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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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del rapporto affettivo con il padre, rivale o<strong>di</strong>ato ed amato insieme, la <strong>di</strong>pendenza<br />

e la ribellione nei confronti dell’autorità (il me<strong>di</strong>co, ennesima figura<br />

maschile in conflitto con il protagonista), la lotta interiore, combattuta al capezzale<br />

del malato, tra la pietas filiale e l’egoistica molla dell’edonismo che<br />

ha in o<strong>di</strong>o il sacrificio: “Al letto <strong>di</strong> mio padre concepii un grande rancore”,<br />

infine il rovesciamento delle parti e dei ruoli tra chi è il più forte: tutti motivi<br />

che solo “la filosofia della crisi” poteva <strong>di</strong>schiudere alla narrativa, motivi<br />

culminanti nella scena dello schiaffo paterno che si abbatte su Zeno.<br />

“Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in pie<strong>di</strong>, alzò la mano alto alto, come<br />

se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo<br />

peso, e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e <strong>di</strong> là sul pavimento.<br />

Morto! Non lo sapevo morto, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della<br />

punizione ch’egli, moribondo, aveva voluto darmi. Con l’aiuto <strong>di</strong> Carlo lo sollevai<br />

e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell’orecchio:<br />

– Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti <strong>di</strong><br />

star sdraiato! – Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa<br />

<strong>di</strong> non farlo più: – Ti lascerò muovere come vorrai. L’infermiere <strong>di</strong>sse: – È<br />

morto. Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io<br />

non potevo provargli la mia innocenza!... Poi al funerale, riuscii a ricordare mio<br />

padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi<br />

convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era<br />

stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo <strong>di</strong> mio padre si accompagnò<br />

a me, <strong>di</strong>venendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo ormai<br />

perfettamente d’accordo, io <strong>di</strong>venuto il più debole e lui il più forte”.<br />

L’inettitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tanti “uomini senza qualità” della narrativa degli anni<br />

20 prende rilievo nel confronto-scontro con la figura paterna, come accade<br />

nelle opere <strong>di</strong> Kafka, La Metamorfosi e La Condanna, in cui è invece il<br />

padre a determinare la morte del figlio, e nel romanzo <strong>di</strong> Federico Tozzi<br />

Con gli occhi chiusi. Parlare <strong>di</strong> complesso e<strong>di</strong>pico è forse riduttivo ma non<br />

improprio, specie per Zeno che così ironizza nel Capitolo VIII intitolato<br />

Psicoanalisi: “Scriverò intanto sinceramente la storia della mia cura. Ogni<br />

sincerità fra me e il dottore era sparita ed ora respiro. Non m’è più imposto<br />

alcuno sforzo. Non debbo costringermi ad una fede né ho da simulare <strong>di</strong><br />

averla. Proprio per celare meglio il mio vero pensiero, credevo <strong>di</strong> dover <strong>di</strong>mostrargli<br />

un ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni<br />

giorno <strong>di</strong> nuove. La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era<br />

stata scoperta. Non era altra che quella <strong>di</strong>agnosticata a suo tempo dal defunto<br />

Sofocle sul povero E<strong>di</strong>po: avevo amato mia madre e avrei voluto ammazzare<br />

mio padre.<br />

– 163 –

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