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estinto si svolge in un locus amoenus, un paesaggio sereno di amaranti, viole e fontane lustrali. È il grande mito della classicità che illumina questa ed altre scene più drammatiche de I Sepolcri, specie nel finale, creando un continuum spirituale tra i moderni e i Greci, per sublimare poeticamente e travestire di forme, desunte da un nobile passato, il mondo della potente e spesso utilitaria borghesia contemporanea. In definitiva questa chiave di interpretazione foscoliana del culto funebre costituisce un corrispettivo stilistico ed estetico delle grandi Tombe di Alfieri e di Maria Cristina d’Austria, realizzate da Canova, anch’esse in funzione antibarocca: sublimi e solenni, ma classiche nella loro monumentale serenità. 6 Il romanticismo, con la sua poliedrica ricchezza di motivi e stilemi, privilegia il tema della morte a tal punto che un raffinato saggista, quale Mario Praz, ha potuto scrivere il suo libro più famoso intitolandolo La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica. Naturalmente si può discutere il criterio storiografico per il quale D’Annunzio e Baudelaire vengono posti sullo stesso piano di Byron e di Delacroix, essendo molto più chiara oggi l’appartenenza dei primi due ad un’area già propriamente decadente, ma le linee interpretative globali rimangono suggestive e inconfutabili: il gusto morboso del disfacimento, della putredine, della violenza e del sangue, della morte con le sue componenti di erotica perversione fa effettivamente parte della rivoluzione espressiva e tematica dell’irrazionalismo romantico come poi di quello decadente ed estetizzante. Così i quadri di Delacroix fastosamente esaltano la violenza dei soggetti mortuari con uno stile rutilante e lussureggiante, nel Massacro di Scio, negli studi sulle tigri che si azzannano, persino nella personificazione della Libertà che erge il suo vessillo su cumuli di cadaveri; nell’area del simbolismo novecentesco le stesse componenti di gusto trionferanno in modo più cerebrale ed intellettualistico. Nella Salomé di Moreau, oggetto di culto da parte dell’este- 6 Nei monumenti funebri di Canova si ripete il tema della “soglia”, che tutti dobbiamo varcare, e che iconograficamente viene rappresentata in vario modo: nel caso della tomba di Clemente XIV nella basilica dei Santi Apostoli a Roma, la porta della sacrestia che il monumento sovrasta viene genialmente inglobata nell’architettura, con la mano destra del pontefice che dall’alto la indica perché il fedele la attraversi; nella tomba di Maria Cristina d’Austria nella chiesa degli Agostiniani a Vienna un corteo aperto da un fanciullo si dirige verso la soglia fatale, che spicca con la sua ombra nel complesso architettonico luminoso, per deporvi le ceneri contenute in un’urna. La simbologia sembra esprimere il monito ad accettare il destino che può coglierci in qualunque età, se è vero che ultimo si avanza un vecchio dolente. – 156 –
tismo, (tema abusato nell’arte del tempo: si pensi a R. Strauss, a D’Annunzio e a Wilde, a Mallarmé e Flaubert, per citare tutti gli autori che a questo celebre personaggio biblico si sono ispirati nel giro di pochi anni), la tipologia della donna-vampiro, lussuriosa e perversa, si contamina con la dissacrazione del soggetto religioso, cosicché l’ostensione della testa di Giovanni Battista implica il sottile brivido dell’eros. In questo modo il fondo mostruoso dell’animo umano, il “sottosuolo” per dirla con Dostojewskij, gli orrifici fantasmi a dimensione onirica e tutto ciò che si lega al visionario si addensano in un’unica immagine della morte, come accade nel romanzo di Th. Mann La Morte a Venezia dove, sia pure in forme limpidamente classiche e tradizionali, trova espressione il gusto bizantino dell’Oriente che propone un volto della città lagunare in linea con il gusto del decadentismo: sullo sfondo di un’epidemia di colera, la morte diventa simbolo osceno di corruzione e di decadenza senile, quando Gustav von Aschenbach, un severo studioso, si trasforma in poche settimane in grottesco pagliaccio, innamorato di un enigmatico efebo e si prepara a morire per lui in un circuito di crescente ebbrezza ed abiezione. “Questa era Venezia, la bella e lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sogni voluttuosi. All’errante sembrava che i suoi occhi si abbeverassero di quella sontuosità, che il suo orecchio fosse corteggiato da quelle melodie; ricordava anche che la città era malata, ma lo teneva nascosto per sete di guadagno, e scrutava con maggior frenesia la gondola che ondeggiava davanti a lui. Così lo smarrito non desiderava altro che seguire senza ritegno l’oggetto che lo infiammava, sognava di lui quando era assente e, come sogliono gli innamorati, rivolgeva