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segrete, durante un suo viaggio in Germania, presso Klessheim, nell’aprile del 1944 (Luigi Cozzi, cit., pp. 49-50). Ancora: il fisico Kurt Diebner avrebbe costruito nel 1944, nel suo laboratorio presso Stadtilm in Turingia, un reattore nucleare a piscina (Luigi Cozzi, cit., pp. 54-55). Ma di tutti questi laboratori segreti e reattori nucleari non è stata trovata alcuna traccia dalle truppe d’occupazione in Germania e sull’isola di Rügen non sono mai stati riscontrati segni di radioattività o di mutazioni genetiche sugli esseri viventi (oggi l’isola conta circa novantamila abitanti). Dando credito alle fantasiose versioni sulle “armi segrete”, anche l’ostinata scelta di Hitler di rimanere nel bunker della Cancelleria, chiudendosi virtualmente in una trappola mortale mentre i sovietici erano già in città, acquisterebbe nuovo senso. Hitler sarebbe, pertanto, entrato nel bunker non già per finirvi la sua vicenda umana e politica, ma per aspettare in tutta tranquillità l’esito di un devastante attacco atomico a Londra e New York (per colpire la città americana erano già pronti modernissimi vettori intercontinentali, le V-9 e V-10, secondo il Cozzi, cit., pp. 59-60), 58 tale che gli avrebbe dato se non la vittoria almeno il cambiamento delle alleanze con la distruzione del patto tra Roosevelt, Churchill e Stalin e il rivolgimento del fronte in direzione antisovietica (secondo quello che era il programma originario tracciato nel Mein Kampf). Nessuno, però, dei tanti testimoni degli ultimi giorni del Führer fa menzione dell’attesa di questi per un eventuale attacco atomico contro i nemici né è plausibile che il solo Hitler fosse a conoscenza di tale straordinario evento e lo serbasse gelosamente segreto di fronte agli ufficiali responsabili del suo Stato Maggiore, come Keitel e Jodl. Da ultimo il figlio del Duce, Romano Mussolini, in un suo recentissimo memoriale ha asserito che Hitler possedeva l’atomica e che le prime bombe furono fabbricate dagli scienziati tedeschi per cadere poi nelle mani degli americani ed essere impiegate a Hiroshima e Nagasaki (Romano Mussolini, Ultimo atto. Le verità nascoste sulla fine del duce, Rizzoli, Milano 2005, 58 Un’analoga missione, ossia un raid a New York, sarebbe stata effettivamente progettata dalla nostra aeronautica tra il gennaio e il maggio 1943, sempre secondo Luigi Romersa, che ne fornisce i dettagli: per la missione, bloccata dall’avvenuto armistizio, venne costruito appositamente un nuovo quadrimotore, l’SM95, con autonomia di oltre 12000 chilometri, in grado di effettuare il viaggio di andata e ritorno, partendo dalla Francia, senza scali intermedi. Ma, per volontà del Duce, che intendeva dare all’incursione un carattere meramente (e bizzarramente) propagandistico, l’aereo avrebbe dovuto sganciare non bombe su New York, bensì... “arance siciliane, appese a paracadute tricolori” (così il Romersa, cit., p. 165). –62–
p. 110). 59 A parte l’implicita e discutibile svalutazione delle ricerche americane (guidate da scienziati come Oppenheimer, Teller e Fermi, i quali certamente non avevano bisogno di rubare i segreti dei tedeschi nel campo dell’energia nucleare), il Mussolini non porta però prove a riscontro delle sue affermazioni, ma si basa su quanto sentito dire dal padre e su una significativa (a suo dire) successione di date contigue: la morte di Hitler, il 30 aprile 1945, avrebbe di poco preceduto lo sgancio dell’atomica su Hiroshima, il successivo 6 agosto. Assai recentemente, però (il che mostra che in questo campo non può mai dirsi l’ultima parola), il ritrovamento di un curioso schizzo uscito fuori dagli archivi segreti tedeschi sembrerebbe accreditare l’ipotesi che gli scienziati nazisti fossero già in grado di costruire un ordigno atomico “sporco”, ossia una bomba convenzionale la cui esplosione avrebbe potuto spargere per notevole ampiezza materiale radioattivo (vd. Paolo Valentino, Hitler e l’atomica, un disegno riapre il giallo, in «Corriere della Sera», 4 giugno 2005). Secondo un’altra fantasiosa ipotesi i tedeschi avrebbero iniziato a costruire, già durante il conflitto se non prima, prototipi di dischi volanti. È quanto si afferma nel saggio di Gary Hyland, I segreti perduti della tecnologia nazista (trad. di Milvia Faccia, Newton & Compton, Roma 2004³). 