

tanto più debbo scansarmene io che recito una comedia di lingua straniera da pochi bene<br />

intesa. [22] Con tutte queste verità mi vedo <strong>per</strong>ò nel’imbarazzo di dover abbracciar l’uno<br />

senza abbandonar l’altro, poiché desiderano li belli spiriti di Parigi, che è lo stesso che<br />

includerli tutti, di avere il carattere non disgiunto dal viluppo nel’innesto di una favola<br />

teatrale, e <strong>per</strong>ò sarò sempre <strong>per</strong> la mettà nel rischio di non esser inteso. [23] Come che<br />

sia, io mi preparo <strong>per</strong> l’avvenire, nel lavoro di quelle comedie che potrò immaginare,<br />

a darle di questo gusto, se pure la povertà del mio talento, me ne agevolerà la strada.<br />

[24] A’ più virtuosi dimanderò licenza di far comedie che non conservino tutta la severità<br />

delle regole, ed a’ più critici e men dotti, raccorderò che gli attori mascherati, nel’italiana<br />

comedia introdotti, non lasciano campo di poterlo fare: le tre unità, che sono la cattena<br />

de’ più belli ingegni nella materia del teatro, farebbero della comedia italiana un’azione<br />

languida, se ogn’ora nello stesso luogo e dentro l’assegnato tempo dovesse compirsi.<br />

[25] Sopra ciò io non intendo di dirne determinatamente il mio pensiero, né di entrare<br />

nella gran questione de’ belli ingegni <strong>per</strong> decidere sopra un punto che non è intieramente<br />

di mio caratto; ma solo dirò <strong>per</strong> non abbandonare la mia causa che, se li celebri ingegni<br />

francesi hanno, prima d’ogn’altra nazione, posta mano ne’ dogmi aristotelici, avendo<br />

ardito di pensare particolarmente nelle sue fi losofi e diversamente da ciò che quel maestro<br />

ne insegna, e con il fortunato successo dell’universale approvazione, io s<strong>per</strong>o ancora di<br />

vedere a’ miei giorni un qualche illustre spirito nella Francia o che lasci libero il freno a’<br />

poeti tragici e comici, o della Poetica d’Aristotile ne facci un ameno giardino, dove sin ora<br />

chi cercò passeggiarvi la trovò un intricato laberinto; credendo <strong>per</strong> mio intendere che,<br />

allora quando un auttore di teatro sappi che la sua favola deve essere un’azione umana<br />

o de’ migliori o de’ peggiori, condotta con verissimilitudine, ne sappi abbastanza di<br />

poetica <strong>per</strong> scrivere l’uno o l’altro delli due, in vero diffi cilissimi, componimenti, come<br />

lo stesso Aristotile ne insegna. [26] Pietro Corneille non fu così ciecamenete seguace<br />

delle regole, ed in qualche d’uno de’ suoi prefacii commenta Aristotile al’opposto<br />

dell’universale opinione, e si fa delle regole a suo capriccio e secondo il suo bisogno <strong>per</strong><br />

diffendere qualche sua tragedia con severità criticata, o <strong>per</strong> indebolire le opposizioni che<br />

potevano venirgli sopra qualch’altra. [27] L’imortale Racine non si è certamente posto<br />

in una tal soggezione nella sua tragedia di Ester; quindi replicherò sempre che io tengo<br />

che tutta la poetica si restringa, parlando della condotta de’ componimenti tragici e<br />

comici e non degl’altri generi di poesia, non essendo questo il mio affare, che tutta, dico,<br />

la poetica si restringa nel’avere buon senso <strong>per</strong> guidare l’azione con verissimilitudine; e<br />

non vi sarà <strong>per</strong>sona di buon senso al sicuro che, senza aver lette le regole della poetica,<br />

non giudichi bene di una favola teatrale qual ora con verissimilitudine sia condotta, e<br />

male non decida quando in essa non trovi la natura imitata. [28] Io non sono uomo di<br />

scienze ed affatto indegno e troppo temerario <strong>per</strong> parlare con tanta franchezza di questa<br />

materia, ma solamente comico di proffessione che, <strong>per</strong> la lunga pratica e studio fatto<br />

sopra questa materia <strong>per</strong> sa<strong>per</strong>e quale fosse il mio mestiere, credo di poter dire sopra ciò<br />

la mia opinione. [29] Io adunque, doppo aver letta tutta la Poetica d’Aristotile con molta<br />

aplicazione, senza intendere in molti luoghi che voglia dirsi, e poi veduti tutti li suoi<br />

comentatori, quando ho voluto accingermi a tessere un soggetto comico o tragico, ho<br />

ben di cuore invocato Apollo acciò faccia scordarmi la confusa dottrina del gran maestro<br />

e le tante e diverse opinioni de’ suoi commentatori; ne sono stato esaudito, e pure ho<br />

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