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mente accertato che nella zona (Alto Casentino, versante meridionale del Monte Falterona) erano presenti, già dall’armistizio, formazioni partigiane e che l’area era divenuta strategicamente importante ed oggetto di rastrellamenti sistematici da parte di unità tedesche diverse. Le informazioni divergono sostanzialmente sul dato che si riferisce ai protagonisti dell’eccidio: secondo la maggioranza delle fonti (così come secondo la memoria della nostra testimone) a Stia Vallucciole operò la divisione Göering, sostenuta da contingenti di SS e da elementi della RSI. Le fonti concordano tuttavia nel valutare l’eccidio non come un atto di rappresaglia, ma come una delle pre-ordinate e sistematiche azioni di “ripulitura” del territorio dai ribelli. Stia, del resto, vanta il triste primato del primo partigiano caduto in Toscana (Pio Borri, novembre ’43). A Vallucciole, comunque, vengono sterminate intere famiglie, con una grande maggioranza di donne e bambini, compreso un neonato di tre mesi. I sistemi adottati appaiono atroci: incendi di casolari, fucilazioni di massa, feroci violenze sulle vittime. I caduti furono 108 a Vallucciole (137 secondo le fonti militari tedesche citata da Battini e Pezzino) e 289 in tutta l’area del Falterona. L’eccidio fu l’avvio di una catena di sangue che avrebbe attraversato tutta la Toscana, da sud a nord, tra la primavera e l’autunno del ’44, con un tragico bilancio di 3.770 vittime civili, ed è peraltro significativo che sempre le stesse fonti militari facciano riferimento ad un numero molto maggiore, circa 6.000 morti. Gli studi già citati di Battini e Pezzino, e quelli di Giovanni Contini, 7 che si è occupato in particolare dell’aretino, hanno tutti rilevato la grande varietà dei casi occorsi e l’estrema difficoltà di una classificazione tipologica chiara delle atrocità commesse (stragi, eccidi, rappresaglie...). Ma al di là dell’impossibilità di costruire paradigmi tipologici e categorie assolute resta, in tutte le valutazioni, la certezza della “guerra ai civili” data per scontata e del terrore da somministrare anche preventivamente. In questa sorta di sociologica serendipity sulla lettura dei fatti le ricerche sono più o meno d’accordo su questo dato: solo una ristretta minoranza di azioni punitive sono state in Toscana classificabili come rappresaglie, se per rappresaglia si intende “una reazione militare immediatamente percepibile come risposta ad una azione partigiana” (Cfr. Battini, Pezzino, passim). In Toscana, su 192 azioni classificate dalla ricerca di Battini e Pezzino, solo il 19% e costituito da rappresaglie, ed il molte di esse si riscontra una partecipazione esplicita di reparti della RSI. 7 G. CONTINI, La memoria divisa, Milano, Rizzoli, 1997. – 212 –
Ma il tema davvero emergente in tutte le ricostruzioni dei fatti della primavera-estate del ’44 in Toscana, e non solo quindi nella minoranza di azioni classificabili come rappresaglie, è senza dubbio quello del complesso rapporto tra Resistenza e popolazioni civili. Su questo punto sembra essere molto problematico il raccordo delle memorie personali e private con i paradigmi del discorso politico collettivo e istituzionale. Si è parlato di “memorie divise, segmentate e conflittuali” (cfr. Contini, 1997) ed è abbastanza noto, anche grazie al lavoro di Portelli sulla memoria delle Fosse Ardeatine, 8 che le rappresaglie o comunque le ritorsioni praticate su larga scala contro le popolazioni civili hanno prodotto o allargato la frattura tra queste e le forze partigiane. Certamente la ricerca di colpevoli, la possibilità di reperire e materializzare una responsabilità, costituisce un meccanismo antichissimo di allentamento della tensione. Spiega, dalla parte delle vittime, un inesplicabile che inesplicabile non è affatto, se guardato dalla parte della strategia militare del terrore, come quella che si abbatte in Toscana nel ’44. L’argomento è impervio: al di là del fatto che i Partigiani fossero a volte protagonisti di imprudenze o di atti dalle conseguenze non adeguatamente previste (come pure in qualche occasione è avvenuto), resta il dato certo che le rappresaglie tedesche prescindevano di norma da una effettiva attività partigiana nei confronti delle truppe occupanti. La Toscana del ’44 non potrebbe dimostrarlo più chiaramente: si trattava, infatti, di punire le popolazioni civili in genere sia per l’ostilità anti-tedesca che per il sostegno “eventuale” offerto alla lotta partigiana e di farlo magari preventivamente, e con l’unica variabile della misura del terrore da praticare. Attorno alla memoria della Resistenza – come è noto – si è combattuta e si combatte un’aspra contesa per il senso, la cui complessità stratigrafica – si direbbe – mostra in quanti e quali modi possa essere declinato il concetto generale di Resistenza. 9 Specularmente sono complesse le memorie, quelle di entrambe le parti, e particolarmente lo sono quelle dell’uomo comune – collocato in quella sorta di “zona grigia” di cui parla Primo Levi – che non si riconosce nei grandi miti fondativi e collettivi della Repubblica. 10 A questa zona ed al suo spazio incerto, come una sorta di terra di nessuno tra due riconoscibili territori appartiene probabilmente questa memoria di Ida. 8 A. PORTELLI, L’ordine è già stato eseguito, Roma, Donzelli, 2000. 9 C. PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Einaudi, 1991. 10 Cfr. BATTINI-PEZZINO, op.cit., pp. XII-XIV. – 213 –
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Stia, del resto, vanta il triste primato del primo partigiano caduto in Toscana<br />
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Vallucciole (137 secondo le fonti militari tedesche citata da Battini e Pezzino)<br />
e 289 in tutta l’area del Falterona. L’ecci<strong>di</strong>o fu l’avvio <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong><br />
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e l’autunno del ’44, con un tragico bilancio <strong>di</strong> 3.770 vittime civili, ed è<br />
peraltro significativo che sempre le stesse fonti militari facciano riferimento<br />
ad un numero molto maggiore, circa 6.000 morti.<br />
Gli stu<strong>di</strong> già citati <strong>di</strong> Battini e Pezzino, e quelli <strong>di</strong> Giovanni Contini, 7<br />
che si è occupato in particolare dell’aretino, hanno tutti rilevato la grande<br />
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chiara delle atrocità commesse (stragi, ecci<strong>di</strong>, rappresaglie...). Ma al <strong>di</strong><br />
là dell’impossibilità <strong>di</strong> costruire para<strong>di</strong>gmi tipologici e categorie assolute<br />
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scontata e del terrore da somministrare anche preventivamente. In questa<br />
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meno d’accordo su questo dato: solo una ristretta minoranza <strong>di</strong> azioni punitive<br />
sono state in Toscana classificabili come rappresaglie, se per rappresaglia<br />
si intende “una reazione militare imme<strong>di</strong>atamente percepibile come risposta<br />
ad una azione partigiana” (Cfr. Battini, Pezzino, passim). In Toscana,<br />
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costituito da rappresaglie, ed il molte <strong>di</strong> esse si riscontra una partecipazione<br />
esplicita <strong>di</strong> reparti della RSI.<br />
7 G. CONTINI, La memoria <strong>di</strong>visa, Milano, Rizzoli, 1997.<br />
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