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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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v. 111: invi<strong>di</strong>a prima: il significato dell’espressione <strong>di</strong>pende dalla funzione<br />

grammaticale <strong>di</strong> “prima”: se la si considera avverbio, allora Dante ha<br />

voluto riferirsi alla primigeneità del peccato dell’invi<strong>di</strong>a, antico quanto<br />

l’uomo; se al contrario, come mi sembra più plausibile, “prima” è usato<br />

dal Poeta come aggettivo, l’immagine che ne scaturisce è quella dell’invi<strong>di</strong>a<br />

in persona, Lucifero, che, volendo assurgere alla potenza <strong>di</strong> Dio,<br />

incarna la prima terribile esemplificazione <strong>di</strong> quel peccato così rovinoso<br />

per l’umanità. A sostegno <strong>di</strong> tali ipotesi intervengono un passo biblico<br />

(tra cui Sap. 2,24: “Invi<strong>di</strong>a autem <strong>di</strong>aboli mors introivit in orbem terrarum”)<br />

e la consuetu<strong>di</strong>ne metonimica me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care una persona<br />

con la sua caratteristica principale (Dio è chiamato “primo amore”<br />

in Inf. III, 6).<br />

v. 112: Ond’io...: Dante non perde occasione per chiarire il carattere Virgilio,<br />

ma soprattutto il suo ruolo <strong>di</strong> accompagnatore razionale che si propone<br />

non solo come in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> un iter, ma anche nelle vesti <strong>di</strong> guida operativa,<br />

pronta a spiegare ed a risolvere dubbi e problemi del Poeta: in<br />

questo senso va letta l’espressione “penso e <strong>di</strong>scerno” che, lungi dal costituire<br />

un’en<strong>di</strong>a<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>ca proprio questa duplice specificità funzionale<br />

<strong>di</strong> Virgilio. Infatti segue la promessa “e io sarò tua guida”, che rassicura<br />

Dante sulla competenza e sulla fattività del maestro. Per quanto riguarda<br />

“me’”, si tratta <strong>di</strong> un’apocope.<br />

vv. 114 segg.: e trarrotti...: Dante affida a Virgilio il compito poetico della<br />

protasi, lasciandogli esporre il piano dell’opera; tuttavia <strong>di</strong>etro, o meglio<br />

accanto a questa scelta che potremo definire “metaletteraria” (parafrasando<br />

il concetto <strong>di</strong> metateatro) si colloca un preciso percorso teologico<br />

tratto <strong>di</strong> peso dal testo tomistico. Il viaggio nei tre regni, infatti,<br />

non è altro che il pellegrinaggio dell’anima attraverso le varie fasi della<br />

sua vita spirituale, ognuna necessaria al raggiungimento del “ben dell’intelletto”<br />

(Dio): l’esperienza visiva del peccato ed il turbamento che<br />

questo provoca (inferno); la determinazione ad uscire dallo stato peccaminoso<br />

attraverso la sofferenza e la riflessione sull’essenza della virtù<br />

(purgatorio); la contemplazione <strong>di</strong> Dio, essenza pura della beatitu<strong>di</strong>ne,<br />

realizzazione della massima aspirazione <strong>di</strong> ogni cristiano (para<strong>di</strong>so).<br />

Da notare la grafia “etterno”, trascrizione me<strong>di</strong>oevale del latino<br />

ecternus. A proposito dell’eternità dell’inferno (infatti è solo questo il<br />

“loco etterno” cui accenna Virgilio), mi sembra <strong>di</strong> ravvisare in questa<br />

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