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e di forte, magari qualcosa con cui rapportarsi con orgoglio. Ma qui ovviamente ciascuno è solo davanti alla propria storia, one by one: per essere in compagnia occorrerebbe rinunciare allo “sguardo da nessun luogo” di cui Ida dispone. Sarebbe necessario collocarsi in un una rete di appartenenze e di relazioni da cui guardare: un noi – insomma – che ricorda e racconta, anziché la solitudine senza radici e senza scampo in cui la nostra testimone si colloca. Da questa solitudine e questo non-luogo non viene agli epigoni nessun monito diretto. Interrogata sul “cosa dire” ai giovani di quella storia terribile, Ida risponde infatti svagatamene – ma insieme animosamente – limitandosi a richiamare il ricordo insuperabilmente privato “della zia Amalia”, attirata a se stessa e al suo unico orizzonte da un’indomabile forza di gravità. CONCLUSIONI Avere raccolto questo racconto, e portato l’attenzione degli studenti su una memoria personale, contigua o contenuta in un segmento fondamentale della storia collettiva e pubblica, non voleva dire – nelle mie intenzioni – partecipare al coro di approvazione generale sul diluvio di memorie private che hanno, negli ultimi anni, affollato il mercato delle idee. È ben vero che nella considerazione comune il ricordo, dono dei testimoni alle giovani generazioni, che non hanno visto né vissuto, deve funzionare da monito, adempiendo ad un compito pedagogico intrascendibile. Ma è altrettanto vero che memorie divise, separate e antagoniste si prestano, come i temi essenziali di questa intervista, a stucchevoli scontri di fazione. Memorie così “angolate”, internamente conflittuali ed esternamente configgenti con altre memorie o addirittura con dati oggettivi (che pure esistono, al di là del problema di metodo che riguarda tutte le scienze umane) hanno bisogno di una sintesi la cui responsabilità non può essere scaricata su alcuno, tanto meno su ragazzi notoriamente resistenti allo studio della storia. Molto spesso negli ultimi anni una tentazione simile ha riguardato per esempio l’insegnamento della Shoàh. 12 Servirsi delle memorie sparse, accumulandole e lasciandole parlare da sé, consentire alla loro ricchezza idiografica di “esondare”, per diventare fondamento di ricostruzioni o inferenze genera- 12 Cfr. D. ARCURI, Il giorno della memoria e gli anni dell’oblio, Miscellanea Iª, Liceo Orazio, 2004-2005. – 216 –
liste, può essere – a mio avviso – una attitudine pericolosa per chi insegna o scrive la storia. Le memorie della guerra lasciano intravedere sempre sguardi troppo angolati, appunto, o troppo dolorosi. 13 Rappresentano – è banale dirlo – un punto di vista prezioso ma insufficiente. Qualcuno deve prendere in carico questi angoli e questi dolori, tesserli in una procedura condivisa, in un uso razionale delle fonti, delle categorie dimostrative, dei criteri di rilevanza. Comunque si voglia intendere il rapporto fra storia e memoria, sono ormai dato di fatto tutte le opportunità legate alla “democratizzazione” della memoria, 14 che moltiplica i depositi e gli archivi a cui accedere per la ricostruzione del passato. Altrettanto chiaro è ormai quanto complicato e polisemico sia il territorio delle memorie private, quanto silenzio, oblio, distorsioni, pregiudizi, deperibilità, volatilità, processi di significazione – tutti segni meritevoli di essere accolti come “eventi”, certo, ma non come totem – questo territorio contenga. Come per i pirandelliani sei personaggi, c’è forse anche qui bisogno di un Autore, di una dimensione extra-soggettiva che proponga una rotta e – ove ce ne sia bisogno – corregga o almeno rilevi gli strabismi più evidenti. Non in nome di un’improbabile Storia Oggettiva e sopra le parti, evidentemente, ma per sottrarre le memorie stesse al rischio di un’orizzontale ed universale insignificanza, laddove su di esse non si eserciti uno sguardo responsabile ed ermeneutico. Il passato perduto, e ciò che ciascuno sente di aver perduto, 15 ciò che siamo stati e ciò che ricordiamo di essere stati 16 dovranno cercare una ricongiunzione in quello sguardo responsabile: al riparo dai toni alti ed altissimi sul dovere della memoria, e rifuggendone gli abusi. 13 Cfr. W. BARBERIS, La storia e la memoria, in “La repubblica”, 25.02.05. 14 Cfr. P. MONTESPERELLI, Sociologia della memoria, Roma-Bari, Laterza, 2003. 15 Y.H. YERUSHALMI, Usi dell’oblio, Parma, Pratiche Editrice, 1990. 16 U. GALIMBERTI, La cancellazione della memoria, in AA.VV., Feltrinelli per Firenze, Milano, Feltrinelli, 1993. – 217 –
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13 Cfr. W. BARBERIS, La storia e la memoria, in “La repubblica”, 25.02.05.<br />
14 Cfr. P. MONTESPERELLI, Sociologia della memoria, Roma-Bari, Laterza, 2003.<br />
15 Y.H. YERUSHALMI, Usi dell’oblio, Parma, Pratiche E<strong>di</strong>trice, 1990.<br />
16 U. GALIMBERTI, La cancellazione della memoria, in AA.VV., Feltrinelli per Firenze,<br />
Milano, Feltrinelli, 1993.<br />
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