parole tenere anche soltanto alla sua ombra. La solitudine, il paese straniero e la gioia di un’ebbrezza tardiva e profonda lo incoraggiavano e lo spingevano a permettersi senza timore o vergogna le cose più strane, come era avvenuto una sera che, tornando tardi da Venezia, era salito al primo piano dell’albergo e s’era fermato davanti alla porta di Tadzio, quasi folle, col capo appoggiato allo stipite della porta, e per lungo tempo non era più riuscito a staccarsene, col rischio di essere sorpreso mentre si trovava in una posa così pazzesca”. Ma per non andare troppo in là con una ricerca che ci allontanerebbe dalla letteratura italiana, va ricordato che essa non ha conosciuto nell’Ottocento le manifestazioni più estreme del romanticismo irrazionalistico; perciò va dato maggiore rilievo alla presenza ossessiva di simboli funerei in Myricae e ne I Canti di Castelvecchio di Pascoli. Ben dissimulati dall’apparente tenuità delle scelte tematiche e stilistiche, questi simboli contribuiscono – 157 –
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tismo, (tema abusato nell’arte del tempo: si pensi a R. Strauss, a D’Annunzio<br />
e a Wilde, a Mallarmé e Flaubert, per citare tutti gli autori che a questo celebre<br />
personaggio biblico si sono ispirati nel giro <strong>di</strong> pochi anni), la tipologia<br />
della donna-vampiro, lussuriosa e perversa, si contamina con la <strong>di</strong>ssacrazione<br />
del soggetto religioso, cosicché l’ostensione della testa <strong>di</strong> Giovanni<br />
Battista implica il sottile brivido dell’eros.<br />
In questo modo il fondo mostruoso dell’animo umano, il “sottosuolo”<br />
per <strong>di</strong>rla con Dostojewskij, gli orrifici fantasmi a <strong>di</strong>mensione onirica e tutto<br />
ciò che si lega al visionario si addensano in un’unica immagine della morte,<br />
come accade nel romanzo <strong>di</strong> Th. Mann La Morte a Venezia dove, sia pure in<br />
forme limpidamente classiche e tra<strong>di</strong>zionali, trova espressione il gusto<br />
bizantino dell’Oriente che propone un volto della città lagunare in linea con<br />
il gusto del decadentismo: sullo sfondo <strong>di</strong> un’epidemia <strong>di</strong> colera, la morte<br />
<strong>di</strong>venta simbolo osceno <strong>di</strong> corruzione e <strong>di</strong> decadenza senile, quando Gustav<br />
von Aschenbach, un severo stu<strong>di</strong>oso, si trasforma in poche settimane in<br />
grottesco pagliaccio, innamorato <strong>di</strong> un enigmatico efebo e si prepara a<br />
morire per lui in un circuito <strong>di</strong> crescente ebbrezza ed abiezione.<br />
“Questa era Venezia, la bella e lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà<br />
trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che<br />
suggerì ai musicisti melo<strong>di</strong>e che cullano in sogni voluttuosi. All’errante sembrava<br />
che i suoi occhi si abbeverassero <strong>di</strong> quella sontuosità, che il suo orecchio fosse<br />
corteggiato da quelle melo<strong>di</strong>e; ricordava anche che la città era malata, ma lo teneva<br />
nascosto per sete <strong>di</strong> guadagno, e scrutava con maggior frenesia la gondola<br />
che ondeggiava davanti a lui. Così lo smarrito non desiderava altro che seguire<br />
senza ritegno l’oggetto che lo infiammava, sognava <strong>di</strong> lui quando era assente<br />
e, come sogliono gli innamorati, rivolgeva parole tenere anche soltanto alla sua<br />
ombra. La solitu<strong>di</strong>ne, il paese straniero e la gioia <strong>di</strong> un’ebbrezza tar<strong>di</strong>va e<br />
profonda lo incoraggiavano e lo spingevano a permettersi senza timore o vergogna<br />
le cose più strane, come era avvenuto una sera che, tornando tar<strong>di</strong> da Venezia, era<br />
salito al primo piano dell’albergo e s’era fermato davanti alla porta <strong>di</strong> Tadzio,<br />
quasi folle, col capo appoggiato allo stipite della porta, e per lungo tempo non era<br />
più riuscito a staccarsene, col rischio <strong>di</strong> essere sorpreso mentre si trovava in una<br />
posa così pazzesca”.<br />
Ma per non andare troppo in là con una ricerca che ci allontanerebbe<br />
dalla letteratura italiana, va ricordato che essa non ha conosciuto nell’Ottocento<br />
le manifestazioni più estreme del romanticismo irrazionalistico; perciò<br />
va dato maggiore rilievo alla presenza ossessiva <strong>di</strong> simboli funerei in<br />
Myricae e ne I Canti <strong>di</strong> Castelvecchio <strong>di</strong> Pascoli. Ben <strong>di</strong>ssimulati dall’apparente<br />
tenuità delle scelte tematiche e stilistiche, questi simboli contribuiscono<br />
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