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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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lusus retorico <strong>di</strong> stampo virtuosistico, ma assolve la funzione <strong>di</strong> illuminare<br />

la contrad<strong>di</strong>zione insita nella cupi<strong>di</strong>gia, che vuole pur possedendo.<br />

v. 51: grame: qui il <strong>di</strong>scorso si allarga dal piano in<strong>di</strong>viduale a quello<br />

sociale: Dante non parla più solo per sé, ma per gli uomini che vivono<br />

la sua stessa epoca così gravida <strong>di</strong> cambiamenti e <strong>di</strong> tensioni talvolta<br />

contrad<strong>di</strong>ttorie; l’aggettivo “grame” proveniva al poeta dalla voce<br />

germanica gram, che significa “affanno”.<br />

v. 52: tanto <strong>di</strong> gravezza: da notare la costruzione latina <strong>di</strong> “tanto” seguito da<br />

un complemento partitivo. Nell’italiano moderno il termine “gravezza”<br />

attiene per lo più alla sfera emotiva, sentimentale: ma qui credo sia<br />

giusto riportarlo all’originario ambito materiale, per accentuare ancora<br />

il senso tutto fisico dell’angoscia provocata dalla cupi<strong>di</strong>gia che “grava”<br />

sul Poeta e sui suoi tempi, tanto da averne alterato il sistema <strong>di</strong> valori.<br />

Dante <strong>di</strong>mostra in questo modo <strong>di</strong> aver ben presente il valore dell’azione<br />

dell’intellettuale, che “legge” i suoi tempi, li interpreta e propone<br />

un modello alternativo; e questa funzione è così importante per lui da<br />

fargli ad<strong>di</strong>rittura mo<strong>di</strong>ficare l’assetto gerarchico istituito dal testo teologico<br />

(1 Gv. 2,16), dove si legge che i tre vizi che dannano l’uomo sono,<br />

nell’or<strong>di</strong>ne, “concupiscentia carnis [la lussuria] ...concupiscentia oculorum<br />

[l’avi<strong>di</strong>tà] ...superbia vitae [la superbia]. Ma l’Evangelista si riferiva<br />

a ben altra epoca, quando il mondo non era stato ancora corrotto<br />

dal veleno che infettava la borghesia commerciale, quell’avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> cui<br />

Dante già constatava gli effetti nefasti e che, quin<strong>di</strong>, poteva ben porre in<br />

cima alla lista dei peccati mortali. La <strong>di</strong>fferenza, insomma, sta nella<br />

prospettiva da cui il vizio viene osservato: il teologo ne considera la<br />

ricaduta sulla coscienza in<strong>di</strong>viduale, l’intellettuale ne verifica il risvolto<br />

storico-sociale.<br />

v. 53: la paura ch’uscia <strong>di</strong> sua vista: sembra un riferimento al problema<br />

della conoscenza (presocratici, Platone) attraverso le immagini<br />

(Telesio); gli atomi si “staccano” (Democrito). Inoltre: ancora una volta<br />

Dante prova paura, così come era successo per il leone (ma non per la<br />

“lonza”, che non spaventa, e se colpisce, lo fa con la forza della seduzione).<br />

Ma si tratta <strong>di</strong> due sensazioni <strong>di</strong>verse, come sta a <strong>di</strong>mostrare la<br />

<strong>di</strong>versa strutturazione delle partiture relative ai due animali: la paura<br />

scaturita dalla vista del leone deriva dal senso autocritico <strong>di</strong> Dante, che<br />

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