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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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aumentando il contagio: si mettevano dappertutto,<br />

gremivan le case, e la morte<br />

accumulava a cataste quanti più ne vedeva riuniti.<br />

Corpi assetati si rotolavano per le strade<br />

e vicino alle fontane morivano giunti appena<br />

su la freschezza dell’acqua.<br />

Molti errando coperti <strong>di</strong> cenci cadevano<br />

su liquido sterco stecchiti e chiazzati <strong>di</strong> ulcere.<br />

Miseria, pena, urgenza improvvisa<br />

spingevano a compiere gesti nefan<strong>di</strong>:<br />

alcuni con gran<strong>di</strong> clamori ponevan su roghi<br />

composti da altri le spoglie dei cari<br />

e vi appressavan le faci spesso lottando<br />

in risse cruente a <strong>di</strong>fesa del morto;<br />

intorno ai sepolcri sorgevano aspre contese,<br />

e poi, sfiniti dal pianto, venivano via,<br />

e molti, oppressi d’affanno, s’abbattevan sul letto.<br />

Nessuno poteva trovarsi che non assalisse<br />

in quel tempo e morbo e morte e lutto”<br />

(L.VI De rerum natura, vv. 1246-1285 - Traduzione <strong>di</strong> Enzio Cetrangolo)<br />

Rispetto alla fonte greca questo quadro della peste <strong>di</strong> Atene viene amplificato<br />

ed arricchito <strong>di</strong> particolari che accentuano il pathos e il realismo<br />

della descrizione: è il caso dello “sterco liquido” su cui piombano i corpi<br />

stecchiti e piagati <strong>di</strong> ulcere, del pianto e dello sfinimento spirituale che<br />

rovescia sul letto i superstiti, mentre il riferimento a vere e proprie contese<br />

sanguinose, che si accendono con urla e faci intorno alle pire, contribuisce a<br />

sottolineare i comportamenti egoistici <strong>di</strong> collettività <strong>di</strong>sgregate, per le quali<br />

nessuna legge umana e <strong>di</strong>vina ha ormai valore.<br />

Si chiude con questo crescendo desolato, con un verso ricco <strong>di</strong> liquide e<br />

<strong>di</strong> allitterazioni, rallentato dalle congiunzioni neque... nec... nec (nec poterat<br />

quisquam reperiri, quem neque morbus / nec mors nec luctus temptaret tempore<br />

tali) il poema concepito da Lucrezio proprio per combattere a Roma la<br />

stessa battaglia che Epicuro aveva condotta nel mondo ellenistico in <strong>di</strong>fesa<br />

dell’uomo: una battaglia per sottrarlo alla paura degli dei, al timore della<br />

morte, al timore dell’oltretomba, al timore del prossimo.<br />

De<strong>di</strong>cando il suo poema all’aristocratico Memmio, infatti, Lucrezio si<br />

rivolgeva alla classe <strong>di</strong>rigente nel momento delle guerre civili per invitarla<br />

alla pratica del “lathe biosas”, alla ricerca del piacere catastematico, e al<br />

vincolo della filia (amicizia) <strong>di</strong>sinteressata, capace <strong>di</strong> superare ad un tempo<br />

la grettezza del clientelismo romano, a cui si riducevano troppo spesso i<br />

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