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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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Brunetto Latini (Trésor, I, V, 193): “I lupi cervieri sono pomellati <strong>di</strong><br />

macchie nere proprio come la lonza” (la sottolineatura è mia). Ma<br />

qualche richiamo è provenuto a Dante anche dalla civiltà classica: la<br />

descrizione della lonza, infatti, sembra ricalcare quella della Venere virgiliana<br />

(Aen. I, 323) che appare coperta <strong>di</strong> una pelle <strong>di</strong> “lince maculata”.<br />

Nell’Etica (VII, 5), infine, Dante trovava un particolare che dovette<br />

suggestionarlo in senso “cromatico”, ma anche allegorico: Omero,<br />

infatti, descrisse come “vario” il cinto con cui Venere ingannò le menti<br />

dei saggi; allo stesso modo la lasciva bellezza del manto della “lonza”<br />

illude l’uomo spingendolo alla ricerca dei beni ingannevoli e lontani<br />

dalla verità. Infatti, al <strong>di</strong> là dell’incertezza sulla realtà naturale della<br />

“lonza”, il vero nucleo problematico è legato al senso allegorico della<br />

bestia, come delle altre due che Dante incontrerà ad impe<strong>di</strong>rgli il cammino<br />

veritativo. Per i commentatori più antichi, essa, parte del trittico<br />

allegorico dei vizi <strong>di</strong> Dante, adombrerebbe il peccato della lussuria: il<br />

suo mantello attraente, il fascino sottile che promana dalle sue movenze<br />

leggere ed eleganti, la sua aggressività velata ben si accorderebbero con<br />

la realtà morale <strong>di</strong> un peccato seducente quanto insi<strong>di</strong>oso. D’Ovi<strong>di</strong>o, invece,<br />

preferisce pensare che il Poeta voglia qui tracciare il quadro dei<br />

tre vizi che gravano su Firenze, riferendosi in questo caso all’invi<strong>di</strong>a; il<br />

Pascoli, con Casella, intende invece la “lonza” come simbolo <strong>di</strong> incontinenza,<br />

figurando così che Dante ambisca tratteggiare il <strong>di</strong>segno delle<br />

partizioni infernali. Infine, imprescin<strong>di</strong>bilmente, è da ricordare l’interpretazione<br />

politica, che vede nella lonza “maculata” la città “partita”,<br />

quella sua amatissima Firenze <strong>di</strong>visa in fazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa coloritura<br />

ideologico-economica. Ma sopra tutte queste pur convincenti letture del<br />

testo svetta altissimo il volo poetico della pagina <strong>di</strong> Borges (Antologia<br />

personale, Milano, 1965, p. 119), dove Dio appare in sogno alla<br />

“lonza” prigioniera a Firenze e le rivela che il suo sacrificio sarà funzionale<br />

alla realizzazione del poema <strong>di</strong> un grande uomo. Solo la potenza<br />

fantastica <strong>di</strong> un poeta poteva restituire ad un passo così vessato e tormentato<br />

dalla pur giusta pignoleria dei critici la sua delicata e soave<br />

bellezza.<br />

leggera e presta: apparentemente una <strong>di</strong>ttologia sinonimica, il binomio<br />

aggettivale nasconde in sé una delicata sfumatura: in “leggero” è riposto<br />

il senso della levità del corpo, mentre in “presta” è sottintesa l’idea della<br />

rapi<strong>di</strong>tà dell’incedere.<br />

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