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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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quello <strong>di</strong> una ricostruzione atten<strong>di</strong>bile e verace, ma quello <strong>di</strong> un tentativo<br />

sofferto, peraltro mancato, <strong>di</strong> riconciliazione con quella storia così <strong>di</strong>fficile:<br />

la speranza, forse, <strong>di</strong> recuperarne un senso, magari anche un valore, ripercorrendola.<br />

In tutta evidenza, i nuclei narrativi sono circondati da vaste<br />

zone <strong>di</strong> silenzio e <strong>di</strong> rabbia: la chiave – senza voler troppo indulgere a facili<br />

psicologismi, ma è inevitabile cogliere questo elemento – è il rapporto con<br />

il padre, l’ebreo piccoletto che sfugge del tutto incomprensibilmente al rastrellamento<br />

per il lavoro coatto ed alla deportazione, pur non <strong>di</strong>sponendo<br />

<strong>di</strong> una falsa identità. Nel racconto sul ritorno a Firenze, assieme ad altri<br />

sfollati, la <strong>di</strong>versione è imme<strong>di</strong>ata. Il racconto si sposta sul bombardamento<br />

alleato, sulla ragazza stuprata dai tedeschi in fuga, nella casa accanto, su<br />

un’orticaria che comincia con una scheggia <strong>di</strong> quelle bombe, che la manca<br />

per un soffio, e che durerà tutta la vita, ad ondate ricorrenti, come una sorta<br />

<strong>di</strong> memorandum inciso sulla pelle. La <strong>di</strong>ce lunga il fatto che proprio questa<br />

parte del racconto, sempre ben presente nei vagabondaggi rapso<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Ida<br />

intorno al proprio passato, qui invece sia assente. Il racconto ci si avvicina,<br />

come un satellite ad alta definizione, e poi <strong>di</strong>verge.<br />

La ricostruzione dell’episo<strong>di</strong>o cruciale, l’uccisione <strong>di</strong> un tedesco da<br />

parte del partigiano nascosto nella canonica, fatto che avrebbe poi innescato<br />

la vendetta sul paese intero, può bensì essere un ricordo preciso, un vero<br />

ricordo, anche se <strong>di</strong>versamente e con <strong>di</strong>versa enfasi raccontato da altre fonti.<br />

Ma certamente il racconto lo ricostruisce come un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> violenza partigiana,<br />

tanto improvvisa quanto sconsiderata e immotivata: improvvisamente<br />

e immotivatamente, appunto, un partigiano – quella “bestia <strong>di</strong> partigiano” –<br />

spara, uccidendo un soldato tedesco, proprio quando i tedeschi stanno per<br />

andarsene, dopo l’ispezione. Altrettanto sconsiderata e immotivata è stata la<br />

scelta del padre. Quella che gli sarebbe costata il confino politico a Moliterno<br />

per attività antifascista: “stupidaggini”, conclude frettolosamente Ida a<br />

proposito delle lettere incriminate, scritte dal padre, e prefigura, nella rappresentazione<br />

<strong>di</strong> quel passato, una sorta <strong>di</strong> responsabilità, <strong>di</strong> “quell’imbecille”<br />

del padre non tanto – forse? – rispetto alla morte della moglie, quanto alla<br />

solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Ida se<strong>di</strong>cenne davanti alla malattia e alla morte della madre.<br />

Anche i partigiani del resto, sono passati dall’altra parte, sul versante emiliano,<br />

facevano il “<strong>di</strong>n don”... In tre punti <strong>di</strong>stinti del racconto è ricordato<br />

questo passaggio dei partigiani dall’altra parte, come a sottintendere anche<br />

qui una solitu<strong>di</strong>ne delle vittime, che invece restano sole a subire ogni possibile<br />

vendetta: della vita o della storia. Sessant’anni non sono stati sufficienti<br />

per colmare un fossato <strong>di</strong> incomprensione e riempirlo <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> positivo<br />

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