MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

quale si è fatto ricorso ad una giustificazione strutturale, quella della “legge
della isocolia”, 2 la fedeltà del poeta all’epicureismo, la completezza stessa
del De rerum natura: c’è infatti tra gli studiosi chi sostiene che non in
questo modo apocalittico doveva concludersi il poema, interrotto dalla
morte improvvisa del suo autore. È certo che Epicuro aveva elaborato una
filosofia materialistica coerente, soprattutto per illuminare le tenebre dell’ignoranza
con la “ratio”, la conoscenza scientifica della natura, e quindi
offrire agli uomini una morale laica, mentre è difficile ammettere che al
grande poeta Lucrezio, così sensibile alla rappresentazione del dolore e tormentato
dall’interrogativo “cur mors immatura vagatur?”, (perché la morte
si aggira prematura fra i giovani?), sia riuscito appieno l’impegno di assicurare
al lettore della sua straordinaria opera il raggiungimento dell’atarassia e
la capacità di esorcizzare la paura individuale e collettiva della morte.
Rispetto a questa rappresentazione della morte collettiva nella peste di
Atene, molto diversa negli Annales di Tacito appare quella delle nobili
morti degli oppositori del regime imperiale.
Occorre innanzitutto dare un giudizio estetico-letterario su queste famosissime
pagine e poi uno di natura politica e filosofica, poiché dietro le
morti di Cremuzio Cordo, di Trasea Peto, di Seneca c’è la dottrina dello
stoicismo.
Negli Annales le uccisioni descritte sono al massimo una cinquantina
raggruppate nell’arco di tre principati: ma l’effetto che la loro descrizione
produce è moltiplicativo, non sommativo, così che, come per il Terrore giacobino,
la nostra associazione mentale è assolutamente angosciosa: è proprio
grazie a Tacito che Tiberio, Caligola o Nerone hanno per noi l’aspetto orrido
di mostri sanguinari. A questo contribuisce lo stile del “barocco funerario”,
come lo definisce in un suo saggio lo studioso francese Roland Barthes, con
il quale Tacito riesce a dissociare il fatto in sé dall’alone che lo circonda, dilatandolo
a dimensioni grandiose. Sulle stragi di guerra o sulle carneficine
servili Tacito quasi sorvola, non le ravviva né dona ad esse un’anima, e ciò
dipende dalla sua scarsa sensibilità sociale e dalla sua ideologia conservatrice.
Per comprendere questo limite che Tacito manifesta nelle sue pagine,
2 Questa legge vuole appunto motivare la profonda simmetria strutturale del poema che
alternerebbe questi finali drammatici alle aperture serene e a volte esultanti dei libri dispari:
l’Inno a Venere del L.I, l’esaltazione di Epicuro rispettivamente nel L.III e L.V – Ci sono critici
che sostengono che al quadro della peste di Atene doveva seguire una conclusione luminosa,
che facesse da pendant all’apertura dell’Inno a Venere. Sicura è la mancata revisione finale del
poema, pubblicato, com’è noto, proprio da Cicerone.
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