MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...
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<strong>di</strong>sprezzo ed alla violenza, ma meno insi<strong>di</strong>oso della lussuria, che si sa<br />
ben mascherare.<br />
v. 46: venisse: accanto a questa lezione è attestata quella che riporta<br />
“venesse”, nel tentativo <strong>di</strong> “esorcizzare” l’eventualità che Dante possa<br />
utilizzare uno schema proso<strong>di</strong>co su cui ancora oggi grava la definizione<br />
<strong>di</strong> “imperfetto” (ma Contini ha recentemente rivisto tale giu<strong>di</strong>zio) tipico<br />
della poesia siciliana, laddove la “è” si trova a rimare con la “i”.<br />
v. 48: parea: l’uso ripetuto <strong>di</strong> verbi inerenti la sfera onirica (“parea”, “sembiava”)<br />
ci ricorda che Dante ancora non si rende ben conto della realtà<br />
della situazione in cui si trova (“pieno <strong>di</strong> sonno”): il provvidenziale<br />
intervento <strong>di</strong> Virgilio, ipostasi della Ragione, lo condurrà al “risveglio”,<br />
riportandolo alla piena autocoscienza sia fisica sia razionale.<br />
tremesse: la lezione a testo è stata restituita nel 1967 da Petrocchi, che,<br />
analizzando i co<strong>di</strong>ci trecenteschi, ha potuto operare svariate correzioni<br />
alle e<strong>di</strong>zioni basate su manoscritti più recenti; in queste si riportava<br />
“temesse”, <strong>di</strong>feso da Pagliaro. Comunque risulta indubbia l’efficacia<br />
tutta “dantesca” del “tremesse”, nel quale la potenza della sensazione si<br />
fonde alla realtà fisica <strong>di</strong> un’atmosfera <strong>di</strong> estrema tensione.<br />
v. 49: lupa: ecco infine l’ultima delle tre fiere, la più spaventosa, quella che<br />
impegna maggiormente le forze fisiche e morali <strong>di</strong> Dante; ed anche<br />
quelle poetiche, <strong>di</strong>rei, visto che ad essa sono de<strong>di</strong>cate ben quattro<br />
terzine contro le due riservate alla “lonza” e le “quasi” due prese dal<br />
leone. L’animale è descritto nella sua sinistra magrezza e nel suo essere<br />
femmina, ciò che aggrava la torbi<strong>di</strong>tà dell’apparizione e le conferisce<br />
un senso <strong>di</strong> squallore quasi pornografico (ricor<strong>di</strong>amo che in latino<br />
lupa era sinonimo <strong>di</strong> “prostituta”); un’apparizione, oltretutto, già <strong>di</strong> per<br />
sé agghiacciante per la sua repentinità, come in<strong>di</strong>cato dall’ellissi del<br />
verbo, efficacemente sostituito dalla congiunzione “ed” <strong>di</strong> inizio verso.<br />
Come era logico aspettarsi, anche per la lupa si porge una lettura allegorica,<br />
anche in questo caso, ovviamente, controversa: l’opinione più<br />
<strong>di</strong>ffusa, anche tra i commentatori antichi, vede questa sembianza bestiale<br />
legata simbolicamente al vizio della cupi<strong>di</strong>gia, o avi<strong>di</strong>tà, o avarizia<br />
(ma nel senso latino!). Qui davvero Dante parla chiaramente,<br />
come <strong>di</strong>mostra l’uso dell’immagine, sempre per in<strong>di</strong>care lo stesso peccato,<br />
in vari altri luoghi della Comme<strong>di</strong>a (Inf. VII, 8; Pg. XIV, 50; Pg.<br />
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