60 Secondo questo autore, che collega i primi progettisti di velivoli a propul- 59 Il Mussolini nel suo libro afferma di aver sentito suo padre (che avrebbe visto personalmente i laboratori nei quali venivano messe a punto le armi segrete) e il fratello Vittorio, di ritorno dal convegno di Klessheim nell’aprile del 1944, parlare di un “supercannone” a lunghissima gittata, capace di “polverizzare la capitale inglese insieme alle V-2” e di un “gas dall’effetto devastante”, che Hitler sperava di non dover adoperare contro i nemici (Romano Mussolini, cit., p. 109). In verità la storia della balistica ha visto più volte la costruzione di supercannoni, ispirati forse agli ingegneri dalle intuizioni degli scrittori di fantascienza (si pensi al cannone da trecento tonnellate, caricato con proiettili di gas refrigerante, che Herr Schultze, il tecnocrate malvagio del romanzo I 500 milioni della Begum di Jules Verne, punta su France-Ville). La prima guerra mondiale vide all’opera la Grosse Berthe, l’enorme cannone delle officine Krupp che nel 1917 bombardò Parigi da una distanza di 125 chilometri. Più recentemente si ricorda il supercannone commissionato negli anni Ottanta da Saddam Hussein all’ingegnere canadese Gerald Bull (misteriosamente ucciso nel 1990), un’arma colossale (la sola canna era lunga 156 metri e pesava 1665 tonnellate) in grado di lanciare in orbita proiettili con testate chimiche, batteriologiche e nucleari. Le sorti del cannone (parti del quale erano state costruite nelle acciaierie di Terni e furono provvidenzialmente sequestrate dalla magistratura italiana) si intrecciarono con lo scandalo della Banca Nazionale del Lavoro, filiale di Atlanta (USA), che aveva concesso finanziamenti occulti al dittatore iracheno per realizzare la colossale arma (sulla vicenda vd. Fabrizio Tonello, Progetto Babilonia, Garzanti, Milano 1993). 60 Aveva già fatto cenno ai dischi volanti nazisti il padre della “fantarcheologia” in Italia, ossia Peter Kolosimo, (Ombre sulle stelle, Sugar editore, Milano 1970¹º, pp. 337-341). –63–
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un reattore nucleare a piscina (Luigi Cozzi, cit., pp. 54-55). Ma <strong>di</strong> tutti<br />
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viventi (oggi l’isola conta circa novantamila abitanti).<br />
Dando cre<strong>di</strong>to alle fantasiose versioni sulle “armi segrete”, anche l’ostinata<br />
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virtualmente in una trappola mortale mentre i sovietici erano già in<br />
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bunker non già per finirvi la sua vicenda umana e politica, ma per aspettare<br />
in tutta tranquillità l’esito <strong>di</strong> un devastante attacco atomico a Londra e New<br />
York (per colpire la città americana erano già pronti modernissimi vettori<br />
intercontinentali, le V-9 e V-10, secondo il Cozzi, cit., pp. 59-60), 58 tale<br />
che gli avrebbe dato se non la vittoria almeno il cambiamento delle alleanze<br />
con la <strong>di</strong>struzione del patto tra Roosevelt, Churchill e Stalin e il rivolgimento<br />
del fronte in <strong>di</strong>rezione antisovietica (secondo quello che era il<br />
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testimoni degli ultimi giorni del Führer fa menzione dell’attesa <strong>di</strong> questi<br />
per un eventuale attacco atomico contro i nemici né è plausibile che il solo<br />
Hitler fosse a conoscenza <strong>di</strong> tale straor<strong>di</strong>nario evento e lo serbasse gelosamente<br />
segreto <strong>di</strong> fronte agli ufficiali responsabili del suo Stato Maggiore,<br />
come Keitel e Jodl.<br />
Da ultimo il figlio del Duce, Romano Mussolini, in un suo recentissimo<br />
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furono fabbricate dagli scienziati tedeschi per cadere poi nelle mani degli<br />
americani ed essere impiegate a Hiroshima e Nagasaki (Romano Mussolini,<br />
Ultimo atto. Le verità nascoste sulla fine del duce, Rizzoli, Milano 2005,<br />
58 Un’analoga missione, ossia un raid a New York, sarebbe stata effettivamente progettata<br />
dalla nostra aeronautica tra il gennaio e il maggio 1943, sempre secondo Luigi Romersa, che ne<br />
fornisce i dettagli: per la missione, bloccata dall’avvenuto armistizio, venne costruito appositamente<br />
un nuovo quadrimotore, l’SM95, con autonomia <strong>di</strong> oltre 12000 chilometri, in grado <strong>di</strong><br />
effettuare il viaggio <strong>di</strong> andata e ritorno, partendo dalla Francia, senza scali interme<strong>di</strong>. Ma, per<br />
volontà del Duce, che intendeva dare all’incursione un carattere meramente (e bizzarramente)<br />
propagan<strong>di</strong>stico, l’aereo avrebbe dovuto sganciare non bombe su New York, bensì... “arance<br />
siciliane, appese a paracadute tricolori” (così il Romersa, cit., p. 165).<br />
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