MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...
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lità e dalla scienza, ed è in quegli stupori tramati di brividi sottili e sospensioni angosciose che può trovare voce una dimensione lirica frammentaria e moderna, in cui il paesaggio rurale, i lavori dei campi e le siepi e le nebbie, il lampo e il tuono e la stessa notte del X Agosto col suo “pianto di stelle sull’atomo opaco del male” non hanno più niente da spartire né col classicismo bucolico né con il verismo rusticano. Ma sul tema della morte l’apporto più interessante dal punto di vista sociologico non può che venire dalla narrativa del realismo e del verismo: l’arte perfetta di Flaubert non solo rappresenta l’agonia di Madame Bovary, suicidatasi con l’arsenico, in tutto il suo sviluppo, dai dolori lancinanti alla fase di una labile quiescenza fino alla respirazione che solleva le costole e al roteare degli occhi e alla fuoriuscita della lingua, ma intorno al letto della moribonda dispone la pietà, la superficialità, la chiacchiera degli altri personaggi e la disperazione autentica, quella del marito, la vista della bambina che si spaventa e viene quindi allontanata. È il rituale della società ottocentesca, in cui soli non si poteva morire, come d’altronde due secoli prima, né nelle case dei poveri né nelle dimore regali. E la presenza dei bambini era addirittura necessaria: al funerale partecipavano oltre alle beghine e alle prefiche prezzolate tutti gli orfanelli e le orfanelle degli istituti religiosi, mentre la comunità interveniva all’elaborazione del lutto da parte dei superstiti con le visite di condoglianza. Soprattutto nella letteratura meridionale, e dei siciliani in modo specifico, è documentata la consuetudine dell’affollamento nella stanza del moribondo: in Paolo il caldo di Vitaliano Brancati, estranei, curiosi e parenti si accalcano nella stanza del barone Castorini, pigiandosi nel corridoio, sulla soglia, per seguire le pratiche del medico, le parole dell’agonizzante, le preghiere delle prefiche che si prolungheranno nella notte durante la veglia funebre intorno al cataletto, interrotte dall’urlo rituale, dai gemiti e dalle manifestazioni teatrali del dolore. Un’eredità dei threnoi della Magna Graecia in cui il cristianesimo si è inserito con il sacramento dell’Estrema Unzione (Il Viatico) annunziato da un campanello funebre che gettava angoscia nelle strade del paese, ricordando a tutti il comune destino. Anche nelle tele dei pittori ottocenteschi (si pensi a Courbet) il soggetto è presente: prete e chierichetto procedono verso la casa del morente come in una lugubre processione. Ma il romanzo di Brancati è stato scritto nel 1963 ed è ambientato a Catania nel secondo dopoguerra: ancora in quel tempo dunque le donne meridionali e di tutte le provincie arretrate del Nord indossavano l’abito nero – 160 –
del lutto e non lo smettevano mai, tante erano le morti di consanguinei che susseguendosi le legavano a quest’obbligo. La vita media era meno lunga, l’esperienza della morte, familiare anche ai bambini, era comune argomento di conversazione, e sofferta con gli altri: una delle pratiche di solidarietà collettiva era quella della “tazza del consolo”, ben documentata anche in Verga (I Malavoglia, cap. IV): poiché il lutto dei superstiti doveva prolungarsi per almeno una settimana, imponendo la reclusione in casa, le visite degli amici e la cessazione delle normali attività lavorative, affini e conoscenti portavano in dono, a turno, pranzi e cene ai superstiti (eredità dei banchetti funebri testimoniati dall’iconografia e dalla letteratura antiche nell’area mediterranea), poiché le donne colpite dal dolore erano costrette in quel periodo ad interrompere anche le cure domestiche più elementari. “La casa del nespolo era piena di gente; e il proverbio dice Triste quella casa dove ci è la visita per il marito... Ognuno che passava, al vedere sull’uscio quei piccoli Malavoglia col viso sudicio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e diceva: – Povera comare Maruzza! Ora cominciano i guai per la sua casa! Gli amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e ogni ben di Dio, che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio Mosca era venuto con una gallina per mano”. Era raro che qualcuno morisse in ospedale, e la cosa era vissuta quasi con vergogna, essendo primario il desiderio del malato di morire nel proprio letto: si veda la “disperazione” dei Malavoglia che rifiutano di ricoverare il vecchio padron ‘Ntoni, ormai di peso alla famiglia, e la desolazione di quella morte lontana dalle mura della casa del nespolo, in un luogo asettico, in cui “le bianche mani delle suore distribuiscono un bianco pane tra bianche lenzuola” (Fantasticheria): e il vecchio, che ha deciso lui di farsi trasferire lì, in quelle anonime corsie, si lascia andare, abbandonando la lotta. Il ragazzino Menico che gli portava le lumache cotte da succhiare, un bel giorno non lo trova più. Con la fine del naturalismo e soprattutto del positivismo, Schopenhauer e Freud introducono nel linguaggio comune termini nuovi come “pulsioni”, “complessi” e quella forza cieca che, identificata nella voluntas, si maschera a livello psicologico con la messa in scena dell’innamoramento e di tutte le forme individuali e collettive di corteggiamento, con la passione romantica, e con l’idealizzazione amorosa. Questi pensatori demistificano le certezze e le fedi ottocentesche individuando la molla potente del vivere e morire nel fermento dell’istinto di conservazione: una lotta si combatte dentro di noi – 161 –
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lità e dalla scienza, ed è in quegli stupori tramati <strong>di</strong> brivi<strong>di</strong> sottili e sospensioni<br />
angosciose che può trovare voce una <strong>di</strong>mensione lirica frammentaria e<br />
moderna, in cui il paesaggio rurale, i lavori dei campi e le siepi e le nebbie,<br />
il lampo e il tuono e la stessa notte del X Agosto col suo “pianto <strong>di</strong> stelle<br />
sull’atomo opaco del male” non hanno più niente da spartire né col classicismo<br />
bucolico né con il verismo rusticano.<br />
Ma sul tema della morte l’apporto più interessante dal punto <strong>di</strong> vista sociologico<br />
non può che venire dalla narrativa del realismo e del verismo:<br />
l’arte perfetta <strong>di</strong> Flaubert non solo rappresenta l’agonia <strong>di</strong> Madame Bovary,<br />
suicidatasi con l’arsenico, in tutto il suo sviluppo, dai dolori lancinanti alla<br />
fase <strong>di</strong> una labile quiescenza fino alla respirazione che solleva le costole e<br />
al roteare degli occhi e alla fuoriuscita della lingua, ma intorno al letto della<br />
moribonda <strong>di</strong>spone la pietà, la superficialità, la chiacchiera degli altri personaggi<br />
e la <strong>di</strong>sperazione autentica, quella del marito, la vista della bambina<br />
che si spaventa e viene quin<strong>di</strong> allontanata. È il rituale della società ottocentesca,<br />
in cui soli non si poteva morire, come d’altronde due secoli prima, né<br />
nelle case dei poveri né nelle <strong>di</strong>more regali. E la presenza dei bambini era<br />
ad<strong>di</strong>rittura necessaria: al funerale partecipavano oltre alle beghine e alle<br />
prefiche prezzolate tutti gli orfanelli e le orfanelle degli istituti religiosi,<br />
mentre la comunità interveniva all’elaborazione del lutto da parte dei superstiti<br />
con le visite <strong>di</strong> condoglianza.<br />
Soprattutto nella letteratura meri<strong>di</strong>onale, e dei siciliani in modo specifico,<br />
è documentata la consuetu<strong>di</strong>ne dell’affollamento nella stanza del moribondo:<br />
in Paolo il caldo <strong>di</strong> Vitaliano Brancati, estranei, curiosi e parenti si<br />
accalcano nella stanza del barone Castorini, pigiandosi nel corridoio, sulla<br />
soglia, per seguire le pratiche del me<strong>di</strong>co, le parole dell’agonizzante, le preghiere<br />
delle prefiche che si prolungheranno nella notte durante la veglia funebre<br />
intorno al cataletto, interrotte dall’urlo rituale, dai gemiti e dalle manifestazioni<br />
teatrali del dolore. Un’ere<strong>di</strong>tà dei threnoi della Magna Graecia<br />
in cui il cristianesimo si è inserito con il sacramento dell’Estrema Unzione<br />
(Il Viatico) annunziato da un campanello funebre che gettava angoscia nelle<br />
strade del paese, ricordando a tutti il comune destino. Anche nelle tele dei<br />
pittori ottocenteschi (si pensi a Courbet) il soggetto è presente: prete e chierichetto<br />
procedono verso la casa del morente come in una lugubre processione.<br />
Ma il romanzo <strong>di</strong> Brancati è stato scritto nel 1963 ed è ambientato a<br />
Catania nel secondo dopoguerra: ancora in quel tempo dunque le donne meri<strong>di</strong>onali<br />
e <strong>di</strong> tutte le provincie arretrate del Nord indossavano l’abito nero<br />
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