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05.06.2013 Views

convento, prima che nel 1863 fosse spostata nella locale pinacoteca cittadina. Non c’è dubbio che la mancata “promozione” dell’opera da parte delle guide o dei resoconti di altri viaggiatori, evitò che i due collezionisti, come altri prima e dopo di loro, avanzassero offerte di acquisto per importare in patria l’ennesimo capolavoro di arte italiana. Oltre che sulle collezioni artistiche, le guide o i resoconti di viaggi informano anche sulla presenza nelle città italiane delle biblioteche pubbliche e private. Nelle sue Cartas Familiares il gesuita Juan Andrès che visita l’Italia nel 1773 segnala circa centoventi raccolte di libri, private e pubbliche, rimarcando la particolare disponibilità dei nobili a concedere libero accesso alla consultazione di libri e manoscritti. Circa un secolo prima, nel 1693, Richard Chiswell the Younger in visita a Firenze alla Chiesa di San Lorenzo, descrivendo ammirato la cappella progettata da Michelangelo, che a suo avviso è una delle cose più belle al mondo «Cappell of that name when finished will certainly be one of the finest things in the world. The architecture was designed by Michel Angelo is now the buring place of the Grand Dukes», si sofferma in particolare, a ricordare la biblioteca fornita di molti manoscritti, collocati nelle stanza vicine «most admirable inlaid adjoining to this church is a good Library many curious manuscripts and the Grand Dukes Gallery so much talked of is rarely furnished both with ancient and modern curiosities» 38 . Sulla biblioteca Laurenziana ci dà informazioni appassionate anche Gilbert Burnet, che ne ammira la presenza degli antichi manoscritti di Tacito, Virgilio e Apuleio. 38 Il manoscritto Journals of Richard Chiswell the Younger, 1696-1738, è conservato nella Bodleian Library di Oxford, sotto il numero di invenatrio MS. DON. C. 181. 22

La visita alle collezioni di opere d’arte nei palazzi nobiliari era spesso accompagnata a quella delle raccolte librarie che normalmente trovavano collocazione in altre sale delle dimore di famiglia. In questi spazi intimi, i così detti gabinetti delle curiosità, i proprietari di casa spesso collezionavano una serie eterogenea di oggetti, quelli che gli stranieri chiamavano curiosities of art, da manoscritti antichi, a oggetti rari a opere d’arte, che attirarono per secoli l’interesse dei visitatori che ne registravano incuriositi l’esistenza nei propri diari. Palazzo Barberini, Borghese o palazzo Chigi a Roma, ospitavano al loro interno, da secoli, preziose raccolte di manoscritti e libri antichi che richiamarono l’attenzione dei numerosi viaggiatori stranieri che ne varcavano la soglia di casa. Ludovico Pastor a questo proposito rimarca che i «magnifici palazzi dell’aristocrazia romana si empirono fin dal secolo decimosesto non solamente di preziosi oggetti d’arte, di antiche e moderne sculture e pitture, ma pure di libri e manoscritti. Era costume quasi generale di destinare un certo numero di stanze nei piani superiori ad uso della biblioteca, poiché vi era maggior luce e gli ambienti erano asciutti e tranquilli. […]. A Roma il primo che riunì una simile raccolta fu il dotto cardinale Vitellozzi, elevato alla dignità della poropora da Paolo IV. Alla fine del secolo decimosesto ed anche oltre, codesta abitudine divenne sempre più generale. Cardinali e nipoti, principi e conti facevano a gara. […] Le biblioteche di famiglia si trasformavano in questo modo spesse volte in archivi, di modo che a Roma riesce difficile indicare con precisione la differenza fra biblioteca e archivio privato» 39 . 39 Cit. in F. Cristiano Biblioteche private e antiquariato librario, in “Biblioteche nobiliari e circolazione del libro tra Settecento e Ottocento”, Atti del Convegno Nazionale di Studio, Perugina, Palazzo Sorbello, 29-30 giugno, 2001, a cura di Gianfranco Tortorelli, Bologna, 2002, p. 97. 23

La visita alle collezioni di opere d’arte nei palazzi nobiliari era spesso<br />

accompagnata a quella delle raccolte librarie che normalmente trovavano collocazione<br />

in altre sale delle dimore di famiglia.<br />

In questi spazi intimi, i così detti gabinetti delle curiosità, i proprietari<br />

di casa spesso collezionavano una serie eterogenea di oggetti, quelli che gli<br />

stranieri chiamavano curiosities of art, da manoscritti antichi, a oggetti rari a<br />

opere d’arte, che attirarono per secoli l’interesse dei visitatori che ne registravano<br />

incuriositi l’esistenza nei propri diari.<br />

Palazzo Barberini, Borghese o palazzo Chigi a Roma, ospitavano al<br />

loro interno, da secoli, preziose raccolte di manoscritti e libri antichi che richiamarono<br />

l’attenzione dei numerosi viaggiatori stranieri che ne varcavano<br />

la soglia di casa.<br />

Ludovico Pastor a questo proposito rimarca che i «magnifici palazzi<br />

dell’aristocrazia romana si empirono fin dal secolo decimosesto non solamente<br />

di preziosi oggetti d’arte, di antiche e moderne sculture e pitture, ma pure di<br />

libri e manoscritti. Era costume quasi generale di destinare un certo numero di<br />

stanze nei piani superiori ad uso <strong>della</strong> biblioteca, poiché vi era maggior luce e<br />

gli ambienti erano asciutti e tranquilli. […]. A Roma il primo che riunì una<br />

simile raccolta fu il dotto cardinale Vitellozzi, elevato alla dignità <strong>della</strong> poropora<br />

da Paolo IV. Alla fine del secolo decimosesto ed anche oltre, codesta abitudine<br />

divenne sempre più generale. Cardinali e nipoti, principi e conti facevano<br />

a gara. […] Le biblioteche di famiglia si trasformavano in questo modo<br />

spesse volte in archivi, di modo che a Roma riesce difficile indicare con<br />

precisione la differenza fra biblioteca e archivio privato» 39 .<br />

39 Cit. in F. Cristiano Biblioteche private e antiquariato librario, in “Biblioteche nobiliari e circolazione del<br />

libro tra Settecento e Ottocento”, Atti del Convegno Nazionale di Studio, Perugina, Palazzo Sorbello, 29-30<br />

giugno, 2001, a cura di Gianfranco Tortorelli, Bologna, 2002, p. 97.<br />

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