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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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Poeta la stessa commossa gratitu<strong>di</strong>ne del Cantico <strong>di</strong> Francesco e lo<br />

stesso sentimento <strong>di</strong> partecipazione alla suprema bellezza del creato.<br />

Così, Dante ha superato con un certo successo, grazie alla presa <strong>di</strong><br />

coscienza <strong>di</strong> un io rinnovato ed alla virtù palingenetica della primavera,<br />

la prima prova contro il peccato: si tratta però, ricor<strong>di</strong>amolo, <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>fficoltà non proprio insormontabile, essendo la lussuria, in realtà,<br />

l’esasperazione <strong>di</strong> un naturale desiderio umano.<br />

dal principio: qui la preposizione “da” è utilizzata con senso temporale<br />

(= circa).<br />

mosse: come vedremo soprattutto nel Para<strong>di</strong>so, “muovere” rappresenta il<br />

tipico verbo attributivo della potenza creativa <strong>di</strong>vina, nel rispetto della<br />

visione aristotelico-tomistica <strong>di</strong> Dio come motore immobile.<br />

v. 42: a la: si tratta <strong>di</strong> uno dei non infrequenti gallicismi presenti nella<br />

Comme<strong>di</strong>a: qui ha valore qualitativo (= dalla).<br />

gaetta pelle: l’aggettivo, tratto sicuramente dalla lingua d’oltralpe, ha tuttavia<br />

derivazione incerta: potrebbe infatti originarsi da gai, “leggiadro,<br />

piacevole” ovvero rappresentare la traduzione <strong>di</strong> caiet, che, nel suo<br />

significato <strong>di</strong> “screziato” <strong>di</strong>pingerebbe forse meglio la realtà materiale<br />

della pelle della “lonza”.<br />

v. 43-44: ma non...leone: con un sapiente gioco retorico, che ci fa allentare<br />

la tensione (“bene sperar”... “dolce stagione”) per poi portarla, improvvisamente,<br />

a valori altissimi (“paura non mi desse”), Dante ci presenta<br />

la seconda fiera, il leone, minaccioso nell’atteggiamento non meno che<br />

nell’aspetto. Il suo gioco, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello della “lonza”, dalla seducente<br />

terribile bellezza, è scoperto: vuole aggre<strong>di</strong>re, fidando nella<br />

sua forza e nell’incedere aggressivo e superbo. A testa alta, secondo<br />

quell’iconografia aral<strong>di</strong>ca che ancor oggi campeggia in alcuni stemmi<br />

o emblemi citta<strong>di</strong>ni, la bestia procede verso Dante “con rabbiosa<br />

fame”, emettendo cioè un ruggito che è una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> assalto,<br />

secondo il rigoroso co<strong>di</strong>ce animale. Dante non sembra reagire a tale<br />

situazione, o forse non ne ha bisogno: e qui scatta, evidentemente, il<br />

momento allegorico. Infatti, come si pensa da parte dei commentatori<br />

antichi in generale e da molti critici <strong>di</strong> oggi, il leone ipostatizza un<br />

vizio che Dante conosceva assai bene, e contro il quale era avvezzo a<br />

combattere da sempre: la superbia, <strong>di</strong> cui ripropone persino il tipico<br />

portamento (“con la test’alta”). Peccato più grave, perché porta al<br />

– 116 –

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